martedì 3 maggio 2016

Franco Astengo: Referendum costituzionale

REFERENDUM COSTITUZIONALE: IL TEMA DELLA RAPPRESENTANZA POLITICA E DELLA CENTRALITA’ DEL PARLAMENTO di Franco Astengo Con largo anticipo, senza che neppure ne sia stata fissata la data di svolgimento, è già entrata nel vivo della campagna elettorale la contesa per il referendum confermativo delle “deformazioni costituzionali” recentemente approvate dal Parlamento. Ogni tentativo di rendere l’andamento di questa consultazione aderente al merito effettivo del provvedimento legislativo risulta vano: il governo intende farne una questione legata alla propria sopravvivenza e, considerato l’elevatissimo tasso di personalizzazione sul quale l’esecutivo si regge attorno alla figura del Presidente del Consiglio, l’elemento di tipo plebiscitario prevarrà su tutti gli altri. Piaccia o non piaccia questo sarà il quadro all’interno del quale ci si muoverà nel sistema politico italiano nel corso dei prossimi mesi. Tra l’altro lo stesso Presidente del Consiglio (e segretario del PD) annunciando da subito un suo tour di propaganda nei principali teatri cercherà anche di trascinare sul terreno plebiscitario anche le stesse elezioni amministrative che si annunciano, per il suo partito ma anche per l’intero sistema, quanto mai problematiche nell’andamento e nell’esito. Per questi motivi non basta, dal punto di vista del “NO”, evitare la trappola, occorre una campagna elettorale diversa ma molto più incisiva e mobilitante di quanto non stia nelle premesse. Prima di tutto deve essere seccamente smentita la favola dei 63 governi da cancellare: il punto di passaggio negativo nella storia istituzionale del nostro Paese è stato rappresentato dal passaggio nel sistema elettorale, attraverso il quale è stata esaltata la personalizzazione della politica, trasformati i partiti in “aziende” o cordate elettorali fino al trasformare il sistema politico in un’arena di pericolosi populismi che, dopo quello di destra incentrato sul cosiddetto berlusconismo ha raggiunto livelli molto pericolosi nel confronto in atto tra il M5S, il PdR e una destra sempre più espressione di vero e proprio razzismo. Il documento dei 56 costituzionalisti, ad esempio, è sicuramente importante e molto ben articolato nel testo, ma va sicuramente corroborato con argomentazioni molto più dirette alla drammatica attualità della situazione sociale e politica del Paese. Il dato di fondo da rimarcare è quello che il sistema politico nel suo insieme dispone di risicatissimi margini di consenso, del tutto insufficienti ad affrontare le grandi emergenze che ci troviamo di fronte, dalla crisi verticale dell’Unione Europea alla “questione morale” interna. Per queste ragioni sarebbe necessario impostare una campagna referendaria incentrata su parole d’ordine “forti” che prefigurino un sistema politico in grado di bloccare la degenerazione verificatasi nel corso degli anni e sventare il pericolo del tentativo plebiscitario. Sono due temi da rilanciare con grande forza: il primo è quello della centralità del parlamento e di una sua composizione che risulti davvero “specchio del Paese”, ribaltando il concetto di un maggioritario non fondato su di un effettivo consenso :esiste la possibilità concreta che la maggioranza assoluta della Camera dei Deputati si affidata a un partito che vale poco più del 20% rispetto all’intero corpo elettorale, in un quadro nel quale la partecipazione al voto superi di poco il 50% degli aventi diritto. Il tema della rappresentanza politica risulta così collegato direttamente al nodo della centralità del parlamento (è ovvio che il discorso comprende ruolo e funzioni del Governo, di conseguenza della Presidenza del Consiglio, il tema della decretazione, la questione dei referendum abrogativo, propositivi, confermativi e quant’altro). Ed è sul tema – appunto – della rappresentanza