martedì 20 settembre 2016

Paolo Bagnoli: L'occasione perduta

l’occasione perduta paolo bagnoli da critica liberale Il caso Roma tiene oramai banco da diversi giorni. Ci sembra che esso, oltre a segnare il fallimento del movimento grillino alla prima vera impegnativa prova di governo -quella che doveva dimostrare la sua maturità per il governo del Paese – ci dica anche altro, molto altro, su cui non pare essere stata data particolare attenzione. La questione riguarda il rapporto tra il Movimento 5 Stelle e il nostro sistema politico e, quindi, il punto di arrivo della sua evoluzione o, meglio sarebbe dire, involuzione. Come è ben noto l’affermazione grillina è avvenuta, in modo così significativo, a fronte del scredito della politica; del dilagare dei fenomeni malversativi e corruttivi del Paese. Le invettive di piazza di un comico al tramonto hanno positivamente incontrato la rabbia popolare nel nome di un recupero sostanziale della cittadinanza – non quella giuridici, ma quella dei “semplici” - e della legalità, nella capacità giacobina, nonché di una specie di neo illuminismo basato sul ruolo salvifico della “rete”, di riconsegnare il Paese a se stesso; di fare piazza pulita di una politica e di una classe politica corrotta, anti legalitaria e non rappresentativa del popolo colpevole di aver ridotto l’Italia in queste condizioni. Il Movimento, cioè quale megafono e garanzia di un recupero della democrazia a se stessa per cui esso, affermandosi, avrebbe garantito, ipso facto, una rifondazione del sistema. Tratto caratteristico e differenziante il movimento dagli altri, il fattore trasparenza; da qui fondamentale l’uso dello streaming a garantire una vera casa di vetro. Ricordiamoci che fu lo straeming che imposero a un poco agguerrito Bersani, presidente del consiglio incaricato, quando tentò di tirarli a sé nel sostegno a quello che aveva definito un “governo di cambiamento”. Nell’affermazione del Movimento 5 Stelle ha giocato molto la suggestione di una strada diversa, rispetto a quella tradizionale, di interpretare la democrazia rappresentativa; un modo di essere più moderno e intrinsecamente più rispondente alle esigenze di pubblica moralità che il vecchio sistema non sembrava più assicurare, della “democrazia dei moderni”. A fondamento di tutto ciò un visionario disegno concepito e pilotato da una entità privata esterna all’essere della politica e la rete quale bacino di reclutamento del 051 19 settembre 2016 8 personale politico. In più l’adozione di norme che prevedono la sottoscrizione di un patto e una multa per coloro che non lo rispettino; quasi una moderna “regola” dei neo conventuali della rete. Poi si è visto che, al pari di tutte le regole, esse funzionano se uno le rispetta. In politica, tuttavia, è difficile farle rispettare a chi non le sottoscrive poiché in politica - lo sottolineiamo - si risponde, soprattutto quando si è scelti da un’elezione diretta, ai cittadini e non a una società di consulenza. Il diverso comportamento delle sindache di Roma e di Torino in materia lo conferma. Nella capitale, però, più che far pagare i 150 mila euro di penale dovrebbe essere fatta pagare una multa per la responsabilità oggettiva subita dalla città e dagli oltre settecentomila cittadini che hanno votato la candidata del Movimento! Tra l’altro, sia detto tra parentesi, è molto singolare che da Torino non sia partita nessuna parola di incoraggiamento verso Roma e, per arginare il disastro provocato nella capitale, nessuno dei big del Movimento mai abbia fatto riferimento alla città subalpina ove sembra prevalere un comportamento istituzionale che a Roma non solo non c’è, ma di cui neppure sembrano avere nozione. Rispetto a ciò il recente, fotografato incontro tra la Raggi e l’Appendino su un balconcino del Comune di Roma non modifica nulla poiché, se la sindaca di Torino, nella capitale per impegni istituzionali, non si fosse incontrata con la collega di Roma è facile immaginarsi quali ulteriori ferite i 5 Stelle avrebbero inferto a se stessi. Il profilo di perfezione che l’impianto del disegno strategico del Movimento ha ammantato come il nuovo modo di essere di una democrazia più moderna rispetto a quella dei “moderni” è saltato; Grillo stesso lo ha ammesso: ”non siamo perfetti”. In balia di se stessi, dei complotti generati da se stessi, della confusione di ruoli personali nonché di funzioni direttive, un’ altra delle cifre vantate, la trasparenza, è andata a ramengo visto che non c’è stato streaming che tenesse per le discussioni interne. Insomma, un vero e proprio naufragio nel quale il primo ad affogare è stato il candidato in pectore alla presidenza del consiglio al quale un furbesco infantilismo ha fatto, evidentemente, dimenticare che non si vende la pelle dell’orso prima di averlo preso! Sulle scale di Palazzo Senatorio si è infranto quanto di più vero e profondo era insito nella ragione storico-strategica del Movimento: vale a dire, esprimere una diversità moralmente marcata; essere un fattore salvifico capace, proprio perché immune dai vecchi mali e con un personale politico scelto con procedure del tutto nuove rispetto a quelle tradizionali, di rigenerare con la conquista dei poteri il sistema politico dando vita a un nuovo modo di essere della democrazia italiana, questa volta fondata, sì, su una spessa “moralità concreta”. 051 19 settembre 2016 9 Tutto ciò si è infranto dicendo, a chi ancora non l’avesse capito, che i 5 Stelle non sono la soluzione della nostra lunga, aspra e logorante crisi, bensì uno degli epifenomeni della stessa; così come lo è il renzismo. In ciò sta la valutazione del rapporto tra il grillismo e il sistema in generale. Ora, però, se il renzismo si fonda sulla “velocità” e sulla “giovinezza” di cui, appunto, Matteo Renzi personifica il brand, il grillismo voleva caratterizzarsi in quanto moralità esterna, virtù che viene da fuori. Si racconta che Giovanni Papini amasse dire che quando sentiva la parola “moralità” si metteva subito la mano al portafoglio. Non sappiamo se è vero, ma certo è verosimile ed è pure un qualcosa, diciamo così, controreplicato dalla realtà. Allora, per tornare al problema, quanto stanno testimoniando i 5 Stelle ci conferma che in politica le virtualità esterne non funzionano e che la “questione della moralità” deve essere consustanziale con quella del farsi della politica medesima e dei suoi soggetti. È una vecchia questione, peraltro non acquisita, dalla realtà italiana. Prima, molto prima, sulla stesso piano intenzionale hanno fallito sia Mani pulite che l’interventismo savonaroliano della magistratura. Ricordiamoci che, con grande onestà, il procuratore Francesco Saverio Borrelli ammise il fallimento dei fini che si proponeva il pool di Milano. Di Pietro, poi passato dalla toga al laticlavio, alla fine ha mestato l’acqua nel mortaio finendo per tornare a guidare il trattore nel suo Molise. La vicenda dei 5 Stelle ci conferma una vecchia verità e, il non rendersene conto, fa scendere un grande prezzo su un Paese sempre più stretto tra due laceranti inquietudini – grillismo e renzismo – nessuna delle quali ci pare all’altezza di ciò che richiederebbe la nostra crisi attuale.

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