domenica 6 marzo 2016

Franco Astengo: Le ragioni dei comunisti (e dei socialisti)

LE RAGIONI DEI COMUNISTI (E DEI SOCIALISTI) di Franco Astengo In un peraltro bellissimo dal punto di vista della fattura giornalistica, articolo Eugenio Scalfari illustra oggi quarant’anni di concorrenza tra “Repubblica” e il “Corriere della Sera” nobilitandone i termini in chiave ideologica. Assegna, infatti, al gran giornale della borghesia lombarda la parte “liberal – conservatrice” nella scia – che giudica pressoché ininterrotta – di Luigi Albertini e al proprio quotidiano (in continuità con l’Espresso, e di conseguenza con il “Mondo” di Pannunzio e al filone dell’azionismo) la parte “liberal – democratica”. Fin qui tutto abbastanza prevedibile. Risalta però un punto ed è quello riguardante il ruolo di “giornale – partito” che il fondatore di Repubblica assegna al concorrente, rifiutandolo per sé e giudicando invece come parti importanti del sistema politico italiano, nella DC e nel PCI, si siano alla fine accostati alla sua impostazione politico – culturale mutando, alla fine, la natura dei propri partiti (Scalfari ricorre a citazioni illustri, da Berlinguer a Moro): insomma il PD sarebbe nato sulla base delle sollecitazioni avanzate da “Repubblica” che avrebbe assolto, in sostanza, un compito di tipo maieutico. Scompaiono in questo quadro le ragioni “storiche” della presenza dei comunisti italiani e anche dei socialisti, che pure – ai tempi del primo Espresso formato lenzuolo – furono appoggiati nell’operazione di centrosinistra, al punto che lo stesso Scalfari fu eletto alla Camera sotto l’insegna della sfortunata “bicicletta” del 1968. Eppure le ragioni dei comunisti e dei socialisti ci stanno tutte andando a verificare i punti che nell’articolo sono elencati come distintivi dell’allineamento liberal – democratico. Ne risalta uno in particolare: dopo aver citato i beni comuni e la giustizia sociale Scalfari scrive di “eguaglianza dei punti di partenza, cioè di dare a tutti i cittadini e soprattutto ai giovani le stesse possibilità di misurarsi con la vita”. Ecco questo è il punto: al di là degli assunti teorici portati avanti nella storia e al di là delle fortune e dei disastri nelle diverse fasi di inveramento della politica anche sul piano del potere statuale , si può ben dire che non esiste l’eguaglianza dei punti di partenza se non attraverso l’abbattimento preventivo delle barriere costituite dallo sfruttamento e dalla sopraffazione, materiale e morale. Senza di ciò la disuguaglianza non sarà mai annullata e sarà necessario lottare per abbatterla. Non esiste, nella difformità dei punti di partenza causati dal censo, alcuna possibilità di “merito”,almeno sul piano complessivo, salvo casi isolati che non possono rimuovere il macigno dello sfruttamento del lavoro dell’uomo, dell’uomo sulla donna, della razza sulla razza. E’ questa la grande ragione della necessità inderogabile del permanere, nella modernità, dell’idea dell’uguaglianza sociale e politica per far sì che le leve fondamentali dell’economia e dell’insieme delle relazioni sociali siano collettivamente condivise all’interno della classe degli sfruttati, oggi molto più ampia di quella dei soli lavoratori manuali comprendendo diversità e differenze molteplici e complesse non più riassumibili nei termini classici della “teoria delle fratture” e del rapporto tra struttura e sovrastruttura, come inteso marxianamente. Poi si può discutere sulla gradualità sulla transizione, sul fatto che ogni 14 Luglio abbia poi il suo 18 Brumaio ma deve rimanere sulla scena della storia il fondamento dell’Utopia, dell’ “assalto al cielo” di quel marzo 1871. La ricostruzione eseguita da Scalfari è frutto del lavoro di un direttore di giornale di un paese di seconda fila come l’Italia: eppure va inteso come discorso globale, a tutti i livelli, storicamente impegnativo. Non ci si può ridurre ai due campi: liberal – conservatore e liberal – democratico anche perché essi sono ormai confusi in una stringente logica del dominio che attanaglia le grandi masse di popolo accentuando i pericoli di guerra. Il campo dell’utopia radicale dell’uguaglianza da tradurre in visione di sistema e di progetto politico deve restare aperto: è questo il tema che comunisti e socialisti debbono saper affrontare al principio del nuovo secolo.

5 commenti:

claudio ha detto...

Caro Astengo, ci sono anche le ragioni dei cattolici...
L’articolo di Scalfari è bello per la tradizione laica, storicamente minoritaria, che ha governato il regno d’Italia fino al fascismo. Il quale fascismo è arrivato al potere anche per l’incapacità di chi rappresentava la larga maggioranza della popolazione, dopo il suffragio universale maschile a 21 anni introdotto dopo la guerra, di trovare un’intesa di governo tra socialisti e cattolici, preferendo i primi ubriacarsi di massimalismi verbali e i secondi ascoltare pazientemente la gerarchia che voleva prima il concordato, poi, quando possibile , il potere condiviso con chi era conservatore come loro. Ci sono riusciti dopo la guerra, con la protezione USA, mettendo in subordine i laici, mentre i socialisti continuavano nella loro follia di perseguire un fronte popolare che in base agli accordi degli alleati avrebbe avuto lo stesso destino dei comunisti greci. E quando Moro ha cercato di far cambiare stabilmente rotta ai cattolici, i nostri protettori lo hanno fatto ammazzare...
Siamo diventati indipendenti solo con il crollo del PCUS e del muro di Berlino....

roberto ha detto...