politica che sarebbe il caso di incentrare un ragionamento di fondo che nelle note seguenti si tenterà appena appena di abborracciare. Il “Corriere della Sera” di domenica 17 Aprile ospitava un importante intervento di Ernesto Galli della Loggia sul tema “Destra e Sinistra l’erosione d’identità” . L’autore collocava al centro del suo ragionamento l’elemento della perdita di rappresentanza politica tradizionale da parte dei diversi gruppi sociali ed esprimeva un giudizio molto netto su questo fenomeno: “La società italiana nel suo complesso si è mostrata di una sterilità ideale e politica assoluta”. Attribuisce ancora a questo fatto il decadimento morale nella vita sociale e politica del Paese, attribuendovi l’omologazione dei comportamenti e degli standard etici al livello più basso. Qualche giorno prima lo stesso“ Corriere della Sera” in data di Giovedì 14 Aprile aveva ospitato due interventi, diversi tra loro nel tema e negli obiettivi, che possono però essere accomunati all’interno di una complessiva valutazione riguardante la condizione concreta del sistema politico italiano. Pierluigi Battista scriveva di “referendum in ostaggio” denunciando il progressivo stravolgimento nell’utilizzo di questo istituto rispetto alle finalità originarie di abrogazione (o di conferma, nel caso di revisioni costituzionali): la consultazione referendaria si sta trasformando vieppiù in un momento di tipo plebiscitario rispetto al Governo e di chi lo guida. O con me o contro di me (addirittura “chi mi vota contro mi odia”) indipendentemente dall’analisi del contesto e dagli effetti che l’esito del voto potrebbe avere sul complesso della società italiana: difficilmente si riesce a far valere il concetto che la conferma o meno di un determinato asse legislativo potrebbe rappresentare un momento di modernizzazione e/o di arretramento sociale. Sono visti soltanto gli effetti immediatamente riferiti al quadro politico, se non addirittura rispetto al ruolo dei singoli esponenti. Una situazione creata dall’assunzione del concetto di governabilità come esaustivo e dall’esasperata personalizzazione: fenomeni che stanno conducendo il sistema politico italiano ai limiti della torsione autoritaria. Qualche pagina più avanti Giuseppe De Rita affrontava il tema della “rappresentanza perduta degli interessi collettivi”. L’ex- presidente del CENSIS chiosava: “ Il mondo della mediazione sociopolitica è stato smantellato. Al posto dei marginalizzati enti intermedi prendono spazio i più svariati operatori di un lobbismo ormai sempre più strisciante e particolaristico”. De Rita non faceva propria, comunque, un’osservazione che invece andrebbe sviluppata: ci troviamo di fronte ad una forte corporativizzazione del sociale, caratteristica fondante proprio di quella fase di torsione autoritaria cui si accennava poc’anzi. Secondo l’autore ci troviamo di fronte alla possibilità di un avvio silenzioso di un processo di nuova vitalità di alcuni soggetti intermedi: un fenomeno considerato in una fase di “maturazione interna”, ma interessante da verificare nei tempi medi nel caso di un esito esterno politicamente significativo. Questi interventi pongono quindi oggettivamente un tema: quello della carenza di rappresentanza politica del sistema, cui già si accennava poc’anzi. Quello della rappresentanza politica è il vero nodo da affrontare sia al riguardo dello stravolgimento di ruolo negli istituti fondativi della Repubblica, sia al riguardo dei meccanismi di mediazione politico – sociale che la Costituzione individuava nella centralità del Parlamento (sta nel superamento di questa centralità il vero punto oscuro di quelle che sono state definite “deformazioni costituzionali”). Vale la pena allora riproporre una riflessione posta sul terreno della rappresentanza politica, intesa nel senso dello sviluppo della modernità. Siamo ancora