Il Circolo Carlo Rosselli è una realtà associativa presente a Milano sin dal 1981. http://www.circolorossellimilano.org/
martedì 31 gennaio 2012
lunedì 30 gennaio 2012
domenica 29 gennaio 2012
COMUNICATO STAMPA SUL SEMINARIO “LA SINISTRA DOPO MONTI”
COMUNICATO STAMPA SUL SEMINARIO “LA SINISTRA DOPO MONTI” TENUTOSI A ROMA IL 21 GENNAIO 2012 PRESSO LA FONDAZIONE NENNI
In seguito all’appello lanciato dal Gruppo di Volpedo(GdV) il 24 settembre2011 i primi destinatari dell’appello,lo stesso GdV, Lega dei Socialisti(LdS), Movimento di Azione Laburista(MAL) e Network per il Socialismo Europeo(NSE) hanno organizzato il 21 gennaio u.s. un seminario preparatorio di un Convegno dal titolo provvisorio “La Sinistra dopo Monti”, invitando le Fondazioni Nenni, Brodolini, Buozzi e Di Vagno e, a titolo individuale, esponenti di PD( Damiano e Pittella) e SEL(Bandoli e Gianni).
Sono convenuti 73 compagne e compagni delle associazioni promotrici, i rappresentati delle Fondazioni al massimo livello, intervenuti a titolo personale Bartocci( Brodolini), Benvenuto(Buozzi) e Tamburrano (Nenni), che come ospite del seminario ha aperto i lavori, presieduti dal compagno Geppino Vetrano. Le relazioni introduttive sono state svolte dai compagni Felice Besostri (portavoce GdV, DN PSI), Franco Bartolomei(segretario nazionale LdS, Segr. Naz. PSI), Lanfranco Turci( portavoce NSE) e Valdo Spini ( presidente MAL). Complessivamente hanno preso la parola 29 intervenuti, tra i quali Bartocci e Benvenuto delle Fondazioni socialiste e gli invitati Bandoli, Gianni e Damiano. Il presidente della Fondazione DI Vagno, Mastroleo e Luigi Fasce, segretario del GdV e del coordinamento del NSE, hanno inviato contributi scritti.
Alla conclusione dei lavori si è deciso che i relatori si costituiscano in gruppo di lavoro permanente per organizzare la conferenza che si intitolerà, salvo diversa decisione “La Sinistra durante e oltre Monti: come si deve organizzare e con quali riferimenti europei, come deve essere, cosa deve proporre e sulla base di quali valori” per sottolineare che fin da ora si deve dare corpo ad una proposta programmatica della sinistra con la quale presentarsi alle elezioni e chiedere di governare il Paese. Sulla legge elettorale è netta la contrarietà ad un voto anticipato con la legge elettorale vigente, che presenta diversi profili di incostituzionalità. Al Convegno nazionale, da tenersi prima della tornata amministrativa di questa primavera ,saranno invitati i partiti PD, PSI e SEL ed anche della FDS, che si vogliano confrontare come sinistra di governo e le Fondazioni socialiste e di sinistra interessate. Altra decisione unanime è un’iniziativa nei confronti del PSE, per una sua trasformazione in un partito europeo transnazionale, cui possano aderire con diverse modalità, tutti coloro, singoli o associati, che condividano lo Statuto e la Dichiarazione dei Principi del PSE. . L’adesione al PSE anche del PD e di SEL oltre al PSI è un obiettivo condiviso, per innescare un processo di aggregazione di una sinistra italiana espressione del socialismo europeo. Il Gruppo di lavoro permanente può decidere di nominare un portavoce e di allargarsi con altri esponenti delle associazioni promotrici, delle Fondazioni o dei Partiti interlocutori, organizzandosi in sottogruppi con compiti specifici. Le associazioni promotrici assumono l’impegno di ritrovarsi con cadenza regolare prima della Conferenza sull’oggi e il domani della sinistra italiana.
Felice Besostri Gruppo di Volpedo
Franco Bartolomei Lega dei Socialisti
Lanfranco Turci Network per il Socialismo Europeo
Valdo Spini Movimento di Azione Laburista
In seguito all’appello lanciato dal Gruppo di Volpedo(GdV) il 24 settembre2011 i primi destinatari dell’appello,lo stesso GdV, Lega dei Socialisti(LdS), Movimento di Azione Laburista(MAL) e Network per il Socialismo Europeo(NSE) hanno organizzato il 21 gennaio u.s. un seminario preparatorio di un Convegno dal titolo provvisorio “La Sinistra dopo Monti”, invitando le Fondazioni Nenni, Brodolini, Buozzi e Di Vagno e, a titolo individuale, esponenti di PD( Damiano e Pittella) e SEL(Bandoli e Gianni).
Sono convenuti 73 compagne e compagni delle associazioni promotrici, i rappresentati delle Fondazioni al massimo livello, intervenuti a titolo personale Bartocci( Brodolini), Benvenuto(Buozzi) e Tamburrano (Nenni), che come ospite del seminario ha aperto i lavori, presieduti dal compagno Geppino Vetrano. Le relazioni introduttive sono state svolte dai compagni Felice Besostri (portavoce GdV, DN PSI), Franco Bartolomei(segretario nazionale LdS, Segr. Naz. PSI), Lanfranco Turci( portavoce NSE) e Valdo Spini ( presidente MAL). Complessivamente hanno preso la parola 29 intervenuti, tra i quali Bartocci e Benvenuto delle Fondazioni socialiste e gli invitati Bandoli, Gianni e Damiano. Il presidente della Fondazione DI Vagno, Mastroleo e Luigi Fasce, segretario del GdV e del coordinamento del NSE, hanno inviato contributi scritti.
Alla conclusione dei lavori si è deciso che i relatori si costituiscano in gruppo di lavoro permanente per organizzare la conferenza che si intitolerà, salvo diversa decisione “La Sinistra durante e oltre Monti: come si deve organizzare e con quali riferimenti europei, come deve essere, cosa deve proporre e sulla base di quali valori” per sottolineare che fin da ora si deve dare corpo ad una proposta programmatica della sinistra con la quale presentarsi alle elezioni e chiedere di governare il Paese. Sulla legge elettorale è netta la contrarietà ad un voto anticipato con la legge elettorale vigente, che presenta diversi profili di incostituzionalità. Al Convegno nazionale, da tenersi prima della tornata amministrativa di questa primavera ,saranno invitati i partiti PD, PSI e SEL ed anche della FDS, che si vogliano confrontare come sinistra di governo e le Fondazioni socialiste e di sinistra interessate. Altra decisione unanime è un’iniziativa nei confronti del PSE, per una sua trasformazione in un partito europeo transnazionale, cui possano aderire con diverse modalità, tutti coloro, singoli o associati, che condividano lo Statuto e la Dichiarazione dei Principi del PSE. . L’adesione al PSE anche del PD e di SEL oltre al PSI è un obiettivo condiviso, per innescare un processo di aggregazione di una sinistra italiana espressione del socialismo europeo. Il Gruppo di lavoro permanente può decidere di nominare un portavoce e di allargarsi con altri esponenti delle associazioni promotrici, delle Fondazioni o dei Partiti interlocutori, organizzandosi in sottogruppi con compiti specifici. Le associazioni promotrici assumono l’impegno di ritrovarsi con cadenza regolare prima della Conferenza sull’oggi e il domani della sinistra italiana.
Felice Besostri Gruppo di Volpedo
Franco Bartolomei Lega dei Socialisti
Lanfranco Turci Network per il Socialismo Europeo
Valdo Spini Movimento di Azione Laburista
Franco Astengo: La lettura dei giornali
LA LETTURA DEI GIORNALI
La lettura dei giornali rimane la preghiera dell’uomo moderno, il momento più significativa del confronto con le idee degli altri al di fuori dal frastuono ridondante della canea televisiva e dall’ansia comunicativa del web, strumenti che pure siamo costretti a usare per relazionarci con il mondo.
Con questo spirito mi sono accinto anche oggi a sfogliare le pagine dei principali quotidiani italiani che ancora, ostinatamente, compro all’edicola rifiutandomi di consultarli on-line: una fredda mattinata di gennaio che conciliava la concentrazione sulle parole scritte.
Ho trovato, inavvertitamente, risaltare l’idea di questa nuova Italia messa in piedi dopo l’ubriacatura populista degli anni scorsi: un’Italia dominata davvero da un’élite, fredda, determinata, che ha in mente soprattutto ed essenzialmente la conservazione del potere per la propria casta di lontani e d’intoccabili, non più la “casta” arraffona e sconclusionata dei presunti “nominati” dal popolo, ma una sorta di “governo dei filosofi”, di nuovi mandarini, algidi chirurghi della dinamica sociale.
L’impressione più netta, in questo senso, si ricava dall’intervista di un professore, che si cimenta talvolta anche a scrivere editoriali scendendo provvisoriamente dal suo empireo, sul tema del riconoscimento legale del titolo di studio anzi della laurea, unico titolo di studio degno di essere riconosciuto come tale (le fatiche del maestro Manzi per insegnare a tutta l’Italia a leggere e a scrivere, il lavoro di formidabile acculturazione collettiva compiuto dai grandi partiti di massa nell’Italia del dopoguerra, la scuola media unica e l’accesso libero alle facoltà universitarie appaiono ormai spettri lontani della ricerca di un dannoso egualitarismo culturale).
Ebbene due passaggi di quell’intervista sono significativi.
Laddove si sostiene che la prima domanda da rivolgere a un laureato è: dove ti sei laureato? Presupponendo la risposta in Serie A, o B o C? Come se la scelta dipendesse dal merito o non dalle opportunità di partenza, dalle disponibilità logistiche, dalle condizioni economiche della famiglia, dalla posizione sociale di papà, insomma da tutte quelle che cose che sappiamo, che compongono materialmente le scelte dei nostri giovani, ben al di là della bravura soggettiva.
Si torna, quindi, alla distinzione di classe fin dentro l’Università, figuriamoci fuori nella concezione della idea del feroce darwinismo sociale che anima queste persone.
Senza contare il disprezzo che si esprime, sempre nelle parole di questo professore, per i vigili urbani che si iscrivono a scienze politiche e magari, aggiungo, anche per le bidelle che si laureano in psicologia.
Il secondo passaggio può essere così virgolettato “Il governo decida, non stia a sentire la gente”. E’ inutile commentare la concezione della democrazia che emerge da questa affermazione.
Dalla crisi emerge così questo nuovo notabilitato che ha preso in mano le redini del Paese guardando all’Europa dei tecnocrati, non tenendo in alcun conto la fatica del popolo, di chi suda il proprio lavoro, di chi cerca di ritrovare una propria dignità sociale nello studio: l’idea appare proprio quella di un’Italia divisa tra un ceto assiso, per meriti imperscrutabili, sulla loggia del potere e un’Italia situata in basso, china all’opra tacendo, senza possibilità di risalire, far sentire la propria voce, esprimere l’aspirazione alla solidarietà e all’eguaglianza.
Un’Italia senza voce e volto, dominata da una corte di professori in toga che decidono senza interrogare.
Su questo stato di cose, molto concreto, la sinistra italiana non ha nulla da opporre se non un chiassoso movimentismo o un pallido appoggio per tentare di mantenere comunque una fetta di apparente potere da spartire al tavolo dei nuovi dominatori?
Forse sarebbe il caso di ragionare nuovamente in termini di “classe”, perché da qualunque parte la si rigiri di questo trattasi, almeno fino a prova contraria.
Grazie per l’attenzione
Savona, li 28 gennaio 2012 Franco Astengo
La lettura dei giornali rimane la preghiera dell’uomo moderno, il momento più significativa del confronto con le idee degli altri al di fuori dal frastuono ridondante della canea televisiva e dall’ansia comunicativa del web, strumenti che pure siamo costretti a usare per relazionarci con il mondo.
Con questo spirito mi sono accinto anche oggi a sfogliare le pagine dei principali quotidiani italiani che ancora, ostinatamente, compro all’edicola rifiutandomi di consultarli on-line: una fredda mattinata di gennaio che conciliava la concentrazione sulle parole scritte.
Ho trovato, inavvertitamente, risaltare l’idea di questa nuova Italia messa in piedi dopo l’ubriacatura populista degli anni scorsi: un’Italia dominata davvero da un’élite, fredda, determinata, che ha in mente soprattutto ed essenzialmente la conservazione del potere per la propria casta di lontani e d’intoccabili, non più la “casta” arraffona e sconclusionata dei presunti “nominati” dal popolo, ma una sorta di “governo dei filosofi”, di nuovi mandarini, algidi chirurghi della dinamica sociale.
L’impressione più netta, in questo senso, si ricava dall’intervista di un professore, che si cimenta talvolta anche a scrivere editoriali scendendo provvisoriamente dal suo empireo, sul tema del riconoscimento legale del titolo di studio anzi della laurea, unico titolo di studio degno di essere riconosciuto come tale (le fatiche del maestro Manzi per insegnare a tutta l’Italia a leggere e a scrivere, il lavoro di formidabile acculturazione collettiva compiuto dai grandi partiti di massa nell’Italia del dopoguerra, la scuola media unica e l’accesso libero alle facoltà universitarie appaiono ormai spettri lontani della ricerca di un dannoso egualitarismo culturale).
Ebbene due passaggi di quell’intervista sono significativi.
Laddove si sostiene che la prima domanda da rivolgere a un laureato è: dove ti sei laureato? Presupponendo la risposta in Serie A, o B o C? Come se la scelta dipendesse dal merito o non dalle opportunità di partenza, dalle disponibilità logistiche, dalle condizioni economiche della famiglia, dalla posizione sociale di papà, insomma da tutte quelle che cose che sappiamo, che compongono materialmente le scelte dei nostri giovani, ben al di là della bravura soggettiva.
Si torna, quindi, alla distinzione di classe fin dentro l’Università, figuriamoci fuori nella concezione della idea del feroce darwinismo sociale che anima queste persone.
Senza contare il disprezzo che si esprime, sempre nelle parole di questo professore, per i vigili urbani che si iscrivono a scienze politiche e magari, aggiungo, anche per le bidelle che si laureano in psicologia.
Il secondo passaggio può essere così virgolettato “Il governo decida, non stia a sentire la gente”. E’ inutile commentare la concezione della democrazia che emerge da questa affermazione.
Dalla crisi emerge così questo nuovo notabilitato che ha preso in mano le redini del Paese guardando all’Europa dei tecnocrati, non tenendo in alcun conto la fatica del popolo, di chi suda il proprio lavoro, di chi cerca di ritrovare una propria dignità sociale nello studio: l’idea appare proprio quella di un’Italia divisa tra un ceto assiso, per meriti imperscrutabili, sulla loggia del potere e un’Italia situata in basso, china all’opra tacendo, senza possibilità di risalire, far sentire la propria voce, esprimere l’aspirazione alla solidarietà e all’eguaglianza.
Un’Italia senza voce e volto, dominata da una corte di professori in toga che decidono senza interrogare.
Su questo stato di cose, molto concreto, la sinistra italiana non ha nulla da opporre se non un chiassoso movimentismo o un pallido appoggio per tentare di mantenere comunque una fetta di apparente potere da spartire al tavolo dei nuovi dominatori?
Forse sarebbe il caso di ragionare nuovamente in termini di “classe”, perché da qualunque parte la si rigiri di questo trattasi, almeno fino a prova contraria.
Grazie per l’attenzione
Savona, li 28 gennaio 2012 Franco Astengo
sabato 28 gennaio 2012
venerdì 27 gennaio 2012
Giorgio Ruffolo: Marx aveva capito tutto
«Marx aveva capito tutto. Vince l’avidità economica»
intervista all'economista Giorgio Ruffolo, a cura di Bruno Gravagnuolo
«Per ricostruire i suoi margini di profitto il capitalismo si è liberato di tutti i lacci. Da qui il debito sovrano incontrollato. Il problema è che manca l’Europa politica»
«Ci vogliono riforme profonde, rivoluzionarie, per tirarsi fuori da questa crisi. Che ha un nome ben preciso: crisi del capitalismo manageriale monetario». Allarme radicale, persino impensato, quello di Giorgio Ruffolo, economista ed esponente di punta del riformismo italiano. Che fa corpo con un'analisi anticipata nel finale del suo ultimo libro: Testa e croce. Una breve storia della moneta (Einaudi, pp. 176, Euro 17). La tesi: la liquidità finanziaria, in moneta e titoli, si autoalimenta, e «scommette» su di sé. Divaricandosi dai beni e dai servizi reali. Fino al crollo e al contagio dopo la vertigine. Che inghiottono inunvortice globale risparmiatori, economia e stati. Inclusa la crisi del debito italiano.
Bene, come raddrizzare la barra? Quali contromisure anticicliche? E poi: va bene Monti? O ci vuole dell’altro? E sinistra e centrosinistra, come devono muoversi in questo scenario? Sentiamo Ruffolo.
Ruffolo, tutti parlano di crisi del capitalismo, dall'Economist a Tremonti, passando per una selva di economisti. Però le politiche sono sempre quelle: rigore e correttivi finanziari. Dunque solo geremie moralistiche?
«Attenzione, c’è una crisi di legittimazione e di consenso sociale. Sicché anche l'aspetto etico conta, come un tempo nelle dispute tra gli avversari cristiani del capitalismo avido e i suoi apologeti settecenteschi. Il punto è che l'avidità economica fine a se stessa ha preso oggi il sopravvento. Ma senza mostrare i benefici della prosperità, come nel capitalismo industriale di un tempo, e nel capitalismo manageriale successivo....».
Un'inversione mezzi-fini. È questo che è accaduto?
«Esatto. Prima la finanza convogliava i risparmi verso gli investimenti. Con l'avvento del terzo capitalismo, quello monetario, la finanza si rivolge a sé stessa, cresce e scommette su di sé. E il circuito risparmi-investimenti si capovolge in impieghi speculativi. Un circolo vizioso, che penalizza la produzione, crea impoverimento e genera fenomeni simili alla grande depressione del 1929. Con una fondamentale differenza...».
Quale?
«Allora la crisi fu causata dalla sfasatura tra sovrapproduzione e sottoconsumo. Concrollo dei titoli azionari, aumento dei prezzi e inflazione. Oggi, ad accendere la miccia è stata l'inflazione finanziaria. Cioè l’aumento della liquidità totale, comprensiva di moneta e titoli. Nel 2007 tale ammontare di liquidità eccedeva di ben 12 volte il Pnl mondiale! Non sono aumentati i prezzi dei beni, bensì i prezzi dei titoli, sopravavalutati all’eccesso. Fino allo scoppio finale della bolla negli Usa».
Si è inventata e venduta ricchezza per accorgersi che non c’era?
«Già. In passato l’aumento dei prezzi frenava la domanda, ristabilendo un possibile equilibrio tra massa di prodotti e prezzi. L'inflazione era una spia. Con la finanza globale tutto è molto più pericoloso. Perché quando il prezzo dei titoli cresce, pompato dalle agenzie di rating e dalle banche, la gente acquista in massa titoli sul nulla. Titoli sorretti da credito al consumo e mutui, dunque da debiti. Che vengono rinnovati e crescono. Fino all'impossibilità di onorarli e al crollo, annunciato da vendite al ribasso che travolgono tutti: risparmiatori, imprese e proprietari di case ipotecate. Altro che distruzione creatrice!».
Colpa del capitalismo liberista giunto all’acme finanziario,oanchediwelfare states troppo indebitati?
«La colpa è stata delle disuguaglianze, alimentate da un capitalismo che per ricostruire i suoi margini di profitto s'è liberato di lacci e lacciuoli. Ristrutturandosi, e comprimendo salari e occupazione. E così, dopo gli anni 70, invece di redistribuire senza sprechi e rilanciare gli investimenti, si è scelta la strada dell’indebitamento pubblico e privato. Per ricostruire la domanda e sostenerla. La conseguenza è stata il debito sovrano incontrollato. E il ruolo egemone della finanza mondiale nel valutarlo e gestirlo».
Un certo Marx lo aveva detto: a un certo punto il capitalismosi indebita, invoca la finanza e vi si mescola. E scarica tutto sulle spalle dello stato...
«Marx aveva capito quasi tutto. Incluso il passaggio dal capitalismo industriale e manageriale, a quello finanziario, con le sue logiche autodistruttive. Aggiungerei un certo Braudel, che parla di autunno del capitalismo nella fase finanziaria».
Veniamo al che fare. Nel suo ultimo libro Lei parla addirittura di "decumulo monetario", in chiave anti-finanza. Che cos’è?
«Significa fermare la bolla. E ripristinare l'equilibrio tra beni e moneta. Penalizzando l’accumulo di titoli e denaro, riconducendo quest’ultimo a mezzo di pagamento e investimento. Vuol dire Tobin Tax, far costare di più le transazioni, e ricondure le banche alla loro funzione di sostegno alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. Insieme però ci vuole una politica in grado di indicare obiettivi generali. La piena occupazione innanzitutto. E il rilancio della domanda di beni e servizi non effimeri. Con particolare attenzione all’ambiente, che non è un vincolo ma un moltiplicatore di crescita. Sia in termini di qualità della vita, che come innovazione tecnologica ad alto valore aggiunto».
Lei auspica una sorta di comandopolitico sull’accumulazione economica. Quasi aplasmare il capitalismo oltrese stesso.Macomesi fa con «questa» Europa?
«Il problema è lì. Manca l'Europa. Manca la Banca centrale in funzione anticiclica. Mancano gli Eurobond. Manca un ver parlamento sovrano. In una parola, manca l'Europa politica».
E Monti, rispetto a tutto questo, sta facendo bene o male?
