venerdì 2 settembre 2016

Franco Astengo: Spagna

SPAGNA: A FINE CORSA LE FORME CLASSICHE DELLA “DEMOCRAZIA LIBERALE” ? di Franco Astengo Dopo il Belgio arrivò la Spagna: anche il paese iberico (dopo l’esperienza belga di qualche anno fa) è priva di governo da molti mesi e sono andate a vuoto ben due elezioni legislative generali. Il sistema elettorale spagnolo, super collaudato per fornire responsi di governo in una dimensione bipolare più cespugli regionalistici, non ha funzionato rispetto allo spezzarsi in quattro parti del sistema dei partiti con l’emergere, sull’onda dei movimenti e del cosiddetto populismo dell’antipolitica, di due nuovi soggetti: Podemos sul versante di sinistra e Ciudadanos su quello di centro. Nel frattempo però, con il governo uscente di Rayoy all’ordinaria amministrazione, il paese ha funzionato benissimo sia in economia, sia rispetto ai servizi e allo stesso ordine pubblico. Ne parla Nadia Urbinati sulle pagine di “Repubblica” rilevando come, alla fine, emerga come concreto il mito di un nuovo ordine basato sulla “self governance society”. Chi scrive queste note si permette di reiterare alcuni spunti di riflessione nel merito che, da qualche tempo senza alcuna pretesa di primogenitura, sta cercando di portare avanti. La vicenda spagnola suggerisce un ulteriore momento di sviluppo del pensiero che può essere suggerito, a questo punto, da un aggiornamento d’analisi al riguardo della teoria della “microfisica del potere” elaborata a suo tempo da Michel Foucault per rispondere proprio all’evidenziarsi di quella evidente“confusione tra i poteri” cui si è appena accennato. Il filosofo francese, che si è cimentato negli ultimi tempi della sua vita (è scomparso nel 1984) sul tema della “biopolitica” a proposito proprio della “microfisica del potere” scriveva di “autogestione sociale”. Una teoria che considerava il potere come una risorsa circolante attraverso un’organizzazione reticolare. Si tratta di un punto sul quale l’analisi di questi giorni non si è ancora soffermata abbastanza a fondo e che vale la pena riprendere. Una riflessione da sviluppare attorno alla folle corsa che la modernità impone alla ricerca di un verticismo assoluto nella detenzione del potere, nell’assolutismo dell’io come essere esaustivo della finalità umana quale punto di ricerca dell’assolutismo politico. Emerge un contrasto evidente, si sente uno stridore terribile proprio tra questa ricerca della verticalità del potere assoluto e l’orizzontalità piatta dello scorrere dell’organizzazione della società in tempi di comunicazione super veloce, di individualizzazione dei messaggi attraverso i social, di costruzione di riferimenti di basso profilo fondati sul pragmatismo più o meno immediato piuttosto che sui grandi principi e sulle coordinate globali. Una orizzontalità perenne, che si perpetua nonostante le deviazioni improvvise che un itinerario di vita trova strada facendo. Questi frangenti impongono di tornare a riflettere proprio sull’appiattirsi delle relazioni, sull’impossibilità di riconoscere un ordine e un comando che appaiono inutili nel loro vano dimostrarsi. L’orizzontalità dell’essere reclama il collettivo, il “noi”, e respinge l’io. Il potere non si concentra più al vertice ma si disperde nella società attraverso gli individui: è la tesi della “inflazione del potere” cui Luhmann risponde considerandola come fonte dell’ingovernabilità con la teoria della riduzione del rapporto tra politica e società, e di conseguenza con una sorta di ritorno a forme “decisionistiche” di tipo quasi assolutiste. Una “inflazione di potere” che, scrive Nadia Urbinati, era già stato rilevata in un documento della Trilateral del 1975 (non a caso lo stesso anno in cui fu elaborato il documento di “Rinascita Nazionale” della P2): “Crisis of democracy”. Per correggere una società civile troppo politicizzata e con una rappresentanza politica troppo direttamente protagonista nelle scelte di governo era necessario correggere il sistema di governo in senso esecutivista, liberando la società civile dai vincoli delle