di fronte, in tempi di arretramento nel processo di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” in termini di difficoltà forti delle istituzioni sovranazionali e di rapporto con i centri di potere economici in tempi di globalità del fenomeno dirompente della finanziarizzazione, alla necessità di una rielaborazione di un’adeguata “Teoria dello Stato”. Si tratta di tornare a un punto teorico estremamente preciso e definito: ” La rappresentanza definisce l’unica modalità che permette al popolo di agire come corpo politico”. Fu attorno a questo elemento che Rousseau e Kant espressero l’idea del mandato libero, che la nostra Costituzione prevede all’articolo 67: palesemente violato nei fatti dalla previsione di una legge elettorale provvista di uno spropositato premio di maggioranza (che induce al “voto di scambio” nell’aula parlamentare) e dalla presenza di una quota rilevante di deputati “nominati”. Si aggiunga come la Seconda camera è prevista come formata da notabili provenienti da una classe politica – quella regionale – che ha fornito una ben mediocre prova nel corso di questi anni fallendo la prova della capacità legislativa e rappresentando l’architrave di una “questione morale” d’infimo profilo basata sulle “spese pazze” dei gruppi regionali. Una seconda camera cui è attribuito il compito di rafforzare la già esorbitante maggioranza di governo e di funzionare come punto d’appoggio per “totalizzare” la qualità politica delle presenze negli istituti di garanzia e di rappresentanza (nello specifico in quelli collegati alla funzione della magistratura: vero e proprio “fattore di supplenza” nella tormentata vicenda politica italiana degli ultimi 30 anni come dimostrano ancora una volta gli avvenimenti più recenti). Il tema della legge elettorale è quindi strettamente connesso con quello dello smarrimento del concetto di rappresentanza politica. Centralità del Parlamento e Rappresentanza politica rappresentano i due punti sui quali sarà bene approfondire in vista del referendum confermativo sulle deformazioni costituzionali , preso atto della necessità di non trasformare la competizione elettorale in un “plebiscito” adatto a soddisfare soltanto pericolose volontà di potenza autoritaria. Infine: il tema della rappresentanza politica ha indubbiamente necessità di essere affrontato tenendo conto delle novità che, proprio al riguardo delle forme possibili di espressione e di affidamento della formazione del consenso e della delega comporta l’utilizzo sempre più vasto delle novità tecnologiche nel campo della comunicazione e della formazione delle opinioni collettive. La sostanza però dell’indispensabile rapporto da mantenere tra base sociale e soggettività politica non potrà mai prescindere da un radicamento effettivo e concreto che passa dall’organizzazione di una struttura politica: in questo senso gli strumenti dell’innovazione risultano certamente importanti ma collaterali alla realtà di soggetti politici “fisicamente” presenti sul territorio e destinati a organizzare le risposte possibili all’emergenza dei bisogni sociali e alle complesse discriminazione causate dalle “fratture” materialiste e post – materialiste. Come scrive Stefano Rodotà (“Repubblica” 1 Maggio) siamo di fronte al tentativo di rottura del “compromesso democratico” e al ritorno al quadro delineato da Le Bon nel 1895 analizzando la “psicologia delle folle”. La ricostruzione del rapporto tra il leader e le masse, la personalizzazione del potere ci portano ai giorni nostri. Il rischio da evitare è quello di trasformare definitivamente quella che è stata una democrazia rappresentativa in quella che Abramo Lincoln definì “democrazia recitativa”. Uno spettacolo, in sostanza, di cui vorremmo fare volentieri a meno, attraverso il quale, se realizzato nel suo disegno perverso, passeranno gli autoritarismi più pericolosi.

