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martedì 3 maggio 2016
Paolo Bagnoli: Le pensioni dell'Italia scombinata
Da Critica liberale
le pensioni dell’italia scombinata
paolo bagnoli
L’Italia fu definita, oramai diversi decenni orsono, da Gaetano Salvemini,
“scombinata”. Aveva ragione: infatti, tale era e tale è rimasta. Giorno dopo giorno ne
abbiamo conferma; se lo scombinamento riguarda un po’ tutti i settori della nostra vita
pubblica, in quello delle pensioni, poi, esso è massimo. Vediamo. Alcuni giorni orsono il
presidente dell’Istituto, prof. Tito Boeri, ha guadagnato le prime pagine dei giornali
scandendo, grazie a taumaturgiche previsioni , che – udite, udite – tra 35 anni si andrà in
pensione a 75 anni con un assegno di 750 euro.
A parere del presidente dell’Inps chi è nato dopo il 1980 rischia di andare a riposo
con i requisiti al minimo non a 70 anni, ma diversi anni dopo, fino a un massimo previsto
di cinque anni. Dopo che il governo si era opposto a ogni possibilità di rimettere le mani al
sistema pensionistico ora sembra avere cambiato idea e sta discorrendo sulla cosiddetta
“flessibilità in uscita”. Si capisce la ragione dell’insistenza di Boeri , come si conviene a
ogni agente per commissione.
Quella che sembra l’ipotesi al momento prevalente verte su un prestito
pensionistico, ossia sulla possibilità di un anticipo di una prestazione leggera – circa 800
euro – che dovrebbe essere restituita a rate una volta che i requisiti di quiescenza siano
stati assolti. Invece, per quei lavoratori che li avranno raggiunti per la pensione di
vecchiaia nel 2018 ci potrebbe essere un’altra possibilità di uscita ancor più leggera con
un contratto a tempo determinato. Usufruendo, cioè, di una agevolazione. Ciò vuol dire che
chi è nato prima del maggio 1952, con almeno due decenni di contributi versati ,potrà,
mettendosi d’accordo con il datore di lavoro, avere un contratto di prestazione a mezzo
tempo agevolato, sia in relazione ai contributi che alla retribuzione.
L’ipotesi del prestito previdenziale è stata duramente bocciata dal leader della Fiom,
Maurizio Landini, secondo cui quale prestito dovrebbe mai essere fatto a chi ha versato
contributi per 40 anni. Ineccepibile!
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La pressione che sta facendo il presidente dell’Inps è forte e batte sul fatto che, se
non ci si muove nella direzione da lui indicata, il lavoro per intere classi di giovani sarà
fortemente a rischio. Boeri insiste sulla necessità di andare in pensione prima; in cifre ciò
vuol dire accollarsi un costo per lo Stato di 7 miliardi l’anno e, non essendoci fondi, da qui
il ricorso alle banche.
Il prof. Boeri, inoltre, appare incistato nell’idea che, tagliando le pensioni più alte,
si liberino le risorse per assicurare il lavoro ai giovani. Come ciò sia possibile nessuno lo sa
visto che la pensione è un derivato del lavoro e non viceversa e se, per un paradosso,
abolissimo tutte le pensioni ciò non produrrebbe un posto di lavoro in più. L’unica
motivazione che riusciamo a trovare per tanta assurda ostinazione è che, tramite il gioco
delle parti, il governo voglia continuare a favorire i datori di lavoro che, con meno
personale stabile possono, grazie al jobs act, assumere a tempo determinato rendendo
praticamente permanente lo sgravio fiscale.
Ora, anche se la nostra ipotesi di un’azione su commissione non fosse valida e Boeri
agisce per conto proprio – periodo ipotetico del terzo tipo – egli non ci sembra assolvibile
in nessuno caso poiché il suo lavoro consiste in una corretta gestione dell’Istituto e non
nell’occuparsi di ciò cui è preposto un ministero apposito. Invece di fare il “mago di
Tobruk” non sarebbe male che Boeri cominciasse a domandare allo Stato il perché del non
versamento di quanto i lavoratori hanno pagato per la loro pensione ogni mese; un
problemino che ha mandato in default l’Inpdap che, infatti, formalmente, è confluita
nell’Inps. Su ciò si è cercato di fare il meno clamore possibile, quasi un tacito patto a
tacere. Ma che Stato è quello – non certo di diritto – che prende i soldi che i suoi
dipendenti pensano siano versati all’ente di previdenza e li tiene per sé? E poiché il non
versamento dei contributi previdenziali è un reato penale -e neanche lo Stato è al di sopra
della legge – perché nessuno mette lo Stato a giudizio? A qualcuno dovrebbe spettare; ci
sarà, pure, una procedura, ma se ciò non avviene non vi è un vuoto di giurisdizione,
indipendentemente dal soggetto cui spetta eseguirla? A causa delle ragion i di questo”
buco” l’Inpdap è stato confluito nell’Inps, ma solo formalmente poiché le due strutture
continuano ad agire alla stregua di separati in casa anche se sul campanello c’è un solo
nome: Inps. Sullo specifico, che è di una gravità morale inaudita e non solo, il presidente
Boeri non ha nulla da dire; pensiamo che lo sappia, almeno ce lo auguriamo, ma è
altrettanto chiaro che se profferisce verbo va in pensione anche lui; politica, s’intende,
dalla sua carica. Nemmeno i fustigatori della “casta” sembrano aver niente da dire. La
decadenza del Paese la si registra anche dall’assenza di un Ernesto Rossi dell’oggi. Se
quello dell’ieri ci fosse ancora siamo più che sicuri che avrebbe fatto sentire la sua voce.