politiche redistributive e dello stato sociale. L’obiettivo era di realizzare un minimalismo democratico coerente con questo progetto di depoliticizzazione. Un fallimento annunciato, quello del minimalismo democratico, perché la depoliticizzazione ha portato alla crisi della democrazia liberale e al sorgere, quasi spontaneo, di soggetti che la mettono fortemente in discussione privilegiando il rapporto diretto con la base sociale in relazione al soddisfacimento di bisogni immediati, al più corporativi: il cosiddetto populismo nella sua versione più moderna. Cosa ci aspetta per il futuro: una risposta in termini di nuova dittatura retta, in buona parte, sull’ottundimento del sistema mediatico chiamato semplicemente a diffondere la propaganda di regime (modello Renzi) oppure una ricerca aperta su nuove forme di governo a forma reticolare. Una “rete” da stendere tra livelli istituzionali diversi, a partire dal basso, le Circoscrizioni, i Comuni, il recupero della territorialità della rappresentanza fino alla Regioni? Domande inquietanti alle quali per ora non compare risposta adeguata. Intanto l’economia, intesa ormai come pura “tecnicalità” corre per conto proprio, come dimostra l’esempio spagnolo e anche quello britannico del “dopo Brexit”. Intanto le ricette “liberalizzatrici” nell’organizzazione dell’offerta, elaborate dal governo italiano mostrano la corda della loro insufficienza strutturale. Appaiono superate le vecchie distinzioni nelle forme di potere che, pure, in conclusione vale la pena di ricordare. Nello sviluppo del pensiero umano il concetto di potere è sempre stato suddiviso in “comparti” (per così dire). Aristotele distingueva nella “Politica” tre tipi di potere in base all’ambito nel quale esso era esercitato: il potere dei padri sui figli, il potere dei padroni sugli schiavi, il potere dei governanti sui governati (vale a dire il potere politico in senso stretto). In età moderna Locke riprese la classificazione aristotelica allorquando, aprendo il secondo dei suoi “Trattati sul governo”, ribadisce la distinzione tra il potere del padre sui figli, del capitano di una galera sui galeotti e del governante sui sudditi. Ancora Max Weber in “Economia e Società” distingue tra potere “costituito in virtù di una costellazione di interessi” (dunque il potere specificatamente economico) e il potere costituito in virtù dell’Autorità, includendo in questo il potere del padre di famiglia, dell’ufficio o del potere del principe. Nella modernità attorno al concetto di potere abbiamo trovato espressi fattori come potenza, forza, influenza tutti utilizzati al fine di realizzare il condizionamento sociale per trovare obbedienza a un comando che contenga un determinato contenuto. Su queste basi era maturato il concetto fondamentale di separazione dei poteri (Locke, Montesquieu, Sieyès) destinata a diventare il cardine dello Stato di diritto. In particolare l’abate Sieyès, con la sua teorizzazione dei rapporti tra potere costituente e poteri costituiti, pone le basi per la teoria moderna della Costituzione. Tutto questo impianto come si scriveva poc’anzi appare superato nei fatti e l’interrogativo rimane pressante: verticalità di nuove forme di dittatura oppure orizzontalità delle reti attraverso “l’inflazione di democrazia”? Cominciamo intanto a respingere ogni tentativo di muoversi verso una nuova forma di verticalità del potere e di sottrazione di potestà alla volontà popolare, come sta accadendo in Italia con Senato e Province eletti non più attraverso il voto del corpo elettorale (pur ormai ridotto alla metà degli aventi diritto nella crescita esponenziale della disaffezione) ma attraverso una espressione di voto di scambio interno ad un ceto politico separato e autoriproducente se stesso. Dire no, dunque, all’edificazione di una oligarchia sulla quale far poggiare una forma di governo di tipo assolutistico personale che controlla una pluralità di vertici (dai presidi delle scuole ai commissari al terremoto, al direttore generale della RAI, ai vertici bancari) di sua diretta emanazione.

