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sabato 14 maggio 2016
Franco Astengo: Ancora sul referendum
ANCORA SULLA CAMPAGNA ELETTORALE PER IL NO AL REFERENDUM di Franco Astengo
E’ già stato segnalato più volte, ma occorre insistere: nonostante la lontananza temporale e la presenza a metà strada di una tornata elettorale amministrativa consistente la campagna elettorale per il referendum confermativo sulle deformazioni costituzionali volute del governo Renzi è già cominciata e nella maniera peggiore.
L’impostazione voluta dall’alto è, infatti, quella (deprecabile) del plebiscito sulla figura del Presidente del Consiglio usando , per ottenere il risultato voluto, l’arma classica dell’antipolitica: quella della semplificazione nei passaggi legislativi e utilizzando in questo senso, come una clava, la deformazione nel ruolo e nella forma istituzionale del Senato.
Dal punto di vista del “NO” a queste sciagurate deformazioni laceranti parti del tessuto vitale della Costituzione Repubblicana si esita ancora ad assumere una coerente e incisiva linea di impostazione della campagna elettorale.
Non c’è tempo da perdere.
Data per necessità la presenza, anche nel campo dell’opposizione, di evidenti strumentalizzazioni politiche provenienti dalla destra e dal M5S è necessario, dal nostro punti di vista, individuare il “cuore” di un discorso capace di rivendicare la riaffermazione e non solo la difesa dei tratti essenziali della Costituzione Repubblicana.
Il documento redatto giorni or sono da 55 autorevoli costituzionalisti (tra i quali 11 ex-presidenti della Suprema Corte) ha rappresentato sicuramente un’utile base di partenza per un dibattito proficuo e impegnato, soprattutto sul piano della cultura giuridica e politologica.
Adesso si tratta di scendere al livello di un’analisi che possa essere fruita e risultare convincente, a livello di massa.
In questa sede si affronterà un solo punto di un discorso che dovrà essere ben più ampio.
Si tratta però del punto che risulterà alla fine essere quello sul quale si svilupperà maggiormente la mistificazione semplificatoria dei sostenitori del SI.
Sostenitori del SI che è bene ricordarlo saranno appoggiati da un imponente battage propagandistico a tutti i livelli della comunicazione.
Il tema è quello del Senato, della sua nuova composizione e dei suoi compiti.
Attorno a questo elemento si sta verificando, infatti, il vero e proprio “ritorno all’indietro” nella qualità della nostra democrazia: un arretramento molto pericoloso che deve essere assolutamente respinto.
I punti da esaminare sono essenzialmente quattro:
1) La composizione del nuovo consesso che dovrebbe fare riferimento ai consiglieri regionali e ai sindaci. Al di là delle (pur giuste) considerazioni riguardanti il livello (esagerato) della “questione morale” negli ambiti del decentramento istituzionale, non si può non ravvedere l’assoluta insufficienza di questa scelta sul piano della rappresentanza politica. Molti tra noi hanno lavorato a lungo sull’ipotesi della Camera delle Autonomie, ma non è certo in questo modo che il progetto di differenziazione all’interno del bipolarismo paritario si può realizzare nel senso dell’affermazione di una più compiuta capacità di rapporto tra la base sociale e gli eletti;
2) Il nesso tra la composizione del nuovo senato, la questione di fiducia , la legge elettorale, l’elezione dei componenti degli organi di garanzia (CSM, Corte Costituzionale) e del Presidente della Repubblica. In questo senso risulta da respingere in maniera assoluta la possibilità che la fiducia al governo sia votata da una sola Camera eletta con un premio di minoranza che escluda qualsiasi soglia di partecipazione al voto nel previsto ballottaggio. Il rischio è quello di una vera e propria mina che potrebbe far esplodere il sistema politico italiano: un governo la cui fiducia sarebbe votata, alla fine, da una rappresentanza assolutamente minoritaria del corpo elettorale. In realtà, se s’intende far votare la fiducia a una sola Camera risulterebbe evidente la necessità di utilizzare un sistema elettorale proporzionale.
3) In questo senso, se vogliamo azzardare un paragone storico, rispetto all’Italicum appariva molto più democratica la famosa “legge truffa” del 1953. Il vero paragone da sviluppare, nel nostro caso, è quello con la Legge Acerbo del 1924, attraverso la quale grazie anche alla forza degli squadristi, si formalizzò forzatamente l’ascesa al potere del fascismo.
