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martedì 6 settembre 2016
Paolo Bagnoli: I veri conti con il passato
Da Critica liberale
i veri conti con il passato
paolo bagnoli
Alla fine di luglio di quest’anno Eugenio Scalfari - il 28 luglio, per la precisione –
sul giornale da lui fondato ha ripubblicato l’intervista che ben 35 anni fa fece a Enrico
Berlinguer nella quale il segretario del PCI suonò l’allarme sulla questione morale.
L’intervista è, a sua volta, accompagnata da un’altra intervista, questa volta di Simonetta
Fiori allo stesso Scalfari, nella quale egli ricorda quella fatta a Berlinguer che, per titolo
porta, virgolettata, una frase dell’intervistatore: “Non esiste più la diversità della sinistra
nessuno ha seguito la cura”. Nella prima pagina del giornale, poi, l’argomento viene
richiamato con grande evidenza, rimandando alle pagine interne, con un titolo, sempre
virgolettato “Questione morale chi ha tradito Berlinguer” e, un sottopancia, con un altro
virgolettato: “Nessuno l’ha seguito”.
Tanta enfasi ci ha dato l’impressione che Scalfari, in un processo cominciato da
tempo, di consegnarsi alla storia abbia voluto rivendicare a se stesso il merito di aver
mosso lui, sì proprio lui, tramite l’intervista il problema della questione morale; in fondo,
sembra di capire, Berlinguer è stato solo lo strumento.
L’intervista datata 35 anni fa e la questione morale è bella viva e attiva, ben più
coriacea del PCI che rivendicava di venire da lontano, ma il “lontano” cui si proponeva di
andare altro non era che Pontassieve per consegnare i resti di se stesso a Matteo Renzi e al
PD. Di tutto questo nelle considerazioni di Scalfari non solo non c’è traccia, ma nelle
risposte rilasciate alla Fiori fa un endorsement postumo al segretario comunista quando
afferma: “Mi piacevano le sue idee, la questione morale innanzitutto”. E qui si apre una
questione che va ben al di là di Scalfari e che investe, con tutto il rispetto s’intenda, la
politica del PCI che Berlinguer ha rappresentato nella sua massima espressività e che, a
ben vedere, non ha prodotto nulla se non la fermata a Pontassieve. Lì il post-post-PCI ha
preso il treno di Renzi su cui, quello che ne è rimasto, continua a viaggiare, ma in piedi e in
terza classe, eccezion fatta per Giorgio Napolitano che, alla pari della figura del “dirigente
unico” delle ferrovie, dalla cabina del Quirinale ha aiutato il convoglio ad andare
coprendone tutte le magagne.
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Vediamo un po’, l’idea centrale dell’intervista – ossia la questione morale – e poi le
altre idee, quelle che piacevano tanto a Eugenio Scalfari per il quale, visto che non ne fa
cenno nemmeno minimo, per il PCI la questione del rapporto tra etica e politica non
esisteva; una commemorazione compiuta dell’evento avrebbe richiesto pure una qualche
parola nel merito specifico. Forse, e sarebbe una colpa grave per un grande giornalista, che
Scalfari non abbia letto i giornali da cui i comuni mortali lettori di quotidiani hanno
seguito le cronache dell’era inaugurata da Di Pietro e compagnia? Il problema si è posto,
eccome se si è posto, anche per il PCI. Stentiamo a credere che la questione sfugga a
Scalfari, probabilmente non ne ha fatto segno per non inficiare il senso del suo ruolo per la
storia, mantenendo candido il profilo del PCI tramite la riconosciuta rettitudine e austerità
del suo segretario più amato dopo Palmiro Togliatti.
Inoltre, come non rendersi conto che nella intervista di Berlinguer vi siano delle
incongruenze assai vistose? C’è da domandarsi se il segretario comunista sapesse – nel
momento in cui denunciava con tanta forza l’occupazione dello Stato, inteso in senso largo
– che anche il suo partito non era esente da tale pratica, dalla Rai, alle banche, alle
università, alle municipalizzate, agli enti di più varia natura e funzione: insomma, il PCI
non era “diverso” dagli altri, ma un comportamento eguale agli altri non autorizza a
condannare questi se prima non viene abbandonato da chi lancia il sasso della denuncia.
Perché ciò non è avvenuto? La domanda è di quelle destinate a rimanere senza convincente
risposta; tuttavia essa non è un qualcosa di estraneo nel momento in cui si santifica, come
ha fatto Scalfari, quella particolare denuncia politica.
