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giovedì 3 dicembre 2015
Franco Astengo: LA CONFERENZA DI PARIGI E LA GUERRA
LA CONFERENZA DI PARIGI E LA GUERRA di Franco Astengo
Si riaffaccia sulla scena del dibattito politico l’antico motto (un po’ modificato): la guerra come ragione della politica.
In effetti i primi giorni della tanto reclamizzata Conferenza di Parigi sul clima del pianeta, quelli occupati dalle ingombranti presenze dei Capi di governo, sono stati occupati (almeno a sentire e leggere i media) dalle schermaglie in corso sul terreno dell’eterna guerra in corso sullo scacchiere del petrolio e delle fonti energetiche.
Guerra mascherata (senza coltivare eccessiva passione per la teoria dei complotti lo si può ben affermare) da “scontro di civiltà” e “conflitto tra religioni”, inseguendo “primavere” più o meno probabili o “esportazione della democrazia”.
In gioco, in realtà, ci sono due questioni molto importanti (per usare un eufemismo) strettamente connesse fra di loro.
La prima riguarda il dominio delle fonti energetiche tradizionali (soprattutto il petrolio, ma anche il gas). Dominio da verificarsi sotto l’antico aspetto della prevalenza geo-politica, alla faccia delle illusioni fornite da una fallace globalizzazione di ritorno che avrebbe dovuto favorire un policentrismo nella detenzione del potere. Quindi ritorno alla geopolitica, al nazionalismo, alle coalizioni tra “nazioni”.
In conseguenza di ciò il raccordo da ricercare tra l’utilizzo concreto di queste fonti energetiche e lo scontro in atto per un mutamento di leadership nella detenzione del potere: mutamento di varia natura, anche generazionale all’interno dei diversi Paesi.
Sono queste le due ragioni centrali dello scontro in atto: il resto seguirà, oppure sta già seguendo, come gli attentati che opportunamente provocano panico in Occidente o i migranti che risalgono l’Europa a piedi e dei quali si blatera a sproposito, a intermittenza, quando cioè serve alla propaganda.
La Conferenza di Parigi starà affrontando probabilmente, attraverso il lavoro dei cosiddetti “sherpa”, il nodo delle emissioni: forse il nodo più scorsoio dell’intera vicenda, almeno in apparenza.
Sotto quest’aspetto emergono valutazioni davvero spaventose e spaventevoli, ad esempio nell’intervista rilasciata da Vandana Shiva per il numero speciale che, qualche giorno fa, “Il Manifesto” ha dedicato all’evento.
Così come appaiono terrificanti le valutazioni sull’utilizzo del suolo, sia dal punto di vista della cementificazione, sia dell’utilizzo intensivo in agricoltura (la FAO calcola che il 33% dei terreni fertili risulta degradato).
Tutti elementi di grande importanza ma che non toccano il punto decisivo: quello dell’utilizzo delle fonti energetiche in funzione della produzione di merci.
Torna un antico interrogativo già lanciato nel’68 e poi ripreso a cavallo della crisi petrolifera del ’73 – ’74 (quella dell’austerity): come e per chi produrre?
E si torna così al nodo della guerra.
O meglio della produzione destinata alla guerra
Se gran parte della produzione, alla fine, è destinata agli armamenti e la gran parte del complesso militare mondiale rimane esente dalla rendicontazione climatica e dagli impegni (eventuali) di riduzione allora Parigi sarà risultata davvero una passerella inutile, un semplice tentativo di restauro di facciata.
Il tema principale rimane quello della guerra: una guerra estesa ad aree tra le più delicate del mondo, finanziata da Paesi ricchi che intendono arricchirsi ulteriormente accrescendo le diseguaglianze alimentando una lotta per il predominio della quale non si intravvedono termini di assestamento positivo.
Una visione molto pessimistica della quale è necessario rendersi consapevoli, se non si vuol cadere vittime dell’illusione di una propaganda senza misura e senza confini.
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