15 commenti:

claudio ha detto...




la rappresentanza era massima con il proporzionale puro e le preferenze, che, a parte i noti difetti nel sud e gli elevati costi delle campagne personali nel centro Nord, garantiva governi di breve durata, che non riuscivano quasi mai a presentare leggi organiche che peraltro venivano affossate da sistema bicamerale, una vera rarità in Europa, oggetto di visite turistiche. Mi aspettavo che, come hai fatto, citassi il vanesio Rodotà, il protettore e moltiplicatore della burocrazia inutile, colui che ha reso illeggibili qualnque modulo di cambio fornitura o di emissione titoli, il cui volume richiede il taglio di un albero per produrne 10. Penso sia ancora lui l’autore della normativa demenziale che chiede che il contribuente , per accedere alla sua dichiarazione, cambi il PIN ogni 3 mesi, rendendo indispensabile il ricorso a professionisti o intermediari sindacali. E volevano anche farlo presidente della repubblica. Quella delle scartoffie....

giovanni ha detto...

Caro Claudio, inveece con la nuova veriosne dell'art. 70 (vedi sotto: davvero un capolavoro...) il bicameralismo sparisce, vero?
Hai una certa esperienza, non dovresti più credere alle favole, anche se le racconta la boschi...-:))
Buona lettura
G
«Art. 70. -- La funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere per le leggi di revisione della Costituzione e le altre leggi costituzionali, e soltanto per le leggi di attuazione delle disposizioni costituzionali concernenti la tutela delle minoranze linguistiche, i referendum popolari, le altre forme di consultazione di cui all'articolo 71, per le leggi che determinano l'ordinamento, la legislazione elettorale, gli organi di governo, le funzioni fondamentali dei Comuni e delle Città metropolitane e le disposizioni di principio sulle forme associative dei Comuni, per la legge che stabilisce le norme generali, le forme e i termini della partecipazione dell'Italia alla formazione e all'attuazione della normativa e delle politiche dell'Unione europea, per quella che determina i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con l'ufficio di senatore di cui all'articolo 65, primo comma, e per le leggi di cui agli articoli 57, sesto comma, 80, secondo periodo, 114, terzo comma, 116, terzo comma, 117, quinto e nono comma, 119, sesto comma, 120, secondo comma, 122, primo comma, e 132, secondo comma. Le stesse leggi, ciascuna con oggetto proprio, possono essere abrogate, modificate o derogate solo in forma espressa e da leggi approvate a norma del presente comma. Le altre leggi sono approvate dalla Camera dei deputati. Ogni disegno di legge approvato dalla Camera dei deputati è immediatamente trasmesso al Senato della Repubblica che, entro dieci giorni, su richiesta di un terzo dei suoi componenti, può disporre di esaminarlo. Nei trenta giorni successivi il Senato della Repubblica può deliberare proposte di modificazione del testo, sulle quali la Camera dei deputati si pronuncia in via definitiva. Qualora il Senato della Repubblica non disponga di procedere all'esame o sia inutilmente decorso il termine per deliberare, ovvero quando la Camera dei deputati si sia pronunciata in via definitiva, la legge può essere promulgata. L'esame del Senato della Repubblica per le leggi che danno attuazione all'articolo 117, quarto comma, è disposto nel termine di dieci giorni dalla data di trasmissione. Per i medesimi disegni di legge, la Camera dei deputati può non conformarsi alle modificazioni proposte dal Senato della Repubblica a maggioranza assoluta dei suoi componenti, solo pronunciandosi nella votazione finale a maggioranza assoluta dei propri componenti. I disegni di legge di cui all'articolo 81, quarto comma, approvati dalla Camera dei deputati, sono esaminati dal Senato della Repubblica, che può deliberare proposte di modificazione entro quindici giorni dalla data della trasmissione. I Presidenti delle Camere decidono, d'intesa tra loro, le eventuali questioni di competenza, sollevate secondo le norme dei rispettivi regolamenti. Il Senato della Repubblica può, secondo quanto previsto dal proprio regolamento, svolgere attività conoscitive, nonché formulare osservazioni su atti o documenti all'esame della Camera dei deputati».

luciano ha detto...

Quando leggo vecchi socialisti come Bellavita che si adeguano ai luoghi comuni sul proporzionale mi avvilisco.

Almeno tra noi dovrebbe essere pacifico che l’origine dei problemi sistemici della prima repubblica (instabilità dei governi, mancanza di vera alternanza, lottizzazione e dunque tasso anomalo di corruttela) era tutta p o l i t i c a !

Avevamo il più forte partito comunista d’occidente che egemonizzava l’opposizione di sinistra, un po’ per suo merito, un po’ per il generoso sostegno dell’Urss e un po’ grazie alla dabbenaggine del Psi fino al ’56 (ma con ricadute anche dopo).

Quindi, finché il mondo era diviso in blocchi, non potevamo avere una fisiologica alternanza tra conservatori e progressisti.

Quindi le tensioni politiche si convertivano in fibrillazioni della sempiterna coalizione al potere: instabilità nella più mortifera stabilità.

Quindi la mancanza di ricambio favoriva il ricorso sistemico e pressoché generalizzato alle tangenti.

La legge elettorale proporzionale, che peraltro hanno da sempre in quasi tutta l’Europa continentale, non c’entra un fico secco.

In Germania, col proporzionale, hanno avuto 8 cancellieri in quasi 70 anni, con plurime alternanze tra democristiani e socialdemocratici.

Certo le correzioni date dalla soglia di sbarramento al 5, dalla sfiducia costruttiva e dalla primazia del Cancelliere aiutano.

Infatti, sarebbe stato intelligente importare questi rimedi, anziché scimmiottare un maggioritario sempre più muscolare e di qualità infima, che ha finito per distruggere i partiti (che è poi quello che Mariotto Segni e C. volevano !).

Quanto al bicameralismo, un conto era auspicarne il superamento quando avevamo due rami del parlamento eletti entrambi col proporzionale, con differenze trascurabili, un conto è sommare al maggioritario più pazzo del mondo (l’Italicum) un sistema (quasi) monocamerale.

Peraltro, quella della necessità di aumentare la speditezza del legislativo è un’altra balla, un tipico bisogno indotto.