«Ha fatto nell'immediato, le uniche cose possibili. Frenare l’indebitamento e ricostruire l’onorabilità dell’Italia in Europa. Ma non si vedono ancora le scelte nuove ed essenziali: rilancio della domanda e redistribuzione. È su questo che Monti deve concentrarsi».
Chiede cose di sinistra a un governo che non lo è...
«È un paradosso. Ma lo uso per esortare la sinistra a sostenere questo governo in autonomia. E a battersi al suo interno oggi, per le cose da fare domani».
Fonte: l'Unità del 27 gennaio 2012, pagg. 18-19
intervista all'economista Giorgio Ruffolo, a cura di Bruno Gravagnuolo
«Per ricostruire i suoi margini di profitto il capitalismo si è liberato di tutti i lacci. Da qui il debito sovrano incontrollato. Il problema è che manca l’Europa politica»
«Ci vogliono riforme profonde, rivoluzionarie, per tirarsi fuori da questa crisi. Che ha un nome ben preciso: crisi del capitalismo manageriale monetario». Allarme radicale, persino impensato, quello di Giorgio Ruffolo, economista ed esponente di punta del riformismo italiano. Che fa corpo con un'analisi anticipata nel finale del suo ultimo libro: Testa e croce. Una breve storia della moneta (Einaudi, pp. 176, Euro 17). La tesi: la liquidità finanziaria, in moneta e titoli, si autoalimenta, e «scommette» su di sé. Divaricandosi dai beni e dai servizi reali. Fino al crollo e al contagio dopo la vertigine. Che inghiottono inunvortice globale risparmiatori, economia e stati. Inclusa la crisi del debito italiano.
Bene, come raddrizzare la barra? Quali contromisure anticicliche? E poi: va bene Monti? O ci vuole dell’altro? E sinistra e centrosinistra, come devono muoversi in questo scenario? Sentiamo Ruffolo.
Ruffolo, tutti parlano di crisi del capitalismo, dall'Economist a Tremonti, passando per una selva di economisti. Però le politiche sono sempre quelle: rigore e correttivi finanziari. Dunque solo geremie moralistiche?
«Attenzione, c’è una crisi di legittimazione e di consenso sociale. Sicché anche l'aspetto etico conta, come un tempo nelle dispute tra gli avversari cristiani del capitalismo avido e i suoi apologeti settecenteschi. Il punto è che l'avidità economica fine a se stessa ha preso oggi il sopravvento. Ma senza mostrare i benefici della prosperità, come nel capitalismo industriale di un tempo, e nel capitalismo manageriale successivo....».
Un'inversione mezzi-fini. È questo che è accaduto?
«Esatto. Prima la finanza convogliava i risparmi verso gli investimenti. Con l'avvento del terzo capitalismo, quello monetario, la finanza si rivolge a sé stessa, cresce e scommette su di sé. E il circuito risparmi-investimenti si capovolge in impieghi speculativi. Un circolo vizioso, che penalizza la produzione, crea impoverimento e genera fenomeni simili alla grande depressione del 1929. Con una fondamentale differenza...».
Quale?
«Allora la crisi fu causata dalla sfasatura tra sovrapproduzione e sottoconsumo. Concrollo dei titoli azionari, aumento dei prezzi e inflazione. Oggi, ad accendere la miccia è stata l'inflazione finanziaria. Cioè l’aumento della liquidità totale, comprensiva di moneta e titoli. Nel 2007 tale ammontare di liquidità eccedeva di ben 12 volte il Pnl mondiale! Non sono aumentati i prezzi dei beni, bensì i prezzi dei titoli, sopravavalutati all’eccesso. Fino allo scoppio finale della bolla negli Usa».
Si è inventata e venduta ricchezza per accorgersi che non c’era?
«Già. In passato l’aumento dei prezzi frenava la domanda, ristabilendo un possibile equilibrio tra massa di prodotti e prezzi. L'inflazione era una spia. Con la finanza globale tutto è molto più pericoloso. Perché quando il prezzo dei titoli cresce, pompato dalle agenzie di rating e dalle banche, la gente acquista in massa titoli sul nulla. Titoli sorretti da credito al consumo e mutui, dunque da debiti. Che vengono rinnovati e crescono. Fino all'impossibilità di onorarli e al crollo, annunciato da vendite al ribasso che travolgono tutti: risparmiatori, imprese e proprietari di case ipotecate. Altro che distruzione creatrice!».
Colpa del capitalismo liberista giunto all’acme finanziario,oanchediwelfare states troppo indebitati?
«La colpa è stata delle disuguaglianze, alimentate da un capitalismo che per ricostruire i suoi margini di profitto s'è liberato di lacci e lacciuoli. Ristrutturandosi, e comprimendo salari e occupazione. E così, dopo gli anni 70, invece di redistribuire senza sprechi e rilanciare gli investimenti, si è scelta la strada dell’indebitamento pubblico e privato. Per ricostruire la domanda e sostenerla. La conseguenza è stata il debito sovrano incontrollato. E il ruolo egemone della finanza mondiale nel valutarlo e gestirlo».
Un certo Marx lo aveva detto: a un certo punto il capitalismosi indebita, invoca la finanza e vi si mescola. E scarica tutto sulle spalle dello stato...
«Marx aveva capito quasi tutto. Incluso il passaggio dal capitalismo industriale e manageriale, a quello finanziario, con le sue logiche autodistruttive. Aggiungerei un certo Braudel, che parla di autunno del capitalismo nella fase finanziaria».
Veniamo al che fare. Nel suo ultimo libro Lei parla addirittura di "decumulo monetario", in chiave anti-finanza. Che cos’è?
«Significa fermare la bolla. E ripristinare l'equilibrio tra beni e moneta. Penalizzando l’accumulo di titoli e denaro, riconducendo quest’ultimo a mezzo di pagamento e investimento. Vuol dire Tobin Tax, far costare di più le transazioni, e ricondure le banche alla loro funzione di sostegno alla crescita e alla creazione di posti di lavoro. Insieme però ci vuole una politica in grado di indicare obiettivi generali. La piena occupazione innanzitutto. E il rilancio della domanda di beni e servizi non effimeri. Con particolare attenzione all’ambiente, che non è un vincolo ma un moltiplicatore di crescita. Sia in termini di qualità della vita, che come innovazione tecnologica ad alto valore aggiunto».
Lei auspica una sorta di comandopolitico sull’accumulazione economica. Quasi aplasmare il capitalismo oltrese stesso.Macomesi fa con «questa» Europa?
«Il problema è lì. Manca l'Europa. Manca la Banca centrale in funzione anticiclica. Mancano gli Eurobond. Manca un ver parlamento sovrano. In una parola, manca l'Europa politica».
E Monti, rispetto a tutto questo, sta facendo bene o male?
«Ha fatto nell'immediato, le uniche cose possibili. Frenare l’indebitamento e ricostruire l’onorabilità dell’Italia in Europa. Ma non si vedono ancora le scelte nuove ed essenziali: rilancio della domanda e redistribuzione. È su questo che Monti deve concentrarsi».
Chiede cose di sinistra a un governo che non lo è...
«È un paradosso. Ma lo uso per esortare la sinistra a sostenere questo governo in autonomia. E a battersi al suo interno oggi, per le cose da fare domani».
Fonte: l'Unità del 27 gennaio 2012, pagg. 18-19
spazio lib-lab » Considerazioni sulla transizione italiana: il governo Monti non è da vedere come un male necessario, ma semplicemente come la massima discontinuità oggi possibile.
Peppe Giudice: PSE, Socialdemocrazia di sinistra, sinistra "radicale" e SEL
Pse, socialdemocrazia di sinistra , sinistra “radicale” e …SEL
Il compagno Nichi Vendola ha affermato che il suo sogno è “rimescolare” le tre famiglie della sinistra europea : socialisti, “sinistra europea- GUE, verdi.
Sappiamo tutti però che le scelte politiche sono una cosa , i sogni un’altra cosa. Fra 10 o 15 anni la composizione della sinistra in Europa sarà probabilmente diversa. Ma dobbiamo fare i conti con quella che c’è oggi e sulla base di questo compiere le scelte. Ed oggi la scelta tra Pse e Gue non è la stessa cosa poiché implica, oggi, due scelte strategiche differenti.
Ma cerchiamo di analizzare meglio il rapporto tra socialisti e socialdemocratici europei con le forze che stanno alla sua sinistra.
Nella GUE e nella “sinistra europea”, a mio avviso, c’è una grande eterogeneità di elementi culturali, ideologici e politici da rendere impossibile una strategia comune. In secondo luogo, questi sono formazioni politiche fortemente minoritarie. Il loro consenso medio è intorno a 5-7%. E sono minoritari non solo per consenso elettorale ma per loro profonda vocazione: essi puntano ad intercettare segmenti marginali ed appunto minoritari della società europea.
Costruire una alternativa politica e di progetto sociale al modello economico e sociale del capitalismo liberista non è certo possibile con il minoritarismo politico e sociale. Esso ha bisogno di un soggetto politico largo e dotato di una missione storica definita anche dal suo radicamento sociale e dalla sua memoria. Un soggetto in grado di aggregare un fronte progressista ampio che dovrà poggiare sul blocco sociale (potenzialmente maggioritario) che ha interesse a sconfiggere il liberismo ed il modello di relazioni sociali che esso produce.
Ho più volte sottolineato che, in Italia, c’è un antico pregiudizio sulla socialdemocrazia. E che su questo pregiudizio pesa molto l’ignoranza, la assenza di una corretta informazione, e la lunga egemonia comunista sulla sinistra. Anche se il PCI alla fine degli anni 70 cercò di costruire un sistema di relazioni con le principali socialdemocrazie europee, il pregiudizio rimase, né è testimonianza il pensiero di Berlinguer che si concretizza nell’idea di III via ed Eurocomunismo.
In realtà, ad una attenta analisi storica degli ultimi 60 anni, il socialismo democratico in Europa rappresenta la forza che maggiormente ha contribuito a modificare i rapporti di forza a favore del lavoratori e dei ceti popolari nelle democrazie dell’occidente. Il modello sociale europeo che noi oggi vogliamo difendere con le unghie e con i denti, è , in larghissima parte, frutto delle politiche socialdemocratiche. Di contro abbiamo il fallimento totale del socialismo reale.
Però io individuo nelle socialdemocrazie due tendenze di fondo e parlo delle socialdemocrazie del dopoguerra.
La prima è una tendenza moderata. E’ stata molto ben incarnata da Helmut Schmidt in Germania. Per essi compito della socialdemocrazia è quello di una riforma del capitalismo stabile e protratta a lungo nel tempo. In questa idea l’obbiettivo del superamento e del trascendimento del capitalismo stesso è esclusa a priori. La degenerazione a destra di questa posizione, produrrà, dopo la rottura del compromesso keynesiano-socialdemocratico, i Tony Blair e gli Schroeder.
L’altra posizione invece vede il socialismo democratico quale prospettiva di trascendimento del capitalismo nel lungo periodo. In questa prospettiva sono certamente possibili compromessi con il capitalismo e riforme di esso, ma queste sono comunque inquadrate in una missione storica che oltrepassa l’orizzonte del capitalismo. E quindi il socialismo ha una ragione strutturalmente conflittuale ed antagonista al capitalismo, ed è proprio in virtù di tale ragione che antagonista può produrre compromessi di alto profilo e riforme strutturali. In virtù della consapevolezza che il capitalismo stesso è un sistema intrinsecamente contraddittorio. Ma il socialismo è anche un ideale etico che postula la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione. Etica ed analisi storica e sociale dei rapporti di forza sono strettamente intrecciati nel socialismo democratico.
Questa seconda posizione che possiamo definire di socialdemocrazia di sinistra o radicale (nel senso che mantiene intatte il collegamento con le radici del pensiero socialista) la troviamo in Brandt, In Kreisky, in Attlee, in Olof Palme ed in Italia nell’autonomismo socialista di Lombardi, De Martino e Giolitti. In Italia il Psi non aveva certo né il radicamento, né tantomeno la forza elettorale della socialdemocrazia europea. Però il socialismo autonomista degli anni 60 in virtù della convergenza con l’ala sinistra della DC riuscì a realizzare la più importante stagione riformatrice della storia repubblicana.
La crisi della socialdemocrazia inizia nel momento in cui la riorganizzazione della fabbrica capitalistica e la liberalizzazione e la deregulation dei movimenti di capitale intaccano il compromesso keynesiano. L’uso capitalistico delle nuove tecnologie modifica i rapporti di forza tra capitale e lavoro – ma in misura assai diversa da area ad area: è massima questa modifica nei paesi anglosassoni (Usa e Inghilterra) , minima o inesistente nel Nord Europa o Austria dove permane la presenza di una socialdemocrazia e di un sindacato fortissimi.
Quindi gli anni 80 sono di transizione. E’ negli anni 90 che esplode la crisi della sinistra.
La crisi è il frutto della “globalofilia” della destra socialdemocratica e dei postcomunisti italiani.
Quando si dice che tutta la socialdemocrazia europea si è piegata agli imperativi del neoliberismo si dice una grossa sciocchezza tipica di chi non conosce il profondo travaglio ed il dibattito che ha attraversato il socialismo europeo degli anni 90. Chi in quel periodo era abbonato alle “Ragioni del Socialismo” (che pubblicava i resoconti dei congressi socialisti in Europa) conosce bene il contenuto di quei dibattiti.
Se certo il Labour di Blair fu quello che ebbe la maggiore deriva (ma al cui interno c’erano comunque figure come Livingstone, l’allora sindaco di Londra) nella SPD il dibattito era molto forte tra Lafontaine e Schroeder. Il Ps francese, in larga maggioranza, era radicalmente critico delle posizioni di Blair. E questo dibattito forte si riproduceva in quasi tutti gli altri partiti.
Ma quale era l’oggetto del contendere? Lafontaine e i socialisti francesi erano fortemente critici per il modo in cui stava andando avanti la globalizzazione con forme di De-regulation promosse spesso da quell’Ulivo Mondiale (Clinton, Blair, Prodi) che era il sogno di Veltroni e di pezzo consistente dei DS. Ricordo bene che Lafontaine e molti altri socialisti erano contrari all’ingresso di paesi come la Cina nel WTO, senza aver sottoscritto precise clausole sociali.
E furono accusati di “protezionismo” e conservatorismo ideologico. Ma avevano ragione. Se fai entrare paesi dove non c’è democrazia, non c’è rispetto dei diritti sindacali, spesso non esiste neanche il diritto ad organizzarsi sindacalmente, dove è permesso lo sfruttamento del lavoro minorile, è ovvio che si favorisce la delocalizzazione, la concorrenza fondata sulla massimizzazione dello sfruttamento del lavoro. E favorisci il dominio incontrollato del turbo-capitalismo, che ha un altro sostegno dalla parallela ulteriore deregulation dei mercati finanziari.
Se l’Europa Continentale avesse unitamente detto no in modo netto alle imposizioni di Clinton e Blair (sostenuti da Prodi) la storia avrebbe preso una piega diversa. Ed evidenziato la insanabile divaricazione dell’Occidente tra Europa Continentale e mondo anglosassone.
Io ho un solo appunto da fare a Lafontaine: quello di avere abbandonatoil partito e di non aver condotto una battaglia interna che avrebbe vinto contro Schroeder (il quale aveva una maggioranza risicata e non stabile). Ed aver fatto , dopo, un partito come la Linke che alla fine ha sdoganato gli ex comunisti dell’Est ( l’elettorato socialdemocratico dell’Ovest li vede come il fumo negli occhi) . E che non poteva certo sostituire la funzione della socialdemocrazia. Lo dimostra il fatto che la Linke all’Ovest non va oltre il 4% o il 5%. All’est è l’espressione di una sorta di Lega della ex Germania Est, all’Ovest non è un partito socialista, ma di punk, fricchettoni, sbiellati vari di sinistra.
E certo il destino della Linke non è diverso da quello di altri partiti della GUE. I quali hanno scarsissima presa elettorale tra la classe operaia (che comunque vota in larga misura i socialisti) ed i ceti popolari. Anzi questa sinistra radicale-movimentista tende a rappresentare gli strati più “liquidi” della “società liquida”
Il concetto di società liquida non mi convince del tutto, perché (come ricordava Paolo Borioni) dà l’idea di un processo naturale e quasi irreversibile. Il passaggio tra due stati fisici in base alla variazione della temperatura.
In effetti quella che viene chiamata “società liquida” è il prodotto , magari indiretto, di ben precisi rapporti di potere nella economia e nella società su cui poggia una ben precisa egemonia culturale.
Dopo l’89, la sinistra radicale diventa sempre più a-ideologica, de-costruzionista e tendente a far proprio tutto il bagaglio neo-ideologico del postmoderno. E’ quindi una sinistra della emozionalità, delle passioni tristi, degli umori cangianti. E’ una sinistra potenzialmente antipolitica: rifiuta la politica perché luogo della mediazione; quest’ultima è rifiutata in nome dell’immediatezza emozionale. E’ una sinistra che è tenuta insieme dal leaderismo. Rifondazione un Italia lo ha ampiamente dimostrato. E questo aspetto negativo, Vendola lo ha purtroppo riversato in SeL.
E’ evidente che non tutta questa sinistra in Europa è catalogabile secondo i canoni sopra descritti. Nondimeno essi sono prevalenti. E del resto l’insediamento elettorale lo dimostra in modo inequivocabile.
E’ evidente che questa sinistra non sarà mai in grado di costruire una alternativa al modello liberista.
Oggi è solo nel recupero delle radici profonde del socialismo democratico che possiamo rilanciare la sinistra in Europa e costruire un progetto di trasformazione sociale serio che metta alle nostre spalle il modello liberista.
Credo che SeL di questo debba rendersi conto. L’adesione al PSE implica l’adesione ad un progetto strategico che non è sovrapponibile con altri. Non per vecchie ragioni ideologico-identitarie : semplicemente perché un progetto di socialismo democratico è un progetto che tende a costruire un consenso maggioritario e vincente su una alternativa in positivo al capitalismo liberista. Ed il consenso maggioritario tende a crearlo non con una leadeship carismatica ma ricostruendo un forte soggetto politico collettivo, intorno ad un altrettanto forte progetto.
Il tema dell’adesione di SeL al Pse è quindi strettamente legato al necessario passaggio da partito del leader a soggetto collettivo.
PEPPE GIUDICE
Il compagno Nichi Vendola ha affermato che il suo sogno è “rimescolare” le tre famiglie della sinistra europea : socialisti, “sinistra europea- GUE, verdi.
Sappiamo tutti però che le scelte politiche sono una cosa , i sogni un’altra cosa. Fra 10 o 15 anni la composizione della sinistra in Europa sarà probabilmente diversa. Ma dobbiamo fare i conti con quella che c’è oggi e sulla base di questo compiere le scelte. Ed oggi la scelta tra Pse e Gue non è la stessa cosa poiché implica, oggi, due scelte strategiche differenti.
Ma cerchiamo di analizzare meglio il rapporto tra socialisti e socialdemocratici europei con le forze che stanno alla sua sinistra.
Nella GUE e nella “sinistra europea”, a mio avviso, c’è una grande eterogeneità di elementi culturali, ideologici e politici da rendere impossibile una strategia comune. In secondo luogo, questi sono formazioni politiche fortemente minoritarie. Il loro consenso medio è intorno a 5-7%. E sono minoritari non solo per consenso elettorale ma per loro profonda vocazione: essi puntano ad intercettare segmenti marginali ed appunto minoritari della società europea.
Costruire una alternativa politica e di progetto sociale al modello economico e sociale del capitalismo liberista non è certo possibile con il minoritarismo politico e sociale. Esso ha bisogno di un soggetto politico largo e dotato di una missione storica definita anche dal suo radicamento sociale e dalla sua memoria. Un soggetto in grado di aggregare un fronte progressista ampio che dovrà poggiare sul blocco sociale (potenzialmente maggioritario) che ha interesse a sconfiggere il liberismo ed il modello di relazioni sociali che esso produce.
Ho più volte sottolineato che, in Italia, c’è un antico pregiudizio sulla socialdemocrazia. E che su questo pregiudizio pesa molto l’ignoranza, la assenza di una corretta informazione, e la lunga egemonia comunista sulla sinistra. Anche se il PCI alla fine degli anni 70 cercò di costruire un sistema di relazioni con le principali socialdemocrazie europee, il pregiudizio rimase, né è testimonianza il pensiero di Berlinguer che si concretizza nell’idea di III via ed Eurocomunismo.
In realtà, ad una attenta analisi storica degli ultimi 60 anni, il socialismo democratico in Europa rappresenta la forza che maggiormente ha contribuito a modificare i rapporti di forza a favore del lavoratori e dei ceti popolari nelle democrazie dell’occidente. Il modello sociale europeo che noi oggi vogliamo difendere con le unghie e con i denti, è , in larghissima parte, frutto delle politiche socialdemocratiche. Di contro abbiamo il fallimento totale del socialismo reale.
Però io individuo nelle socialdemocrazie due tendenze di fondo e parlo delle socialdemocrazie del dopoguerra.
La prima è una tendenza moderata. E’ stata molto ben incarnata da Helmut Schmidt in Germania. Per essi compito della socialdemocrazia è quello di una riforma del capitalismo stabile e protratta a lungo nel tempo. In questa idea l’obbiettivo del superamento e del trascendimento del capitalismo stesso è esclusa a priori. La degenerazione a destra di questa posizione, produrrà, dopo la rottura del compromesso keynesiano-socialdemocratico, i Tony Blair e gli Schroeder.