13 commenti:

claudio ha detto...

evidentemente la Spagna è in ripresa economica, e nel sistema capitalistico, quando c’è ripresa , meno interviene il governo meglio vanno le cose. Quando c’è crisi, invece tocca alla politica decidere che deve pagarla di più. Anche l’Italia del boom economico cambiava governi ogni 11 mesi, non interveniva sull’economia ma solo sulle opere pubbliche, in particolare facendo autostrade. Che andavano bene a tutti, non essendoci ancora i no tav a battersi per la valorizzazione degli antichi tratturi delle transumanze...

alberto ha detto...

La “ripresa” è sempre un fatto relativo. La Spagna era scesa così in basso che non poteva che ricominciare a crescere. Ma ci metterà trent’anni per tornare ai livelli di occupazione pre-crisi. Quanto alla considerazione che nel sistema capitalistico quando l’economia “tira” è meglio che il governo “cioè lo Stato” non intervenga mi sembra francamente un pensiero da lasciare alla Thatcher. Se la politica , come la intendiamo noi che ci rifacciamo al pensiero socialista riformista, non interviene quando c’è da distribuire per costruire il futuro, quando dovrebbe intervenire?Quando c’è solo da aiutare i poveri ricchi?

claudio ha detto...

storicamente, gli interventi dei governi europei nel ciclo economico, che andasse bene o andasse male sono sempre stati a favore delle aziende. Fanno eccezione il governo Attlee nel primo dopoguerra in un’Inghilterra che peraltro ha mantenuto il razionamento molto più a lungo delle nazioni sconfitte, e le socialdemocrazie scandinave, che i teorici italiani consideravano con disprezzo perchè così voleva Togliatti...
Il problema dell’occupazione oggi risente sempre più della delocalizzazione dell’economia globale e della concorrenza degli immigrati: i populisti stanno aumentando ovunque per questa ragione, e anche perchè la sinistra buonista non ha nessuna proposta...

luigi ha detto...

ai vertici bancari) di sua diretta emanazione
affettuosamente critico per almeno due questioni la prima
... ma almeno per i vertici bancari se facciamo l'ipotesi fondata
che Renzi sia il referente - protempore - di recente prima c'era
Monti poi Letta ora Lui, poi si vedrà, in Italia della plutocrazia,
almeno le banche iscritte nel sistema credito internazionale sono
loro a comandare Lui;
la seconda
ottimo il ripasso dei sistemi liberaldemocratici evidenziati, ma la
categoria marxiana di chi detiene i mezzi di produzione + credito,
moneta, che comanda e che lavora viene sfruttato ?
Noi in Italia con la nostra Costituzione con principi fondamentali e
prima parte titolo terzo - tutto compreso - l'avevamo saggiamente
risolto il problema, anche il vero e unico "migliore" il Togliatti lo
ha sancito: la Costituzione via italiana al socialismo.
Io penso che bisogna concentrarsi a fare fuoriuscire dal coma
profondo la nostra Costituzione eleborazione teorico-pratica di
invidiabile "bellezza".
Luigi Fasce - Genova - www.circolocalogerocapitini.it

salvatore ha detto...

Pienamente d'accordo con Alberto: lo stato, perlomeno in una visione socialista, deve intervenire sempre, anche se, ovviamente, con finalità di volta in volta adatte alle diverse situazioni (le politiche del tempo di crisi saranno diverse da quelle dealle fasi di crescita) .
Ciò che non vorrei passasse in secondo piano tra le considerazioni di Franco è che la governabilità è forse una cosa diversa da ciò che cercano di farci intendere. Governabilità non è avere un parlamento addomesticato e un governo che può liberamente spadroneggiare. Se un sistema ha un buon impianto legislativo, dei buoni apparati, allora può anche reggere a mesi o più di mancanza di un governo formale. Nel frattempo la rappresentanza delle diverse istanze, nel parlamento, può benissimo continuare a svolgere la sua funzione legislativa...
Meditiamoci un po' su!

salvatore ha detto...

Caro Claudio,
questa volta non sono molto d'accordo con la tua affermazione. Gli
stati non sono sempre intervenuti solo per favorire le aziende: la
sanità pubblica, la scuola pubblica, i sistemi previdenziali, le leggi
sui diritti civili...... tutte queste conquiste che diamo per
scontate, non sono nate da sole, le hanno volute i nostri sistemi
democratici. Anche questo è intervento dello Stato, non solo i
trasferimenti verso le aziende o le politiche economiche che hanno
favorito la Fiat.

Un caro saluto

alberto ha detto...

