Pse, socialdemocrazia di sinistra , sinistra “radicale” e …SEL
Il compagno Nichi Vendola ha affermato che il suo sogno è “rimescolare” le tre famiglie della sinistra europea : socialisti, “sinistra europea- GUE, verdi.
Sappiamo tutti però che le scelte politiche sono una cosa , i sogni un’altra cosa. Fra 10 o 15 anni la composizione della sinistra in Europa sarà probabilmente diversa. Ma dobbiamo fare i conti con quella che c’è oggi e sulla base di questo compiere le scelte. Ed oggi la scelta tra Pse e Gue non è la stessa cosa poiché implica, oggi, due scelte strategiche differenti.
Ma cerchiamo di analizzare meglio il rapporto tra socialisti e socialdemocratici europei con le forze che stanno alla sua sinistra.
Nella GUE e nella “sinistra europea”, a mio avviso, c’è una grande eterogeneità di elementi culturali, ideologici e politici da rendere impossibile una strategia comune. In secondo luogo, questi sono formazioni politiche fortemente minoritarie. Il loro consenso medio è intorno a 5-7%. E sono minoritari non solo per consenso elettorale ma per loro profonda vocazione: essi puntano ad intercettare segmenti marginali ed appunto minoritari della società europea.
Costruire una alternativa politica e di progetto sociale al modello economico e sociale del capitalismo liberista non è certo possibile con il minoritarismo politico e sociale. Esso ha bisogno di un soggetto politico largo e dotato di una missione storica definita anche dal suo radicamento sociale e dalla sua memoria. Un soggetto in grado di aggregare un fronte progressista ampio che dovrà poggiare sul blocco sociale (potenzialmente maggioritario) che ha interesse a sconfiggere il liberismo ed il modello di relazioni sociali che esso produce.
Ho più volte sottolineato che, in Italia, c’è un antico pregiudizio sulla socialdemocrazia. E che su questo pregiudizio pesa molto l’ignoranza, la assenza di una corretta informazione, e la lunga egemonia comunista sulla sinistra. Anche se il PCI alla fine degli anni 70 cercò di costruire un sistema di relazioni con le principali socialdemocrazie europee, il pregiudizio rimase, né è testimonianza il pensiero di Berlinguer che si concretizza nell’idea di III via ed Eurocomunismo.
In realtà, ad una attenta analisi storica degli ultimi 60 anni, il socialismo democratico in Europa rappresenta la forza che maggiormente ha contribuito a modificare i rapporti di forza a favore del lavoratori e dei ceti popolari nelle democrazie dell’occidente. Il modello sociale europeo che noi oggi vogliamo difendere con le unghie e con i denti, è , in larghissima parte, frutto delle politiche socialdemocratiche. Di contro abbiamo il fallimento totale del socialismo reale.
Però io individuo nelle socialdemocrazie due tendenze di fondo e parlo delle socialdemocrazie del dopoguerra.
La prima è una tendenza moderata. E’ stata molto ben incarnata da Helmut Schmidt in Germania. Per essi compito della socialdemocrazia è quello di una riforma del capitalismo stabile e protratta a lungo nel tempo. In questa idea l’obbiettivo del superamento e del trascendimento del capitalismo stesso è esclusa a priori. La degenerazione a destra di questa posizione, produrrà, dopo la rottura del compromesso keynesiano-socialdemocratico, i Tony Blair e gli Schroeder.
L’altra posizione invece vede il socialismo democratico quale prospettiva di trascendimento del capitalismo nel lungo periodo. In questa prospettiva sono certamente possibili compromessi con il capitalismo e riforme di esso, ma queste sono comunque inquadrate in una missione storica che oltrepassa l’orizzonte del capitalismo. E quindi il socialismo ha una ragione strutturalmente conflittuale ed antagonista al capitalismo, ed è proprio in virtù di tale ragione che antagonista può produrre compromessi di alto profilo e riforme strutturali. In virtù della consapevolezza che il capitalismo stesso è un sistema intrinsecamente contraddittorio. Ma il socialismo è anche un ideale etico che postula la liberazione dell’uomo da ogni forma di oppressione. Etica ed analisi storica e sociale dei rapporti di forza sono strettamente intrecciati nel socialismo democratico.
Questa seconda posizione che possiamo definire di socialdemocrazia di sinistra o radicale (nel senso che mantiene intatte il collegamento con le radici del pensiero socialista) la troviamo in Brandt, In Kreisky, in Attlee, in Olof Palme ed in Italia nell’autonomismo socialista di Lombardi, De Martino e Giolitti. In Italia il Psi non aveva certo né il radicamento, né tantomeno la forza elettorale della socialdemocrazia europea. Però il socialismo autonomista degli anni 60 in virtù della convergenza con l’ala sinistra della DC riuscì a realizzare la più importante stagione riformatrice della storia repubblicana.
La crisi della socialdemocrazia inizia nel momento in cui la riorganizzazione della fabbrica capitalistica e la liberalizzazione e la deregulation dei movimenti di capitale intaccano il compromesso keynesiano. L’uso capitalistico delle nuove tecnologie modifica i rapporti di forza tra capitale e lavoro – ma in misura assai diversa da area ad area: è massima questa modifica nei paesi anglosassoni (Usa e Inghilterra) , minima o inesistente nel Nord Europa o Austria dove permane la presenza di una socialdemocrazia e di un sindacato fortissimi.
Quindi gli anni 80 sono di transizione. E’ negli anni 90 che esplode la crisi della sinistra.
La crisi è il frutto della “globalofilia” della destra socialdemocratica e dei postcomunisti italiani.