4) Deve essere inoltre respinta la “facile” argomentazione riguardante la lunghezza del procedimento legislativo: un lavoro di comparazione a livello europeo ha dimostrato come, da questo punto di vista, i lavori del Parlamento Italiano risultino nella media europea. Piuttosto si rileva un problema di chiarezza e di stile nell’estensione dei provvedimenti. Problema ben dimostrato proprio nel caso dell’articolato riguardante la “deforma” di cui ci stiamo occupando. Evidentemente non è reperibile, nella compagine governativa, un Concetto Marchesi e comunque si tratta di una difficoltà di carattere generale, di adattamento del linguaggio politico – burocratico alle esigenze di riferimento verso la complessità sociale e le novità tecnologiche insorte nel corso degli ultimi anni. La pesantezza nelle espressioni del dettato legislativo derivano anche da problemi di mediazione interna e comunque la dicono lunga sulle necessità di adeguamento culturale che questa classe politica non riesce minimamente a realizzare, preferendo l’imperio allo studio.
Questi temi debbono essere portati al centro della campagna elettorale tenendo anche conto del fatto che , esaminando nel concreto l’attualità del quadro politico, la democrazia italiana appare stretta a tenaglia almeno da tre pericolose ipotesi che minacciano di stritolarla:
a) Quella dell’Europa dei banchieri che impone logiche aberranti sul piano delle dinamiche economico – sociali;
b) Quella dell’assolutismo personalistico portato avanti da Renzi e dal suo clan, verso il quale è mancata fin qui una concreta analisi di opposizione verso l’incredibile ascesa realizzata in questi anni. Un’ascesa incredibile e del tutto ingiustificata sul piano politico – culturale che ha subito un fortissimo abbassamento di livello nella capacità di lettura e di proposta del reale;
c) Quella dell’altro assolutismo portato avanti dal M5S che si propone di “rifare l’Italia” tutto da solo, quasi si trattasse di una missione di tipo religioso condotta in nome di un assolutismo di principi di proprietà di alcuni iniziati e in nome di istanze che prescindono da una qualsiasi analisi delle classi e di una loro articolata rappresentanza politica. Il M5S si muove sul terreno dell’indifferenziazione di schieramento “storico” ed è questo il regalo più grande che si sta facendo ai padroni del vapore che intendono mantenere inalterato il loro potere basato su di una gestione feroce del ciclo capitalistico e sulle diseguaglianze sociali.
Il quadro generale all’interno del quale si svolgerà il referendum sarà inoltre quello di un vero e proprio disfacimento di sistema: si sta abbassando fortemente la percentuale dei partecipanti al voto; il meccanismo legislativo appare ormai imperniato sui decreti legge o le leggi delega con il Parlamento ridotto a mero ruolo di ratifica; non funziona minimamente il sistema degli Enti Locali in esito a riforme cervellotiche e a un vero e proprio andirivieni legislativo avvenuto nel corso di questi anni; dilaga la corruzione, in esito – per quel che riguarda la pubblica amministrazione – dei confusi processi di privatizzazione e della farraginosità della normativa ( altro che semplificazione) nelle cui pieghe allignano con facilità i fenomeni di malversazione.
Un elenco parziale, quello appena sopra riportato, che riguarda alcuni aspetti della situazione interna, evitando di analizzare il quadro internazionale al riguardo del quale questo governo si muove curando le apparenze di un nazionalismo “retrò” senza, alla fine, alcuna concretizzazione nei fatti se non quello dell’allineamento alla consueta logica atlantista dei “portatori di civiltà” a senso unico.
Deve essere ancora chiaro come l’approvazione della “deforma” all’interno di un quadro di tipo plebiscitario rappresenterebbe il momento di vera e propria fuoriuscita dal perimetro delineato dalla Costituzione Repubblicana sul piano di una struttura democratica fondata sulla “centralità” del Parlamento e della relativa presenza nelle istituzioni rappresentative, ad ogni livello centrale e periferico, di tutte le sensibilità politiche presenti nel paese in una misura sufficientemente consistente.
Il valore da preservare è quello della pluralità della rappresentanza politica , della partecipazione all’agire politica, della supremazia dei consessi elettivi sugli esecutivi inteso quale sola seria e concreta base della governabilità democratica.
Un valore che è andato smarrendosi nel corso degli anni grazie all’imporsi della vocazione maggioritaria, del personalismo, della governabilità ad ogni costo (compreso quello, negli Enti Locali in ispecie) anche a prezzo di una corruzione effettiva corrosiva della convivenza sociale e civile.
Vale ancora, quale punto da cui ripartire,la definizione togliattiana del “Parlamento come specchio del Paese” e sicuramente il Paese sarebbe in grado di riflettere sul Parlamento un’immagine migliore di quella offerta adesso da un ceto politico autoreferenziale che ha prodotto un governo nei termini “border – line” rispetto alla legittimità costituzionale : e non è stata la prima volta nel corso degli ultimi anni.
Il “NO” alle deformazioni costituzionali rimane la sola possibilità per riprendere la via smarrita della democrazia repubblicana
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