L’altra posizione invece vede il socialismo democratico quale prospettiva di trascendimento del capitalismo nel lungo periodo. In questa prospettiva sono certamente possibili compromessi con il capitalismo e riforme di esso, ma queste sono comunque inquadrate in una missione storica che oltrepassa l’orizzonte del capitalismo. E quindi il socialismo ha una ragione strutturalmente conflittuale ed antagonista al capitalismo, ed è proprio in virtù di tale ragione che antagonista può produrre compromessi di alto profilo e riforme strutturali. In virtù della consapevolezza che il capitalismo stesso è un sistema intrinsecamente contraddittorio. Ma il socialismo è anche un ideale etico che postula la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione. Etica ed analisi storica e sociale dei rapporti di forza sono strettamente intrecciati nel socialismo democratico.
Questa seconda posizione che possiamo definire di socialdemocrazia di sinistra o radicale (nel senso che mantiene intatte il collegamento con le radici del pensiero socialista) la troviamo in Brandt, In Kreisky, in Attlee, in Olof Palme ed in Italia nell’autonomismo socialista di Lombardi, De Martino e Giolitti. In Italia il Psi non aveva certo né il radicamento, né tantomeno la forza elettorale della socialdemocrazia europea. Però il socialismo autonomista degli anni 60 in virtù della convergenza con l’ala sinistra della DC riuscì a realizzare la più importante stagione riformatrice della storia repubblicana.
La crisi della socialdemocrazia inizia nel momento in cui la riorganizzazione della fabbrica capitalistica e la liberalizzazione e la deregulation dei movimenti di capitale intaccano il compromesso keynesiano. L’uso capitalistico delle nuove tecnologie modifica i rapporti di forza tra capitale e lavoro – ma in misura assai diversa da area ad area: è massima questa modifica nei paesi anglosassoni (Usa e Inghilterra) , minima o inesistente nel Nord Europa o Austria dove permane la presenza di una socialdemocrazia e di un sindacato fortissimi.
Quindi gli anni 80 sono di transizione. E’ negli anni 90 che esplode la crisi della sinistra.
La crisi è il frutto della “globalofilia” della destra socialdemocratica e dei postcomunisti italiani.
Quando si dice che tutta la socialdemocrazia europea si è piegata agli imperativi del neoliberismo si dice una grossa sciocchezza tipica di chi non conosce il profondo travaglio ed il dibattito che ha attraversato il socialismo europeo degli anni 90. Chi in quel periodo era abbonato alle “Ragioni del Socialismo” (che pubblicava i resoconti dei congressi socialisti in Europa) conosce bene il contenuto di quei dibattiti.
Se certo il Labour di Blair fu quello che ebbe la maggiore deriva (ma al cui interno c’erano comunque figure come Livingstone, l’allora sindaco di Londra) nella SPD il dibattito era molto forte tra Lafontaine e Schroeder. Il Ps francese, in larga maggioranza, era radicalmente critico delle posizioni di Blair. E questo dibattito forte si riproduceva in quasi tutti gli altri partiti.
Ma quale era l’oggetto del contendere? Lafontaine e i socialisti francesi erano fortemente critici per il modo in cui stava andando avanti la globalizzazione con forme di De-regulation promosse spesso da quell’Ulivo Mondiale (Clinton, Blair, Prodi) che era il sogno di Veltroni e di pezzo consistente dei DS. Ricordo bene che Lafontaine e molti altri socialisti erano contrari all’ingresso di paesi come la Cina nel WTO, senza aver sottoscritto precise clausole sociali.
E furono accusati di “protezionismo” e conservatorismo ideologico. Ma avevano ragione. Se fai entrare paesi dove non c’è democrazia, non c’è rispetto dei diritti sindacali, spesso non esiste neanche il diritto ad organizzarsi sindacalmente, dove è permesso lo sfruttamento del lavoro minorile, è ovvio che si favorisce la delocalizzazione, la concorrenza fondata sulla massimizzazione dello sfruttamento del lavoro. E favorisci il dominio incontrollato del turbo-capitalismo, che ha un altro sostegno dalla parallela ulteriore deregulation dei mercati finanziari.
Se l’Europa Continentale avesse unitamente detto no in modo netto alle imposizioni di Clinton e Blair (sostenuti da Prodi) la storia avrebbe preso una piega diversa. Ed evidenziato la insanabile divaricazione dell’Occidente tra Europa Continentale e mondo anglosassone.
Io ho un solo appunto da fare a Lafontaine: quello di avere abbandonatoil partito e di non aver condotto una battaglia interna che avrebbe vinto contro Schroeder (il quale aveva una maggioranza risicata e non stabile). Ed aver fatto , dopo, un partito come la Linke che alla fine ha sdoganato gli ex comunisti dell’Est ( l’elettorato socialdemocratico dell’Ovest li vede come il fumo negli occhi) . E che non poteva certo sostituire la funzione della socialdemocrazia. Lo dimostra il fatto che la Linke all’Ovest non va oltre il 4% o il 5%. All’est è l’espressione di una sorta di Lega della ex Germania Est, all’Ovest non è un partito socialista, ma di punk, fricchettoni, sbiellati vari di sinistra.
E certo il destino della Linke non è diverso da quello di altri partiti della GUE. I quali hanno scarsissima presa elettorale tra la classe operaia (che comunque vota in larga misura i socialisti) ed i ceti popolari. Anzi questa sinistra radicale-movimentista tende a rappresentare gli strati più “liquidi” della “società liquida”
Il concetto di società liquida non mi convince del tutto, perché (come ricordava Paolo Borioni) dà l’idea di un processo naturale e quasi irreversibile. Il passaggio tra due stati fisici in base alla variazione della temperatura.
In effetti quella che viene chiamata “società liquida” è il prodotto , magari indiretto, di ben precisi rapporti di potere nella economia e nella società su cui poggia una ben precisa egemonia culturale.
Dopo l’89, la sinistra radicale diventa sempre più a-ideologica, de-costruzionista e tendente a far proprio tutto il bagaglio neo-ideologico del postmoderno. E’ quindi una sinistra della emozionalità, delle passioni tristi, degli umori cangianti. E’ una sinistra potenzialmente antipolitica: rifiuta la politica perché luogo della mediazione; quest’ultima è rifiutata in nome dell’immediatezza emozionale. E’ una sinistra che è tenuta insieme dal leaderismo. Rifondazione un Italia lo ha ampiamente dimostrato. E questo aspetto negativo, Vendola lo ha purtroppo riversato in SeL.
E’ evidente che non tutta questa sinistra in Europa è catalogabile secondo i canoni sopra descritti. Nondimeno essi sono prevalenti. E del resto l’insediamento elettorale lo dimostra in modo inequivocabile.
E’ evidente che questa sinistra non sarà mai in grado di costruire una alternativa al modello liberista.
Oggi è solo nel recupero delle radici profonde del socialismo democratico che possiamo rilanciare la sinistra in Europa e costruire un progetto di trasformazione sociale serio che metta alle nostre spalle il modello liberista.
Credo che SeL di questo debba rendersi conto. L’adesione al PSE implica l’adesione ad un progetto strategico che non è sovrapponibile con altri. Non per vecchie ragioni ideologico-identitarie : semplicemente perché un progetto di socialismo democratico è un progetto che tende a costruire un consenso maggioritario e vincente su una alternativa in positivo al capitalismo liberista. Ed il consenso maggioritario tende a crearlo non con una leadeship carismatica ma ricostruendo un forte soggetto politico collettivo, intorno ad un altrettanto forte progetto.
Il tema dell’adesione di SeL al Pse è quindi strettamente legato al necessario passaggio da partito del leader a soggetto collettivo.
PEPPE GIUDICE
giovedì 26 gennaio 2012
Peppe Giudice: Sul seminario del 21 gennaio
Sul seminario del 21 Gennaio
Mi ritengo molto soddisfatto dell’incontro del 21 scorso a Roma, ospiti della Fondazione Nenni, tra le associazioni dell’area dei socialisti per la sinistra: Network per il Socialismo Europeo, Gruppo di Volpedo, Lega dei Socialisti, Mov. Az. Laburista di Spini, con la presenza di due significative Fondazioni di area, la Brodolini e la Bruno Buozzi. E con degli ospiti molto preziosi: Alfonso Gianni e Fulvia Bandoli di SeL e Cesare Damiano del PD.
Finalità dell’incontro non era quello di costruire un nuovo partitino né tantomeno di risolvere la irresolubile “diaspora del PSI”. Era piuttosto quello di dare un contributo di iniziativa politica e culturale, in una fase complessa e difficile, alla prospettiva di riempire il grande vuoto storico che ci consegna la II Repubblica: l'assenza di un partito del lavoro e del socialismo chiaramente collocato nel PSE e nella sua fase attuale di rinnovamento e riposizionamento a sinistra.
Le diverse associazioni hanno quindi convenuto sulla importanza di lavorare insieme su obbiettivi concreti: sviluppare iniziative di confronto e di dibattito nella sinistra. Iniziative che devono servire concretamente a costruire quel filo rosso che unisce coloro, che sia pure collocati in diversi partiti, lavorano per l’obbiettivo sopra esposto.
Noi infatti siamo perfettamente consapevoli che tutti gli attuali partiti della sinistra (o di quel che ne rimane) siano inadeguati al compito di dare rappresentanza politica al mondo del lavoro, alle istanze di giustizia sociale ed ad un compito straordinario di ricostruzione della democrazia dopo i profondi processi dissolutori della stessa che la II Repubblica ha attivato. Mario Tronti ha giustamente messo in evidenza come con la fine del governo Berlusconi si chiude quel lunghissimo periodo di infinita transizione chiamata II Repubblica e se ne apre un altro (certo con condizioni interne ed esterne difficilissime) in cui la politica potrebbe e dovrebbe tornare a giocare un ruolo forte. Parlo al condizionale perché intanto i soggetti della nuova politica ricostruttrice della democrazia non ci sono e sono tutti da edificare.
Il governo dei “tecnici” che di tecnico non ha nulla ma è tutto e per tutto un governo politico che persegue una precisa linea che è quella del centro-destra “normale” europeo (quasi una prefigurazione di quello che potrebbe essere il centrodestra di una ipotetica III Repubblica), il governo dei tecnici, dicevo, può giocare la sua partita proprio perché mancano le soggettività politiche che possano contrastarne su una linea alta di opposizione seria e non populista o qualunquista, le azioni.
Certo le elezioni anticipate non erano una soluzione e non solo perché si sarebbe votato con questa legge (anche per questo comunque). Ma voi vi immaginate un centrosinistra probabilmente vincente ma poi incapace di governare – con il PD spaccato su temi essenziali, con il fardello di Di Pietro…avrebbe fatto la fine dell’Unione.
Quindi la soluzione Monti è pessima …ma è stata inevitabile.
Certo a soffrirne di più di tale condizione è quell’ala del PD “socialdemocratica” di Fassina e Damiano più vicina alla CGIL , con una destra interna –i Mo.dem di Veltroni ed i postdemocristiani che puntano all’accordo esplicito con il III Polo (e magari con un pezzo di PDL).
SeL che è l’unica forza credibile alla sinistra del PD ha comunque il limite, oltre a non essere rappresentata in parlamento, di essere un partito ancora non ben radicato, senza una identità definita e troppo dipendente dal proprio leader. Oggi SEL si trova necessariamente in una condizione diversa rispetto alla sinistra del PD: è una forza di opposizione e deve farla sia perché è giusto sia per non lasciarne il monopolio all’IDV.
Ma noi sappiamo bene che il materiale con cui possiamo iniziare a costruire il soggetto che abbiamo in testa si trova in SeL (in particolare in quei dirigenti e militanti che sono per il PSE con convinzione e non come scelta tattica) ed in quella che abbiamo chiamato sinistra del PD. Il Ps è una forza inconsistente (per consenso e radicamento) e pur apprezzando molto il lavoro dei compagni della sinistra interna (che sono tutti nelle ns associazioni) ha un peso politico non confrontabile con gli altri citati.
Ecco: il problema è oggi è far sì che non si vada ad una eccessiva divaricazione tra l’ala socialdemocratica del PD e SeL; che rimangano degli elementi di collegamento tra le due realtà. In caso contrario, la sinistra PD potrebbe essere risucchiata dal vortice centrista e SeL ricacciata in una alleanza minoritaria e sterile con Di Pietro.
Il problema della sinistra PD, a mio avviso, è di riconoscere che nel proprio partito vi sono due linee incompatibili e che è utopistico pensare di portare tutto il partito sulle proprie posizioni.
Il problema di SeL è quello di uscire fuori dallo schema del partito Vendola-dipendente. Personalmente credo che un rapporto di una certa organicità politica con il PSE (sia pure nella forma iniziale di un patto consultivo) possa determinare tale svolta, soprattutto se questa scelta europea è frutto di un dibattito vero.
Il limite di SeL (lo dico da suo militante) è il pensare che la propria linea si potesse esaurire nelle primarie come strumento per far esplodere il PD. In realtà abbiamo visto che se in Puglia lo schema ha funzionato bene non altrettanto è avvenuto a Milano, dove pur avendo Pisapia vinto benissimo le primarie e poi le comunali, il PD ha preso il 26% e SEL intorno al 5% . Quindi le primarie non risolvono certo il problema del radicamento. Per questo non mi convince l’idea che traspare di un movimento dei sindaci che mette insieme capre e cavoli (Pisapia , DE Magistris ed Emiliano) . A parte il fatto che Pisapia c’entra pochissimo con gli altri due. Un partito non è la somma di personalità carismatiche.
Certo io ho una cultura politica molto diversa da quella di Vendola sul ruolo dei partiti e sul tipo di democrazia. IO credo ad una politica che superi le derive postmoderne dell’emozionalità e della eccitazione in nome di una vera ragione discorsiva. E comunque una scelta PSE impone ben altro tipo di soggettività politica. Dirò di più: una sinistra popolare e socialista non può che essere un soggetto collettivo, non può mica essere il partito di Chavez.
Per questo credo che oltre ai temi centrali di una uscita da sinistra dalla crisi sulla base della giustizia sociale, della valorizzazione del lavoro e sulla ripresa dell’intervento pubblico in economia (facendo saltare definitivamente quella che lo stesso Tremonti definiva “l’ultima delle ideologie” quella delle privatizzazioni ) , noi dovremmo porre al centro del dibattito a cui invitiamo le forze a cui siamo interessati, la tesi della ricostruzione della politica su soggetti collettivi e non personali.
Devo dire che mi ha confortato molto ascoltare sia dalla Bandoli e Gianni, sia da Damiano una seria disponibilità politica al confronto sui temi proposti. E’ già questo un buon passo in avanti.
PEPPE GIUDICE
Mi ritengo molto soddisfatto dell’incontro del 21 scorso a Roma, ospiti della Fondazione Nenni, tra le associazioni dell’area dei socialisti per la sinistra: Network per il Socialismo Europeo, Gruppo di Volpedo, Lega dei Socialisti, Mov. Az. Laburista di Spini, con la presenza di due significative Fondazioni di area, la Brodolini e la Bruno Buozzi. E con degli ospiti molto preziosi: Alfonso Gianni e Fulvia Bandoli di SeL e Cesare Damiano del PD.
Finalità dell’incontro non era quello di costruire un nuovo partitino né tantomeno di risolvere la irresolubile “diaspora del PSI”. Era piuttosto quello di dare un contributo di iniziativa politica e culturale, in una fase complessa e difficile, alla prospettiva di riempire il grande vuoto storico che ci consegna la II Repubblica: l'assenza di un partito del lavoro e del socialismo chiaramente collocato nel PSE e nella sua fase attuale di rinnovamento e riposizionamento a sinistra.
Le diverse associazioni hanno quindi convenuto sulla importanza di lavorare insieme su obbiettivi concreti: sviluppare iniziative di confronto e di dibattito nella sinistra. Iniziative che devono servire concretamente a costruire quel filo rosso che unisce coloro, che sia pure collocati in diversi partiti, lavorano per l’obbiettivo sopra esposto.
Noi infatti siamo perfettamente consapevoli che tutti gli attuali partiti della sinistra (o di quel che ne rimane) siano inadeguati al compito di dare rappresentanza politica al mondo del lavoro, alle istanze di giustizia sociale ed ad un compito straordinario di ricostruzione della democrazia dopo i profondi processi dissolutori della stessa che la II Repubblica ha attivato. Mario Tronti ha giustamente messo in evidenza come con la fine del governo Berlusconi si chiude quel lunghissimo periodo di infinita transizione chiamata II Repubblica e se ne apre un altro (certo con condizioni interne ed esterne difficilissime) in cui la politica potrebbe e dovrebbe tornare a giocare un ruolo forte. Parlo al condizionale perché intanto i soggetti della nuova politica ricostruttrice della democrazia non ci sono e sono tutti da edificare.
Il governo dei “tecnici” che di tecnico non ha nulla ma è tutto e per tutto un governo politico che persegue una precisa linea che è quella del centro-destra “normale” europeo (quasi una prefigurazione di quello che potrebbe essere il centrodestra di una ipotetica III Repubblica), il governo dei tecnici, dicevo, può giocare la sua partita proprio perché mancano le soggettività politiche che possano contrastarne su una linea alta di opposizione seria e non populista o qualunquista, le azioni.
Certo le elezioni anticipate non erano una soluzione e non solo perché si sarebbe votato con questa legge (anche per questo comunque). Ma voi vi immaginate un centrosinistra probabilmente vincente ma poi incapace di governare – con il PD spaccato su temi essenziali, con il fardello di Di Pietro…avrebbe fatto la fine dell’Unione.
Quindi la soluzione Monti è pessima …ma è stata inevitabile.
Certo a soffrirne di più di tale condizione è quell’ala del PD “socialdemocratica” di Fassina e Damiano più vicina alla CGIL , con una destra interna –i Mo.dem di Veltroni ed i postdemocristiani che puntano all’accordo esplicito con il III Polo (e magari con un pezzo di PDL).
SeL che è l’unica forza credibile alla sinistra del PD ha comunque il limite, oltre a non essere rappresentata in parlamento, di essere un partito ancora non ben radicato, senza una identità definita e troppo dipendente dal proprio leader. Oggi SEL si trova necessariamente in una condizione diversa rispetto alla sinistra del PD: è una forza di opposizione e deve farla sia perché è giusto sia per non lasciarne il monopolio all’IDV.
Ma noi sappiamo bene che il materiale con cui possiamo iniziare a costruire il soggetto che abbiamo in testa si trova in SeL (in particolare in quei dirigenti e militanti che sono per il PSE con convinzione e non come scelta tattica) ed in quella che abbiamo chiamato sinistra del PD. Il Ps è una forza inconsistente (per consenso e radicamento) e pur apprezzando molto il lavoro dei compagni della sinistra interna (che sono tutti nelle ns associazioni) ha un peso politico non confrontabile con gli altri citati.
Ecco: il problema è oggi è far sì che non si vada ad una eccessiva divaricazione tra l’ala socialdemocratica del PD e SeL; che rimangano degli elementi di collegamento tra le due realtà. In caso contrario, la sinistra PD potrebbe essere risucchiata dal vortice centrista e SeL ricacciata in una alleanza minoritaria e sterile con Di Pietro.
Il problema della sinistra PD, a mio avviso, è di riconoscere che nel proprio partito vi sono due linee incompatibili e che è utopistico pensare di portare tutto il partito sulle proprie posizioni.
Il problema di SeL è quello di uscire fuori dallo schema del partito Vendola-dipendente. Personalmente credo che un rapporto di una certa organicità politica con il PSE (sia pure nella forma iniziale di un patto consultivo) possa determinare tale svolta, soprattutto se questa scelta europea è frutto di un dibattito vero.
Il limite di SeL (lo dico da suo militante) è il pensare che la propria linea si potesse esaurire nelle primarie come strumento per far esplodere il PD. In realtà abbiamo visto che se in Puglia lo schema ha funzionato bene non altrettanto è avvenuto a Milano, dove pur avendo Pisapia vinto benissimo le primarie e poi le comunali, il PD ha preso il 26% e SEL intorno al 5% . Quindi le primarie non risolvono certo il problema del radicamento. Per questo non mi convince l’idea che traspare di un movimento dei sindaci che mette insieme capre e cavoli (Pisapia , DE Magistris ed Emiliano) . A parte il fatto che Pisapia c’entra pochissimo con gli altri due. Un partito non è la somma di personalità carismatiche.
Certo io ho una cultura politica molto diversa da quella di Vendola sul ruolo dei partiti e sul tipo di democrazia. IO credo ad una politica che superi le derive postmoderne dell’emozionalità e della eccitazione in nome di una vera ragione discorsiva. E comunque una scelta PSE impone ben altro tipo di soggettività politica. Dirò di più: una sinistra popolare e socialista non può che essere un soggetto collettivo, non può mica essere il partito di Chavez.
Per questo credo che oltre ai temi centrali di una uscita da sinistra dalla crisi sulla base della giustizia sociale, della valorizzazione del lavoro e sulla ripresa dell’intervento pubblico in economia (facendo saltare definitivamente quella che lo stesso Tremonti definiva “l’ultima delle ideologie” quella delle privatizzazioni ) , noi dovremmo porre al centro del dibattito a cui invitiamo le forze a cui siamo interessati, la tesi della ricostruzione della politica su soggetti collettivi e non personali.
Devo dire che mi ha confortato molto ascoltare sia dalla Bandoli e Gianni, sia da Damiano una seria disponibilità politica al confronto sui temi proposti. E’ già questo un buon passo in avanti.
