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sabato 2 gennaio 2016
Franco Astengo: Disuguaglianza e interrogativi
DISUGUAGLIANZA E INTERROGATIVI: ANCORA UN TENTATIVO DI APRIRE UN CONFRONTO SU “SPAZIO E RUOLO DEL RIFORMISMO, OGGI” di Franco Astengo
Nella parte conclusiva del suo bel libro “Disuguaglianza” Anthony B. Atkinson (professore a Oxford e alla London School of Economics) avanza quindici proposte (che saranno riportate in calce a questo intervento) allo scopo di affrontare il problema della disuguaglianza che definisce come “uno dei problemi più urgenti con cui ci confrontiamo oggi).
Quindici proposte elaborate all’insegna di un “consapevole ottimismo sulle possibilità dell’azione politica” tese a rilanciare i principi di fondo del keynesismo e delle idee di fondo che diedero vita, nei “trenta gloriosi” (così definiti da Piketty e da Rossanda gli anni dal 1945 al 1975) al welfare state.
Atkinson non si limita però a rivedere il passato ma si rivolge all’innovazione presentando ipotesi originali e proposte politiche innovative in cinque campi: la tecnologia, l’occupazione, i sistemi di sicurezza sociale, la condivisione del capitale e la tassazione.
Si tratta di un quadro d’insieme che interesserà molto coloro che, pur volendo conservare con chiarezza una matrice di natura socialista, intendono muoversi su di un piano di realismo riformista e di sinistra di governo.
Non è questa la sede per riaprire un confronto tra chi sostiene queste posizioni e quanti pensano, invece, alla necessità di espressione da parte della sinistra di opzioni ben più radicali partendo da un’espressione di “opposizione sistematica” al quadro di governo dominante che si muove nel segno di un capitalismo bellicista e distruttore di qualsiasi istanza sociale posta al di fuori dal “pensiero unico”.
Pur tuttavia è il caso di far premettere all’elenco delle proposizioni stilate da Atkinson almeno tre domande di fondo ( esprimendo anche, attraverso l’espressione di una doverosa onestà intellettuale, un personale scetticismo di fondo sulla possibilità concreta di esistenza di una “sinistra di governo” in questo quadro):
a) Può essere possibile portare avanti un’idea di sinistra di governo fondata sull’innovazione del keynesismo e il rilancio di uno “stato sociale della modernità” in questo quadro generale segnato dalla ripresa dei rischi di scontro bellico globale e dalla presenza di un’Unione Europea che si presenta come lo strumento più efficace per favorire l’economismo delle disparità e la crisi di una visione politica democraticamente avanzata?
b) Quale battaglia politica può risultare possibile per modificare i termini di costruzione di governi fondati sulla negazione della rappresentanza, la visione assolutista del personalismo, l’espressione di forme di gretta meschinità razzista, di sostanziale fascismo come sta avvenendo in più parti d’Europa in questa fase?
c) Può essere possibile sostenere questo tipo di proposte presenti nel libro di Atkinson, di natura – va ripetuto e ribadito – chiaramente socialdemocratica, senza la presenza di una forza politica radicata e organizzata nella dimensione nazionale ma in possesso di una visione internazionalista riferita alla qualità delle effettive contraddizioni sociali operanti nella realtà e ispirata ai grandi principi che hanno appartenuto al movimento operaio?
Sono questi i tre punti di riflessione sui quali pare non cimentarsi quella parte di sinistra europea apparentemente rimasta in campo ma che, nella maggior parte dei casi, appare ormai ridotta al tentativo di conservazione di qualche trincea elettorale di sempre più ridotte dimensioni, risultando del tutto sprovvista di dimensione ideale e di visione progettuale e programmatica (lo stesso Ilvo Diamanti si è augurato una ripresa di soggettività in questo senso, pur giudicandone la possibilità come un “sogno”).
