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lunedì 4 gennaio 2016
Ruggero Paladini: Bail-in alla tedesca
Da Il Campo delle idee
Bail-in alla tedesca: come a Berlino (e tra i funzionari della Ue) la sfiducia verso l'Italia può produrre danni al nostro Paese.
Il bail-in avrebbe un fondamento razionale, ma sarebbe stato bene applicarlo per il futuro e con ampiezza di informazione nei confronti dei risparmiatori. Si è voluto mettere l'Italia nel mirino. E non è finita. Dalla Germania già sono partite ulteriori proposte, in particolare quella per cui qualora un paese che in futuro richieda assistenza al fondo salva-stati, il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), sia soggetto alla ristrutturazione automatica del proprio debito pubblico.
Il primo dono del 2016 viene da Bruxelles: la Bank Recovery and Resolution Directive (BRRD) stabilisce che azioni, obbligazioni (di tutti i tipi) e depositi oltre 100mila euro dovranno sopportare le perdite nel caso di crisi bancaria. Come è ben noto, un anticipo della direttiva l’abbiamo avuta con le quattro banche (Chieti, Etruria, Ferrara e Marche), dove il salvataggio del governo ha provocato migliaia di risparmiatori infuriati, un suicidio, ritiro di depositi e cause civili che daranno lavoro a molti avvocati. Ma se l’intervento fosse stato rinviato al 2016 le cose sarebbero andate ancora peggio.
In teoria sarebbe stato possibile evitare le perdite subite dai risparmiatori senza oneri per i contribuenti. Come ha dichiarato alla Camera Carmelo Barbagallo (capo della Vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d’Italia), era “emersa la disponibilità` del Fondo Interbancario di Tutela dei depositi a farsi carico di tale aspetto, assorbendo i rischi relativi ai crediti deteriorati. L’intervento del Fondo avrebbe consentito, congiuntamente alle risorse apportate da altre banche, di porre i presupposti per il superamento delle crisi senza alcun sacrificio per i creditori delle quattro banche”. Ma la Commissione Europea ha posto il veto a questa soluzione, con un argomento che, dice Barbagallo, la Banca d’Italia non ha condiviso.
Infatti Margrethe Vestager, a capo della sezione Concorrenza della Commissione europea, ha considerato l’intervento del Fondo Interbancario come un aiuto di Stato, in sostanza perché le risorse del Fondo derivano da versamenti obbligatori da parte delle banche operanti in Italia. Argomento alquanto discutibile; in questo caso si dovrebbero considerare come appartenenti al settore pubblico le società di assicurazione che ricevono premi obbligatori (auto, condomini ecc…). In realtà si tratta di un argomento ad hoc, quello vero è che si voleva stabilire immediatamente il principio del burden sharing, cioè appunto il sacrificio degli azionisti e (almeno) di alcuni obbligazionisti. Ecco perché in Portogallo la Commissione ha consentito l’intervento pubblico a favore del Banif (Banco Internacional do Funchal di Madeira) con un'iniezione di quasi 2,3 miliardi di euro di fondi pubblici alla banca originaria di Madeira, che viene venduta al Santander dopo essere stata ripulita degli asset più problematici; perché lì c’è stato il burden sharing.
La direttiva BRRD ha un suo fondamento razionale, che gli economisti raccontano come l’obiettivo di evitare il moral hazard da parte del management delle banche. Se lo Stato interviene a salvare azionisti e creditori di una banca, i dirigenti eccedono nel prendere rischi e gli azionisti non vigilano sul loro operato. L’unica eccezione alla regola riguarda i depositanti, almeno fino ad una certa cifra, dato che avere un conto corrente è essenziale per il funzionamento del sistema economico ed una fuga dai depositi sarebbe esiziale. Certo si potrebbe notare che gli aiuti di Stato concessi alle banche in Germania a fine 2014 ammontavano a 238 miliardi di euro (8,2 per cento del PIL tedesco) e che il 19 ottobre scorso la Commissione europea ha approvato il piano di salvataggio della HSH Nordbank, specializzata nel credito navale e detenuta in maggioranza dai governi regionali dello Schleswig Holstein e di Amburgo. La banca, in dissesto finanziario da tempo, sarà oggetto di una liquidazione o di una vendita, godendo, però, delle garanzie pari a 3 miliardi dello Stato tedesco. Si potrebbe anche ricordare che BCE e Commissione permisero che le banche francesi e tedesche, piene di titoli greci, recuperassero i loro investimenti, e solo dopo avvenne un parziale default a carico dei creditori privati.
Ma a parte questi rilievi polemici, va detto che la BRRD può anche essere considerata una misura ragionevole, se applicata ai nuovi azionisti o creditori dal 2016 in avanti; o, proprio volendo accelerare i tempi, si poteva obbligare tutte le banche ad informare i clienti dei rischi che si corrono con le obbligazioni subordinate o i depositi oltre i 100.000 euro, procedendo alle modifiche richieste dai clienti stessi, e prendendosi l’intero 2016 di tempo. Perché quindi questa fretta della Germania nel varare la BRRD, mentre allo stesso tempo esprime una sorda resistenza a creare un fondo europeo per la tutela dei depositi (fino a 100mila euro)?