PEPPE GIUDICE
Franco Astengo: Forconi, democrazia, alternativa
FORCONI, DEMOCRAZIA, ALTERNATIVA
L’Italia di questo Gennaio 2012 sembra percorsa da una apparentemente non prevista ondata di proteste, seguita più o meno subito dopo la caduta del governo Berlusconi: dai forconi di Sicilia, al blocco di TIR e Taxi, alla levata di scudi di tante altre categorie, anche privilegiate.
La prima impressione è quella del levarsi di una sorta di “jacquerie” di tipo corporativo, tanto è vero che Tommaso Di Francesco sulle colonne del “Manifesto” ha evocato la protesta dei camionisti nel tragico Cile’73.
Sicuramente le cose stanno in maniera diversa e più complicata rispetto a quell’indimenticabile passaggio storico.
Non sfugge, però, l’impressione di un’angoscia diffusa, di una sensazione di vero e proprio spappolamento sociale, di rischio di “salto nel buio”.
Il Paese appare stremato nell’insieme delle espressioni della sua complessità sociale e sale l’indice della sfiducia e dell’agnosticismo.
Le ultime rilevazioni riguardanti i sondaggi elettorali, per quel che valgono, danno la somma di astenuti certi e potenziali ormai al 45%.
Quali le cause, allora, di questo drammatico stato di cose?
Tentiamo di procedere, per quanto posso esserne capace:
1) L’Italia è stata governata male, nel corso degli ultimi 30 anni, ed anche prima, e i cittadini italiani nel loro insieme sono stati trattati davvero in malo modo, dai loro governanti a tutti i livelli. Senza voler sviluppare alcuna forma di qualunquismo, ma cercando di giudicare obiettivamente nel corso di questi anni sono cresciute le distanze sociali, le diseguaglianze di reddito (ormai ci piazziamo ai primi posti nel mondo) e di status, sono diminuite le opportunità per quelli che avrebbero dovuto rappresentare i settori sociali emergenti come le donne e i giovani. E’ aumentato il divario tra Nord e Sud. Interi pezzi del Paese sono dominati dalla criminalità organizzata, ormai stabilmente infiltratasi anche al di fuori dai “classici” luoghi di origine, Il completamento del processo di privatizzazione ha finito con il demolire il residuo di una struttura industriale le cui carenze rappresentano il vero punto debole della nostra economia, assieme all’assoluta inadeguatezza delle infrastrutture, la fragilità del territorio, l’assalto della cementificazione. Lo scollamento territoriale avviatosi con l’assunzione del modello del Nord-Est e del “sciur Brambilla” ha finito con l’allargare il mito leghista della separazione, al cui inseguimento è fallita l’ipotesi federalista e lo stesso decentramento regionale, laddove sanità e trasporti rappresentano un vero e proprio “buco nero” e, ancora, lo svilimento dello studio e della ricerca, avvenuto anche attraverso scelte che è necessario definire sbagliate, come quella del 3 più 2 da seguire nell’itinerario degli studi universitari. E’ arretrato paurosamente il livello dei diritti individuali e del lavoro e le condizioni complessive di sostegno ai settori più deboli da parte dello stato sociale. Il governo populista di estrema destra (animato anche da pulsioni razziste), che ha governato per molti anni, ha coltivato con cura le piante più pericolose: il secessionismo, il corporativismo più bieco, ben comprensivo della “laude” all’evasione fiscale, mentre crescevano le tasse per i soliti noti a “reddito fisso” e si tartassavano operai delle fabbriche e impiegati pubblici. Tutto questo ha avuto origine, è necessario ricordarlo, con la crescita esponenziale del debito pubblico e la “questione morale” alimentate dai governi del C.A.F. e la relativa derisione di chi aveva tentato di opporsi. Governi del CAF sorretti, è bene ricordare anche questo, da tutti gli epigoni del PSI poi finiti alla corte di Centro Destra e di quelli della DC, oggi alla guida del Terzo Polo e presenti nel gruppo dirigente del PD. La fase successiva è stata di sostanziale continuità, con l’aggravante dell’avanzarsi delle idee del maggioritario e della personalizzazione della politica, i cui effetti, accompagnati da sciagurati mutamenti del sistema elettorale, maggiormente tangibili sono apparsi essere quelli della crisi definitiva dei corpi intermedi e del distacco completo tra i soggetti politici e la società; crisi arrivata al suo culmine con la formazione del governo in carica, del tutto dedito a fronteggiare unilateralmente la crisi economica attraverso una visione puramente ideologica e libresca di stampo liberista e che ha già ottenuto il macroscopico risultato di costringere l’intero sistema politico a riallinearsi sul suo asse: fatto inevitabile nel breve periodo di cui le forze politiche del già centrosinistra non sembrano volersi accorgere, ripetendo l’atteggiamento di sottovalutazione già colpevolmente adottato nell’occasione della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nel 1994. In questo quadro, però, la sottovalutazione più imperdonabile ha riguardato la crisi finanziaria globale esplosa nel 2008: il governo dei “ristoranti pieni” ha, sotto quest’aspetto, responsabilità enormi tali da essere considerate in un paese “normale”, ma non da noi, impedienti a qualsiasi ricandidatura al governo di questa Italia malandata e disastrata. L’opposizione però conserva la responsabilità politica di non aver mai ricercato (come, invece, avevano pure tentato Ciampi e Prodi, indicando l’approdo europeo pur con tutti i limiti del caso) la possibilità concreta di un’alternativa;
2) Le forze politiche italiane, ne corso di questi anni, hanno “inseguito” il processo di costruzione dell’Unione Europea, esclusivamente sul piano di quelle dinamiche liberiste e monetariste che, a partire dal trattato di Maastricht hanno portato a quello che oggi è stato definito il “dominio della BCE”. Le forze politiche italiane non sono riuscite a far diventare il tema dell’Europa Politica oggetto prioritario di impegno e di battaglia fissando obiettivi intermedi plausibili, contribuendo a costruire un sistema politico europeo fissando il traguardo finale a una vera propria “Costituzione” e di un ruolo del nostro continente nel nuovo concerto internazionale di inedita polarizzazione, nel declino del periodo contrassegnato dalla presenza di una sola superpotenza, impegnata nell’esportazione militare della democrazia. Un provincialismo, quello delle nostre forze politiche, davvero disarmante;
3) L’ulteriore, e decisivo almeno dal mio punto di vista, elemento della specifica crisi italiana è stato rappresentato dal crollo verticale di rappresentatività fatto segnare dalla sinistra , che si situa ben al di là dei dati elettorali passati, presenti e futuri (non dimenticando, però, come i dirigenti di quella parte di sinistra a parole più conseguente e coerente sono riusciti nel capolavoro di fare in modo che la sinistra di derivazione comunista e socialista restasse esclusa dal parlamento). Un capolavoro alla rovescia che non ha suscitato alcuna riflessione di fondo, anzi ha indotto qualcuno a muoversi ancor di più sul terreno dell’avversario in ispecie su quella della personalizzazione esasperata. La crisi di rappresentatività della sinistra italiana si è avviata formalmente con l’implosione del sistema dei partiti pre-Tangentopoli, anticipata però dall’improvvida, nei modi, nei tempi, nei contenuti, liquidazione del PCI e, ancor prima, da quella che Riccardo Lombardi definì “mutazione genetica” del PSI attuata all’avvento del craxismo. Non è questa, ovviamente, la sede per ricostruire la storia, fondamentale per quella dell’intero Paese, della sinistra italiana, delle sue lotte, del suo imponente radicamento sociale, dell’egemonia culturale esercitata dai diversi soggetti, non solo partitici, che ne rappresentavano le componenti essenziali (sindacati, associazionismo, giornali, case editrici, cooperative). Va affermato, invece, che il vuoto lasciato è risultato incolmabile: un vuoto di riferimento, di classe dirigente anche a livello locale se pensiamo ai Novelli, Cerofolini, Valenzi, Petroselli e ci guardiamo attorno oggi, di capacità di diffusione culturale, di riferimento a modelli di comportamento. Si è verificata, così, un’indubitabile situazione di degrado complessivo, ben significato dall’adagiarsi nella ricerca della governabilità ad ogni costo e in tutte le sedi centrali e periferiche, dall’accoccolarsi sul meccanismo delle elezioni dirette, delle idee del “partito leggero” e di una davvero deplorevole personalizzazione della politica, di un disconoscimento sostanziale dei soggetti sociali storicamente portanti, di concessione all’”autonomia del politico” (con relativo discorso sul finanziamento della politica stessa, cui è seguita l’ambigua polemica “anti-casta) e del corporativismo, se non addirittura un cedimento a pulsioni di stampo leghista (una “costola della sinistra”) e di coinvolgimento nella “questione morale”.
La logica del “pensiero debole”, che ha presieduto a questo gigantesco processo di involuzione politica e sociale, ha portato alla ricerca di un’alternanza altrettanto debole limitata al ruolo di governo, incapace di produrre una reale alternativa, nella ricerca dell’”Inesistente elettore mediano” (con un certo medio impoverito e spaventato, oppure percorso come stiamo vedendo da tensioni leghiste e/o corporative), riducendo l’agire politico all’elaborazione di meccanismi del tutto interni all’autoreferenzialità di un sistema ridotto a un artificioso bipolarismo con tentativi, addirittura, di definizione di un illusorio bipartitismo e dimenticando del tutto le articolazioni della società, la varietà delle contraddizioni, il sorgere di nuovi “cleavages” post-materialisti, dall’ambiente, alla differenza di genere, mentre crescevano impetuosamente i nuovi mezzi di informazione e comunicazione sociale attraverso la rete telematica.
A sinistra la ricostruzione di una soggettività politica dell’alternativa appare essere, in questo momento, il vero “imperativo categorico”, fin qui negletto a causa del mantenersi di una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza di un ceto politico che non tende sottoporre se stesso a un’analisi accurata, rifugiandosi invece, da un lato, in un apparente, finto e perdente realismo (a imitazione di quello clamorosamente fallito all’epoca della solidarietà nazionale. Da quel fallimento, Berlinguer trasse l’indicazione per esprimere la linea politica dell’alternativa che contrassegnò la sua ultima, purtroppo, breve stagione accompagnata dall’assunzione piena della categoria della “questione morale” già ricordata) mentre dall’altro canto ci si rifugia in sterili balocchismi retorici.
L’assenza della sinistra è il dato politico più evidente della crisi del sistema politico italiano: la destra fa presto a rifugiarsi nel populismo, nell’accondiscendenza alle più diverse sollevazioni corporative o nelle tecnocrazie impeccabili nel presentarsi, ma feroci nel colpire le classi sociali estranee all’imperituro “establishment” .
Attraverso quest’ analisi, sicuramente lacunosa, non intendo giustificare in alcun modo la rivolta dei TIR e dei forconi.
L’intendimento è stato semplicemente quello di richiamare alcuni dati reali sui quali questa crisi si è sviluppata ed evidenziare, oggettivamente, le responsabilità di un ceto politico (al centro come in periferia) stimolando la ricerca di nuove forme di partecipazione a partire, magari, dal riconsiderare quelle categorie del tanto bistrattato’900, sia sul piano economico, su quello sociale e della struttura politica (magari a partire dalla riconsiderazione della contraddizione di classe): categorie forse messe troppo frettolosamente nel cassetto.
Savona, li 25 gennaio 2012 Franco Astengo
L’Italia di questo Gennaio 2012 sembra percorsa da una apparentemente non prevista ondata di proteste, seguita più o meno subito dopo la caduta del governo Berlusconi: dai forconi di Sicilia, al blocco di TIR e Taxi, alla levata di scudi di tante altre categorie, anche privilegiate.
La prima impressione è quella del levarsi di una sorta di “jacquerie” di tipo corporativo, tanto è vero che Tommaso Di Francesco sulle colonne del “Manifesto” ha evocato la protesta dei camionisti nel tragico Cile’73.
Sicuramente le cose stanno in maniera diversa e più complicata rispetto a quell’indimenticabile passaggio storico.
Non sfugge, però, l’impressione di un’angoscia diffusa, di una sensazione di vero e proprio spappolamento sociale, di rischio di “salto nel buio”.
Il Paese appare stremato nell’insieme delle espressioni della sua complessità sociale e sale l’indice della sfiducia e dell’agnosticismo.
Le ultime rilevazioni riguardanti i sondaggi elettorali, per quel che valgono, danno la somma di astenuti certi e potenziali ormai al 45%.
Quali le cause, allora, di questo drammatico stato di cose?
Tentiamo di procedere, per quanto posso esserne capace:
1) L’Italia è stata governata male, nel corso degli ultimi 30 anni, ed anche prima, e i cittadini italiani nel loro insieme sono stati trattati davvero in malo modo, dai loro governanti a tutti i livelli. Senza voler sviluppare alcuna forma di qualunquismo, ma cercando di giudicare obiettivamente nel corso di questi anni sono cresciute le distanze sociali, le diseguaglianze di reddito (ormai ci piazziamo ai primi posti nel mondo) e di status, sono diminuite le opportunità per quelli che avrebbero dovuto rappresentare i settori sociali emergenti come le donne e i giovani. E’ aumentato il divario tra Nord e Sud. Interi pezzi del Paese sono dominati dalla criminalità organizzata, ormai stabilmente infiltratasi anche al di fuori dai “classici” luoghi di origine, Il completamento del processo di privatizzazione ha finito con il demolire il residuo di una struttura industriale le cui carenze rappresentano il vero punto debole della nostra economia, assieme all’assoluta inadeguatezza delle infrastrutture, la fragilità del territorio, l’assalto della cementificazione. Lo scollamento territoriale avviatosi con l’assunzione del modello del Nord-Est e del “sciur Brambilla” ha finito con l’allargare il mito leghista della separazione, al cui inseguimento è fallita l’ipotesi federalista e lo stesso decentramento regionale, laddove sanità e trasporti rappresentano un vero e proprio “buco nero” e, ancora, lo svilimento dello studio e della ricerca, avvenuto anche attraverso scelte che è necessario definire sbagliate, come quella del 3 più 2 da seguire nell’itinerario degli studi universitari. E’ arretrato paurosamente il livello dei diritti individuali e del lavoro e le condizioni complessive di sostegno ai settori più deboli da parte dello stato sociale. Il governo populista di estrema destra (animato anche da pulsioni razziste), che ha governato per molti anni, ha coltivato con cura le piante più pericolose: il secessionismo, il corporativismo più bieco, ben comprensivo della “laude” all’evasione fiscale, mentre crescevano le tasse per i soliti noti a “reddito fisso” e si tartassavano operai delle fabbriche e impiegati pubblici. Tutto questo ha avuto origine, è necessario ricordarlo, con la crescita esponenziale del debito pubblico e la “questione morale” alimentate dai governi del C.A.F. e la relativa derisione di chi aveva tentato di opporsi. Governi del CAF sorretti, è bene ricordare anche questo, da tutti gli epigoni del PSI poi finiti alla corte di Centro Destra e di quelli della DC, oggi alla guida del Terzo Polo e presenti nel gruppo dirigente del PD. La fase successiva è stata di sostanziale continuità, con l’aggravante dell’avanzarsi delle idee del maggioritario e della personalizzazione della politica, i cui effetti, accompagnati da sciagurati mutamenti del sistema elettorale, maggiormente tangibili sono apparsi essere quelli della crisi definitiva dei corpi intermedi e del distacco completo tra i soggetti politici e la società; crisi arrivata al suo culmine con la formazione del governo in carica, del tutto dedito a fronteggiare unilateralmente la crisi economica attraverso una visione puramente ideologica e libresca di stampo liberista e che ha già ottenuto il macroscopico risultato di costringere l’intero sistema politico a riallinearsi sul suo asse: fatto inevitabile nel breve periodo di cui le forze politiche del già centrosinistra non sembrano volersi accorgere, ripetendo l’atteggiamento di sottovalutazione già colpevolmente adottato nell’occasione della “discesa in campo” di Silvio Berlusconi nel 1994. In questo quadro, però, la sottovalutazione più imperdonabile ha riguardato la crisi finanziaria globale esplosa nel 2008: il governo dei “ristoranti pieni” ha, sotto quest’aspetto, responsabilità enormi tali da essere considerate in un paese “normale”, ma non da noi, impedienti a qualsiasi ricandidatura al governo di questa Italia malandata e disastrata. L’opposizione però conserva la responsabilità politica di non aver mai ricercato (come, invece, avevano pure tentato Ciampi e Prodi, indicando l’approdo europeo pur con tutti i limiti del caso) la possibilità concreta di un’alternativa;
2) Le forze politiche italiane, ne corso di questi anni, hanno “inseguito” il processo di costruzione dell’Unione Europea, esclusivamente sul piano di quelle dinamiche liberiste e monetariste che, a partire dal trattato di Maastricht hanno portato a quello che oggi è stato definito il “dominio della BCE”. Le forze politiche italiane non sono riuscite a far diventare il tema dell’Europa Politica oggetto prioritario di impegno e di battaglia fissando obiettivi intermedi plausibili, contribuendo a costruire un sistema politico europeo fissando il traguardo finale a una vera propria “Costituzione” e di un ruolo del nostro continente nel nuovo concerto internazionale di inedita polarizzazione, nel declino del periodo contrassegnato dalla presenza di una sola superpotenza, impegnata nell’esportazione militare della democrazia. Un provincialismo, quello delle nostre forze politiche, davvero disarmante;
3) L’ulteriore, e decisivo almeno dal mio punto di vista, elemento della specifica crisi italiana è stato rappresentato dal crollo verticale di rappresentatività fatto segnare dalla sinistra , che si situa ben al di là dei dati elettorali passati, presenti e futuri (non dimenticando, però, come i dirigenti di quella parte di sinistra a parole più conseguente e coerente sono riusciti nel capolavoro di fare in modo che la sinistra di derivazione comunista e socialista restasse esclusa dal parlamento). Un capolavoro alla rovescia che non ha suscitato alcuna riflessione di fondo, anzi ha indotto qualcuno a muoversi ancor di più sul terreno dell’avversario in ispecie su quella della personalizzazione esasperata. La crisi di rappresentatività della sinistra italiana si è avviata formalmente con l’implosione del sistema dei partiti pre-Tangentopoli, anticipata però dall’improvvida, nei modi, nei tempi, nei contenuti, liquidazione del PCI e, ancor prima, da quella che Riccardo Lombardi definì “mutazione genetica” del PSI attuata all’avvento del craxismo. Non è questa, ovviamente, la sede per ricostruire la storia, fondamentale per quella dell’intero Paese, della sinistra italiana, delle sue lotte, del suo imponente radicamento sociale, dell’egemonia culturale esercitata dai diversi soggetti, non solo partitici, che ne rappresentavano le componenti essenziali (sindacati, associazionismo, giornali, case editrici, cooperative). Va affermato, invece, che il vuoto lasciato è risultato incolmabile: un vuoto di riferimento, di classe dirigente anche a livello locale se pensiamo ai Novelli, Cerofolini, Valenzi, Petroselli e ci guardiamo attorno oggi, di capacità di diffusione culturale, di riferimento a modelli di comportamento. Si è verificata, così, un’indubitabile situazione di degrado complessivo, ben significato dall’adagiarsi nella ricerca della governabilità ad ogni costo e in tutte le sedi centrali e periferiche, dall’accoccolarsi sul meccanismo delle elezioni dirette, delle idee del “partito leggero” e di una davvero deplorevole personalizzazione della politica, di un disconoscimento sostanziale dei soggetti sociali storicamente portanti, di concessione all’”autonomia del politico” (con relativo discorso sul finanziamento della politica stessa, cui è seguita l’ambigua polemica “anti-casta) e del corporativismo, se non addirittura un cedimento a pulsioni di stampo leghista (una “costola della sinistra”) e di coinvolgimento nella “questione morale”.
La logica del “pensiero debole”, che ha presieduto a questo gigantesco processo di involuzione politica e sociale, ha portato alla ricerca di un’alternanza altrettanto debole limitata al ruolo di governo, incapace di produrre una reale alternativa, nella ricerca dell’”Inesistente elettore mediano” (con un certo medio impoverito e spaventato, oppure percorso come stiamo vedendo da tensioni leghiste e/o corporative), riducendo l’agire politico all’elaborazione di meccanismi del tutto interni all’autoreferenzialità di un sistema ridotto a un artificioso bipolarismo con tentativi, addirittura, di definizione di un illusorio bipartitismo e dimenticando del tutto le articolazioni della società, la varietà delle contraddizioni, il sorgere di nuovi “cleavages” post-materialisti, dall’ambiente, alla differenza di genere, mentre crescevano impetuosamente i nuovi mezzi di informazione e comunicazione sociale attraverso la rete telematica.
A sinistra la ricostruzione di una soggettività politica dell’alternativa appare essere, in questo momento, il vero “imperativo categorico”, fin qui negletto a causa del mantenersi di una sorta di primordiale istinto di sopravvivenza di un ceto politico che non tende sottoporre se stesso a un’analisi accurata, rifugiandosi invece, da un lato, in un apparente, finto e perdente realismo (a imitazione di quello clamorosamente fallito all’epoca della solidarietà nazionale. Da quel fallimento, Berlinguer trasse l’indicazione per esprimere la linea politica dell’alternativa che contrassegnò la sua ultima, purtroppo, breve stagione accompagnata dall’assunzione piena della categoria della “questione morale” già ricordata) mentre dall’altro canto ci si rifugia in sterili balocchismi retorici.
L’assenza della sinistra è il dato politico più evidente della crisi del sistema politico italiano: la destra fa presto a rifugiarsi nel populismo, nell’accondiscendenza alle più diverse sollevazioni corporative o nelle tecnocrazie impeccabili nel presentarsi, ma feroci nel colpire le classi sociali estranee all’imperituro “establishment” .