Credo opportuna una puntualizzazione.
Nel 2016, oltre mezzo secolo dopo il Concilio, sarà pur venuto il tempo smetterla di di considerare " i cattolici" una categoria politica, cosa che ha sempre contribuito a favorire i conservatori di tutte le specie.
Non ci sono in Italia abbastanza cattolici adulti, capaci di essere cittadini liberi nel loro orientamento politico e culturale?
A dire il vero il problema pareva già concretamente risolto con i risultati dei referendum su divorzio e aborto. Ma forse i condizionamenti clericali affliggono ancora troppi "cattolici". Comunque, almeno a sinistra, magari nel linguaggio, mi parrebbe il caso di liberiamoci da certe improprie catalogazioni.

maurizio ha detto...

Vorrei ritornare ad Eugenio Scalfari, personaggio di cui conosciamo lo sconfinato narcisismo nonché l'insopprimibile tendenza a riscrivere la storia in base ai propri cangianti giudizi personali. Nulla di male, si intende, a cambiare opinione, ma est modus in rebus. Soprattutto quando, come è avvenuto al Nostro qualche tempo fa, si arriva ad affermare di non essere mai stato socialista quando invece, come ricordato da Astengo, Scalfari nel 1968 fu eletto deputato nella lista del PSI-PSDI provvisoriamente uniti nel PSU. Quello che infatti non approvo, in questo come in altri casi, è la rimozione della verità dei fatti. Ricordiamo tutti che senza quella provvidenziale candidatura ed elezione, fortemente voluta da Nenni, Scalfari sarebbe stato incarcerato - cosa indubbiamente iniqua - a seguito dell'inchiesta dell'Espresso sul Piano Solo del generale De Lorenzo. Sappiamo anche che Scalfari non gradì affatto il non essere ricandidato dal PSI nel 1972 e condusse un'incessante polemica contro Craxi. In quegli anni si avvicinò al PCI di Berlinguer e, nel 1987, sostenne la DC di De Mita per poi aderire in modo del tutto acritico al giustizialismo di Mani Pulite e ai referendum di Mariotto Segni.
Al di là delle vicende politiche in senso stretto però nemmeno io penso che Scalfari sia mai stato autenticamente socialista. Infatti dopo i giovanili trascorsi fascisti e monarchici aderì al PLI partecipando poi, nel '55, alla scissione della sinistra liberale di Pannunzio, Carandini ed altri, ostili alla Segreteria Malagodi, da cui nacque il Partito Radicale, allora ben diverso da quello di Pannella. Tutto sommato la definizione di liberal-democratico non è inesatta mentre, per chi conosca minimamente la storia del Partito d'Azione, Scalfari può rifarsi solo all'ala, peraltro minoritaria, della cosiddetta destra azionista di La Malfa e Parri. Se invece pensiamo a Lusso, Lombardi, Foa, Codignola e a tanti altri azionisti l'operazione neo-azionista di Scalfari risulta del tutto presuntuosa e scorretta.
C'è però da domandarsi se anche la definizione di liberal-democratico possa adattarsi a chi da anni si batte per lo stato minimo, le privatizzazioni e tutto l'armamentario liberista che con il liberalismo democratico e sociale di Keynes, Beveridge, Roosevelt nulla c'entra. Astengo ha ricordato l'eguaglianza dei punti di partenza, che costituì sempre un principio fortemente rivendicato dal liberale classico Luigi Einaudi. Oggi purtroppo ne siamo bel lontani.
Che anche l'Eugenio porti al riguardo qualche responsabilità?
Fraterni saluti
Maurizio Giancola

claudio ha detto...

tradizionalmente, si parla di laici in contrapposizione coi “cattolici”, i quali sono stati un grande movimento politico col partito popolare, finito male per impotenza, e con la DC, fortunatamente sparita. Il che non toglie che restino in giro svariati gruppetti che sperano di tirar voti mostrandosi più cattolici del papa, contando così di far dimenticare i loro trascorsi berlusconiani e giudiziari. Nel caso di specie io parlavo della tragica incomunicabilità tra popolari e socialisti dopo le prime elezioni post prima guerra, che aprì la strada al fascismo.

sergio ha detto...

Lo sappiamo tutti che la Fondazione de la Repubblica fu ispirata dall'esempio spagnolo filosocialista; ma se ne vendeva poche copie in Italia e dunque ecco la luminosa idea di cambiare pubblico cui indirizzare le pubblicazioni del giornale. Cosa che fu ben pensata e realizzata.

Basta questo fatto per qualificare l'uomo ed i rapporti con i Socialisti nel proseguio delle vicende politiche italiane.

Fraterni saluti.
Sergio Tremolada

A proposito la tessera numero 1 del PD che fine ha fatto; L'Olivetti (che seguivo per la Fiom) sappiamo bene come fu distrutta e da chi.