Abbiamo già un numero incalcolabile di leggi e ne vengono sfornate a getto continuo, sempre più disorganiche, illeggibili, suscettibili di mille interpretazioni fin dal primo giorno …

Lasciatelo dire a un avvocato: servirebbe una terza Camera di italianisti e di logici; altro che abolire la seconda ! Oltretutto, senza abolirla affatto …



Luciano Belli Paci


lorenzo ha detto...

Ci sono tre argomenti (fra i tanti) prodotti dai sostenitori del No che mi lasciano un po' perplesso. Il primo è di tipo nostalgico (com'era bello il mio Senato...) e cioè che, col proporzionale puro, oltre ad affermarsi il massimo della rappresentanza, si sia fatta l'Italia (quella buona, finché c'è stata). Insomma l'Italia di quando eravamo giovani, l'Italia proporzionale, quella di un governo all'anno, quella espressa dalla egemonia della Dc e poi da quella di Craxi, che si è dovuta fermare nel 1992 (governo Amato, prelievo sui conti correnti) sull'orlo del precipizio, e ha prodotto, a causa delle politiche clientelari, il debito pubblico di cui oggi soffriamo pesantemente, a livello nazionale e internazionale, e ha prodotto, col pieno appoggio dei sindacati, 16 milioni di pensionati che i nostri figli e nipoti ci rimproverano, giustamente e pesantemente, di dover mantenere. Poi c'è l'argomento che, con quell'unicum al mondo di due Camere paritarie, volendo, non si perdeva tempo a fare le leggi; e se ne citano magari mezza dozzina, che eccezionalmente si sono fatte a passo di carica, tipico caso di occhio alla pagliuzza e non al trave, oppure all'albero e non alla foresta. Infine c'è il tema, ripetuto all'ossessione, che con l'abolizione del Senato "non si risparmia", controargomento a chi dice (Renzi) che si risparmia. Tema usato anche per le adorate province, snodo essenziale della democrazia: ma possibile che cento e più consigli provinciali, con annessi e connessi, costassero proprio zero?
Preciso che la "difforma costituzionale" non piace neanche a me, e anche il nuovo Senato non mi piace, che la legge elettorale non mi piace, che Renzi è certamente troppo rigido (autoritario?) nell'imporre i suoi provvedimenti eccetera. Ma l'intervento di Felice Besostri precedente a questo è giustissimo e verissimo: se cercassimo una alternativa a Renzi ne troveremmo migliaia, peccato che non siano utilizzabili, e che la Sinistra che raccoglie il 3% dei voti, o anche il 5%, incontra qualche difficoltà ad ergersi maestra di vita e di pensiero... Cordialmente. Lorenzo

dario ha detto...

Caro Lorenzo la tesi che altre soluzioni esterne al PD sono irrilevanti non può giustificare una controriforma quale quella che è stata approvata (male) da un Parlamento nominato con una legge elettorale dichiarata incostituzionale. Il partito che esprimeva la maggioranza dei parlamentari nominati e che fosse stato attento ai valori della Democrazia avrebbe dovuto chiedere lo scioglimento delle Camere e nuove elezioni, in subordine l'elezione di una Assemblea Costituente con lo specifico obiettivo di aggiornare la Costituzione, il PD non l'ha fatto, ma soprattutto le modalità operative con cui ha approvato le modifiche hanno riaperto un vulnus che già avevamo sperimentato con le modifiche d'alemiane e che d'ora in poi legittimerà chiunque abbia la maggioranza a procedere per colpi di mano. Spero che il popolo italiano che in molti casi si è dimostrato più saggio dei legislatori sappia sanare questo vulnus a ottobre.


felice ha detto...

Se si parla per fare bla-bla si può dire la prima cosa che passa per la mente. Guardate la tabella allegata. Leggetevi anche l'art.57 nuovo i commi 2, 5 e 6:
2) I Consigli regionali e i Consigli delle province autonome di Trento e Bolzano eleggono con metodo proporzionale, i senatori fra i propri componenti e, nella misura di uno per ciascuno, fra i sindaci dei comuni dei rispettivi territori. [ NOTA il metodo proporezionale riguarda solo i consiglieri regionali senatori]
5). La durata del mandato dei senatori coincide con quella degli organi delle istituzioni territoriali dai quali sono stati eletti,in conformità alle scelte espresse dagli elettori per i candidati consiglieri in occasione del rinnovo dei medesimi organi, secondo le modalità stabilite dalla legge di cui al sesto comma. [NOTA le parole in corsivo grassetto sono quelle dell'emendamento Chiti]
6) ult. periodo " I seggi sono attribuiti in ragione dei voti espressi e della composizione di ciascun consiglio[ NOTA poiché le leggi eletorali regionali sono ipermaggioritarie con premi di maggiorana tra il 55 e il 61% si voleva tenere conto di voti dati a formazioni non entrate in Cosnsiglio ovvero che si tenesse conto dei voti di lista e non solo dei seggi]