Attraverso quest’ analisi, sicuramente lacunosa, non intendo giustificare in alcun modo la rivolta dei TIR e dei forconi.
L’intendimento è stato semplicemente quello di richiamare alcuni dati reali sui quali questa crisi si è sviluppata ed evidenziare, oggettivamente, le responsabilità di un ceto politico (al centro come in periferia) stimolando la ricerca di nuove forme di partecipazione a partire, magari, dal riconsiderare quelle categorie del tanto bistrattato’900, sia sul piano economico, su quello sociale e della struttura politica (magari a partire dalla riconsiderazione della contraddizione di classe): categorie forse messe troppo frettolosamente nel cassetto.
Savona, li 25 gennaio 2012 Franco Astengo
mercoledì 25 gennaio 2012
martedì 24 gennaio 2012
lunedì 23 gennaio 2012
Lanfranco Turci: Relazione al seminario del 21 gennaio
LANFRANCO TURCI
RELAZIONE SEMINARIO GRUPPO VOLPEDO, NETWORK SOCIALISMO EUROPEO, LEGA DEI SOCIALISTI, MOVIMENTO D’AZIONE LABURISTA
ROMA 21 GENNAIO 2012
Chi siamo.
Il Network per il Socialismo Europeo (NSE ) è una realtà associativa che opera da poco più di un anno ed alla quale aderiscono circoli, associazioni e singoli compagni e compagne che ,a prescindere (almeno per i meno giovani) dalla loro provenienza dal Psi,dal Pci o da altre formazioni della sinistra della prima Repubblica,si definirebbero di sinistra e di orientamento socialista, come è ben evidenziato nel nostro documento costitutivo. Diversi di noi hanno anche partecipato alla Costituente socialista del 2007/2008. Degli attuali aderenti al network molti non sono iscritti ad alcun partito, altri sono iscritti a SEL, altri al PD, altri al PSI.
Che cosa ci caratterizza? Due cose.
a)Non siamo una delle tante manifestazioni della diaspora socialista. Anzi rifiutiamo ogni progetto che si qualifichi come tentativo di recupero della diaspora in quanto tale.
b)Siamo insoddisfatti dell’assetto della sinistra italiana. Il nostro lavoro, soprattutto politico-culturale e programmatico, tende a sollecitare un processo di rinnovamento degli attuali partiti della sinistra-anche attraverso eventuali passaggi graduali e le scomposizioni e ricomposizioni che ciò possa determinare- verso un potenziale nuovo partito di sinistra ,popolare,unitario, collocato a sinistra dell’attuale asse mediano del PD. Un partito collegato al socialismo europeo in questa fase di rinnovamento e di ripensamento delle sue basi programmatiche imposte dalla profonda crisi provocata dal capitalismo finanziario internazionale.
Perché siamo qui oggi?
Abbiamo deciso di rispondere positivamente all’appello di Volpedo che noi interpretiamo come un tentativo per costruire tutte le possibili forme di collaborazione intanto fra di noi promotori (G. di V:,NSE,Lega dei socialisti,Movimento di azione laburista ) come un’area di cultura socialista e di sinistra per la riorganizzazione e il rinnovamento politico-culturale della sinistra, nella prospettiva di quella che il titolo del seminario chiama la Sinistra-dopo-Monti.
Le basi su cui impiantare questo sforzo, prima che nei contributi recuperabili dalle storie passate socialiste,comuniste e della sinistra critica,vanno cercate nella natura della crisi che stiamo attraversando.
Una crisi che segna il fallimento della ideologie liberiste o neoliberali che dominano la scena internazionale da trent’anni. Ideologie cui gran parte della sinistra europea,compreso il Pd e l’Ulivo, hanno aperto porte e finestre negli anni passati.
Una crisi che si è tradotta in disoccupazione massiccia in tutti i paesi sviluppati, in un aggravamento della ingiustizia sociale, nell’arretramento del Welfare e dei diritti. Tutti dati accumulatisi nel corso degli ultimi trent’anni,ma che la crisi partita nel 2008 dagli Stati Uniti,ha portato alla luce del sole in forma esplosiva.
Una crisi che sta portando al rischio di fallimento il progetto europeo nato dalle nobili aspirazioni dei padri fondatori, memori degli immani disastri di due guerre mondiali combattute sul suolo europeo, ma ora ridotto alle condizioni di un meccano paralizzato o impazzito,bloccato dai precetti liberisti e monetaristi di cui la Germania come potenza egemone si è fatta tetragono baluardo.
Una lettura critica di questo sviluppo capitalistico e delle forme assunte dalla globalizzazione, la riscoperta del conflitto sociale e del mondo del lavoro nelle sue nuove e contraddittorie articolazioni come referente imprescindibile, il rilancio del ruolo dell’intervento pubblico e democratico (quindi del ruolo della democrazia e della politica) almeno su scala europea e nazionale, per uno sviluppo socialmente e ecologicamente compatibile: questi elementi possono dunque costituire le basi per un rinnovamento unitario della sinistra italiana, che proprio in ragione di questa ricerca non può non avere nel socialismo europeo,attraversato ora dalle stesse problematiche,il suo principale punto di riferimento.
Credo sia giusto parlare di Sinistra-dopo-Monti, perché dopo l’esperienza del tutto atipica di questo governo,qualunque ne sarà l’esito, difficilmente la sinistra potrà essere la stessa di oggi. Il governo Monti ci ha liberato dalla umiliazione di essere governati e rappresentati all’estero da una squadra da cabaret,come l’ha definita il Financial Times. E’ un governo fatto di molte persone autorevoli e competenti. Ma è anche un governo politico,nel senso che la sua cultura e il suo programma si iscrivono nell’impianto liberale e liberista che ancora domina la politica europea Per di più esso deve fare i conti quotidianamente con l’equilibrio precario della coalizione di emergenza che il Presidente della Repubblica è riuscito a costruire all’interno di questo screditato Parlamento. Per pensare alla sinistra dopo Monti dovremo guardare prima di tutto a ciò che si muove nel PD e in Sel, come le forze più importanti della sinistra. Senza con ciò trascurare la dialettica interna al Psi, dove accanto a vocazioni neoterzaforziste (si veda l’appello di Covatta- Teodori, o la tendenza di Nencini a giocare da “apostrofo rosa” fra Pd e Udc) esiste una combattiva componente di sinistra qui rappresentata dalla Lega. Ed esiste una non sopita voglia di sinistra in quelle aree di militanti che si sono liberate da quel paralizzante complesso di vittimismo rancoroso, che, ancora comprensibile nei primi anni dopo l’esito di Tangentopoli, è diventato poi semplicemente la copertura per un passaggio dal socialismo al campo opposto del berlusconismo. Aggiungo che l’attenzione va tenuta aperta anche verso quanto succede nella variegata area della Fed. Ricordo, a conferma,che quando noi nel marzo scorso promuovemmo,con l’aiuto di un qualificato gruppo di economisti critici,un appello contro il vertice europeo da cui scaturì quel “Patto Europlus” che è alla base del “Fiscal Compact” che si sta discutendo ora, quell’appello fu firmato da !4 organizzazioni,fra cui le fondazioni socialiste qui presenti,ma anche Socialismo 2000 di Salvi e Marx XXI dei comunisti italiani. Sarebbe dunque sbagliato considerare quell’area come una pura ridotta di nostalgici.
E’ nel Pd che l’esperienza del governo Monti è destinata a lasciare i segni più profondi, perché ne evidenzia la frattura politica e culturale che lo attraversa da tempo. Basti pensare all’accoglienza mostrata dal PD verso la lettera della BCE, e prima ancora verso il patto Europlus del marzo 2011. Accoglienza divisa fra le nette riserve di una parte, sempre però preoccupata di essere accusata di antieuropeismo, e la adesione quasi entusiastica, di un’altra, che salutava l’intervento della tecnocrazia europea come convalida della politica da essa sempre sostenuta. Questa diversa valutazione conferma la profonda differenza di visioni politiche fra un’area nettamente schierata per politiche di tipo liberista, sia pure attenuate da un vago senso di solidarietà sociale, e un’area che potremmo in senso lato definire a vocazione socialista (Bersani-Fassina). E’ questa divisione che ha fatto sì che il PD si trovasse impreparato di fronte alla crisi del governo Berlusconi e finisse per accettare il governo Monti, anche in questo caso profondamente diviso fra la giustificazione dello stato di necessità da parte di alcuni e il sentimento di totale adesione da parte di altri. Questo conflitto di valutazioni dovrà prima o poi essere risolto!
Naturalmente molto dipenderà dalla evoluzione della crisi, in primo luogo se ci sarà o no una svolta della Germania e della BCE sulle politiche dei tassi di interesse. Dopo la retorica sul baratro da cui ci saremmo allontanati grazie alla nascita del nuovo governo e alla manovra SalvaItalia, scopriamo di essere ancora lì, ai bordi di quel baratro. E Monti è costretto ad alzare la voce e a evocare ,sia pure in modo ancora indiretto, il vero tabù di questa crisi:l’intervento della BCE e il lancio degli Eurobond. Se questa svolta arriverà potremo almeno respirare, ma la continuazione della politica di austerity in Europa e in Italia non ci sottrarrà alla prospettiva della recessione e di un possibile avvitamento dello stesso problema del debito. Resta inoltre, in assenza di un drastico intervento sui tassi, la possibilità ravvicinata di una esplosione della crisi fino al default, con quello che ciò significherebbe in termini di disastro europeo. Questi diversi possibili scenari influenzeranno la evoluzione del quadro politico e degli orientamenti del paese su tutti i lati dello schieramento, compreso il rischio di una ondata populista e antieuropea, quale quella che anche Monti ha dichiarato di temere. I costi sociali della crisi e delle manovre del governo stanno infatti diventando insopportabili per la gran parte dei lavoratori e dei ceti popolari. Anche la annunciata manovra delle liberalizzazioni,al di là di molta retorica e di poche riforme davvero utili, contiene misure di dubbia giustificazione sociale come quelle sui tassisti, o assai pericolose come la ventilata separazione della rete ferroviaria e l’abolizione del contratto unico del settore, o lo scorporo della rete gas con possibili rischi di privatizzazione,o infine la privatizzazione forzosa di tanti servizi pubblici locali, sui quali peraltro si è già pronunciato negativamente il recente referendum. E non parliamo dell’art.18, su cui per fortuna sembrano rientrati i propositi della ministra Fornero. Quanto può resistere il Pd in questa situazione? Il salto nel buio di elezioni anticipate, senza uno straccio di riforma elettorale e senza una adeguata preparazione spaventa giustamente Bersani. Ma se Monti non riesce a fare un miracolo o qualcosa che gli assomigli, anche lo stallo in cui il Pd sostiene il governo che non è il suo governo e punta solamente alla riduzione del danno,diventa insostenibile. Ecco perché un chiarimento di fondo dovrebbe diventare ineludibile,a prescindere che possa tradursi in rotture più o meno marginali.
Noi dovremmo insistere perché questo chiarimento avvenga non alla fine della legislatura, né al momento di una possibile crisi di governo, ma subito per definire i termini della prospettiva che il Pd intende indicare per il futuro, mentre intanto sostiene bon gré mal gré questo governo.
Quanto a Sel si può capire la impazienza di Vendola, ma si vedono già da alcuni mesi i limiti di una scelta tutta tattica affidata alla speranza di conquistare la leadership della sinistra tramite il marchingegno delle primarie. Impostazione di corto respiro che ha indotto fra l’altro quel partito alla scelta incomprensibile di aderire al referendum Parisi, mentre invece avrebbe interesse a una legge elettorale che non la costringa a coalizioni a ogni costo. Sel dovrebbe invece lavorare, proprio in questa fase di vacanza parlamentare per dotarsi di un più robusto profilo politico,fatto meno di narrazioni e più di analisi e di elaborazioni programmatiche sui problemi che la crisi ha riproposto drammaticamente: conflitto sociale e governo democratico dello sviluppo su linee socialmente e ecologicamente sostenibili. In questo senso assumerebbe un significato eccezionale la scelta di aderire al Pse, scelta che comincia a essere discussa fra i suoi quadri anche grazie ai nostri compagni del NSE iscritti a quel partito. Tutti noi anche da fuori dovremmo proporre questa questione a Sel come decisiva per la sua prospettiva e per la sinistra-dopo-Monti.
.
Alla luce di quanto sopra sostenuto, in assenza di una legge elettorale di stampo proporzionale, dovremmo pensare che per le elezioni politiche,quando che siano,gli scenari possibili a sinistra siano sostanzialmente due.
Una versione montiana di alleanza di centro sinistra. Cioè una alleanza fra il centro e il Pd sotto il segno della rivendicazione dell’eredità del governo Monti (ammesso che ci sia un bilancio in qualche modo positivo da rivendicare). Si tratterebbe di un progetto inevitabilmente moderato sul terreno economico e sociale, impostato con poche varianti sulle politiche liberiste europee, giustificata in nome della perdurante emergenza e della responsabilità nazionale. Una ipotesi di questo genere è sicuramente negli auspici dell’area moderata del Pd e potrebbe essere tanto più sostenuta in presenza di una eventuale deriva antieuropea del centro destra. Difficilmente Sel potrebbero acconciarsi a questo schema. Ma se, malauguratamente, il Pd dovesse fare questa scelta, anche a costo di qualche rottura alla sua sinistra, sarebbe veramente una iattura e dovremmo immaginare un percorso molto più lungo e tormentato per veder nascere una sinistra-dopo-Monti con possibilità di incidere davvero sulla scena politica e sociale. Certo non si potrebbe costruire sulle fondamenta di un asse Sel-Di Pietro!
Sono però convinto,forse è un wishfull thinking, che ci siano più probabilità che alle prossime elezioni si presenti una coalizione di sinistra basata sull’asse Pd-Sel (inclusiva inevitabilmente anche di Di Pietro) e aperta ai movimenti che si sono messi in luce nell’ultimo anno su terreni costruttivi quali la difesa dei beni comuni,la difesa della dignità delle donne,la denuncia del potere finanziario. Una simile coalizione potrebbe incorporare anche le esperienze originali rappresentate dalla vittoria di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli, dovrebbe chiedere al Psi di farne parte a tutti gli effetti e prevedere inoltre l’alleanza con la Fed. Immagino le fortissime resistenze che ci sarebbero dentro al Pd e la possibilità di uscita di una parte dei suoi dirigenti verso il centro. Ma se si avesse il respiro necessario per presentare questa coalizione non come l’ennesima versione dell’Ulivo o della raccolta elettoralistica e residuale di tutta la sinistra , bensì come il nostro contributo a un progetto unitario della sinistra europea per uscire dalla crisi e costruire un modello di sviluppo e un’Europa diversa, credo che ce la potremmo fare. Ci vorrebbe un grande sforzo culturale per delineare una nuova ambiziosa agenda per noi e per l’Europa intera., cogliendo il meglio della critica e delle proposte alternative che sono scaturite dall’ampio dibattito intellettuale che si è sviluppato nel corso di questa crisi. Segnalo, fra i contributi più recenti, il documento dei 300 economisti italiani e stranieri dell’11 nov.2011 ”Per un cambiamento della politica economica in Italia e in Europa che rilanci domanda,sviluppo e occupazione” e il documento di ampio respiro della Fondazione Ebert di pochi giorni fa “ Social Growth: model of a progressive economic policy”. Quello di cui avremo bisogno non è solo la capacità di intercettare il disagio sociale che si va facendo sempre più drammatico fra i lavoratori e i ceti popolari, ma anche l’ambizione all’egemonia culturale e la rivendicazione di una rinnovata visione dell’interesse nazionale e del ruolo dell’Europa. Per questo non userei per la sinistra dopo Monti la “ foto di Vasto”, troppo provinciale,troppo casuale,troppo dominata dall’immagine sempre più improbabile di Di Pietro. O si cambia registro o non c’è appeal né credibilità. Questo richiede una accelerazione immediata di passo alle componenti più di sinistra del Pd e a quei compagni di Sel che hanno chiaro i limiti del movimentismo e di una politica giocata solo di rimessa sul Pd.
Penso che la collaborazione fra di noi che oggi stiamo discutendo dovrebbe puntare a costruire una base di confronto e di approfondimento programmatico fra Pd,Sel e Psi. Possiamo puntare a costruire una cerniera politica e programmatica che contribuisca a far emergere una sinistra più sicura delle sue ragioni e delle idee con cui candidarsi a governare l’Italia. E ci auguriamo che ciò avvenga in parallelo al possibile governo dei socialisti e dei socialdemocratici in Francia e in Germania
Quindi prima di tutto un lavoro sui contenuti:
il profilo ideale del socialismo nel XXII secolo
la crisi economica e i contenuti a breve e a lungo termine per una uscita da sinistra
la riforma e la implementazione democratica dell’assetto europeo
la nuova legge elettorale
la riforma dei partiti e la loro rilegittimazione democratica
Dobbiamo inoltre rintracciare i fili organizzativi dei movimenti che si sono sviluppati in questi anni, compresi tanti di quelli che erano in piazza il 15 ottobre e che una violenza stupida e criminale ha cercato di oscurare.(vedi il convegno al teatro valle del 10/12 febbraio) E dobbiamo costruire rapporti e iniziative comuni con i sindacati,in primis con la Cgil, che ha saputo resistere all’offensiva del governo Berlusconi, non si è piegata a Marchionne e oggi tira le fila di un rinnovato rapporto unitario fra tutti i sindacati per correggere gli elementi più iniqui della manovra di questo governo e coordinare i tanti movimenti di lotta e di protesta di fronte ai quali la politica è quasi del tutto muta. Tocca quindi al sindacato farsi carico di interpretare e coordinare questi movimenti,anche per evitare che sfocino in iniziative disperate e pericolose come quelle in corso in Sicilia. Questa mi pare la strada da seguire nell’immediato. Senza tentazioni,che apparirebbero ridicole,di costruire l’ennesimo partitino,ma per tentare di dare vita a un movimento di sinistra socialista che si muova a tutto campo dentro la sinistra italiana, con una maggiore visibilità. Pronti a investire unitariamente sul piano nazionale le nostre forze nella prima occasione che prometta davvero di aprire la strada a un grande partito di sinistra legato al socialismo europeo. Non dimenticando infine il possibile appuntamento delle primarie per la leadership del centro sinistra qualora restasse una legge elettorale che ancora giustifichi il ricorso alle primarie.
RELAZIONE SEMINARIO GRUPPO VOLPEDO, NETWORK SOCIALISMO EUROPEO, LEGA DEI SOCIALISTI, MOVIMENTO D’AZIONE LABURISTA
ROMA 21 GENNAIO 2012
Chi siamo.
Il Network per il Socialismo Europeo (NSE ) è una realtà associativa che opera da poco più di un anno ed alla quale aderiscono circoli, associazioni e singoli compagni e compagne che ,a prescindere (almeno per i meno giovani) dalla loro provenienza dal Psi,dal Pci o da altre formazioni della sinistra della prima Repubblica,si definirebbero di sinistra e di orientamento socialista, come è ben evidenziato nel nostro documento costitutivo. Diversi di noi hanno anche partecipato alla Costituente socialista del 2007/2008. Degli attuali aderenti al network molti non sono iscritti ad alcun partito, altri sono iscritti a SEL, altri al PD, altri al PSI.
Che cosa ci caratterizza? Due cose.
a)Non siamo una delle tante manifestazioni della diaspora socialista. Anzi rifiutiamo ogni progetto che si qualifichi come tentativo di recupero della diaspora in quanto tale.
b)Siamo insoddisfatti dell’assetto della sinistra italiana. Il nostro lavoro, soprattutto politico-culturale e programmatico, tende a sollecitare un processo di rinnovamento degli attuali partiti della sinistra-anche attraverso eventuali passaggi graduali e le scomposizioni e ricomposizioni che ciò possa determinare- verso un potenziale nuovo partito di sinistra ,popolare,unitario, collocato a sinistra dell’attuale asse mediano del PD. Un partito collegato al socialismo europeo in questa fase di rinnovamento e di ripensamento delle sue basi programmatiche imposte dalla profonda crisi provocata dal capitalismo finanziario internazionale.
Perché siamo qui oggi?
Abbiamo deciso di rispondere positivamente all’appello di Volpedo che noi interpretiamo come un tentativo per costruire tutte le possibili forme di collaborazione intanto fra di noi promotori (G. di V:,NSE,Lega dei socialisti,Movimento di azione laburista ) come un’area di cultura socialista e di sinistra per la riorganizzazione e il rinnovamento politico-culturale della sinistra, nella prospettiva di quella che il titolo del seminario chiama la Sinistra-dopo-Monti.
Le basi su cui impiantare questo sforzo, prima che nei contributi recuperabili dalle storie passate socialiste,comuniste e della sinistra critica,vanno cercate nella natura della crisi che stiamo attraversando.
Una crisi che segna il fallimento della ideologie liberiste o neoliberali che dominano la scena internazionale da trent’anni. Ideologie cui gran parte della sinistra europea,compreso il Pd e l’Ulivo, hanno aperto porte e finestre negli anni passati.
Una crisi che si è tradotta in disoccupazione massiccia in tutti i paesi sviluppati, in un aggravamento della ingiustizia sociale, nell’arretramento del Welfare e dei diritti. Tutti dati accumulatisi nel corso degli ultimi trent’anni,ma che la crisi partita nel 2008 dagli Stati Uniti,ha portato alla luce del sole in forma esplosiva.