I comunisti italiani hanno sempre fatto, dalla svolta di Salerno, in poi, del realismo
una delle loro peculiari virtù e ci sembra che, ben oltre ogni altra chiacchiera, il PCI, quale
grande forza nazionale, ha realisticamente puntato ad inserirsi negli assetti, altrettanto
reali, del potere italiano e non solo per un problema di ruolo quanto per rendere credibile,
considerato anche il vincolante legame con l’Unione Sovietica, il loro essere parte
fondamentale della politica italiana per il cui riscatto alla democrazia si sono guadagnati
durante la lotta al fascismo il “mandato politico” di legittimità democratica. E tuttavia il
loro legame con l’Unione Sovietica e la loro “diversità bifronte” hanno sempre generato
una diffidenza di fondo e, quindi, il realismo ha loro permesso di essere accettati
dall’establishment economico-finanziario del Paese e di non esserne anche estranei. Più si
legge quell’intervista, più ci si rende conto di come ad argomenti giusti – ma,
intendiamoci, prima di Berlinguer era stato, molti anni prima, Luigi Sturzo a mettere in
guardia contro i rischi della “partitizzazione” dello Stato e della società – abbia corrisposto
un comportamento “lunare” da parte del PCI di cui Berlinguer era segretario.
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Tangentopoli ha scoperchiato il grande vaso della malversazione del pubblico
denaro, ma anche il giustizialismo di tanti comunisti ha impedito di vedere il problema e le
risposte politiche che esso necessitava. Fatto si è che, rispetto alle vicende di malversazione
e corruzione emerse dopo Tangentopoli, il quadro della vita pubblica italiana non solo si è
aggravato rispetto a quello che avevamo all’inizio degli anni Novanta, ma il marcio della
politica in cui pascola un ceto inadeguato e quasi generalmente di basso livello, se non di
bassissimo, continua ad emergere come la lava di un vulcano la cui gettata sembra essere
senza fine mangiandosi le risorse del Paese e la residua credibilità della democrazia
repubblicana.
Il 29 aprile 1993, Bettino Craxi, parlando alla Camera, mise il sistema politico di
fronte alle proprie responsabilità con queste parole: “I partiti, specie quelli che contano su
apparati grandi, medi o piccoli, giornali, attività propagandistiche, promozionali e
associative, e con essi molte e varie strutture politiche e operative, hanno ricorso e
ricorrono all’uso di riforme aggiuntive in forma irregolare o illegale. Se gran parte di
questa materia deve essere considerata materia puramente criminale, allora gran parte del
sistema sarebbe un sistema criminale. Non credo che ci sia nessuno in quest’aula,
responsabile politico di organizzazioni importanti, che possa alzarsi e pronunciare un
giuramento in senso contrario a quanto affermo perché presto o tardi i fatti si
incaricherebbero di dichiararlo spergiuro.” Secondo Ciriaco De Mita: “il discorso di Craxi,
se condiviso, avrebbe potuto costituire una via di uscita dignitosa e autorevole. Ma era un
momento in cui il rapporto nei partiti e tra i partiti si era slacciato. E così abbiamo
preferito sbranarci a vicenda.” Craxi rimase solo e De Mita ha ragione, ma, al di là del fatto
che i ladri devono essere perseguiti, la politica richiede risposte politiche e, infatti, il
giustizialismo non ha risolto nulla.
La riforma della Costituzione e la legge elettorale approvata sono la conferma della
situazione oltreché dei rischi che corre l’assetto istituzionale che sembra correre veloce
verso una strutturazione di “democrazia verticale” con il sostanziale abbandono, nei fatti,
della centralità del Parlamento che è la vera salvaguardia di un assetto democratico.
Scalfari ha denunciato il mancato ascolto della denuncia di Berlinguer, ma da esso
non fu esente lo stesso PCI. Di ciò, però, non si fa nemmeno una pallida menzione per cui,
rispetto allo stato delle cose, ciò che viene fatto apparire come una lezione di moralità si
riduce a uno scadente moralismo. Siamo, in altri termini, di fronte a un ragionamento
incompiuto e nella storia, come nella politica, i ragionamenti incompiuti non sono fattori
di verità, bensì di manipolazione della verità medesima.
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Abbiamo già accennato alle ragioni per cui, a nostro avviso, Scalfari ha ricordato
quella vecchia intervista e ciò che continua a colpirci è la mancanza totale di un minimo di
cifra critica da cui deriviamo che un ragionamento approfondito sul rapporto tra
giornalismo e politica sarebbe necessario, ma non abbiamo mai visto un chirurgo che
opera se stesso!
Non c’è bisogno di essere acculturati per sapere che la politica si fonda su
un’imprescindibile base morale, ossia sulla dimensione orizzontale con cui si interpreta il
bene comune che permette la coesione sociale. Ciò implica anche di non rubare,
naturalmente; di non anteporre l’interesse particolare a quello generale; quando tali fattori
non si riscontrano più la democrazia si spenge e le soluzioni tecniche che si adoprano in
luogo di quelle che, con coraggio, la politica richiederebbe, altro non fanno che
assecondare, stabilizzandolo, il deterioramento dell’insieme pubblico e dei suoi soggetti. Di
conseguenza, fatti salvi aspetti procedurali, la sostanza segue altre vie: gli spazi di libertà e
di democrazia si restringono e la forbice delle ineguaglianze sociali diventa di sistema.
Sappiamo che il tacitismo è un qualcosa di estraneo alla politica, ma qualche volta farci un
pensierino non sarebbe male.
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