Storicamente ... non è proponibile pensare che i governi europei siano sempre stati dello stesso colore politico. E dunque è improponibile pensare che i governi conservatori , che hanno governato più a lungo di quelli di sinistra, potessero attuare politiche contro i loro stessi interessi: ossia contro le loro aziende. Cero è che, salvo in pochi casi e per pochi anni, anche i governi di sinistra hanno spesso fatto politiche a favore più del mondo imprenditoriale che di quello del lavoro. Ma questo è uno dei temi centrali che le culture politiche riformiste dovrebbero ina volte per tutte affrontare: le forze di sinistra quando democraticamente vanno al potere finiscono inevitabilmente per spostare l’asse delle loro politiche a destra per conservare il potere e, a perderlo proprio per questo spostamento. I recenti casi del Brasile e del Venezuela e prima dell’Inghilterra di Blair e della Germania di Schröder, per citare solo i più discussi, sono li, se pure per ragioni diverse, a dimostrarlo. Il tema è ancora quello sollevato nei primi anni ‘70, con accenti più di intuizione poetica ed intellettuale che non propriamente politica, da Pasolini in uno dei suoi ultimi articoli dal titolo “ Sviluppo e progresso”, nel quale pone all’attenzione della sinistra la difficoltà che ha la sinistra, una volta giunta al governo, di conservare il consenso elettorale perseguendo politiche di “progresso” e non di solo “ sviluppo”. Scrive Pasolini “ Dunque: la Destra vuole lo <> ( per la semplice ragione che lo fa, che è il suo fine economico); la Sinistra vuole il << progresso>>. Ma nel caso la Sinistra vinca la lotta per il potere, ecco che anch’essa vuole – per poter realmente progredire socialmente e politicamente – lo << Sviluppo>>. Uno sviluppo però la cui figura si è oramai formata e fissata nel contesto della industrializzazione borghese. “ Se escludiamo gli anni d’oro (‘65-‘75) della socialdemocrazia europea quando la sinistra riformista riuscì, governando nei principali stati europei, a realizzare una vera e propria rivoluzione antropologica realizzando quel modello di stato sociale ( che io chiamerei piuttosto di “Comunità sociale”) che dura, nonostante tutti gli attacchi ad esso portati dai successivi governi conservatori, a tutt’oggi, perché entrata nella cultura e nel vissuto dei popoli europei, dopo di allora, la sinistra anche quando arrivata al potere non è più riuscita a proporre politiche durature di “progresso = valori” e, per conservare un potere effimero e di breve durata, ha dovuto ripiegare su politiche di mero “sviluppo=consumismo”.
Poiché questo a mio parere è uno dei nodi centrali della crisi attuale di consenso delle sinistre riformiste, prima si riprenderà a parlarne e meglio sarà.
Un fraterno saluto

roel ha detto...

A proposito di capitalismo .

Pur facendo un enorme sforzo a non dare ragione a Marx e a Tony Negri secondo cui " il capitalismo è sfruttamento", e , volendo evitare il rischio di essere frainteso col sospetto di uno scivolamento verso il dogmatismo totalitario della collettivizzazione, di cui abbiamo avuto ampia dimostrazione con i risultati ormai noti, si ripresenta lla necessità storica politico-economica di un rilancio del Socialismo riformista o della cosiddetta "terza via". Si è verificato, però, che , quando si è scelta quest'ultima strada, è mancata la coerenza di sostenerla e praticarla con determinazione nelle scelte economiche di governo, provocando delusioni e danni alla stessa tenuta democratica. Ciò è accaduto non solo per i motivi evidenziati negli interventi circa la preoccupazione di conservare il consenso, tanto da evitare "ridistribuzioni" perequative, specie al tempo delle "vacche grasse". Provvedimenti che avrebbero toccato gli "interessi forti". Da tener presente che, con l'avvento della globalizzazione i capitali si muovono secondo criteri di delocalizzazione, alla ricerca, come lumeggiato già da Gramsci, del "profitto maggiore possibile". A sostegno e a beneficio di questa ricerca si sono aggiunte le migrazioni di massa che hanno sbilanciato l'equilibrio tra domanda e offerta della manodopera. Il Il capitalismo vuole la "democrazia", però secondo gli schemi del "libero mercato" simile agli oceani in cui gli squali "fanno il bello e il cattivo tempo", nel ruolo di divoratori e dominatori. A nessuno sfuggono i danni dei processi di "democratizzazione" portati avanti e imposti a cannonate !!!!!!!! Come difendersi? Quali rimedi sono possibili?

roel ha detto...