Una crisi che sta portando al rischio di fallimento il progetto europeo nato dalle nobili aspirazioni dei padri fondatori, memori degli immani disastri di due guerre mondiali combattute sul suolo europeo, ma ora ridotto alle condizioni di un meccano paralizzato o impazzito,bloccato dai precetti liberisti e monetaristi di cui la Germania come potenza egemone si è fatta tetragono baluardo.
Una lettura critica di questo sviluppo capitalistico e delle forme assunte dalla globalizzazione, la riscoperta del conflitto sociale e del mondo del lavoro nelle sue nuove e contraddittorie articolazioni come referente imprescindibile, il rilancio del ruolo dell’intervento pubblico e democratico (quindi del ruolo della democrazia e della politica) almeno su scala europea e nazionale, per uno sviluppo socialmente e ecologicamente compatibile: questi elementi possono dunque costituire le basi per un rinnovamento unitario della sinistra italiana, che proprio in ragione di questa ricerca non può non avere nel socialismo europeo,attraversato ora dalle stesse problematiche,il suo principale punto di riferimento.
Credo sia giusto parlare di Sinistra-dopo-Monti, perché dopo l’esperienza del tutto atipica di questo governo,qualunque ne sarà l’esito, difficilmente la sinistra potrà essere la stessa di oggi. Il governo Monti ci ha liberato dalla umiliazione di essere governati e rappresentati all’estero da una squadra da cabaret,come l’ha definita il Financial Times. E’ un governo fatto di molte persone autorevoli e competenti. Ma è anche un governo politico,nel senso che la sua cultura e il suo programma si iscrivono nell’impianto liberale e liberista che ancora domina la politica europea Per di più esso deve fare i conti quotidianamente con l’equilibrio precario della coalizione di emergenza che il Presidente della Repubblica è riuscito a costruire all’interno di questo screditato Parlamento. Per pensare alla sinistra dopo Monti dovremo guardare prima di tutto a ciò che si muove nel PD e in Sel, come le forze più importanti della sinistra. Senza con ciò trascurare la dialettica interna al Psi, dove accanto a vocazioni neoterzaforziste (si veda l’appello di Covatta- Teodori, o la tendenza di Nencini a giocare da “apostrofo rosa” fra Pd e Udc) esiste una combattiva componente di sinistra qui rappresentata dalla Lega. Ed esiste una non sopita voglia di sinistra in quelle aree di militanti che si sono liberate da quel paralizzante complesso di vittimismo rancoroso, che, ancora comprensibile nei primi anni dopo l’esito di Tangentopoli, è diventato poi semplicemente la copertura per un passaggio dal socialismo al campo opposto del berlusconismo. Aggiungo che l’attenzione va tenuta aperta anche verso quanto succede nella variegata area della Fed. Ricordo, a conferma,che quando noi nel marzo scorso promuovemmo,con l’aiuto di un qualificato gruppo di economisti critici,un appello contro il vertice europeo da cui scaturì quel “Patto Europlus” che è alla base del “Fiscal Compact” che si sta discutendo ora, quell’appello fu firmato da !4 organizzazioni,fra cui le fondazioni socialiste qui presenti,ma anche Socialismo 2000 di Salvi e Marx XXI dei comunisti italiani. Sarebbe dunque sbagliato considerare quell’area come una pura ridotta di nostalgici.
E’ nel Pd che l’esperienza del governo Monti è destinata a lasciare i segni più profondi, perché ne evidenzia la frattura politica e culturale che lo attraversa da tempo. Basti pensare all’accoglienza mostrata dal PD verso la lettera della BCE, e prima ancora verso il patto Europlus del marzo 2011. Accoglienza divisa fra le nette riserve di una parte, sempre però preoccupata di essere accusata di antieuropeismo, e la adesione quasi entusiastica, di un’altra, che salutava l’intervento della tecnocrazia europea come convalida della politica da essa sempre sostenuta. Questa diversa valutazione conferma la profonda differenza di visioni politiche fra un’area nettamente schierata per politiche di tipo liberista, sia pure attenuate da un vago senso di solidarietà sociale, e un’area che potremmo in senso lato definire a vocazione socialista (Bersani-Fassina). E’ questa divisione che ha fatto sì che il PD si trovasse impreparato di fronte alla crisi del governo Berlusconi e finisse per accettare il governo Monti, anche in questo caso profondamente diviso fra la giustificazione dello stato di necessità da parte di alcuni e il sentimento di totale adesione da parte di altri. Questo conflitto di valutazioni dovrà prima o poi essere risolto!
Naturalmente molto dipenderà dalla evoluzione della crisi, in primo luogo se ci sarà o no una svolta della Germania e della BCE sulle politiche dei tassi di interesse. Dopo la retorica sul baratro da cui ci saremmo allontanati grazie alla nascita del nuovo governo e alla manovra SalvaItalia, scopriamo di essere ancora lì, ai bordi di quel baratro. E Monti è costretto ad alzare la voce e a evocare ,sia pure in modo ancora indiretto, il vero tabù di questa crisi:l’intervento della BCE e il lancio degli Eurobond. Se questa svolta arriverà potremo almeno respirare, ma la continuazione della politica di austerity in Europa e in Italia non ci sottrarrà alla prospettiva della recessione e di un possibile avvitamento dello stesso problema del debito. Resta inoltre, in assenza di un drastico intervento sui tassi, la possibilità ravvicinata di una esplosione della crisi fino al default, con quello che ciò significherebbe in termini di disastro europeo. Questi diversi possibili scenari influenzeranno la evoluzione del quadro politico e degli orientamenti del paese su tutti i lati dello schieramento, compreso il rischio di una ondata populista e antieuropea, quale quella che anche Monti ha dichiarato di temere. I costi sociali della crisi e delle manovre del governo stanno infatti diventando insopportabili per la gran parte dei lavoratori e dei ceti popolari. Anche la annunciata manovra delle liberalizzazioni,al di là di molta retorica e di poche riforme davvero utili, contiene misure di dubbia giustificazione sociale come quelle sui tassisti, o assai pericolose come la ventilata separazione della rete ferroviaria e l’abolizione del contratto unico del settore, o lo scorporo della rete gas con possibili rischi di privatizzazione,o infine la privatizzazione forzosa di tanti servizi pubblici locali, sui quali peraltro si è già pronunciato negativamente il recente referendum. E non parliamo dell’art.18, su cui per fortuna sembrano rientrati i propositi della ministra Fornero. Quanto può resistere il Pd in questa situazione? Il salto nel buio di elezioni anticipate, senza uno straccio di riforma elettorale e senza una adeguata preparazione spaventa giustamente Bersani. Ma se Monti non riesce a fare un miracolo o qualcosa che gli assomigli, anche lo stallo in cui il Pd sostiene il governo che non è il suo governo e punta solamente alla riduzione del danno,diventa insostenibile. Ecco perché un chiarimento di fondo dovrebbe diventare ineludibile,a prescindere che possa tradursi in rotture più o meno marginali.
Noi dovremmo insistere perché questo chiarimento avvenga non alla fine della legislatura, né al momento di una possibile crisi di governo, ma subito per definire i termini della prospettiva che il Pd intende indicare per il futuro, mentre intanto sostiene bon gré mal gré questo governo.
Quanto a Sel si può capire la impazienza di Vendola, ma si vedono già da alcuni mesi i limiti di una scelta tutta tattica affidata alla speranza di conquistare la leadership della sinistra tramite il marchingegno delle primarie. Impostazione di corto respiro che ha indotto fra l’altro quel partito alla scelta incomprensibile di aderire al referendum Parisi, mentre invece avrebbe interesse a una legge elettorale che non la costringa a coalizioni a ogni costo. Sel dovrebbe invece lavorare, proprio in questa fase di vacanza parlamentare per dotarsi di un più robusto profilo politico,fatto meno di narrazioni e più di analisi e di elaborazioni programmatiche sui problemi che la crisi ha riproposto drammaticamente: conflitto sociale e governo democratico dello sviluppo su linee socialmente e ecologicamente sostenibili. In questo senso assumerebbe un significato eccezionale la scelta di aderire al Pse, scelta che comincia a essere discussa fra i suoi quadri anche grazie ai nostri compagni del NSE iscritti a quel partito. Tutti noi anche da fuori dovremmo proporre questa questione a Sel come decisiva per la sua prospettiva e per la sinistra-dopo-Monti.
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Alla luce di quanto sopra sostenuto, in assenza di una legge elettorale di stampo proporzionale, dovremmo pensare che per le elezioni politiche,quando che siano,gli scenari possibili a sinistra siano sostanzialmente due.
Una versione montiana di alleanza di centro sinistra. Cioè una alleanza fra il centro e il Pd sotto il segno della rivendicazione dell’eredità del governo Monti (ammesso che ci sia un bilancio in qualche modo positivo da rivendicare). Si tratterebbe di un progetto inevitabilmente moderato sul terreno economico e sociale, impostato con poche varianti sulle politiche liberiste europee, giustificata in nome della perdurante emergenza e della responsabilità nazionale. Una ipotesi di questo genere è sicuramente negli auspici dell’area moderata del Pd e potrebbe essere tanto più sostenuta in presenza di una eventuale deriva antieuropea del centro destra. Difficilmente Sel potrebbero acconciarsi a questo schema. Ma se, malauguratamente, il Pd dovesse fare questa scelta, anche a costo di qualche rottura alla sua sinistra, sarebbe veramente una iattura e dovremmo immaginare un percorso molto più lungo e tormentato per veder nascere una sinistra-dopo-Monti con possibilità di incidere davvero sulla scena politica e sociale. Certo non si potrebbe costruire sulle fondamenta di un asse Sel-Di Pietro!
Sono però convinto,forse è un wishfull thinking, che ci siano più probabilità che alle prossime elezioni si presenti una coalizione di sinistra basata sull’asse Pd-Sel (inclusiva inevitabilmente anche di Di Pietro) e aperta ai movimenti che si sono messi in luce nell’ultimo anno su terreni costruttivi quali la difesa dei beni comuni,la difesa della dignità delle donne,la denuncia del potere finanziario. Una simile coalizione potrebbe incorporare anche le esperienze originali rappresentate dalla vittoria di Pisapia a Milano e di De Magistris a Napoli, dovrebbe chiedere al Psi di farne parte a tutti gli effetti e prevedere inoltre l’alleanza con la Fed. Immagino le fortissime resistenze che ci sarebbero dentro al Pd e la possibilità di uscita di una parte dei suoi dirigenti verso il centro. Ma se si avesse il respiro necessario per presentare questa coalizione non come l’ennesima versione dell’Ulivo o della raccolta elettoralistica e residuale di tutta la sinistra , bensì come il nostro contributo a un progetto unitario della sinistra europea per uscire dalla crisi e costruire un modello di sviluppo e un’Europa diversa, credo che ce la potremmo fare. Ci vorrebbe un grande sforzo culturale per delineare una nuova ambiziosa agenda per noi e per l’Europa intera., cogliendo il meglio della critica e delle proposte alternative che sono scaturite dall’ampio dibattito intellettuale che si è sviluppato nel corso di questa crisi. Segnalo, fra i contributi più recenti, il documento dei 300 economisti italiani e stranieri dell’11 nov.2011 ”Per un cambiamento della politica economica in Italia e in Europa che rilanci domanda,sviluppo e occupazione” e il documento di ampio respiro della Fondazione Ebert di pochi giorni fa “ Social Growth: model of a progressive economic policy”. Quello di cui avremo bisogno non è solo la capacità di intercettare il disagio sociale che si va facendo sempre più drammatico fra i lavoratori e i ceti popolari, ma anche l’ambizione all’egemonia culturale e la rivendicazione di una rinnovata visione dell’interesse nazionale e del ruolo dell’Europa. Per questo non userei per la sinistra dopo Monti la “ foto di Vasto”, troppo provinciale,troppo casuale,troppo dominata dall’immagine sempre più improbabile di Di Pietro. O si cambia registro o non c’è appeal né credibilità. Questo richiede una accelerazione immediata di passo alle componenti più di sinistra del Pd e a quei compagni di Sel che hanno chiaro i limiti del movimentismo e di una politica giocata solo di rimessa sul Pd.
Penso che la collaborazione fra di noi che oggi stiamo discutendo dovrebbe puntare a costruire una base di confronto e di approfondimento programmatico fra Pd,Sel e Psi. Possiamo puntare a costruire una cerniera politica e programmatica che contribuisca a far emergere una sinistra più sicura delle sue ragioni e delle idee con cui candidarsi a governare l’Italia. E ci auguriamo che ciò avvenga in parallelo al possibile governo dei socialisti e dei socialdemocratici in Francia e in Germania
Quindi prima di tutto un lavoro sui contenuti:
il profilo ideale del socialismo nel XXII secolo
la crisi economica e i contenuti a breve e a lungo termine per una uscita da sinistra
la riforma e la implementazione democratica dell’assetto europeo
la nuova legge elettorale
la riforma dei partiti e la loro rilegittimazione democratica
Dobbiamo inoltre rintracciare i fili organizzativi dei movimenti che si sono sviluppati in questi anni, compresi tanti di quelli che erano in piazza il 15 ottobre e che una violenza stupida e criminale ha cercato di oscurare.(vedi il convegno al teatro valle del 10/12 febbraio) E dobbiamo costruire rapporti e iniziative comuni con i sindacati,in primis con la Cgil, che ha saputo resistere all’offensiva del governo Berlusconi, non si è piegata a Marchionne e oggi tira le fila di un rinnovato rapporto unitario fra tutti i sindacati per correggere gli elementi più iniqui della manovra di questo governo e coordinare i tanti movimenti di lotta e di protesta di fronte ai quali la politica è quasi del tutto muta. Tocca quindi al sindacato farsi carico di interpretare e coordinare questi movimenti,anche per evitare che sfocino in iniziative disperate e pericolose come quelle in corso in Sicilia. Questa mi pare la strada da seguire nell’immediato. Senza tentazioni,che apparirebbero ridicole,di costruire l’ennesimo partitino,ma per tentare di dare vita a un movimento di sinistra socialista che si muova a tutto campo dentro la sinistra italiana, con una maggiore visibilità. Pronti a investire unitariamente sul piano nazionale le nostre forze nella prima occasione che prometta davvero di aprire la strada a un grande partito di sinistra legato al socialismo europeo. Non dimenticando infine il possibile appuntamento delle primarie per la leadership del centro sinistra qualora restasse una legge elettorale che ancora giustifichi il ricorso alle primarie.
domenica 22 gennaio 2012
sabato 21 gennaio 2012
venerdì 20 gennaio 2012
giovedì 19 gennaio 2012
mercoledì 18 gennaio 2012
martedì 17 gennaio 2012
lunedì 16 gennaio 2012
Marcello Rossi: L'uomo giusto al posto giusto
Il Ponte, dicembre 2011
L'UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO di Marcello Rossi
"...Per il momento prendiamo atto che Mario Monti a Palazzo Chigi - o per consiglio del trio Obama-Merkel-Sarkozy o per intuizione di Napolitano - rappresenta una rassicurazione alla Bce riguardo alla realizzazione di quel piano di risanamento che già mesi or sono era stato "consigliato" a Berlusconi, e nel contempo comporta il trionfo del "cattoliberismo", sia come impianto economico, sia come filosofia di vita. Monti è persona seria e nel suo campo preparata. A lui si chiede l'avvio di quella "rivoluzione liberale" in salsa cattolica - Stato leggero, tagli drastici alla burocrazia e agli sprechi, libertà di azione alle imprese specialmente per quanto concerne i rapporti di lavoro, aiuti consistenti alla scuola privata, liberalizzazioni e privatizzazioni - che anche Berlusconi aveva eletto a suo cavallo di battaglia, ma che per una larga serie di motivi, non ultimi l'insipienza e l'incultura, non era riuscito a far andare oltre una pura petizione di principio.
Forse al punto in cui siamo - per alcuni, un punto di non ritorno - non resta che affidarsi a Mario Monti, ma non ci si può nascondere che la riuscita della sua azione è la certificazione del fallimento completo della sinistra. Né Napolitano né Bersani, che pure hanno speso la loro vita politica all'interno della sinistra, sembrano aver preso in considerazione questo aspetto. E l'appoggio del Pd al nuovo governo "senza se e senza ma" - come Bersani ha dichiarato - dimostra in modo evidente, lapalissiano direi, che ormai questo partito è un partito di centro e non di centro-sinistra, e "sinistra" è solo un orpello scomodo. Si è finalmente conclusa quella mutazione genetica della sinistra tradizionale che era cominciata con Craxi nel partito socialista alla fine degli anni settanta, che nel Pds era stata cavalcata dagli allora giovani colonnelli, e che ora, nel declino di una Seconda repubblica che non è mai nata, porta il segretario del maggiore partito di centro-sinistra a sostenere che il cattoliberista Monti è l'uomo giusto al posto giusto. Con buona pace di tutti coloro - noi compresi - che pensavano che sinistra significasse "laicità", "pubblico" e "socializzazione". Sic transit gloria mundi."
L'UOMO GIUSTO AL POSTO GIUSTO di Marcello Rossi
"...Per il momento prendiamo atto che Mario Monti a Palazzo Chigi - o per consiglio del trio Obama-Merkel-Sarkozy o per intuizione di Napolitano - rappresenta una rassicurazione alla Bce riguardo alla realizzazione di quel piano di risanamento che già mesi or sono era stato "consigliato" a Berlusconi, e nel contempo comporta il trionfo del "cattoliberismo", sia come impianto economico, sia come filosofia di vita. Monti è persona seria e nel suo campo preparata. A lui si chiede l'avvio di quella "rivoluzione liberale" in salsa cattolica - Stato leggero, tagli drastici alla burocrazia e agli sprechi, libertà di azione alle imprese specialmente per quanto concerne i rapporti di lavoro, aiuti consistenti alla scuola privata, liberalizzazioni e privatizzazioni - che anche Berlusconi aveva eletto a suo cavallo di battaglia, ma che per una larga serie di motivi, non ultimi l'insipienza e l'incultura, non era riuscito a far andare oltre una pura petizione di principio.
Forse al punto in cui siamo - per alcuni, un punto di non ritorno - non resta che affidarsi a Mario Monti, ma non ci si può nascondere che la riuscita della sua azione è la certificazione del fallimento completo della sinistra. Né Napolitano né Bersani, che pure hanno speso la loro vita politica all'interno della sinistra, sembrano aver preso in considerazione questo aspetto. E l'appoggio del Pd al nuovo governo "senza se e senza ma" - come Bersani ha dichiarato - dimostra in modo evidente, lapalissiano direi, che ormai questo partito è un partito di centro e non di centro-sinistra, e "sinistra" è solo un orpello scomodo. Si è finalmente conclusa quella mutazione genetica della sinistra tradizionale che era cominciata con Craxi nel partito socialista alla fine degli anni settanta, che nel Pds era stata cavalcata dagli allora giovani colonnelli, e che ora, nel declino di una Seconda repubblica che non è mai nata, porta il segretario del maggiore partito di centro-sinistra a sostenere che il cattoliberista Monti è l'uomo giusto al posto giusto. Con buona pace di tutti coloro - noi compresi - che pensavano che sinistra significasse "laicità", "pubblico" e "socializzazione". Sic transit gloria mundi."
Felice Besostri: E adesso povero elettore?
E ADESSO POVERO ELETTORE?
di Felice Besostri
Con un secco comunicato la Corte Costituzionale ha posto fine alle attese e alle speranze di un mutamento di orientamento giurisprudenziale in tema di ammissibilità di referendum elettorali :“La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica).”
Parliamoci chiaro si trattava di un referendum “truffa”, con due finalità, una chiara, sabotare il Referendum Passigli-Sartori-Ferrara-Villone e l’altra inconfessabile, cioè provocare elezioni anticipate con la legge di cui pubblicamente si chiedeva l’abrogazione. La conferma la si è avuta con la rabbiosa reazione alla notizia della decisione, quando demagoghi senza senso del pudore hanno voluto coinvolgere nella polemica il Capo dello Stato, il Governo presieduto da Monti. e il Parlamento, accostando la decisione della Consulta al diniego di arresto dell’on. Cosentino. Siamo una democrazia rappresentativa con forma di governo parlamentare: invocare la piazza e gli elettori, che (ripeto: deliberatamente ingannati), hanno sottoscritto i quesiti referendari, grazie a una campagna mediatica ossessiva, è atto di irresponsabilità politica. Si alimenta consapevolmente l’antipolitica qualunquista per trarne qualche beneficio elettorale. Siamo, grazieaddio, alla lotta di Liberazione e alla volontà popolare, uno Stato di Diritto, che è il requisito minimo di libertà e democrazia. Se saremo ancora uno Stato democratico sarà grazie alla decisone del Capo dello Stato di non sciogliere anticipatamente le Camere per votare con questa legge elettorale incostituzionale: insieme con l’emergenza economica avremmo goduto dell’emergenza democratica, se avessimo dovuto eleggere per la terza volta di seguito un Parlamento di nominati (scusate la contraddizione). Una legge, che sulla carta doveva assicurare maggioranze blindate e un Presidente del Consiglio, unto dal Signore e direttamente eletto dal Popolo, clamorosamente fallita se per la seconda volta si fosse andati a elezioni anticipate. Purtroppo questa legge piace a troppi leader di partito, perché da un potere immenso nella formazione delle liste e al prescelto di figurare con il suo solo nome sulla scheda elettorale. Come potrebbero altrimenti Di Pietro scegliere il suo Scilipoti prossimo venturo e Berlusconi la più graziosa delle sue donzelle e tutti gli altri cortigiani, clienti, leccapiedi e amici fedeli?