Queste comunque le 15 proposte di Atkinson:
1) La direzione del cambiamento tecnologico deve essere una preoccupazione esp0licita della politica: va incoraggiata l’innovazione in una forma che aumenti l’occupazione, mettendo in rilievo la dimensione umana della fornitura di servizi;
2) La politica pubblica deve mirare a un equilibrio appropriato di poteri fra gli stakholder, e a questo fine deve (a) introdurre una dimensione distributiva esplicita nelle regole di concorrenza; (b) garantire un quadro giuridico di riferimento che consenta ai sindacati di rappresentare i lavoratori a pari diritti; (c) formare, ove già non esista un Consiglio sociale ed economico che coinvolga le parti sociali e altri organismi non governativi;
3) Il governo deve adottare un obiettivo esplicito per prevenire e ridurre la disoccupazione e deve sostenere tale obiettivo offrendo un impiego pubblico garantito a salario minimo a quanti lo cercano;
4) Deve esistere una politica salariale nazionale, fondata su due elementi: un salario minimo legale fissato a livello di salario vitale e un codice di buone pratiche per le retribuzioni al di sopra del minimo, concordate nell’ambito di una “conversazione nazionale” che coinvolga il Consiglio sociale economico;
5) Il governo deve offrire, attraverso buoni di risparmio nazionali, un tasso di interesse reale positivo garantito sui risparmi, prevedendo un tetto massimo per persona;
6) Deve esistere una dotazione di capitale (eredità minima) assegnato a tutti all’ingresso nell’età adulta;
7) Deve venire creata un’Autorità di investimento pubblica, che gestisca un fondo patrimoniale sovrano al fine di accrescere il patrimonio netto dello Stato con investimenti in aziende e proprietà immobiliari;
8) Dobbiamo tornare a una struttura di aliquote più progressiva per l’imposta sui redditi delle persone fisiche, con aliquote marginali crescenti per scaglioni di reddito imponibile, fino a un’aliquota massima del 65%, il tutto accompagnato da un ampliamento della base imponibile;
9) Il governo deve introdurre nell’imposta sui redditi delle persone fisiche uno “sconto sui redditi da lavoro”, limitato alla prima fascia di retribuzione;
10) Eredità e donazioni inter vivos devono essere soggette a un’imposta progressiva sugli introiti da capitale nell’arco della vita;
11) Deve esistere un’imposta proporzionale, o progressiva, sugli immobili, basata su una valutazione catastale aggiornata;
12) Deve essere pagato un assegno familiare per tutti i figli, in misura sostanziale, che vada soggetto a imposta come reddito;
13) Deve essere introdotto, a livello nazionale, un reddito di partecipazione, a complemento della protezione sociale esistente, con la prospettiva di un reddito di base per i figli a livello di Unione Europea;
14) (alternativa a 13) Deve darsi un rinnovamento della previdenza sociale, con un innalzamento del livello dei benefici e un’estensione della sua copertura;
15) I Paesi ricchi devono innalzare il loro obiettivo per l’assistenza ufficiale allo sviluppo, portando all’1% del reddito nazionale lordo.
Fin qui Atkinson, restando ferme le tre domande di fondo sul quadro internazionale, l’assetto dello Stato, il soggetto politico e interrogandoci ancora: c’è spazio per un progetto di questo tipo o è necessaria una ben più forte radicalità di fondo nell’opporci all’arretramento storico in atto riferendoci, invece, a una prospettiva che, nel necessario delinearsi delle fasi di transizione torni davvero l’obiettivo dell’abolizione dello stato di cose presenti”?E questo mettendo da parte le controversie vicende che hanno accompagnato gli inveramenti del ‘900?
L’eterno dilemma della sinistra, dunque, cui aggiungere ancora una domanda: è possibile un’intesa politica fra quanti si oppongono al “pensiero unico” e al ritorno del fascismo sotto mentite spoglie, al di là degli obiettivi di medio e lungo periodo e tornando a un’ispirazione, questa sì, ideologica legata ai concetti di pace, solidarietà,eguaglianza?
Nella sostanza: oggi rimane spazio e ruolo per il riformismo?
