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domenica 6 dicembre 2015
Franco Astengo: Legge elettorale e cultura politica
LEGGE ELETTORALE E CULTURA POLITICA di Franco Astengo
Nei giorni in cui si sta completando la presentazione, nelle 20 circoscrizioni, dei ricorsi avverso l’Italikum, il trasformismo tipico della storia politica d’Italia ha colpito ancora.
Con la scusa della “provocazione” e votando paradossalmente contro un proprio documento, il M5S ha cambiato posizione e da strenuo oppositore è diventato difensore del nuovo (?) sistema elettorale.
Il tutto, un vero pasticcio, è stato generato dalla lettura dei sondaggi che darebbero proprio il M5S in vantaggio sul PD nel caso di ballottaggio per il conseguimento dello smodato e privo di senso premio di maggioranza.
Prevalgono, al di là del merito e ancora una volta, l’improvvisazione e l’assenza di cultura politica.
Quell’assenza di cultura politica che ormai contraddistingue l’intero sistema da decenni e di cui abbiamo esempi lampanti nelle diverse proposte di modifica della Costituzione.
Pensiamo all’infelice mutamento del titolo V della Costituzione realizzato dal centrosinistra a maggioranza nel 2001, soltanto per accontentare – a parole – una parte della base tentata dai proclami populistici della Lega Nord.
Per fortuna, invece, nel 2006 attraverso il referendum consultivo si riuscì a respingere il progetto di riduzione della democrazia avanzato dal centrodestra: progetto che oggi, invece, sta realizzando il PD (R).
Sulla legge elettorale poi ci si è esercitati, sia rispetto al livello nazionale che ai livelli locali (pensiamo all’orripilante mosaico costruito con le leggi regionali) senza alcun senso della dimensione “storico – politica” che una legge elettorale dovrebbe contenere in sé, ma semplicemente seguendo gli umori della convenienza immediata di uno schieramento piuttosto che un altro.
Per fortuna l’Alta Corte fece giustizia della legge del 2005: ma va ricordato che, in quell’occasione, il testo fu varato semplicemente per “contenere” nei dati numerici la prevista sconfitta del centrodestra.
Poi i risultati elettorali smentirono clamorosamente i sondaggi, dando al centrosinistra (2006) una risicatissima vittoria, in luogo del trionfo annunciato, e la legislatura terminò in un paio d’anni.
E’ il caso, allora, di riprendere alcuni temi in materia di cultura politica che sembrano essere stati completamente disattesi nel corso del dibattito fin qui svolto sulla materia.
Il primo riguarda la fortissima torsione in senso presidenzialista e decisionista che il nostro sistema ha subito, soprattutto per opera della Presidenza della Repubblica nel corso della gestione retta da Giorgio Napolitano.
Non deve essere dimenticato il momento relativo alle modalità di conferimento di incarico al Capo del governo dei “tecnici” Mario Monti con tanto di nomina a senatore a vita, quarantotto’ore prima del conferimento dell’incarico stessa.
Il primo dato da mettere in campo quindi, presentando la battaglia contro l’Italikum e prefigurando lo scontro referendario sulle modifiche costituzionali che dovrebbe verificarsi nel 2016 deve essere quello del superamento del vincolo del personalismo che pure ha contagiato l’insieme del sistema politico.
Si dovrebbe mettere al primo posto di un eventuale programma alternativo il ritorno alla pienezza di funzionamento della Repubblica Parlamentare, partendo dal ruolo di Camera e Senato, affrontando il nodo dell’eccesso di decreti leggi ma estendendo anche questa iniziativa agli Enti Locali e al ruolo dei loro consessi elettivi, ormai ridotto a marginalità dall’eccesso di potere in mano ai Sindaci eletti direttamente, che dispongono anche del potere di nomina degli assessori (potere di nomina che dovrebbe tornare ai Consigli stessi, eliminando anche la figura del cosiddetto “assessore esterno”).