Il Capo dello Stato può esortare i partiti a modificare la legge elettorale e Monti ripetere che non è competenza del Governo, ma dei partiti, ma già questo è un problema, perché i “partiti” formalmente presenti in Parlamento superano tranquillamente la decina, ma sono nati per gemmazione da liste elettorali apparentemente più omogenee, senza consenso elettorale. In compenso fuori dal Parlamento c’è tutta la sinistra in tutte le sue gradazioni, perché sotto soglia ovvero esclusa da Veltroni da un apparentamento per favorire Di Pietro. Come insegna il Talmud, se non sei in grado di sopportare il peso dell’irriconoscenza, è meglio non fare del bene. I partiti sono “andati”, sono macchine elettorali senz’anima e senza un progetto di società, con un capo carismatico o autoritario o semplicemente con in mano i cordoni della borsa dei rimborsi elettorali e/o delle sue personali fortune. Il PD fa eccezione soltanto perché la leadership è per sua natura provvisoria. L’Italia è l’unico paese europeo che non abbia una legge sui partiti politici, benché richiesta dall’art. 49 della Costituzione. I veri paria del nostro sistema politico sono gli iscritti ai partiti non appartenenti né alla nomenklatura interna, né alla casta: non hanno diritti, non decidono la linea, al massimo un leader con sistemi plebiscitari e per di più devono farsi carico del disprezzo dei normali cittadini, disgustati dalla politica e dai politicanti. Si continuano a sfornare modelli elettorali che per avere un nome in latino maccheronico dovrebbero avere effetti taumaturgici, dal Mattarellum al Tatarellum per finire, inevitabilmente, nel Porcellum. Se non c’è la politica e la morale in politica e manca il senso delle istituzioni e dello Stato l’ingegneria elettoral-costituzionale non risolve nulla. Nella Prima Repubblica di governi di coalizione di durata media intorno all’anno l’ingovernabilità non dipendeva dalla legge elettorale proporzionale, ma dal fatto che DC e PCI non potessero governare insieme per ragioni internazionali. Nella Seconda Repubblica se Forza Italia, UDC e AN e Lega Nord, guidate da Berlusconi, Casini, Fini e Bossi fossero state coalizione coese con un progetto comune e non alleanze tattiche, incentivate dai meccanismi premiali delle leggi elettorali, non ci sarebbe stato bisogno di modificare la legge elettorale con la L. 270/2005. Se l’Unione del 2006 fosse stata una scelta politicamente seria non ci sarebbero state le elezioni anticipate del 2008 con l’ascesa di Berlusconi, che non avrebbe vinto nemmeno nel 2001, se non si fossero fatte le furbate delle liste civetta per salvare il posto ad una quindicina di parlamentari dell’Ulivo. Guardiamoci intorno i responsabili di quelle scelte perdenti e di oggettiva intelligenza col nemico, come la fine del Governo Prodi nella XVa Legislatura, sono ancora tutti ai loro posti, pronti ad inventare nuove trame.
Ognuno sta pensando a leggi elettorali su misura per se stesso ( sbagliandosi spesso)
e quindi non dobbiamo aspettarci nulla. E adesso povero elettore( parafrasando Hans Fallada di tempi altrettanto turbolenti), che si fa?! Ogni speranza è veramente perduta? No e grazie all’acribia di un pugno di cittadini democratici, che in totale isolamento politico e mediatico si sono opposti ai referendum Guzzetta-Segni-D’Amico, provocando quei passi delle sentenze n. 15 e 16 del 2008, in cui si sottolineavano gli aspetti di dubbia costituzionalità del premio di maggioranza senza quorum in seggi o percentuale di voti. Gli stessi che, avendo prestato fede all’esortazione della Corte Costituzionale, hanno impugnato innanzi al TAR Lazio il decreto d’indizione dei comizi elettorale del 2008, per ottenere un diniego di giurisdizione e un’inammissibilità del ricorso da Consiglio di Stato in quanto atto politico: si è legittimato un colpo di Stato perché, se il decreto di indizione dei comizi elettorali è atto inimpugnabile, si possono prevedere elezioni oltre il termine massimo di settanta giorni previsto dalla Costituzione(art.61). In base ad un’interpretazione aberrante del principio dell’autodichia del Parlamento e a una lettura dell’art. 66 Cost., che non tiene conto del letterale tenore delle parole, si è giunti alla conclusione che unici organi competente ad esaminare la costituzionalità d una legge elettorale sono le Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge elettorale…. di sospetta costituzionalità!!! I componenti delle Giunte trasformati in tacchini, che dovessero preparare il menù del pranzo del Giorno del Ringraziamento: peccato che non possano sottoporre alla Corte Costituzionale dubbi di costituzionalità in via incidentale. Per il diniego di giustizia pende ora un ricorso innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, di cui viene ritardata la decisione. Sempre lo stesso gruppo, nel frattempo allargatosi ad altri avvocati di tutte le parti d’Italia hanno citato la Presidenza del Consiglio e il Ministero degli Interni, a suo tempo Berlusconi e Maroni, per far accertare dal tribunale di Milano il loro diritto di votare in modo conforme a Costituzione. Le parti della legge, di cui si eccepisce la costituzionalità, sono le stesse che sarebbero state abrogate col referendum Passigli, che non presentava profili di inammissibilità, salvo che per il punto dell’abrogazione delle liste bloccate, ma facilmente superabile non ammettendo il quesito specifico o valutando che al vuoto poteva rimediarsi con un semplice decreto ministeriale di approvazione della scheda elettorale tipo. In più si eccepiva la violazione degli artt 3, 48 e 51 Cost, per il diverso quoziente elettorale richiesto per la proclamazione di Parlamentari di liste beneficianti del premio di maggioranza e tutti gli altri. Il primo grado si è concluso con una reiezione nel merito, confondendo l’eccezione sul premio di maggioranza, come riproposizione della tesi della costituzionalizzazione implicita del principio di proporzionalità delle leggi elettorali e non nei termini delle sentenze n.15 e 16 del 2008 della Corte Costituzionale: un equivoco necessario perché altrimenti non si poteva liquidare l’eccezione come “manifestamente infondata”. Ora siamo in Corte d’Appello, sez. IV Civile, con udienza di precisazione delle conclusioni fissata per il prossimo 22 marzo.
Soltanto la Corte d’Appello di Milano, cui sarà chiesta l’anticipazione dell’udienza, potrà rinviare alla Consulta le questioni di costituzionalità relative a premio di maggioranza, liste bloccate, indicazione sulla scheda elettorale del nome del futuro Premier e quoziente elettorale differenziato e frustrare il tentativo di rinnovare(?) le Camere con la vigente legge elettorale. Con la legge all’esame della Consulta il Capo dello Stato non scioglierà le Camere nemmeno di fronte ad una sfiducia a Monti, l’ultima carta in mano ai golpisti pro-Porcellum. Da un Parlamento di nominati agli ordine di chi li ha eletti o di chi ha promesso di rieleggerli, anche dopo un cambio di casacca, c’è da aspettarsi di tutto. Soltanto una forte mobilitazione dell’opinione pubblica, a cominciare dai firmatari che volevano eliminare lo scandalo della legge elettorale vigente e non reintrodurre surrettiziamente il Mattarellum, può impedire di tradire il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, che rappresentino anche la Nazione italiana, come chiede l’art. 67 Cost. e non i padroni della loro collocazione utile nella lista bloccata. Finché dura il silenzio mediatico e le forze presenti in parlamento non sollevano la contraddizione di un’Avvocatura dello Stato, che difende una legge, di cui Il Presidente Napolitano e il Primo Ministro Monti auspicano una riforma, non si potrà sperarwe in un coraggio dei giudici, che pongano fine alla copertura assicurata finora alla classe politica dal Consiglio di Stato e dala Suprema corte di Cassazione, a Sezione Unite. Nella totale indifferenza della stampa e delle televisioni, comprese quelle che fustigano ad ogni piè sospinto i privilegi della “Casta” si è consumato lo scandalo di disattendere nella redazione finale un preciso principio quello dell’art. 44 L. 69/2009(Delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, per cui:”
“1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1, oltre che ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in quanto applicabili, si attengono ai seguenti princìpi e criteri direttivi…omissis…)
d) razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione in entrambi i gradi e introducendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni;(…omissis…)”.
L’ultimo tentativo di impedire agli elettori di chiedere e ottenere giustizia deve fallire, speriamo anche grazie a formazioni politiche, che la democrazia dovrebbero averla nel DNA, in quanto eredi del Partito dei Lavoratori, fondato a Genova nel 1892 e di cui quest’anno è il 120° anniversario
Milano 15 gennaio 2012
di Felice Besostri
Con un secco comunicato la Corte Costituzionale ha posto fine alle attese e alle speranze di un mutamento di orientamento giurisprudenziale in tema di ammissibilità di referendum elettorali :“La Corte costituzionale, in data 12 gennaio 2012, ha dichiarato inammissibili le due richieste di referendum abrogativo riguardanti la legge 21 dicembre 2005, n. 270 (Modifiche alle norme per l’elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica).”
Parliamoci chiaro si trattava di un referendum “truffa”, con due finalità, una chiara, sabotare il Referendum Passigli-Sartori-Ferrara-Villone e l’altra inconfessabile, cioè provocare elezioni anticipate con la legge di cui pubblicamente si chiedeva l’abrogazione. La conferma la si è avuta con la rabbiosa reazione alla notizia della decisione, quando demagoghi senza senso del pudore hanno voluto coinvolgere nella polemica il Capo dello Stato, il Governo presieduto da Monti. e il Parlamento, accostando la decisione della Consulta al diniego di arresto dell’on. Cosentino. Siamo una democrazia rappresentativa con forma di governo parlamentare: invocare la piazza e gli elettori, che (ripeto: deliberatamente ingannati), hanno sottoscritto i quesiti referendari, grazie a una campagna mediatica ossessiva, è atto di irresponsabilità politica. Si alimenta consapevolmente l’antipolitica qualunquista per trarne qualche beneficio elettorale. Siamo, grazieaddio, alla lotta di Liberazione e alla volontà popolare, uno Stato di Diritto, che è il requisito minimo di libertà e democrazia. Se saremo ancora uno Stato democratico sarà grazie alla decisone del Capo dello Stato di non sciogliere anticipatamente le Camere per votare con questa legge elettorale incostituzionale: insieme con l’emergenza economica avremmo goduto dell’emergenza democratica, se avessimo dovuto eleggere per la terza volta di seguito un Parlamento di nominati (scusate la contraddizione). Una legge, che sulla carta doveva assicurare maggioranze blindate e un Presidente del Consiglio, unto dal Signore e direttamente eletto dal Popolo, clamorosamente fallita se per la seconda volta si fosse andati a elezioni anticipate. Purtroppo questa legge piace a troppi leader di partito, perché da un potere immenso nella formazione delle liste e al prescelto di figurare con il suo solo nome sulla scheda elettorale. Come potrebbero altrimenti Di Pietro scegliere il suo Scilipoti prossimo venturo e Berlusconi la più graziosa delle sue donzelle e tutti gli altri cortigiani, clienti, leccapiedi e amici fedeli?
Il Capo dello Stato può esortare i partiti a modificare la legge elettorale e Monti ripetere che non è competenza del Governo, ma dei partiti, ma già questo è un problema, perché i “partiti” formalmente presenti in Parlamento superano tranquillamente la decina, ma sono nati per gemmazione da liste elettorali apparentemente più omogenee, senza consenso elettorale. In compenso fuori dal Parlamento c’è tutta la sinistra in tutte le sue gradazioni, perché sotto soglia ovvero esclusa da Veltroni da un apparentamento per favorire Di Pietro. Come insegna il Talmud, se non sei in grado di sopportare il peso dell’irriconoscenza, è meglio non fare del bene. I partiti sono “andati”, sono macchine elettorali senz’anima e senza un progetto di società, con un capo carismatico o autoritario o semplicemente con in mano i cordoni della borsa dei rimborsi elettorali e/o delle sue personali fortune. Il PD fa eccezione soltanto perché la leadership è per sua natura provvisoria. L’Italia è l’unico paese europeo che non abbia una legge sui partiti politici, benché richiesta dall’art. 49 della Costituzione. I veri paria del nostro sistema politico sono gli iscritti ai partiti non appartenenti né alla nomenklatura interna, né alla casta: non hanno diritti, non decidono la linea, al massimo un leader con sistemi plebiscitari e per di più devono farsi carico del disprezzo dei normali cittadini, disgustati dalla politica e dai politicanti. Si continuano a sfornare modelli elettorali che per avere un nome in latino maccheronico dovrebbero avere effetti taumaturgici, dal Mattarellum al Tatarellum per finire, inevitabilmente, nel Porcellum. Se non c’è la politica e la morale in politica e manca il senso delle istituzioni e dello Stato l’ingegneria elettoral-costituzionale non risolve nulla. Nella Prima Repubblica di governi di coalizione di durata media intorno all’anno l’ingovernabilità non dipendeva dalla legge elettorale proporzionale, ma dal fatto che DC e PCI non potessero governare insieme per ragioni internazionali. Nella Seconda Repubblica se Forza Italia, UDC e AN e Lega Nord, guidate da Berlusconi, Casini, Fini e Bossi fossero state coalizione coese con un progetto comune e non alleanze tattiche, incentivate dai meccanismi premiali delle leggi elettorali, non ci sarebbe stato bisogno di modificare la legge elettorale con la L. 270/2005. Se l’Unione del 2006 fosse stata una scelta politicamente seria non ci sarebbero state le elezioni anticipate del 2008 con l’ascesa di Berlusconi, che non avrebbe vinto nemmeno nel 2001, se non si fossero fatte le furbate delle liste civetta per salvare il posto ad una quindicina di parlamentari dell’Ulivo. Guardiamoci intorno i responsabili di quelle scelte perdenti e di oggettiva intelligenza col nemico, come la fine del Governo Prodi nella XVa Legislatura, sono ancora tutti ai loro posti, pronti ad inventare nuove trame.
Ognuno sta pensando a leggi elettorali su misura per se stesso ( sbagliandosi spesso)
e quindi non dobbiamo aspettarci nulla. E adesso povero elettore( parafrasando Hans Fallada di tempi altrettanto turbolenti), che si fa?! Ogni speranza è veramente perduta? No e grazie all’acribia di un pugno di cittadini democratici, che in totale isolamento politico e mediatico si sono opposti ai referendum Guzzetta-Segni-D’Amico, provocando quei passi delle sentenze n. 15 e 16 del 2008, in cui si sottolineavano gli aspetti di dubbia costituzionalità del premio di maggioranza senza quorum in seggi o percentuale di voti. Gli stessi che, avendo prestato fede all’esortazione della Corte Costituzionale, hanno impugnato innanzi al TAR Lazio il decreto d’indizione dei comizi elettorale del 2008, per ottenere un diniego di giurisdizione e un’inammissibilità del ricorso da Consiglio di Stato in quanto atto politico: si è legittimato un colpo di Stato perché, se il decreto di indizione dei comizi elettorali è atto inimpugnabile, si possono prevedere elezioni oltre il termine massimo di settanta giorni previsto dalla Costituzione(art.61). In base ad un’interpretazione aberrante del principio dell’autodichia del Parlamento e a una lettura dell’art. 66 Cost., che non tiene conto del letterale tenore delle parole, si è giunti alla conclusione che unici organi competente ad esaminare la costituzionalità d una legge elettorale sono le Giunte delle Elezioni delle Camere elette con la legge elettorale…. di sospetta costituzionalità!!! I componenti delle Giunte trasformati in tacchini, che dovessero preparare il menù del pranzo del Giorno del Ringraziamento: peccato che non possano sottoporre alla Corte Costituzionale dubbi di costituzionalità in via incidentale. Per il diniego di giustizia pende ora un ricorso innanzi alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo, di cui viene ritardata la decisione. Sempre lo stesso gruppo, nel frattempo allargatosi ad altri avvocati di tutte le parti d’Italia hanno citato la Presidenza del Consiglio e il Ministero degli Interni, a suo tempo Berlusconi e Maroni, per far accertare dal tribunale di Milano il loro diritto di votare in modo conforme a Costituzione. Le parti della legge, di cui si eccepisce la costituzionalità, sono le stesse che sarebbero state abrogate col referendum Passigli, che non presentava profili di inammissibilità, salvo che per il punto dell’abrogazione delle liste bloccate, ma facilmente superabile non ammettendo il quesito specifico o valutando che al vuoto poteva rimediarsi con un semplice decreto ministeriale di approvazione della scheda elettorale tipo. In più si eccepiva la violazione degli artt 3, 48 e 51 Cost, per il diverso quoziente elettorale richiesto per la proclamazione di Parlamentari di liste beneficianti del premio di maggioranza e tutti gli altri. Il primo grado si è concluso con una reiezione nel merito, confondendo l’eccezione sul premio di maggioranza, come riproposizione della tesi della costituzionalizzazione implicita del principio di proporzionalità delle leggi elettorali e non nei termini delle sentenze n.15 e 16 del 2008 della Corte Costituzionale: un equivoco necessario perché altrimenti non si poteva liquidare l’eccezione come “manifestamente infondata”. Ora siamo in Corte d’Appello, sez. IV Civile, con udienza di precisazione delle conclusioni fissata per il prossimo 22 marzo.
Soltanto la Corte d’Appello di Milano, cui sarà chiesta l’anticipazione dell’udienza, potrà rinviare alla Consulta le questioni di costituzionalità relative a premio di maggioranza, liste bloccate, indicazione sulla scheda elettorale del nome del futuro Premier e quoziente elettorale differenziato e frustrare il tentativo di rinnovare(?) le Camere con la vigente legge elettorale. Con la legge all’esame della Consulta il Capo dello Stato non scioglierà le Camere nemmeno di fronte ad una sfiducia a Monti, l’ultima carta in mano ai golpisti pro-Porcellum. Da un Parlamento di nominati agli ordine di chi li ha eletti o di chi ha promesso di rieleggerli, anche dopo un cambio di casacca, c’è da aspettarsi di tutto. Soltanto una forte mobilitazione dell’opinione pubblica, a cominciare dai firmatari che volevano eliminare lo scandalo della legge elettorale vigente e non reintrodurre surrettiziamente il Mattarellum, può impedire di tradire il diritto degli elettori di scegliere i propri rappresentanti, che rappresentino anche la Nazione italiana, come chiede l’art. 67 Cost. e non i padroni della loro collocazione utile nella lista bloccata. Finché dura il silenzio mediatico e le forze presenti in parlamento non sollevano la contraddizione di un’Avvocatura dello Stato, che difende una legge, di cui Il Presidente Napolitano e il Primo Ministro Monti auspicano una riforma, non si potrà sperarwe in un coraggio dei giudici, che pongano fine alla copertura assicurata finora alla classe politica dal Consiglio di Stato e dala Suprema corte di Cassazione, a Sezione Unite. Nella totale indifferenza della stampa e delle televisioni, comprese quelle che fustigano ad ogni piè sospinto i privilegi della “Casta” si è consumato lo scandalo di disattendere nella redazione finale un preciso principio quello dell’art. 44 L. 69/2009(Delega al Governo per il riassetto della disciplina del processo amministrativo, per cui:”
“1. Il Governo è delegato ad adottare, entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per il riassetto del processo avanti ai tribunali amministrativi regionali e al Consiglio di Stato, al fine di adeguare le norme vigenti alla giurisprudenza della Corte costituzionale e delle giurisdizioni superiori, di coordinarle con le norme del codice di procedura civile in quanto espressione di princìpi generali e di assicurare la concentrazione delle tutele.
2. I decreti legislativi di cui al comma 1, oltre che ai princìpi e criteri direttivi di cui all'articolo 20, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59, in quanto applicabili, si attengono ai seguenti princìpi e criteri direttivi…omissis…)
d) razionalizzare e unificare le norme vigenti per il processo amministrativo sul contenzioso elettorale, prevedendo il dimezzamento, rispetto a quelli ordinari, di tutti i termini processuali, il deposito preventivo del ricorso e la successiva notificazione in entrambi i gradi e introducendo la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo nelle controversie concernenti atti del procedimento elettorale preparatorio per le elezioni per il rinnovo della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, mediante la previsione di un rito abbreviato in camera di consiglio che consenta la risoluzione del contenzioso in tempi compatibili con gli adempimenti organizzativi del procedimento elettorale e con la data di svolgimento delle elezioni;(…omissis…)”.
L’ultimo tentativo di impedire agli elettori di chiedere e ottenere giustizia deve fallire, speriamo anche grazie a formazioni politiche, che la democrazia dovrebbero averla nel DNA, in quanto eredi del Partito dei Lavoratori, fondato a Genova nel 1892 e di cui quest’anno è il 120° anniversario
Milano 15 gennaio 2012
domenica 15 gennaio 2012
sabato 14 gennaio 2012
PERCHE’ IL SOCIALISMO LATINO-AMERICANO PUO’ COSTITUIRE UN FARO PER IL MONDO INTERO. APPUNTI A MARGINE DI UN VIAGGIO IN VENEZUELA. Di Giuseppe Angiuli « Socialismo e Libertà
venerdì 13 gennaio 2012
Lanfranco Turci: Monti e gli economisti nostalgici
Monti ieri-12 gennaio-ha detto alla Camera:"
Quindi è
molto importante che si passi oltre senza
dimenticare l’aspetto della disciplina, ma
si investa più energia politica costruttiva
sul versante della crescita, una crescita che
solo nostalgici di politiche che hanno
avuto raramente successo possono pensare
derivi da un allargamento ampio della
domanda attraverso i disavanzi pubblici.
