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venerdì 6 maggio 2016
Franco Astengo: Francia
CONSIDERAZIONI IN PILLOLE INTORNO AI FATTI DI FRANCIA di Franco Astengo
Da qualche giorno la Francia è percorsa da un moto di contestazione e di ribellione rivolto verso i provvedimenti assunti dal governo socialista in materia di lavoro.
La reazione al “job act” alla francese è stata imponente: sciopero generale e avvio di un’inedita forma di lotta da parte di gruppi giovanili (e non) a Parigi con il “nuit debout” , la notte in piedi, trascorsa in Place de la Republique per dimostrare la volontà di contrasto verso un governo, quello di Hollande, che davvero su tutti i terreni ne ha combinato d’ogni colore aprendo la strada a un’espansione della destra più estrema.
La risposta, adesso, com’è classico nella situazione francese è quella della stroncatura poliziesca.
Il primo interrogativo che sorge spontaneo è quello relativo alla situazione italiana, laddove provvedimenti governativi analoghi non hanno suscitato opposizione se non in settori limitati del sindacato di classe: tra l’altro il voto contro quel provvedimento espresso in Parlamento dalla confusa sinistra italiana non ha provocato alcuna saldatura tra iniziativa politica e lotta sociale facendo scivolare il tutto nella neghittosità e nell’indifferenza.
Non è questo però il punto dell’abbozzo di discorso che s’intende sviluppare in questa sede.
Piuttosto la domanda da porsi è questa: quanto potranno incidere sulla prospettiva politica i protagonisti della contestazione francese e, in particolare, quelli della “nuit debout” già paragonati ad altri movimenti analoghi apparsi sulla scena internazionale nel corso di questi anni di lunga affermazione del ciclo capitalista definito “neo – liberista”?
Le comparazioni più utilizzate, a questo proposito, sono soprattutto due: quella relativa agli “Indignados” spagnoli e ai newyorkesi di “Occupy Wall Street”.
I due casi hanno sortito sul piano politico esiti diversi.
Esiste, infatti, un nesso ben preciso tra l’azione degli “Indignados” e la costruzione di “Podemos”, il nuovo partito che invertendo i termini tradizionali della lotta politica (da destra/sinistra ad alto e basso) ha ottenuto, in Spagna, una rilevante affermazione elettorale al punto da rappresentare un vero e proprio elemento d’interdizione del sistema e costringendo in questi giorni Felipe VI a sciogliere le Cortes e ad indire, per la prima volta nella storia della giovane democrazia iberica, le elezioni anticipate.
Dagli “Indignados” (ma non solo, naturalmente) è sorto dunque un movimento politico che ha approfittato della debolezza del sistema per modificarne la composizione in termini numerici, facendo affacciare così alla ribalta della politica una nuova generazione trasversalmente unita nel rifiuto del precedente assetto.
Negli Stati Uniti e in Gran Bretagna le forme assunte dalla contestazione hanno invece portato ad una spinta in alveo più tradizionale, addirittura individuando come contendibili gli antichi partiti progressisti e socialdemocratici.
Una contesa impersonata dalla candidatura di Sanders alle presidenziali USA e all’ascesa di Corbin alla segretaria del Labour Party, in Gran Bretagna.
Nel frattempo era emerso come tale l’inganno Tsipras in Grecia (a dimostrazione della debolezza di un’opzione di governo da parte di una sinistra interna ai meccanismi sistemici e, nello specifico, all’Europa dei banchieri e alla logica della finanziarizzazione dell’economia) e in Italia non si è riusciti a costruire un polo di sinistra (anche semplicemente riformista) degno di tal nome .
Il “fenomeno” rappresentato nel “caso italiano” dal M5S, stretto fra una logica di natura autarchica in materia di migranti e una posizione a dir poco confusa nel quadro della contestazione europea, ha finito con l’accentuare le proprie caratteristiche di analogia con la spinta personalistica e di adesione sistemica soprattutto in termini di “governabilità” che ne segna la fragile identità all’interno di un quadro di sostanziale provincialismo.
