NOTA SULLA LEGGE ELETTORALE
Un giudizio approfondito sulla decisione della Corte Costituzionale di rifiutare l’ammissibilità ai quesiti referendari relativi alla legge elettorale potrà essere espresso soltanto nel momento in cui sarà possibile leggere le motivazioni della sentenza.
Ciò premesso è però possibile sviluppare alcune sintetiche osservazioni rivolte al piano più strettamente politico della vicenda.
Prima di tutto la Corte non ha commesso l’errore compiuto nel 1992, quando improvvidamente fu affidato all’intero corpo elettorale il mandato di esprimere un giudizio complessivo sul sistema insieme politico ed elettorale, usando l’arma surrettizia del referendum: perché proprio perché si trattò di un atto del genere, sposato allora con una forte carica di demagogia, che si realizzò una del tutto impropria richiesta di semplificazione del sistema e di esasperazione del concetto di governabilità attraverso l’assoluta forzatura del quesito a quel tempo ammesso.
I risultati sono sotto gli occhi di tutti e non vale la pena commentarli.
Nello specifico deve essere rilevato, oltre alla reazione alla sentenza portata avanti dall’IDV, una reazione connaturata all’identità irrimediabilmente populistico di questo soggetto, l’ulteriore errore politico commesso dalle dirigenze di PD e SeL, accodatesi all’istanza referendaria nella convinzione di seguire finalmente una sorta di “onda vincente”, nell’incapacità di proporre loro stessi una modifica dell’attuale, indifendibile, legge elettorale che si muovesse sui tre veri punti che si collocano all’ordine del giorno: l’equilibrio tra governabilità e rappresentanza nella possibilità di accesso al Parlamento da parte delle forze politiche, la necessità di dichiarare conclusa l’esperienza del tutto negativa del forzato “bipolarismo all’italiana”, l’urgenza di restituire alle elettrici e agli elettori una sia pur larvata capacità di scelta al riguardo degli eletti che, sicuramente, non può essere rappresentata dalle primarie nella versione “italiana” e dai collegi uninominali, nella versione della legge elettorale precedente (la riflessione sui collegi uninominali può partire soltanto da un’idea di doppio turno alla “francese”).
Il PD inoltre ha da riflettere sul fallimento dell’idea della vocazione maggioritaria, che applicata in maniera del tutto opportunistica ha portato alla presenza in Parlamento non solo dell’IDV, ma anche degli esponenti del Partito Radicale (oltre che dei futuri fondatori dell’API): ma questo è un altro discorso, almeno per ora.
Nella sostanza vale la pena ripetere una ormai antica e noiosa giaculatoria: tocca ai partiti, è il loro mestiere, proporre e confrontarsi sulla necessità ineludibile nel brevissimo periodo di una nuova legge elettorale che ponga un freno alla personalizzazione della politica e consenta al nuovo Parlamento di esprimere, non solo un Governo autorevole e capace, ma anche il massimo dell’insieme delle sensibilità politiche presenti nel Paese.
Savona, li 13 gennaio 2012 Franco Astengo
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