Non è questo l’orientamento delle economie
di oggi, né credo del pensiero economico
in Italia. Non si tratta quindi di
cercare di fare crescita, che sarebbe crescita
effimera, tornando a comportamenti
di disavanzo, men che meno di politiche
monetarie lasche, che in ogni caso ormai
non sono più – come sappiamo – nell’ambito
delle competenze nazionali, ma si
tratta di sfruttare tutto il potenziale che
un continente integrato può dare per crescere
di più."
Ottima la risposta di Cesaratto http://politicaeconomiablog.blogspot.com/2012/01/prof.html?spref=fb
Bella la battuta:"parafrasando Keynes, come politico Lei non è schiavo di qualche defunto economista, ma di sé stesso"
Chissà cosa risponderebbe Krugman che ancora suk New York Time del 2 gennaio scriveva:" So yes, debt matters. But right now, other things matter more. We need more, not less, government spending to get us out of our unemployment trap " ? Evidentemente Monti crede al miracoli della doctrine of expansionary austerity.
Quindi è
molto importante che si passi oltre senza
dimenticare l’aspetto della disciplina, ma
si investa più energia politica costruttiva
sul versante della crescita, una crescita che
solo nostalgici di politiche che hanno
avuto raramente successo possono pensare
derivi da un allargamento ampio della
domanda attraverso i disavanzi pubblici.
Non è questo l’orientamento delle economie
di oggi, né credo del pensiero economico
in Italia. Non si tratta quindi di
cercare di fare crescita, che sarebbe crescita
effimera, tornando a comportamenti
di disavanzo, men che meno di politiche
monetarie lasche, che in ogni caso ormai
non sono più – come sappiamo – nell’ambito
delle competenze nazionali, ma si
tratta di sfruttare tutto il potenziale che
un continente integrato può dare per crescere
di più."
Ottima la risposta di Cesaratto http://politicaeconomiablog.blogspot.com/2012/01/prof.html?spref=fb
Bella la battuta:"parafrasando Keynes, come politico Lei non è schiavo di qualche defunto economista, ma di sé stesso"
Chissà cosa risponderebbe Krugman che ancora suk New York Time del 2 gennaio scriveva:" So yes, debt matters. But right now, other things matter more. We need more, not less, government spending to get us out of our unemployment trap " ? Evidentemente Monti crede al miracoli della doctrine of expansionary austerity.
Giovanni Scirocco: A proposito di Repubblica e liberalizzazioni (lettera a Ezio Mauro)
Caro Direttore,
negli ultimi tempi (diciamo dal governo Monti in poi) ho notato sul giornale
da lei diretto comparire, con sempre maggiore frequenza, editoriali e
inchieste di sostegno acritico alle liberalizzazioni ad opera di
commentatori ultraliberisti come Alberto Bisin e Alessandro De Nicola (le
cui tesi, alcune sinceramente davvero ardite, leggevo già sul Sole 24Ore).
Da fedele lettore del suo giornale (e memore dei risultati non propriamente
esaltanti delle privatizzazioni del 1992) spero sinceramente che la linea
del giornale al proposito resti quella indicata da Rodotà, Gallino e
Ruffolo, cui invio, per conoscenza, questa mia mail. Non compro Repubblica
per leggere un clone del Corriere: Ostellino e Giavazzi preferisco leggerli
in originale.
Cordialmente
Giovanni Scirocco
negli ultimi tempi (diciamo dal governo Monti in poi) ho notato sul giornale
da lei diretto comparire, con sempre maggiore frequenza, editoriali e
inchieste di sostegno acritico alle liberalizzazioni ad opera di
commentatori ultraliberisti come Alberto Bisin e Alessandro De Nicola (le
cui tesi, alcune sinceramente davvero ardite, leggevo già sul Sole 24Ore).
Da fedele lettore del suo giornale (e memore dei risultati non propriamente
esaltanti delle privatizzazioni del 1992) spero sinceramente che la linea
del giornale al proposito resti quella indicata da Rodotà, Gallino e
Ruffolo, cui invio, per conoscenza, questa mia mail. Non compro Repubblica
per leggere un clone del Corriere: Ostellino e Giavazzi preferisco leggerli
in originale.
Cordialmente
Giovanni Scirocco
Franco Astengo: Nota sulla legge elettorale
NOTA SULLA LEGGE ELETTORALE
Un giudizio approfondito sulla decisione della Corte Costituzionale di rifiutare l’ammissibilità ai quesiti referendari relativi alla legge elettorale potrà essere espresso soltanto nel momento in cui sarà possibile leggere le motivazioni della sentenza.
Ciò premesso è però possibile sviluppare alcune sintetiche osservazioni rivolte al piano più strettamente politico della vicenda.
Prima di tutto la Corte non ha commesso l’errore compiuto nel 1992, quando improvvidamente fu affidato all’intero corpo elettorale il mandato di esprimere un giudizio complessivo sul sistema insieme politico ed elettorale, usando l’arma surrettizia del referendum: perché proprio perché si trattò di un atto del genere, sposato allora con una forte carica di demagogia, che si realizzò una del tutto impropria richiesta di semplificazione del sistema e di esasperazione del concetto di governabilità attraverso l’assoluta forzatura del quesito a quel tempo ammesso.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non vale la pena commentarli.
Nello specifico deve essere rilevato, oltre alla reazione alla sentenza portata avanti dall’IDV, una reazione connaturata all’identità irrimediabilmente populistico di questo soggetto, l’ulteriore errore politico commesso dalle dirigenze di PD e SeL, accodatesi all’istanza referendaria nella convinzione di seguire finalmente una sorta di “onda vincente”, nell’incapacità di proporre loro stessi una modifica dell’attuale, indifendibile, legge elettorale che si muovesse sui tre veri punti che si collocano all’ordine del giorno: l’equilibrio tra governabilità e rappresentanza nella possibilità di accesso al Parlamento da parte delle forze politiche, la necessità di dichiarare conclusa l’esperienza del tutto negativa del forzato “bipolarismo all’italiana”, l’urgenza di restituire alle elettrici e agli elettori una sia pur larvata capacità di scelta al riguardo degli eletti che, sicuramente, non può essere rappresentata dalle primarie nella versione “italiana” e dai collegi uninominali, nella versione della legge elettorale precedente (la riflessione sui collegi uninominali può partire soltanto da un’idea di doppio turno alla “francese”).
Il PD inoltre ha da riflettere sul fallimento dell’idea della vocazione maggioritaria, che applicata in maniera del tutto opportunistica ha portato alla presenza in Parlamento non solo dell’IDV, ma anche degli esponenti del Partito Radicale (oltre che dei futuri fondatori dell’API): ma questo è un altro discorso, almeno per ora.
Nella sostanza vale la pena ripetere una ormai antica e noiosa giaculatoria: tocca ai partiti, è il loro mestiere, proporre e confrontarsi sulla necessità ineludibile nel brevissimo periodo di una nuova legge elettorale che ponga un freno alla personalizzazione della politica e consenta al nuovo Parlamento di esprimere, non solo un Governo autorevole e capace, ma anche il massimo dell’insieme delle sensibilità politiche presenti nel Paese.
Savona, li 13 gennaio 2012 Franco Astengo
Un giudizio approfondito sulla decisione della Corte Costituzionale di rifiutare l’ammissibilità ai quesiti referendari relativi alla legge elettorale potrà essere espresso soltanto nel momento in cui sarà possibile leggere le motivazioni della sentenza.
Ciò premesso è però possibile sviluppare alcune sintetiche osservazioni rivolte al piano più strettamente politico della vicenda.
Prima di tutto la Corte non ha commesso l’errore compiuto nel 1992, quando improvvidamente fu affidato all’intero corpo elettorale il mandato di esprimere un giudizio complessivo sul sistema insieme politico ed elettorale, usando l’arma surrettizia del referendum: perché proprio perché si trattò di un atto del genere, sposato allora con una forte carica di demagogia, che si realizzò una del tutto impropria richiesta di semplificazione del sistema e di esasperazione del concetto di governabilità attraverso l’assoluta forzatura del quesito a quel tempo ammesso.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non vale la pena commentarli.
Nello specifico deve essere rilevato, oltre alla reazione alla sentenza portata avanti dall’IDV, una reazione connaturata all’identità irrimediabilmente populistico di questo soggetto, l’ulteriore errore politico commesso dalle dirigenze di PD e SeL, accodatesi all’istanza referendaria nella convinzione di seguire finalmente una sorta di “onda vincente”, nell’incapacità di proporre loro stessi una modifica dell’attuale, indifendibile, legge elettorale che si muovesse sui tre veri punti che si collocano all’ordine del giorno: l’equilibrio tra governabilità e rappresentanza nella possibilità di accesso al Parlamento da parte delle forze politiche, la necessità di dichiarare conclusa l’esperienza del tutto negativa del forzato “bipolarismo all’italiana”, l’urgenza di restituire alle elettrici e agli elettori una sia pur larvata capacità di scelta al riguardo degli eletti che, sicuramente, non può essere rappresentata dalle primarie nella versione “italiana” e dai collegi uninominali, nella versione della legge elettorale precedente (la riflessione sui collegi uninominali può partire soltanto da un’idea di doppio turno alla “francese”).
Il PD inoltre ha da riflettere sul fallimento dell’idea della vocazione maggioritaria, che applicata in maniera del tutto opportunistica ha portato alla presenza in Parlamento non solo dell’IDV, ma anche degli esponenti del Partito Radicale (oltre che dei futuri fondatori dell’API): ma questo è un altro discorso, almeno per ora.
Nella sostanza vale la pena ripetere una ormai antica e noiosa giaculatoria: tocca ai partiti, è il loro mestiere, proporre e confrontarsi sulla necessità ineludibile nel brevissimo periodo di una nuova legge elettorale che ponga un freno alla personalizzazione della politica e consenta al nuovo Parlamento di esprimere, non solo un Governo autorevole e capace, ma anche il massimo dell’insieme delle sensibilità politiche presenti nel Paese.
Savona, li 13 gennaio 2012 Franco Astengo
Antonio Caputo: Giù le mani dalla Corte costituzionale
Caro Flores. Lei e' un incorreggibile estremista. non in senso politico beninteso, ma nel senso che il Suo appello al voto e' privo di ogni logica e come tale fuoriesce dal razionale.
Mi riferisco alla decisione della Corte Costituzionale, non ovviamente al caso Cosentino che e' un'altra cosa.
Fare di ogni erba un fascio e' profondamente scorretto.
La Corte ha deciso come non poteva non decidere e non ci vuole una mente di giurista per comprenderlo.
Anche i referendari lo prevedevano e viceversa hanno preferito ingannare i cittadini facendo credere di non volere il porcellum, che e' proprio la legge con cui andremmo a votare, da loro prediletta, se venisse accolto il Suo sciagurato appello al voto immediato,
Non mi risulta che negli ultimi sei anni sia stata proposta seriamente in Parlamento la riforma del porcellum, da parte di chi, parlamentare, meglio avebbe fatto proponendone in quella sede la modifica, viceversa preferendo improvvisarsi referendario: funzione che appartiene ai cittadini elettori e non agli eletti..
Ne' corrisponde al vero il numero di un milione e duecentomila firme, posto che i referendum necessariamente condannati al rogo (dalla ragione prima che dal diritto), erano due e le stesse persone hanno firmato due volte, per cui - come risulta presso l'Ufficio Centrale della cassazione - i cittadini, in buona fede , firmatari, sono la meta'
circa.
E molti di essi, significativamente, sul Suo blog, invocano il proporzionale.
Ma la questione non e' proporzionale versus maggioritario.
Sta nell'inaccettabiliita' di una campagna che attenta alla democrazia.
La pressione sulla Corte Costituzionale prima della sentenza, le invettive odierne, estese addirittura al Presidente Napolitano, senza il quale oltre al porcellum avremmo ancora il sig.B in carica, sono assolutamente inaccettabili e, mi si perdoni, mi ricordano la sguaiataggine del vecchio "Il Borghese" o la superficialita' dell'Uomo qualunque.
Espressioni come "Giu' le mani dal referendum" o "la Corte non stoppi il referendum" o "la Corte dell'inciucio", "complice di Napolitano" non possono essere accettate passivamente da chi ha a cuore le sorti dello Stato di diritto, fondato sulla separazione dei poteri e l'indipendenza degli Organi di garanzia e le stesse sorti della democrazia parlamentare, mai come oggi in pericolo.
E' necessaria un'operazione di verita'.
Non compete alla Corte sostituirsi al Parlamento, ne' la Corte puo' farsi "interprete" di una volonta', da nessuno dichiarata (quorum ego), di un popolo referendario che avrebbe nientepopodimeno "rivoluto" una legge precedentemente abrogata, il mattarellum, che in tal modo si sarebbe groittescamente "riespanso" o rinato come il Lazzaro evangelico. peraltro tornato a nuova vita e a non ripetere la vecchia malvissuta.
Se il referendum fosse stato ammesso, la Corte avrebbe sovvertito la sua stessa costante giurisprudenza che ha sinora negato la "reviviscenza" o anche lo strano antifisico e antilogico (giacche' in contrasto col principio aristotelico di coontraddizione) effetto definito ineffabilmente in extremis della "riespansione". della disciplina previgente, peraltro bisognosa di norme di attuazione ad opera di un Parlamento silente.
Ed e' certo che se il referendum c.d.Passigli non fosse stato stoppato dal suo stesso promotore, che taglio' le ali a tanti Coimitati spontanei sorti nel Paese, compiacendo i controreferendari che ora fingono di sbraitare per portare avanti il loro inganno, , ora potremmo davvero abrogare senz'altro l'aspetrto piu' odioso della legge elettorale: il premio di maggioranza atribuito alla lista di maggioranza relativa senza alcun limite e alcuna soglia..
Previsione che nemmeno la legge Acerbo del 1923 aveva sino a questo punto!
E per di piu', in caso di vittoria referendaria, la legge tornata in vita come poteva essere a sua volta abrogata o anche solo modificata, in considerazione della peraltro solo presunta "volonta' "del popolo.?
Col mattarellum avremmo doivuto continuare a subire ammucchiate costruite a tavolino dalle Segreterie di alcuni parrtiti per spartirsi preventivamente seggi e Collegi vincenti sul territorio, unico mezzo per ottenere rappresentanti da parte dei partiti minori..
Come il Giuliano Ferrara catapultato nel Mugello, insieme a Di Pietro o come l'Ottaviano Del Turco "socialista" imposto a Bologna 3 per afre solo 2 esempi.
A ben vedere quello purtroppo anche da Lei promosso e' un attacco , che puo' nascondere insidie populistiche, al sistema parlamentare che, sia pure con alcuni difetti attinenti alle garanzie circa la effettivita' dei diritti, rimane comunque il sistema migliore pe la promozione della democrazia che non deve esere solo formale..
Attacco che fa il paio con il commissariamento di fatto, peraltro anche necessario nell'attuale situazione, subito dal sistema in funzione dell'emergenza monetaria.
Se il Parlamento non e' piu' in grado di esprimere un Governo, dovendo solo ratificarne i decreti.
Se la Corte Costituzionale puo' sostituirsi al Parlamento. facendo "rivivere" leggi che qust'ultimo ha abrogato in precedenza.
Se il Parlamento viene ridotto nei numeri degli eletti.
Se per essere eletti e' necessario comunque, anche col mattarellum per nostra fortuna non rinato, , essere inseriti in lista dai partiti e sostenuti dai mezzi di comunicazione di massa (che tendono a sostituire gli stessi partiti nella formazione del consenso e nella costruzione del "personaggio"), in Collegi sempre piu' ampi.
Se tutto cio' sta accadendo: cosa ne sara' della democrazia parlamentare?
E' il caso di costruire partiti che siano realmente mezzi e contenitori di democrazia reale, ma ne saremo capaci?
Comunque: Giu' le mani da Napolitano e dalla Corte Costituzionale!
Antonio Caputo
Mi riferisco alla decisione della Corte Costituzionale, non ovviamente al caso Cosentino che e' un'altra cosa.
Fare di ogni erba un fascio e' profondamente scorretto.
La Corte ha deciso come non poteva non decidere e non ci vuole una mente di giurista per comprenderlo.
Anche i referendari lo prevedevano e viceversa hanno preferito ingannare i cittadini facendo credere di non volere il porcellum, che e' proprio la legge con cui andremmo a votare, da loro prediletta, se venisse accolto il Suo sciagurato appello al voto immediato,
Non mi risulta che negli ultimi sei anni sia stata proposta seriamente in Parlamento la riforma del porcellum, da parte di chi, parlamentare, meglio avebbe fatto proponendone in quella sede la modifica, viceversa preferendo improvvisarsi referendario: funzione che appartiene ai cittadini elettori e non agli eletti..
Ne' corrisponde al vero il numero di un milione e duecentomila firme, posto che i referendum necessariamente condannati al rogo (dalla ragione prima che dal diritto), erano due e le stesse persone hanno firmato due volte, per cui - come risulta presso l'Ufficio Centrale della cassazione - i cittadini, in buona fede , firmatari, sono la meta'
circa.
E molti di essi, significativamente, sul Suo blog, invocano il proporzionale.
Ma la questione non e' proporzionale versus maggioritario.
Sta nell'inaccettabiliita' di una campagna che attenta alla democrazia.
La pressione sulla Corte Costituzionale prima della sentenza, le invettive odierne, estese addirittura al Presidente Napolitano, senza il quale oltre al porcellum avremmo ancora il sig.B in carica, sono assolutamente inaccettabili e, mi si perdoni, mi ricordano la sguaiataggine del vecchio "Il Borghese" o la superficialita' dell'Uomo qualunque.
Espressioni come "Giu' le mani dal referendum" o "la Corte non stoppi il referendum" o "la Corte dell'inciucio", "complice di Napolitano" non possono essere accettate passivamente da chi ha a cuore le sorti dello Stato di diritto, fondato sulla separazione dei poteri e l'indipendenza degli Organi di garanzia e le stesse sorti della democrazia parlamentare, mai come oggi in pericolo.
E' necessaria un'operazione di verita'.
Non compete alla Corte sostituirsi al Parlamento, ne' la Corte puo' farsi "interprete" di una volonta', da nessuno dichiarata (quorum ego), di un popolo referendario che avrebbe nientepopodimeno "rivoluto" una legge precedentemente abrogata, il mattarellum, che in tal modo si sarebbe groittescamente "riespanso" o rinato come il Lazzaro evangelico. peraltro tornato a nuova vita e a non ripetere la vecchia malvissuta.
Se il referendum fosse stato ammesso, la Corte avrebbe sovvertito la sua stessa costante giurisprudenza che ha sinora negato la "reviviscenza" o anche lo strano antifisico e antilogico (giacche' in contrasto col principio aristotelico di coontraddizione) effetto definito ineffabilmente in extremis della "riespansione". della disciplina previgente, peraltro bisognosa di norme di attuazione ad opera di un Parlamento silente.
Ed e' certo che se il referendum c.d.Passigli non fosse stato stoppato dal suo stesso promotore, che taglio' le ali a tanti Coimitati spontanei sorti nel Paese, compiacendo i controreferendari che ora fingono di sbraitare per portare avanti il loro inganno, , ora potremmo davvero abrogare senz'altro l'aspetrto piu' odioso della legge elettorale: il premio di maggioranza atribuito alla lista di maggioranza relativa senza alcun limite e alcuna soglia..
Previsione che nemmeno la legge Acerbo del 1923 aveva sino a questo punto!
E per di piu', in caso di vittoria referendaria, la legge tornata in vita come poteva essere a sua volta abrogata o anche solo modificata, in considerazione della peraltro solo presunta "volonta' "del popolo.?
Col mattarellum avremmo doivuto continuare a subire ammucchiate costruite a tavolino dalle Segreterie di alcuni parrtiti per spartirsi preventivamente seggi e Collegi vincenti sul territorio, unico mezzo per ottenere rappresentanti da parte dei partiti minori..
Come il Giuliano Ferrara catapultato nel Mugello, insieme a Di Pietro o come l'Ottaviano Del Turco "socialista" imposto a Bologna 3 per afre solo 2 esempi.
A ben vedere quello purtroppo anche da Lei promosso e' un attacco , che puo' nascondere insidie populistiche, al sistema parlamentare che, sia pure con alcuni difetti attinenti alle garanzie circa la effettivita' dei diritti, rimane comunque il sistema migliore pe la promozione della democrazia che non deve esere solo formale..
Attacco che fa il paio con il commissariamento di fatto, peraltro anche necessario nell'attuale situazione, subito dal sistema in funzione dell'emergenza monetaria.
Se il Parlamento non e' piu' in grado di esprimere un Governo, dovendo solo ratificarne i decreti.
Se la Corte Costituzionale puo' sostituirsi al Parlamento. facendo "rivivere" leggi che qust'ultimo ha abrogato in precedenza.
Se il Parlamento viene ridotto nei numeri degli eletti.
Se per essere eletti e' necessario comunque, anche col mattarellum per nostra fortuna non rinato, , essere inseriti in lista dai partiti e sostenuti dai mezzi di comunicazione di massa (che tendono a sostituire gli stessi partiti nella formazione del consenso e nella costruzione del "personaggio"), in Collegi sempre piu' ampi.
Se tutto cio' sta accadendo: cosa ne sara' della democrazia parlamentare?
E' il caso di costruire partiti che siano realmente mezzi e contenitori di democrazia reale, ma ne saremo capaci?
Comunque: Giu' le mani da Napolitano e dalla Corte Costituzionale!
Antonio Caputo
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