Se dai singoli governi si può ottenere poco per i motivi suddetti, legati ai timori oggettivi delle fughe(vedi Fiat) e delle delocalizzazioni,, non resta che portare avanti con determinazione un progetto di schieramento politico-sindacale di tipo continentale e, possibilmente, planetario.

A tal proposito mi viene in mente l'appello forse ingiustamente troppo trascurato:"Lavoratori di tutto il mondo unitevi !".

Ma se tale appello può suonare come uno slogan e turbare i sonni dei "benpensanti", non v'è dubbio che per fronteggiare il dominio ormai senza ostacoli del capitalismo finanziario e delle grandi imprese(v. anche cartelli e monopoli), non resta che ricercare nuove forme di coalizioni e di aggregazioni capaci di varcare i confini nazionali.

Significando con ciò che anche le esperienze delle Socialdemocrazie, del Socialismo riformista e del "Manifesto di Ventotene", sono da sostenere e portare avanti senza tentennamenti. E' su queste tematiche che bisogna rilanciare un fronte anche culturale e di formazione popolare per la riconquista del consenso e del sostegno necessari Le televisioni di Stato dei paesi europei, invece di fare il lavaggio del cervello con frivolezze e banalità pubblicitarie ad ogni pie' sospinto, potrebbero dar corso a programmi culturali di risveglio delle coscienze. Non è possibile adagiarsi sulle ingiustizie sociali fatte di diffusi privilegi, in un quadro che vede il 50% della ricchezza in mano ad una esigua minoranza che impone le sue leggi in ogni angolo del mondo e, quando incontra ostacoli, s'inventa ogni sorta di calunnia per interventi armati. C'è C'è ancora spazio per "l'ottimismo della volontà"? Un saluto, Roel

claudio ha detto...

ma io parlavo solo degli interventi nel ciclo economico, che non sono mai
stati redistributivi. Anche la cassa integrazione prolungata e i
prepensionamenti erano finalizzati a mantenere la concorrenzialità delle
aziende sul piano internazionale, con gravissime conseguenze psicologiche
per gli espulsi dal ciclo produttivo. E che hanno portato alla distruzione
del prestigio del sindacato, che poteva solo operare per il contenimento del
danno, ma sempre a spese dell'INPS o della finanza pubblica.

luigi ha detto...

le forze di sinistra quando democraticamente vanno al potere
finiscono inevitabilmente per spostare l´asse delle loro politiche a
destra per conservare il potere e, a perderlo proprio per questo
spostamento.
Finiscono inevitabilmente per spostare l'asse delle loro politiche a
destra ? (intanto quale destra ? quella neoliberista capitalista si
diceva un tempo nevvero ?)
Perchè mai inevitabilmente dunque passare dal nostro modello di
economia socialdemocrtico (noi italiani sancito nella Costituzione
parte prima titolo terzo) l'ottimale per il bilanciamento tra impresa
pubblica e privata) secondo Rifkin.
Per me c'è solo una interpretazione del fenomeno cambiamento di
politiche avviate da Blair-Schroeder ... pensando che senza più URSS
a fare da contraltare agli USA neoliberisti, farsi proni agli USA.
Incassando s'intende la mercede che il potere plutocratico delle
multinazionali era pronta a sborsare non solo con soldi ma con porte
girevoli vedi Schroder prima fase di Gazprom e Blair in giro per il
mondo a fare conferenze pagate in modo esorbitante.
Non parlo di Amato perchè mi viene il vomito.
Tutti a far parte del giro dei vip mondiale che comandano.
Abbiamo subito il tradimento dell'intera classe dirigente del PSE.
Fatta passare subdolamente come There is no alternative (TINA).
Però con questo modello neoliberista si va in malora almeno per la
classe media che abbiamo contribuito a formare grande e satallo,
quando da sociate piradidale che ci ha consegnato il dopoguerra
abbiamo raggiunto la società a uovo ... ora ci stiamo riaviando verso
la società a piramide ...ahimé.
Vogliamo provare a rianimare la nostra Costituzione ?
Perchè il dibattito su questa lista non si incentra su questo ?
Troppo banale ? o in raltà della Costituzione non si è mai valutato
la portate sotto il profilo economico ?
Un dalogante disperante saluto.
Luigi Fasce - Genova - www.circolocalogerocapitini.it


alberto ha detto...