Ogni ragionamento prescinde dal terzo comma del nuovo 57 bper cui ogni regione deve avere un minino di 2 senatori. Leggetevi la tabella allegata 10' regioni, tra cui 2 province autonome) hanno 2 senatori DI CUI 1 SINDACO PERE IL QUALE GLI ELETTORI NON ESPRIMONO ALCUNBA SCELTA. DUE REGIONI NE HANNO 3 di cui un sindaco. Dove sta il metodo proporzionale imposto dal c. 2? o che si deve tene conto dell scelte espresse dagli elettori( c. 5) e dei voti espressi(c. 6)?
I casi sono tre 1) presa per il culo; 2) totale incompetenza legislativa ,3) consapevolezza che così non funziona non funzione e quindi riformulare la noma, ma con camere elette con l'Italikum i deputati e dai consigli regionali ma con la norma transitoria senza perciò applicazione dell'emendamento Chiti
Se vince il Sì a primavera si vota con l'Italikum, ma anche se vince il NO.

Felice C. Besostri


p.s. CON LA PROSSIMA REVISIONE SI PORRà RIMEDIO ALL'ASSURDO CHE I SINDACI METROPOLITANI, CIOè i più importranti d'ITALI non s possono fare i senatori se si facessero eleggere direttamente

lorenzo ha detto...





Caro Dario mi permetto di fare, con simpatia, alcuni commenti:

1. Ripetere ossessivamente che il Parlamento è illegittimo perché nominato con legge incostituzionale accertata ex post, non fa sì che operi illegittimamente (secondo la Consulta) e non lo fa decadere. Quindi, non avendo conseguenze pratiche, è solo un vezzo linguistico.

2. L’affermazione che “questi” parlamentari sono “nominati” (anche questa ossessivamente ripetuta) mi fa venire il latte ai gomiti. I parlamentari sono sempre stati nominati, con pochissime eccezioni (vedi Besostri) da quando Repubblica è Repubblica, inutile ricordare fatti, episodi, aneddoti degli ultimi settant’anni.

3. : certo, nell’iperuranio. Non bisogna confondere le proprie utopie con ciò che è umanamente e realisticamente possibile.

4. Le modalità operative hanno certamente costituito un vulnus. Dal momento che voleva (il Pd) ottenere un risultato, ci sono ovviamente mille “scienziati” della politica pronti a suggerire mille modi alternativi. Alla luce dei contrasti furibondi che, non solo su questo tema, hanno sempre determinato la paralisi di qualsiasi misura (anche sacrosanta come il superamento del bicameralismo perfetto), viene da chiedersi: esistevano, ed erano praticabili, altre modalità tali da accontentare tutti?

5. Non ho deciso se voterò sì o no. Tuttavia poniamo che vinca il no e il governo vada a casa. Forse sarebbe bene discutere fin da ora chi farà il presidente del Consiglio e con quale maggioranza. Nessuno che ne faccia cenno, fra i sostenitori del no, mostrando un accanimento spropositato e corta vista: cosa avviene una volta abbattuto il tiranno? E come dovrà orientarsi la famosa sinistra del (diciamo) 5%? (Mi viene in mente la Libia dopo Gheddafi…). Molti cari saluti. Lorenzo

simone ha detto...

Caro Lorenzo,

mi fermo al tuo punto 5 (pur non condividendo, in tutto o in parte, nemmeno gli altri 4).

Aver confuso, e continuare a confondere, il piano delle riforme costituzionali con quello delle opportunità e delle contingenze politiche immediate (sto usando degli eufemismi), non può che arrecare un grave e ulteriore vulnus al già traballante edificio istituzionale di questo Paese e alla sua cultura democratica.

Cordialmente

Simone Zecca



luciano ha detto...

In effetti tutti ripetiamo ossessivamente le stesse cose.