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Ancora: ma chi è che può sapere quale sarà la situazione tra oltre un trentennio. Va
bene c he l’economia non è una scienza e, come dice un noto detto, “gli economisti sono
coloro che per sei mesi spiegano come andranno le cose nei sei mesi successivi e poi, dopo
questi, spiegano perché non sono andate come avevano previsto”; ma, proprio per questo,
fare del “progettismo” è assolutamente pericoloso. Tutto questo serve a guadagnare le
prime pagine dei giornali. Di ciò il prof. Boeri sarà felice: contento come colui che fa
scoppiare i fuochi d’artificio in cantina mettendo il bosco a baccano.
Lo scombinamento dell’Italia – uno dei tanti, peraltro – per i quali la questione
delle pensioni è sempre all’ordine del giorno consiste nel fatto che quando l’economia non
va e, quindi, c’è bisogno di risorse si mettono le mani ove ci sono penalizzando, cioè, i
lavoratori. Non può né deve essere così. I costi della stentante ripresa economica del Paese
- su cui pesa, tra l’altro, il ciclopico peso fiscale per i cittadini che pagano regolarmente le
tasse - non devono ricadere sulle spalle dei salariati, ma, trattandosi di un problema di
altra natura che investe la realtà politica e socio-economica del Paese, spetta al governo
trovare le soluzioni per lo sviluppo che non è certo garantito dalle penalizzazioni collegate
alla “flessibilità in uscita”. E’ vero che verrebbe cambiata la riforma Fornero che va
modificata essendo stato già scandaloso approvarla poiché verrebbe prevista la possibilità
di anticipare, rispetto alla Fornero, la pensione di vecchiaia con una penalizzazione pari al
2% per ogni anno; in tutto, quindi, un arretramento dell’8%. E potremmo continuare nelle
derivate, anno per anno dei calcoli.
Il problema, tuttavia, non è solo di numeri, ma della capacità politica di innestare
una ripresa reale dell’economia; il che, molto semplicemente, significa, tornare a far
circolare quel denaro che oggi rimane fermo. Che il risparmio delle famiglie, nelle
condizioni odierne, sia aumentato del 2% la dice lunga. Ma ci domandiamo perché i soldi
che la BCE ha dato alle banche per rimetterlo sul mercato, rimanga chiuso negli istituti di
credito a salvaguardia delle loro sofferenze? Visto che si parla tanto di Europa e che la BCE
è, tra l’altro, l’unico vero organo di governo unitario di un ‘Europa che non c’è perché
quanto dovrebbe scaturire dall’azione di Mario Draghi non viene fatto rispettare? E’
veramente singolare che si sia indebolito il potere dei singoli Stati, che il tema del bilancio
sia l’unico campo sul quale l’Europa comunitaria si applica, e quello degli istituti di credito
agisca in termini monistici e non nell’interesse generale, appunto, dell’Europa? Taluni
giornali dicono che da mutui e prestiti personali vengono segnali di ripresa economica e
l’erogato torna a crescere. Certo, di fronte alle ultime intemerate di Draghi, qualche corsa,
non importa se sul posto, bisogna pur farla. Se, però, andiamo a vedere le cifre che
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vengono portate a suffragio dei segnali di ripresa relativamente ai prestiti si vede bene che,
in sostanza, si tratta di un formicolio.
Come andrà a finire, naturalmente, nessuno lo sa e nemmeno lo si può prevedere.
Una cosa però è chiara; vale a dire che da quando in Italia tutto viene letto e interpretato in
termini di “casta”, il posizionamento delle posizioni antagoniste ha cambiato luogo perché
la lotta è sempre rappresentata tra chi si trova – vera o presunta che sia la posizione –
“sopra” e chi si trova “sotto”. In un Paese nel quale l’unica casta è quella di coloro che ne
denunciano a ogni piè sospinto l’esistenza, il risultato è che non esiste più una qualche pur
minima serenità di ragionamento in termini razionali e sereni perché basta che qualcuno si
trovi con qualche euro di più in tasca che subito è tacciato, a prescindere da tutto, come
“casta” con il risultato che chi dovrebbe essere toccato davvero per serie ragioni di decenza
vola talmente alto da essere a mala pena visto. Quello delle pensioni sembra essere
diventato il campo più adatto per questo “cupio dissolvi” che, poi, altro non è se non uno
dei tanti risvolti della mancata autoriforma della politica o, per meglio dire, del non
reinventing the politics ,che è quanto sta spingendo il Paese in un baratro da Tangentopoli
a oggi. E ciò che più rattrista e preoccupa è che non se ne vede la fine.
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