Come disse Andreotti, a pensare male si commette peccato però ci s’indovina. Basti ricordare un ben noto precedente: Merkel e Sarkozy durante una passeggiata, il 19 ottobre 2010, a Deauville, dichiararono che i sottoscrittori di debito pubblico dovevano pagare la loro parte, in caso di default. I tassi d’interesse italiani e spagnoli iniziarono ad impennarsi e i cittadini dei due paesi impararono il significato della parola spread. L’economista Paul De Grauwe scrisse (10 maggio 2011) un articolo su Vox “Managing a fragile Eurozone”, nel quale faceva notare come il Regno Unito, pur avendo deficit e debito più alti della Spagna, aveva tassi d’interessi più bassi. La ragione, dice De Grauwe, è perché dietro il debito pubblico britannico c’è la Banca d’Inghilterra, mentre dietro il debito spagnolo non c’è la BCE.
Gli spread continuarono a ballare fino al famoso whatever it takes di Draghi, e al varo degli Outright Monetary Transactions (OMT) da parte della BCE. Senza mai essere stati usati, gli OMT hanno progressivamente fatto scendere lo spread italiano e spagnolo sui cento punti base. A questo calo ha contribuito ovviamente anche il QE iniziato dalla BCE a partire da marzo 2015, motivato dalla necessità di effettuare una politica monetaria fortemente espansiva per stimolare l’economia e, in particolare, per scongiurare la deflazione. Ma ovviamente si tratta di una politica monetaria che effettua una monetizzazione (in parte) del debito pubblico.
Gli OMT, ed ancora di più il QE, sono visti come fumo negli occhi in Germania, pressoché da tutti. Sia da quelli che vogliono cacciare l’Italia (oltre alla Grecia) dall’area dell’euro, sia da quelli che non hanno esplicitamente questo obiettivo, ma, basandosi sulla teoria economica dell’espiazione della pena, pensano che solo con l’acqua alla gola gli italiani possono “fare le riforme”. Le misure della BRRD tornano allora molto utili per creare difficoltà al nostro paese. Ma non basta, e dalla Germania partono ulteriori proposte, in particolare quella per cui qualora un paese che in futuro richieda assistenza al fondo salva-stati, il Meccanismo Europeo di Stabilità (ESM), sia soggetto alla ristrutturazione automatica del proprio debito pubblico.
Si tratta quindi di una proposta nello spirito di Deauville, equivalente del bail-in bancario applicato al debito pubblico, un modo cioè per far pagare la ristrutturazione dei debiti a azionisti e obbligazionisti, e non ai contribuenti degli altri paesi. Nel caso delle banche era previsto che insieme con il bail-in fosse predisposta anche un’assicurazione dei risparmi comune (cioè finanziata con risorse condivise) che garantisse il rimborso dei depositi fino a 100mila euro in caso di insolvenza di un istituto di credito. Ma la Bundesbank ora chiede che questa misura di condivisione dei rischi bancari sia rinviata di una decina di anni. Il problema infatti non è tanto quello dei prestiti incagliati delle banche (circa 200 miliardi in Italia), ma quello dei titoli pubblici del proprio paese in mano alle banche (in Italia 400 miliardi). Se la banca dovesse saltare, perché il debito pubblico di un Paese è diventato insostenibile, salvare la banca implicherebbe il sostegno al debito pubblico, e questo andrebbe contro i Trattati. Allora si dovrebbe agire tramite il MES, ed ecco allora la proposta di ristrutturazione automatica del debito.
L’entrata in vigore delle regole BRRD creerà sicuramente difficoltà alle piccole banche, ma se dovessero aggiungersi le proposte made in Germany, i problemi del sistema bancario, in termini di costo del finanziamento o della stessa capacità di erogare crediti, aumenterebbero. Non solo, ma ci sarebbero ripercussioni anche sullo spread dei titoli pubblici. Finora non ci sono state particolari reazioni da parte dei commentatori italiani (da segnalare un articolo di Carlo Bastasin sul Sole del 31 dicembre), ma sarà bene che il governo si occupi attivamente delle proposte tedesche, perché sono mirate a contrastare sia l’OMT sia il QE della (maggioranza della) BCE.
Infine una nota: si potrebbe pensare che Margrethe Vestager sia una agente di Berlino, membro del partito popolare. Non è così, si tratta di una politica danese di una formazione che letteralmente significa “sinistra radicale”, ma il termine non deve ingannare; l’orientamento è liberale e Madame Vestager fa parte di ALDE, l’alleanza liberale e democratica al Parlamento europeo. Ma anche chi è a capo di una importante struttura della Commissione Europea deve basarsi sul lavoro dei funzionari della Commissione, e il clima generale che si respira è quello di sospetto e sfiducia nei confronti dell’Italia, simile a quello nei confronti della Grecia. Una sfiducia nettamente maggiore rispetto a quella verso i due paesi della penisola iberica.
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