Insomma, il punto su cui discutere e impegnarsi è rappresentato dal rapporto tra governabilità e rappresentanza politica, ormai troppo squilibrato a vantaggio del primo elemento citato, quella della governabilità della quale si è fatto un vero e proprio feticcio.
Il tema della legge elettorale deve essere posto al centro di una fase politica che con un eufemismo potrebbe essere definita come di grande delicatezza, sia per la situazione economica sia per quella politica, sia sul piano internazionale, sia sul piano interno laddove appare possibile addirittura un passaggio di complessivo riallineamento del sistema.
La realtà della profonda crisi economica e sociale che si pone all’interno di una situazione globale di guerra, richiederebbe, prima di tutto, un salto di qualità sul piano culturale, attraverso l’avvio di un serio tentativo di ricostruzione di una sintesi progettuale.
Una sintesi da realizzarsi riuscendo a oltrepassare le espressioni correnti dell’individualismo dominante (frutto dell’approccio neo-liberista ormai introiettato, fin dai primi anni’90, anche dalla sinistra italiana di tradizione socialista e comunista: salvo alcune eccezioni rimaste minoritarie).
E’ stato attraverso le espressioni dell’individualismo che si sono affrontate, almeno fin qui, le cosiddette contraddizioni “post-materialiste”.
Quelle contraddizioni “post-materialiste” che Inglehart, fin dal 1997, ha definito come “le scelte sullo stile di vita che caratterizzano le economie post-industriali”.
Oggi, proprio la realtà della crisi globale (delle quale, almeno in questa sede, non enucleiamo le caratteristiche specifiche per evidenti ragioni di economia del discorso) reclama il ritorno all’espressione di valori orientati, invece: “ alla disciplina e all’autolimitazione, che erano stati tipici delle società industriali”.
Appaiono evidenti le esigenze che sorgono nel merito della programmazione, dell’intervento pubblico in economia, della redistribuzione del reddito, dell’eguaglianza attraverso l’espressione universalistica del welfare, del ritorno a una “dimensione geografica” (quest’ultimo punto, per quel che ci riguarda, dovrebbe chiamarsi “Europa politica” da ricostruire oltrepassando l’Europa delle monete).
Dal mio punto di vista il tema della legge elettorale risulta, così, strettamente collegato a quello della presenza politico-istituzionale di forze politiche (naturalmente penso alla sinistra) capaci di elaborare un “progetto di sintesi” (lo abbiamo già definito, in altra occasione “programma comune”, ponendoci nella dimensione di un aggiornamento storico delle nostre coordinate di fondo, oltrepassando così quegli elementi di distintività identitari causa delle divisioni del passato).
Perché questo stretto legame?
Ripercorriamo velocemente le caratteristiche dei due principali sistemi elettorali: il maggioritario (nella cui direzione ci si è rivolti, in Italia, al fine di costruire un bipolarismo rivelatosi del tutto artificioso)
L’idea del maggioritario è stata frutto, al momento dell’implosione del sistema politico nei primi anni’90, di una vera e propria “ubriacatura ideologica”, strettamente connessa all’ondata liberista: non si sono avuti risultati sul terreno della frammentazione partitica e su quello della stabilità di governo (sono, forse, diminuite le crisi formali ma di molto accresciute, se guardiamo anche alla stessa fase più recente fibrillazioni che hanno causato fasi di vera e propria ingovernabilità).
Ritorno su temi già abbozzati in principio di questo intervento: il maggioritario ha aperto la strada allo svilimento nel ruolo delle istituzioni, alla crescita abnorme della personalizzazione (fenomeno che ha colpito duramente a sinistra, al punto da renderla in alcune sue espressioni di soggettività del tutto irriconoscibile), alla costruzione di quella pericolosissima impalcatura definita “Costituzione materiale” attraverso l’esercizio della quale si tende verso una sorta di presidenzialismo surrettizio, all’allargamento del distacco tra istituzioni e cittadini.