Caro Luigi , il problema è che quando in democrazia si va al potere bisogna
anche democraticamente, ossia con il consenso della maggioranza degli
elettori, riuscire a fare politiche che consentano di conservarlo.
Altrimenti sono solo chiacchiere. Non è che ripetendo che la nostra
Costituzione è la più bella del mondo, di per se si realizza.
E' quello che da tempo mi sto chiedendo: perchè mai quando in sistemi
democratici le sinistre riformiste o riformatrici vanno al potere con
programmi che parlano di “progresso” poi una volta al potere finiscono per
fare politiche di solo o prevalente “ sviluppo” convinte, e non a torto, che
questo almeno nell'immediato sia il solo modo per conservarlo. Così temendo
di perdere la scommessa di poter introdurre vere e proprie rivoluzioni
antropologiche nelle comunità che governano, gradualmente facendo politiche
solo di perdono anche le elezioni.
Scriveva Pasolini che questo è stato anche l’errore di Lenin “ Vinta la
grande lotta di classe per il < progresso> adesso bisognava vincere una
lotta, forse più grigia ma certo non meno grandiosa, per lo < sviluppo> ““ E
sappiamo come è finita: la competizione l’hanno vinta i paesi borghesi
perchè “ l’industria e l’industrializzazione non l’anno inventata ne Marx ne
Lenin: l’ha inventata la borghesia.”” .
Scrive ancora Pasolini :”” il < progresso> è una nozione ideale (sociale e
politica): là dove lo < sviluppo> è un fatto pragmatico ed economico. Ora è
questa dissociazione che richiede una < sincronia> tra < sviluppo > e
visto che non è concepibile ( a quanto pare) un vero progresso
se non si creano le premesse economiche necessarie ad attuarlo.””.
Negli anni ‘60-‘75 quando vi era una salda classe lavoratrice con una
profonda identità culturale, che viveva con orgoglio e non come oggi come
vergogna, la sinistra riuscì a governare e fare quella rivoluzione in senso
“ comunitario” del modello sociale europeo di cui ho parlato. Oggi che tutto
questo è in crisi e sembra aver trionfato l’individualismo di matrice e
modello americano tutto ciò appare come impossibile o comunque ambiguo: Se
vuoi governare DEVI ADEGUARTI!
Ma è necessariamente proprio così, o siamo noi che manchiamo di una
sufficiente riflessione politica per poter ricominciare?.

mimmo ha detto...

Le analisi di filosofia politica finiscono troppo spesso per apparire come esercizi in provetta.
Il limite, eredità della stagione dominata dalle ideologie radicali, è quello di non saper delocalizzare sia in termini di tempo e sia di spazio la lettura degli eventi. Il concetto di inflazione democratica va riportato al contrasto tra i tempi di comprensione e di risposta delle istituzioni alla diversificata domanda dei cittadini, per di più estremamente più consapevoli e competenti dei propri antenati . Infine l'internazionalizzazione delle conoscenze e delle esperienze ( una volta prerogativa culturale della sinistra) prima ancora della finanza e dell'economia hanno prodotto livelli decisionali nei fatti sovranazionali e differenziati, la dinamica delle società ha assunto una velocità tale che il fattore tempo rappresenta un fattore critico, le conoscenze acquisite dai cittadini spesso sono superiori a quelle di chi li rappresenta e l'inflazione è' causata dalla incapacità del sistema politico a individuare i paradigmi adeguati per governare.
Lo spazio non è più quello autarchico cui facevano riferimento le decisioni ideologiche, il confronto è' assai facile tra soluzioni assunte e sono percepite senza intermediazioni, in verità ad essere spiazzati sono i narratori di modelli che si esauriscono per impotenza e che facilitano la verticalizzazione dei processi.