mercoledì 18 maggio 2016

Alfredo Reichlin: Se il referendum rischia di spaccare il Paese

​​"Caro Direttore, mi pesa dirlo, ma non mi piace il modo come si sta discutendo della riforma costituzionale. Temo uno scontro inconcludente. Dico inconcludente nel senso che chiunque sia il vincitore di questo Referendum il Paese non riesca a uscire dalla sua crisi. Forse esagero ma mi chiedo se ci rendiamo conto del bisogno assoluto che ha questo paese, confuso, sfiduciato come non mai verso la classe dirigente, arrabbiato e impoverito, con divisioni al suo interno che stanno diventando feroci, il bisogno e la necessità di ritrovarsi in una “casa comune”? Stiamo parlando di una riforma Costituzionale, cioè di uno strumento per lo “stare insieme” non per dividerci. Figurarsi se io non vedo i vuoti e i pericoli di un “no”. Ma prima di votare io voglio capire bene di che cosa stiamo discutendo. Di una correzione matura da tempo del vecchio bicameralismo perfetto, riducendo il Senato a una dimensione regionale, con in più una serie di misure, alcune anche discutibili, ma nell'insieme accettabili? Oppure si tratta di un plebiscito popolare che Matteo Renzi chiede su se stesso? Sono due cose diverse, e molto diverse. Io non voglio una crisi di governo al buio e di Renzi apprezzo molte delle sue grandi doti. Ma considero una sciagura questa scelta calcolata di spaccare il Paese tra due schieramenti contrapposti. Da un lato quello del Si, cioè di chi “vuole bene all'Italia” e disprezza tutti i governi della Repubblica che si sono succeduti prima di questo (il discorso esaltato di Renzi a Firenze). Dall'altro lato il partito del No: il mondo dei conservatori, dei professori, dei gufi, dei nemici. Ma ci si rende conto delle conseguenze? Non credo che verrà il fascismo ma non aumenterà certo la governabilità. Si dirà che quelle di Renzi sono solo parole. Ma, attenzione, le parole sono pietre, e così arrivano a un popolo che già crede poco alla politica come strumento per il “bene comune”. E vorrei rispondere a chi considera la mia distinzione così netta tra le vicende del governo e la funzione di una Costituzione un po’ ipocrita. Credo che sbagli. Se la Repubblica è arrivata sin qui è anche per quella “ipocrisia”. Ricordo la drammatica crisi del ’47: il viaggio di De Gasperi in America e, al suo ritorno, la cacciata dei comunisti dal governo. Si aprì una crisi feroce all'insegna della guerra fredda e ciò mentre l’elaborazione della Costituzione era ancora in corso, avviata nel quadro politico unitario precedente. Era una svolta quella che stava accadendo ed era forte la voglia di menar le mani, ma Togliatti non ebbe dubbi che dovevamo continuare a lavorare su quel testo tutti insieme. E così l’impresa fu portata a compimento. E non è vero che quella carta piaceva a tutti. Metà degli italiani avevano votato per la monarchia. Era chiaro però che si trattava di una “Casa di tutti”, concepita non per favorire un governo contro i suoi nemici. Sento quindi il dovere di sollecitare un chiarimento serio sul perché di questo plebiscito e sul senso di questi diecimila comitati. E vorrei che una cosa fosse molto chiara. Non mi interessa affatto alimentare le vecchie dispute interne al PD. Parla in me una grande preoccupazione sul “dove va l’Italia” (la sorte di Renzi davvero viene dopo). E ciò per tante ragioni interne e internazionali che non sto qui a elencare. Le quali ci dicono che l’Italia è a un passaggio cruciale della sua storia perché deve fronteggiare difficili sfide che mettono in discussione non tanto, cari “decisionisti”, i poteri del Capo del governo, quanto le ragioni dello “stare insieme degli italiani”. Dico degli italiani. E’ chiaro?​(...)"

1 commento:

franco ha detto...

Il “si” condizionato sarebbe un disastro, semplicemente perchè si tratterebbe di un sì. Le preoccupazioni sono fortissime considerato che la situazione della democrazia in Italia e grave, e ancor più si aggraverebbe. Si pensi che non ci sarebbe soglia per l’elezione del presidente della Repubblica (a un certo punto i 3/5 scattano sui votanti e non sui presenti) in una Assemblea a preponderanza composta da deputati eletti con il concorso di un esagerato premio di minoranza (beninteso di minoranza). Solo per fare un esempio dei tanti. Non c’è bisogno di un “sereno confronto” ma di un confronto vero, serio, con la possibilità per tutti di argomentare. Non esiste un fronte del “no” ma posizioni che si organizzano per esprimere il “no”, tra queste spiccano quelle di competenti riformatori. Sempre esemplificando in pillole: chi scrive, ma molti altri, ha sostenuto da molto tempo il monocameralismo (che non può, in ogni caso, non accompagnarsi a una legge elettorale proporzionale) o, in subordine, una Camera della Regioni rappresentativa di tutto l’insieme del sistema autonomistico ed eletta in II grado dai consiglieri comunali, provinciali (non ci sono più, però), e regionali. Così come, a suo tempo, furono avanzate critiche articolate alla modifica del Titolo V, rivelatosi alla fine un vero disastro. Così come un disastro è stato rappresentato dall’applicazione delle leggi Bassanini (di natura non costituzionale) sorte da un furore ideologico modernizzante e che stanno all’origine di fenomeni molto diffusi di fraintendimento nell’operato amministrativo . Il “clima” è stato creato da chi si muove attraverso proclami mistificanti sulla natura taumaturgica di riforme che tali non sono (vedi ancora alla voce Province). Serve, invece, più decisione nel portare avanti un “no” di merito e non di schieramento. Grazie per l’attenzione Franco Astengo