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sabato 23 gennaio 2016
Franco Astengo: La politica come contenitore del vuoto
LA POLITICA COME CONTENITORE DEL VUOTO di Franco Astengo
Se si esaminano con attenzione le vicende politiche italiane sempre più prende campo la consapevolezza che si sia giunti, ormai, a considerare l’agire politico come il contenitore del vuoto nell’incapacità di espressione di progetti per il futuro.
Sono assenti visioni del mondo alternative all’esistente: sembrano aver valore soltanto le ambizioni personali, il tutto ridotto all’io, lo scambio clientelare come moneta prevalente, l’esibizionismo personalistico come cifra esclusiva di una presenza riduttivamente scenica.
Eppure nel mondo le grandi contraddizioni esaltano lo scontro, anche apparentemente senza senso o addirittura fuori dalla storia: infuria la guerra esportata anche a forza fuori dai suoi teatri di riferimento attraverso il terrorismo; vediamo e viviamo migrazioni di massa che ci riportano indietro nel tempo a immagini terribili però non smarrite dalla memoria; le fluttuazioni dell’economia ci indicano la precarietà dell’esistenza per miliardi di persone.
Sempre più il distacco nella possibilità del vivere si accentua e l’immaginario costruito dalla tecnologia assimila i modelli ma non cancella la pesantezza delle diversità che non si riescono a raccogliere dentro ad un progetto di cambiamento, com’era stato invece nella tragica ma grande filosofia politica del ‘900.
Razzismo, diversità di genere, confronto tra le “diversità” rimangono quasi tabù inalterati in una globalizzazione che esclude la cultura se non come fatto meramente commerciale.
Lo stesso presidente uscente degli USA conversando con Marynelle Robinson richiama alla necessità di ricostruire la storia, di non abbandonarsi semplicemente all’oggi.
Esaurito il sogno della “fine della storia” alimentato dalla caduta del muro di Berlino, fermatasi forse definitivamente la spinta europeista, in una fase in cui il dato più saliente sempre essere quello del recupero del nazionalismo,nel complesso di questo quadro drammatico l’Italia torna a essere “un caso”.
“Un caso” che non si può catalogare se di avanguardia o di retroguardia perché si tratta di categorie difficili da classificare adesso come adesso.
In una società fortemente secolarizzata, dai valori smarriti rispetto a quelli prodotti dalle grandi concentrazioni della cultura di massa come furono i partiti e le agenzie di comunicazione ad esse legate (compresa la scuola, non soltanto televisioni e giornali o le espressioni prevalenti del mito del consumismo individualistico), con l’economia abbandonata alla prevalenza dell’inganno e della sopraffazione, l’Italia sta sempre più riducendo il proprio “spazio vitale”: non geografico, per carità, ma politico e culturale.
Uno “spazio vitale” sempre più esiguo e non più in grado di offrire alle diseguaglianze della società modelli, esempi, parametri e paradigmi, certamente diversi, magari inusuali e apparentemente complicati ma certo praticabili e stimolanti.
La politica, dunque, praticata in Italia (ma non solo, beninteso) per coprire il vuoto.
La politica intesa come un contenitore al cui interno non si trova nessuna espressione.
Un vuoto che inutilmente si cerca di riempire con le chiacchiere senza costrutto di chi cerca il potere attraverso le scorciatoie della propaganda, al di fuori dell’analisi concreta delle contraddizioni operanti nel concreto e della fatica necessaria per fornire una risposta in termini di progettualità sociale.
A sinistra, smarrito lo storicismo e adeguatisi tutti all’imperante obbligatorietà dell’io e dell’oggi, si dovrebbe pensare proprio a questo: a come, cioè, costruire un contenuto, a una possibilità di riempire questo vuoto.
Guardarsi all’indietro per formulare una proposta rivolta in avanti forse potrà apparire eccessivamente semplicistico: però, forse (troppi forse anche in questo intervento) non c’è altra possibilità.
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