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venerdì 1 luglio 2016
Andrea Ermano: First things first
EDITORIALE
Avvenire dei lavoratori
First things first
È paradossale che le elezioni siano divenute uno dei principali fattori di inquinamento della nostra democrazia, con l’effetto perverso di una doppia deriva: corruttiva e populista. Se, come dice il proverbio inglese citato nel titolo, le questioni primarie vanno affrontate per prime, allora è urgente per l’Italia superare le inique regole del gioco inscritte, da oltre dieci anni, nella normativa elettorale, dapprima tramite il cosiddetto Porcellum, poi tramite il cosiddetto Italicum. Auguriamoci che in questa materia il Parlamento proceda a una riforma degna del nome. Un barlume di speranza ci viene dalla calendarizzazione autunnale del dibattito sul profilo di costituzionalità dell’Italicum, come richiesto in una mozione della Sinistra Italiana. I vertici del PD renziano sarebbero ben consigliati se volessero utilizzare la pausa estiva per ponderare seriamente il proprio atteggiamento dinanzi a questa prova d’appello.
di Andrea Ermano
Che l'Italicum somigli al vecchio Porcellum è cosa evidente. Lo è a tal punto che già nel febbraio scorso il Tribunale di Messina ha rimesso la nuova normativa elettorale renziana al giudizio della Consulta dando, in ben sei punti su tredici, ragione al pool di avvocati guidato da Felice Besostri, che è stato co-autore del ricorso vincente sul Porcellum.
L'avvocato socialista Felice Besostri, regista dei
ricorsi sulla costituzionalità delle leggi elettorali
Ufficialmente l'Italicum (legge Renzi, n. 52 del 6 maggio 2015) entra in vigore domani, primo luglio 2016, ma a settembre il Parlamento tornerà a occuparsene, per verificarne il profilo di costituzionalità ed eventualmente rimaneggiare la normativa "prima che la Consulta si pronunci su di essa".
Il cambiamento non sarà facile. L'establishment ha interesse a mantenere sotto stretto controllo la vita politica, l'attività legislativa e l'azione di governo nel nostro Paese, sicché in quest'ottica è necessario disciplinare i parlamentari tramite meccanismi come il "potere di candidatura". Questo potere deve restare nelle mani dei leader di partito che, controllando sigle e simboli, possono includere chiunque nel novero degli eleggibili, oppure escluderlo.
Storicamente, grazie all'altro meccanismo di controllo – che a sua volta tende a stabilire quali sigle e simboli vadano proposti in prima o seconda serata all'attenzione dei telespettatori – sembrò nascere, con la fine della Prima Repubblica, un sistema di potere a tenuta stagna e di grande futuro.
Ma quel sistema è durato tanto quanto l'egemonia giornalistico-televisiva di marca berlusconiana. Il controllo dei canali pubblicitari e finanziari sembrava garantire una lunga stabilità alla cosiddetta "Seconda Repubblica", il principale leader della quale reputò utile, a un certo punto, muovere verso una logica bipartitica. In questo quadro, il Porcellum (legge Calderoli, n. 270 del 21 dicembre 2005) rappresentava, effettivamente, la normativa ideale, perché garantiva una maggioranza di yes men pronti a tutto pur di essere "nominati" e ricandidati, mentre il maggiore esponente dello schieramento a lui avverso (si fa per dire) poteva simmetricamente espellere dal Parlamento non solo tutti i "rompiscatole" (radicali, socialisti e "antagonisti"), ma anche tutte le forze politiche in cui questi avrebbero eventualmente potuto cercare rifugio.
Senonché il sistema della cosiddetta Seconda Repubblica è stato terremotato dalla crisi finanziaria globale, che ha spietatamente messo a nudo la deriva ludopatica del sistema bancario, in Italia privatizzato ad uso e consumo di lor signori, e tutto ciò ha avuto ripercussioni devastanti sul sistema pubblicitario cioè su quello della televisione e dei media cartacei. L'avanzata dei social media ha fatto il resto, generando ondate d'opinione, certo non sempre belle o ben fondate, ma comunque al di fuori delle logiche di potere antecedenti.
A questo punto il Porcellum, nato per garantire sonni tranquilli alle segreterie di partito e ai loro referenti nei "poteri forti", è stato imbracciato da Beppe Grillo. Il quale grazie a una lunga e immaginifica tournée di spettacoli gratuiti ha coagulato, "nominato" e catapultato in Parlamento ben 109 deputati e 54 senatori, aprendo come una scatola di tonno il bipartitismo dall'italiana. Tanto che, nonostante il carattere geneticamente modificato in senso maggioritario del Parlamento dei "nominati", nessuna maggioranza di governo è potuta emergere dalle urne nell'ultima tornata elettorale.
Questo accadeva nella primavera del 2013 e si deve alla saggezza dei giudici di Cassazione e della Corte costituzionale se le massime istituzioni di garanzia della Repubblica hanno iniziato allora a prendere atto che l'illusione di potere dell'establishment era ormai morta e sepolta. Mai si sarebbero dovute accettare "regole del gioco" che consentivano ai pochissimi di nominare l'intero Parlamento causando abissali effetti di decadenza dei costumi, come quando una maggioranza di senatori certificò in Ruby Rubacuori la nipote di Mubarak oppure quando si costituzionalizzò il pareggio di bilancio sotto la dettatura di uno stolido rigorismo teutonico.
Nel gennaio 2014, quando la sentenza n° 1 della Corte Costituzionale fece decadere la Legge Calderoli, l'Italia tirò un respiro di sollievo. Non così Berlusconi e i vertici del PD. Fu a quel punto che il Governo Letta venne fatto cadere dai renziani ed emerse il cosiddetto "Patto del Nazareno" che aveva il proprio ubi consistam nella riproposizione – tramite l'Italicum – di un meccanismo elettorale analogo a quello del Porcellum.
Era l'epoca in cui Renzi poteva ancora immaginare che sarebbe bastato qualche sbandieramento rottamatorio per rintuzzare l'onda populista e ripristinare il bipartitismo perduto. Ma tripolarismo era. E tripolarismo è restato. Non solo: a Roma e a Torino – due settimane fa – s'è visto con estrema chiarezza che sic stantibus rebus il PD ha scarse o nulle possibilità di sconfiggere il M5S alle prossime elezioni politiche, dato che sui grillini confluirebbero al ballottaggio segmenti non del tutto trascurabili di voto, vuoi giovane, vuoi di destra, vuoi di sinistra, vuoi di rientro dal non voto.
A questo punto, come diceva il vecchio Nenni, l'alternativa è: "Rinnovarsi o perire". Auguriamoci che l'estate porti consiglio e che in autunno tutte le forze politiche sappiano cogliere l'occasione del ritornante dibattito sull'Italicum per mettere a punto una legge elettorale giusta, intelligente e lungimirante.
Questa ci pare la prima cosa da fare per consolidare la tenuta istituzionale mentre siamo inevitabilmente in viaggio verso il mare mosso.
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