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1 commento:
Caro Astengo,
per il riformismo lo spazio è ampio ed abbondante, oggi tutti si dicono riformisti, la vera domanda dovrebbe essere:
oggi esiste spazio e ruolo per il socialismo?
A mio parere si, ma se i socialisti e tutto coloro che non hanno paura a confrontarsi con la Storia di questo movimento politico e sociale tornano a confrontarsi con la realtà per quella che è non per quella che ci piacerebbe che fosse.
Innanzitutto a prendere atto che un'epoca è finita e che si può ripartire solo se la visione della realtà è (passami il termine) realistica.
Ormai tutti coloro che hanno guardato con gli occhi non velati da una patina di ideologismo comprendono che la rottura tra la forma organizzativa del capitalismo industriale (che abbiamo vissuto nel novecento) e quella derivante dalla struttura generata dalla rivoluzione informatica è avvenuta tra fine degli anni settanta ed inizio degli anni ottanta del secolo scorso, allorchè nelle grandi industrie vennero implementati i primi robot e la produzione diveniva sempre più automatizzata. Da li in poi nulla fu più uguale a prima e l'errore della sinistra (in particolare quella comunista ma in parte anche quella socialista) fu di non comprendere che l'organizzazione sociale, che si basava sulla classe operaia delle grandi fabbriche, e quella politica (che a sua volta riprendeva quell'organizzazione con i grandi partiti di massa) stava finendo e che sarebbe cambiata per adeguarsi alla nuova struttura economica (d'altronde già un noto pensatore di Treviri sosteneva questa tesi nell'ottocento).
Fu allora che nel PSI si iniziò a pensare all'Alleanza tra i meriti ed i bisogni, ma il partito non seppe dare seguito a quella intuizione del Convegno di Rimini.
Per ritornare alla crisi del compromesso socialdemocratico occorre partire da li, dal disinteresse del capitalismo "finanziario" verso la redistribuzione della ricchezza e dalla povertà "politica" del capitalismo produttivo.
Oggi non basta rifarsi a Keynes (che tra l'altro era un liberale) perchè lo schema da lui propugnato in "Teoria dell'occupazione, dell'interesse e della moneta" poteva andare bene in un mondo in cui i popoli che avrebbero beneficiato di quel sistema ammontavano a circa 500 mila persone, applicare oggi una teoria che propugna lo "sviluppo dei consumi" (assieme ad altre gambe degli Investimenti pubblici e import export) per fare crescere la ricchezza prodotta significa innescare (com'è già innescato) una miccia destinata alla rovina ecologica ed energetica del pianeta.
La ricostruzione di un movimento socialista parte da questa necessaria analisi, dalla presa d'atto che tutte le innovazioni tecnologiche sono distruttrici del lavoro manuale semplice e che il futuro dell'intelligenza artificiale ridurrà (come sta riducendo già) i posti di lavoro di concetto.
Il tempo dei lavori si ridurrà sempre di più, la localizzazione della produzione sarà sempre di più localizzata in aziende altamente tecnologizzate e di dimensioni medie, con un lavoro in rete sempre più spinto. In sintesi l'assemblaggio finale del prodotto sarà fatto da robot che monteranno pezzi prodotti altrove in una rete ampia di sub fornitori.
Per farti un esempio preciso la sconfitta della FIOM in Mirafiori è nata per l'appunto dal non aver compreso che quello stabilimento non sarebbe mai più stato quello dei 60 mila occupati del 1980 e che il progetto (capitalistico) della FIAT sarebbe stato la produzione a Torino solo delle auto di alta gamma.
Il nuovo (vecchio) livello in cui sarà possibile riorganizzare i lavoratori (che esistono e ormai sono sfruttati anche a livelli di alta professionalità) sarà quello del territorio, in sintesi si tratta di tornare alle Società di Mutuo Soccorso, la triplice sindacale non ha più senso è un residuo sopravissuto al cambiamento.
Sarà un lavoro lungo ma anche interessante.
Fraterni saluti
Dario Allamano
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