“Costituzione materiale” che oggi si punta a far diventare “fattuale” scritta nero su bianco con lo scopo di abbandonare completamente l’impostazione della Costituzione del ’48 attraverso il superamento del ruolo parlamentare e del governo come parte integrante del sistema fondato sulla rappresentatività politica.
Il sistema proporzionale (quello “vero”, non certo quello del sistema elettorale previsto dall’Italikum, sul quale- ripetiamo - non spendiamo parole ma un velo pietoso) è stato accusato di rappresentare, nel passato recente della storia d’Italia, il veicolo di quel consociativismo considerato l’origine di tutti i mali del sistema politico, inefficienza e corruzione “in primis”.
Preso atto di tutto ciò cogliamo l’occasione per esprimere una valutazione di fondo favorevole al sistema proporzionale: il proporzionale, infatti, rappresenta un sistema fondato necessariamente sul ruolo dei partiti, quali componenti fondamentali di una democrazia stabile, inoltre lo scrutinio di liste esige, necessariamente, un diverso equilibrio tra le candidature, affrontando così il tema del decadimento complessivo della classe politica.
Interessa, però, soprattutto il legame tra sistema elettorale e struttura dei partiti.
E’ questo il punto fondamentale del discorso che intendiamo sostenere in questa sede: il sistema politico ha bisogno di risultare come rappresentativo di adeguate soggettività che, proprio alla presenza di un’articolazione così evidente nelle richieste della società , producano reti fiduciarie più ampie e meno segmentate, più aperte verso le istituzioni.
Il sistema politico deve essere posto in grado di essere considerato produttore e riproduttore di capitale sociale, di allentare la morsa del particolarismo dilatando anche le maglie delle appartenenze locali e rilanciando il “consolidamento democratico”.
Sono questi i punti sui quali avviare una riflessione di fondo: l’occasione del referendum confermativo delle “deformazioni costituzionali” portate avanti dal PD potrebbe risultare utile quale elemento portante di una mobilitazione “per la democrazia” che appare assolutamente indispensabile da realizzare.
Si può aggiungere, in conclusione, un riferimento al “letargo esistenziale collettivo”, definizione usata dal CENSIS per indicare la situazione italiana nell’attualità.
Prescindendo per un momento dal fatto che appare necessario inquadrare sempre le cose all’interno del contesto internazionale, che appare quanto mai di difficile e complessa interpretazione, si può comunque collegare questa definizione con i temi istituzionali e politici trattati nel corso di questo intervento.
Lo stato di “letargia” nel quale si trova il Paese è dovuto anche ( e in buona parte) dall’anestetizzazione subita dal conflitto sociale e politico.
Se ci si rivolge, in questo senso, alla semplice determinazione della governabilità, se si annullano i ruoli dei corpi intermedi e dei partiti, se non si costruisce un conflitto vero tra élite dirigenti socialmente rappresentative, se non ci si misura con la complessità delle concrete fratture sociali allora sarà difficile risvegliare spiriti culturali e politici posti nella dimensione di un avanzamento collettivo.
Se il tutto resterà ristretto ad un coacervo di ambizioni personali da soddisfare esclusivamente attraverso l’esercizio della piaggeria verso inamovibili potenti, come vorrebbero legge elettorale e riforme costituzionali portate avanti soprattutto dal PD, allora sarà davvero difficile distaccarci dallo 0,virgola: dato e non concesso che quel parametro significhi davvero qualcosa.
E’ necessario mutare di sento radicalmente alla politica intesa esaustivamente come potere e governabilità, ed in questo senso il tipo di cultura politica che presiede alla formulazione delle leggi elettorali e della architettura istituzionale, come ci insegnarono i Padri Costituenti, assume un’importanza fondamentale.
Sarà bene rammentarlo.
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