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lunedì 4 gennaio 2016
Franco Astengo: Le parole smarrite
LE PAROLE SMARRITE TRA SOSTANZA E ACCIDENTE di Franco Astengo
Ci si aggira attoniti attorno alle notizie che segnalano eventi sempre più difficili da interpretare secondo quelli che erano i nostri tradizionali strumenti di analisi e di comunicazione: un insieme di termini che la sinistra usava per le sue analisi sembra proprio definitivamente smarrito e mai più recuperabile.
Sviluppo così pochi esempi allo scopo di far intendere meglio quanto contenuto in premessa.
Prendiamo il cosiddetto “scandalo” delle quattro banche che, per un cumulo di motivi, ha fatto grande clamore in questi giorni.
Ebbene, da parte dei mezzi di comunicazione di massa e dei commentatori più autorevoli l’accento è stato posto sulla (giusta, peraltro) richiesta di risarcimento da parte dei cittadini investitori più o meno truffati, sull’atteggiamento riprovevole del governo, sui legami catto -massonico- familistici che sembrano collegare i protagonisti in negativo di questa vicenda.
A nessuno, o quasi, è venuto in mente di collegare questo fatto a fenomeni ben più generali: primo fra tutti il processo di crescente finanziarizzazione dell’economia che sta alla base di quanto accaduto nella gestione del ciclo capitalistico degli ultimi decenni; del fallimento – nello specifico del “caso italiano” – del processo di concentrazione / privatizzazione che ha segnato la fase attraverso procedimenti del tutto opachi e di altri fattori, in primis quelli riguardanti obiettivi meramente speculativi, che determinano una situazione davvero difficile nell’insieme delle relazioni economiche.
Questa assenza di capacità analitica ha fatto sì che risultino smarrite, all’interno del dibattito pubblico, le ragioni che sostengono la contrarietà al processo di privatizzazione e propongano un ruolo dell’intervento pubblico fino alla nazionalizzazione delle banche.
Due parole: intervento pubblico e nazionalizzazione che , scritte e/o pronunciate, produrrebbero orrore nella gran parte dei ben pensanti lieti, invece, dei brillanti risultati che l’itinerario delle privatizzazioni e della “sana” concorrenza hanno prodotto, come nel caso – appunto – delle quattro banche citate: ma tanti altri casi si potrebbero enucleare in particolare sul piano europeo per non trasmigrare oltre Atlantico.
Un altro caso di parole smarrite riguarda il discorso dell’industria e, in particolare, in relazione a questa il discorso della ricerca e dell’innovazione tecnologica.
Un discorso, del resto, strettamente legato alla questione bancaria.
E’ prevista, per i primi mesi di questo 2016 appena avviato, una conferenza nazionale sull’industria.
L’Italia, in un contesto europeo sicuramente più agguerrito, è priva da tempo di una politica industriale sostenuta da una forma coerente d’indirizzo pubblico.
Nei giorni scorsi, sulle colonne di Repubblica, Mariana Mazzucato in un articolo “Pubblico e Privato uniti nella lotta” si è molto spesa per illustrare tutta una serie d’interventi pubblici sviluppati non solo da paesi europei in funzione di finanziare un diverso sviluppo industriale, posto in relazione proprio ai meccanismi dell’innovazione tecnologica, di un’adeguata produzione di “know-how” e di sviluppo ecologicamente all’altezza con le contraddizioni della cosiddetta modernità.
Il suo giudizio è molto preciso : “ L’Italia continua a non disporre di organizzazioni con un respiro strategico. I problemi dell’economia sono visti soltanto (sia da Berlusconi in passato, sia da Renzi oggi) in termini di “impedimenti” (tasse, burocrazia) da rimuovere, invece che in termini di istituzioni da creare per investire e creare i nuovi mercati del futuro”.
Anche in questo caso la sinistra appare del tutto afona (ritrovandosi nella sostanza subalterna alla conduzione del potere): non si pretenderebbe di arrivare addirittura alla possibilità di mettere in agenda la nazionalizzazione dei settori strategici e dei servizi essenziali (considerati pure in questo caso gli esiti delle privatizzazioni, se pensiamo a chimica, siderurgia, agro alimentare, telecomunicazioni) ma almeno ad un riferimento ad una qualche proposta di programmazione e di intervento pubblico (qualcuno molto timidamente tempo fa aveva rivolto un qualche accenno all’antica storia dell’IRI) . Elementi di dibattito e di iniziativa politica che andrebbero posti almeno al livello di come fu all’epoca del primo centro – sinistra, quello vero degli anni’60, quello spezzato dal “tintinnar di sciabole”.
Quando ci si interroga sullo smarrimento di identità e di autonomia della sinistra italiana forse ci si dovrebbe interrogare anche al riguardo della terminologia del dibattito e della formulazione delle proposte politiche: sembrano proprio introvabili, infatti, i termini che, un tempo ma anche adesso, distinguono interessi pubblici e interessi privati, ricerca di crescita collettiva e speculazione.
Quei termini, in definitiva, che dovrebbero distinguere tra destra e sinistra.
Una sinistra che ha perso la capacità di vedere e leggere la sostanza e si limita ad occuparsi dell’accidente.
Un accidente che ha assunto le vesti di un personalismo insulso e arrogante.
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