Questo quadro così rapidamente tracciato ci fornisce però alcune prime preziose indicazioni.
La prima riguarda il fatto che, nonostante la precarietà del quadro internazionale percorso da venti di guerra globale e – per quel che riguarda l’Europa – dai fenomeni di migrazioni di difficile controllo e da inquietanti (e misteriosi) fenomeni terroristici, non esiste alcuna intenzione di saldatura a livello internazionale da parte di questi diversi settori di contestazione, più o meno radicale o più o meno riformista, che si sono affacciati in varie situazioni sulla scena politica.
Questo dato indica la separatezza intrinseca dei diversi sistemi politici e ci indica, come già era apparso da qualche tempo, come il fenomeno della globalizzazione della finanza non abbia prodotto un ulteriore passaggio in quell’ipotesi di cessione di sovranità dello “Stato – Nazione” sulla quale si erano basate , in passato,molte analisi ed ipotesi di lavoro.
Lo “Stato – Nazione” resiste proprio in termini di sistema politico ed è questo un dato del quale prendere atto nel cercare di proseguire in una proposta di formazione di una sinistra capace di progettare un’alternativa di sistema all’altezza dei tempi e dopo l’esaurimento di entrambe le spinte propulsive: quella del keynesismo su cui si era basata la stagione del “welfare state” nei trent’anni gloriosi; quella dell’inveramento statuale dei fraintendimenti dell’etica marxiana sviluppatisi per tutto il ‘900.
Non esiste, sotto questo punto di vista, un’ipotesi “mondialista”: questa affermazione rimane valida nonostante il modificarsi del quadro di relazioni a tutti i livelli sulla base dell’espansione dell’innovazione tecnologica nel campo delle comunicazioni.
Così come appare un’illusione la costruzione di forme di potere statuale “sovranazionale”. Quella forma di potere sarà sempre e comunque il “comitato d’affari della borghesia” in parallelo con i resistenti governi nazionali.
Il villaggio è globale, ma la politica si esercita ancora giardino per giardino: questa mi sembra la lezione da imparare nel corso di questi anni.
Insomma: non si ravvede l’esistenza di un baricentro egemonico nel confronto tra economia finanziar-globalizzata e specificità dei diversi sistemi politici ancorati allo “Stato – Nazione”.
La qualità delle contraddizioni sociali sorte dal modificarsi del costume e della possibilità di relazione s’intreccia strettamente con quella “storica” dello sfruttamento del lavoro umano, fornendo una base inedita sulla quale lavorare per scrivere una nuova visione del cambiamento dello stato di cose presenti, ma l’ambito nel quale sviluppare questa visione attraverso l’azione politica rimane comunque molto simile a quello del secolo scorso.
Occorre muoverci nella difficoltà presente nell’ipotesi, pur perseguita da molti, di un recupero “sovranista” oppure nell’abbandonarsi ad un indefinito “mundialismo” pur ammantato da una sorta di ricerca di nuova critica sistemica.
Verrebbe voglia, al fine di collegare queste diverse istanze, di rilanciare l’idea di recuperare la forma più classica dell’internazionalismo “storico”: quella – appunto della costruzione di una nuova “Internazionale”, sulla base della ricostruzione di partiti nazionali capaci di opporsi, qui in Occidente, alle derive autoritarie e alla guerra (c’è stato chi, opportunamente, ha ricordato la conferenza di Kienthal: Aprile 1916, in piena guerra mondiale).
Derive autoritarie e guerre: le emergenze di sempre, rinnovate nelle forme ma storicamente costanti.
Forse, però, prevedere questa possibilità di un rinnovato internazionalismo, da intendersi quasi quale inedita “terza via”, costituisce un azzardo eccessivo.
Sarà quindi il caso di continuare a studiare: nel frattempo però l’aggressività bellica del capitale si fa sempre più forte.
A volte la storia si ripete: il dubbio è che non si tratti di farsa, ma di un ulteriore e più grande tragedia.
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