Quando si dice che tutta la socialdemocrazia europea si è piegata agli imperativi del neoliberismo si dice una grossa sciocchezza tipica di chi non conosce il profondo travaglio ed il dibattito che ha attraversato il socialismo europeo degli anni 90. Chi in quel periodo era abbonato alle “Ragioni del Socialismo” (che pubblicava i resoconti dei congressi socialisti in Europa) conosce bene il contenuto di quei dibattiti.
Se certo il Labour di Blair fu quello che ebbe la maggiore deriva (ma al cui interno c’erano comunque figure come Livingstone, l’allora sindaco di Londra) nella SPD il dibattito era molto forte tra Lafontaine e Schroeder. Il Ps francese, in larga maggioranza, era radicalmente critico delle posizioni di Blair. E questo dibattito forte si riproduceva in quasi tutti gli altri partiti.
Ma quale era l’oggetto del contendere? Lafontaine e i socialisti francesi erano fortemente critici per il modo in cui stava andando avanti la globalizzazione con forme di De-regulation promosse spesso da quell’Ulivo Mondiale (Clinton, Blair, Prodi) che era il sogno di Veltroni e di pezzo consistente dei DS. Ricordo bene che Lafontaine e molti altri socialisti erano contrari all’ingresso di paesi come la Cina nel WTO, senza aver sottoscritto precise clausole sociali.
E furono accusati di “protezionismo” e conservatorismo ideologico. Ma avevano ragione. Se fai entrare paesi dove non c’è democrazia, non c’è rispetto dei diritti sindacali, spesso non esiste neanche il diritto ad organizzarsi sindacalmente, dove è permesso lo sfruttamento del lavoro minorile, è ovvio che si favorisce la delocalizzazione, la concorrenza fondata sulla massimizzazione dello sfruttamento del lavoro. E favorisci il dominio incontrollato del turbo-capitalismo, che ha un altro sostegno dalla parallela ulteriore deregulation dei mercati finanziari.
Se l’Europa Continentale avesse unitamente detto no in modo netto alle imposizioni di Clinton e Blair (sostenuti da Prodi) la storia avrebbe preso una piega diversa. Ed evidenziato la insanabile divaricazione dell’Occidente tra Europa Continentale e mondo anglosassone.
Io ho un solo appunto da fare a Lafontaine: quello di avere abbandonatoil partito e di non aver condotto una battaglia interna che avrebbe vinto contro Schroeder (il quale aveva una maggioranza risicata e non stabile). Ed aver fatto , dopo, un partito come la Linke che alla fine ha sdoganato gli ex comunisti dell’Est ( l’elettorato socialdemocratico dell’Ovest li vede come il fumo negli occhi) . E che non poteva certo sostituire la funzione della socialdemocrazia. Lo dimostra il fatto che la Linke all’Ovest non va oltre il 4% o il 5%. All’est è l’espressione di una sorta di Lega della ex Germania Est, all’Ovest non è un partito socialista, ma di punk, fricchettoni, sbiellati vari di sinistra.
E certo il destino della Linke non è diverso da quello di altri partiti della GUE. I quali hanno scarsissima presa elettorale tra la classe operaia (che comunque vota in larga misura i socialisti) ed i ceti popolari. Anzi questa sinistra radicale-movimentista tende a rappresentare gli strati più “liquidi” della “società liquida”
Il concetto di società liquida non mi convince del tutto, perché (come ricordava Paolo Borioni) dà l’idea di un processo naturale e quasi irreversibile. Il passaggio tra due stati fisici in base alla variazione della temperatura.
In effetti quella che viene chiamata “società liquida” è il prodotto , magari indiretto, di ben precisi rapporti di potere nella economia e nella società su cui poggia una ben precisa egemonia culturale.
Dopo l’89, la sinistra radicale diventa sempre più a-ideologica, de-costruzionista e tendente a far proprio tutto il bagaglio neo-ideologico del postmoderno. E’ quindi una sinistra della emozionalità, delle passioni tristi, degli umori cangianti. E’ una sinistra potenzialmente antipolitica: rifiuta la politica perché luogo della mediazione; quest’ultima è rifiutata in nome dell’immediatezza emozionale. E’ una sinistra che è tenuta insieme dal leaderismo. Rifondazione un Italia lo ha ampiamente dimostrato. E questo aspetto negativo, Vendola lo ha purtroppo riversato in SeL.
E’ evidente che non tutta questa sinistra in Europa è catalogabile secondo i canoni sopra descritti. Nondimeno essi sono prevalenti. E del resto l’insediamento elettorale lo dimostra in modo inequivocabile.
E’ evidente che questa sinistra non sarà mai in grado di costruire una alternativa al modello liberista.
Oggi è solo nel recupero delle radici profonde del socialismo democratico che possiamo rilanciare la sinistra in Europa e costruire un progetto di trasformazione sociale serio che metta alle nostre spalle il modello liberista.
Credo che SeL di questo debba rendersi conto. L’adesione al PSE implica l’adesione ad un progetto strategico che non è sovrapponibile con altri. Non per vecchie ragioni ideologico-identitarie : semplicemente perché un progetto di socialismo democratico è un progetto che tende a costruire un consenso maggioritario e vincente su una alternativa in positivo al capitalismo liberista. Ed il consenso maggioritario tende a crearlo non con una leadeship carismatica ma ricostruendo un forte soggetto politico collettivo, intorno ad un altrettanto forte progetto.
Il tema dell’adesione di SeL al Pse è quindi strettamente legato al necessario passaggio da partito del leader a soggetto collettivo.
PEPPE GIUDICE
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