A me pare che non si debba confondere legittimità giuridica con legittimità politica. Che un parlamento eletto grazie ad un premio che ha determinato quasi un raddoppio del vincitore (dal 29,5 al 55 % !) in virtù di un meccanismo incostituzionale sia politicamente azzoppato è nelle cose.

Che poi questo stesso parlamento decida a colpi di maggioranza riforme radicali della legge elettorale e della Costituzione, cioè sulle regole che TUTTI – ma soprattutto il PD – hanno sempre affermato essere terreno sul quale era necessario un accordo il più ampio possibile, è un fatto politicamente gravissimo.

Non so se fossero praticabili altre modalità, ma non è affatto vero che queste “riforme” le avesse prescritte il medico. Gli USA sopravvivono discretamente con il bicameralismo paritario nell’attività legislativa, identico al nostro. E l’Italia non ha bisogno di aumentare la produttività del legislativo, anzi dovrebbe porre rimedio alla iperproduzione degli scorsi decenni, che è uno dei fattori che hanno provocato l’enorme numero delle cause e l’enorme diffusione della corruzione.

Infine, il ricatto del governo che va a casa non può impressionare nessuno. I governi passano e le Costituzioni restano. Storpiare una Costituzione per non far cadere un governo è un’idea che mi ricorda il titolo di un vecchio film dell’umorismo surreale: “Non alzare il ponte, abbassa il fiume”.

Mi fermo qui per non tediarvi.

Se qualcuno volesse approfondire, segnalo il convegno di San Donato dell’11 maggio che trovate in allegato (pubblicità J ).

Cari saluti.

Luciano

dario ha detto...

Caro Lorenzo, rispondo alle tue osservazioni:
1- se la Consulta nella sua sentenza 1/2014 dichiarava decaduto il Parlamento avrebbe fatto un atto illegittimo, il compito della Consulta, secondo la giusta separazione tra i poteri dello Stato, è di definire la costituzionalità di una legge non di una Istituzione;
2- ripeterò sino alla nausea che sono dei "nominati" perchè così è, la configurazione delle liste bloccate di fatto impediva scelte all'elettore, nella prima Repubblica bene o male con le preferenze si poteva scegliere che si preferiva, poi i partiti riuscivano ad indirizzare l'elezione dei capilista ma poteva anche succedere che il capolista fosse sconfitto (a Torino ci ricordiamo tutti la vittoria di Giusi su Vittorelli);
3- proprio perchè sono uno convinto della necessità che la politica torni ad essere vista come azione utile e necessaria per Governare uno Stato, ritengo che proprio il Partito che aveva tratto il maggior giovamento dal Porcellum (il PD) avrebbe dovuto prendere atto del risultato della sentenza e chiedere il rinnovo del Parlamento, sarebbe stato un atto di alto livello e come tale probabilmente sarebbe stato visto dai cittadini;
4- le paralisi delle tante iniziative di riforma delle Istituzioni sono nate proprio dal fatto che era il Parlamento l'attore principale, con tutti i difetti del Parlamento a partire dalla incapacità di trovare sintesi nell'interesse generale e non nell'interesse particolare dei partiti, e non da una apposita Assemblea Costituente, questa pseudo Riforma ha poi un ulteriore difetto è stata proposta e forzata dal Potere Esecutivo;
5- chi sarà il nuovo Capo del Governo lo determineranno le elezioni, se vincerà il SI sarà Renzi se vincerà il NO saranno le elezioni a determinare il vincitore (sperando che anche l'Italikum finisca i suoi giorni)
Fraterni saluti
Dario

lorenzo ha detto...

Caro Simone, il miraggio di una nuova Assemblea Costituente per le modifiche costituzionali (fra l'altro non esistono più personaggi all'altezza dei padri della patria) è semplicemente irrealizzabile. Viviamo purtroppo non più nel '48, ma nel 2016, nei tempi bui della crisi economica, della disoccupazione giovanile e anche adulta, e sì, proprio, di contingenze politiche immediate. Se l'edificio istituzionale è già traballante, perché mantenerlo ad ogni costo come prima? Certo le riforme, (perché siamo nel campo delle ipotesi) potrebbero arrecare ulteriore vulnus, ma nessuno può dirlo con certezza. La modesta abolizione delle province era "un attentato alla democrazia rappresentativa", e avrebbe avrebbe prodotto il caos: Invece ce ne siamo già dimenticati e l'operazione ha fornito un po' di personale ai tribunali che ne hanno (pare) disperatamente bisogno. Questo ritornello sempre uguale dei vulnus alla democrazia, ma per il momento (salvo la ricerca disperata da parte di alcuni, di "segnali") privo di riprove, rischia di diventare come il grido di "al lupo, al lupo" che perde edi efficacia con la ripetizione.
La cultura democratica, già ci pensano i populismi dei Cinquestelle di Salvini e delal Meloni, ad abbassarla a sufficienza.
Carissimi saluti. Lorenzo

maurizio ha detto...

Ci siamo dimenticati dell'abolizione delle Province solo perché nessuno ne parla più ed ormai, nel mondo dell'immagine e della falsa comunicazione, quando una cosa, qualsiasi cosa, non è sui media semplicemente non esiste. La realtà come sempre è assai diversa: l'abolizione delle Province è stata un annuncio fra i tanti, ma soltanto un annuncio. Infatti le Province continuano ad esistere mentre le loro competenze ed il personale non sono ancora stati suddivisi fra Regioni e Comuni come doveva essere. Di conseguenza l'unica abolizione è stata quella dei Consigli provinciali, motivata demagogicamente con la solita tiritera dei costi della politica sui quali si deve assolutamente risparmiare altrimenti si va in malora. Da quello che ho letto i risparmi sono stati modestissimi (mi sembra il 3% della spesa complessiva), ma questo era stato previsto, detto e ripetuto. Di fatto un ente intermedio è stato eliminato esclusivamente sotto il profilo politico senza alcun risultato positivo tangibile.
Fraterni saluti
Maurizio Giancola

roberto ha detto...

E' di moda ilritornello che bisogna dar tempo a questo governo, bisogna aspettare per vedere gli effetti delle "riforme"...
Dopo il ritornello c'è l' acuto finale che quindi a ottore bisogna votare sì, poi vedremo...
Eh no. la democrazia non funziona così, il popolo sovrano non puo' rilasciare cambiali in bianco. Le scelte vanno fatte sul merito dei provvedimenti, la fiducia è una cosa seria...

lorenzo ha detto...

Caro Luciano, caro Dario, la tentazione di ribattere con altri ragionamenti è forte, ma se rimando di nuovo la palla nel vostro campo temo di diventare testardo e noioso, per cui mi fermo qui. Ieri sera, rientrando a Milano, ho seguito per radio un dibattito fra Luciano Violante e il presidente dei comitati del NO (professor Pace?). La cosa che mi ha più colpito è che per ogni ragione a favore del NO, ne esiste una non spregevole a favore del SI. Certo, è quello che succede in ogni dibattito: ma qui le ragioni, buone e meno buone, sembrano essere più equilibrate. Bene, deciderà il popolo sovrano, anche se purtroppo voterà sul Governo e non sulle riforme. Ma sappiamo bene che la democrazia è il sistema peggiore… eccetera.

Cari saluti. Lorenzo

lorenzo ha detto...

E’ vero, le Province continuano ad esistere, e le loro competenze e il personale non sono ancora stati suddivisi eccetera. L’effetto “annuncio” per altro riguardava soltanto i Consigli: nessuno ha mai detto che si mandava a casa il personale. E quando si tratta di personale (che giustamente è tutelato), ci si può anche impiegare, in Italia, dieci, o vent’anni, o più… Una volta che il personale sia assorbito da città metropolitane e non, o dalle regioni, lo saranno anche le competenze e nessuno ne parlerà più. Ma la funzione dei Consigli provinciali, per quello che ho visto io, non consisteva in “più democrazia” (se un corpo intermedio serva a questo, si deve difendere per principio). Bensì l’utilità principale era di comodo parcheggio per funzionari di partito in ascesa (o in discesa), opportunamente pagati dalla comunità. E presidenti di Provincia che giravano in Audi A8 con autista, come per esempio, a Milano e Bolzano). Quanto al preteso risparmio (posto che sia solo il 3%: dobbiamo aspettare Stella&Rizzo per avere numeri più certi) è una vecchia solfa: ogni riduzione di spesa dello Stato è improvvida perché: uno, è indispensabile, due, è poca cosa rispetto al tutto, tre, le spese da ridurre sono ben altre… Così siamo arrivati ai 2200 miliardi di debito e ai 90 miliardi di interessi all’anno… consegnatici dalla vecchia, simpatica, consociativa, rimpianta, prima Repubblica… Così sia. Cari saluti. Lorenzo