A che cosa punta Stefano Boeri?
Stefano Boeri voleva il congresso. Lo aveva chiesto prima dell'estate, è tornato a chiederlo dopo la nomina della nuova segreteria cittadina. Eppure di quella segreteria cittadina Boeri fa parte. Anzi, a dirla tutta è un "invitato permanente" come capodelegazione in giunta. Un calembour politico che suona più come un dazio da pagare che come un riconoscimento verso l'ex candidato alle primarie. In ogni caso, un ruolo che sta stretto all'architetto che vuole "rigenerare" il partito milanese, ma che nel partito milanese fatica a trovare una collocazione. E così prima bolla la segreteria come eletta da "27 dei 120 membri della direzione" e espressione del "bilancino di schieramenti precotti", poi rilancia chiedendo un confronto aperto a partire dalla politica e dal rapporto partito/giunta. Affida le sue riflessioni, in tempo quasi reale, al microfono amico di Beltrami Gadola, direttore di Arcipelago Milano e fresco di nomina nel cda dell'Aler.
In estrema sintesi il Boeri-pensiero si può riassumere così: al primo turno ci hanno votato in 170mila, esprimiamo 20 consiglieri di maggioranza su 29, ma il partito è ancora basato su equilibri antecedenti alla proliferazione di idee e contribuiti che ha portato alla vittoria elettorale. E, in quanto tale, sarebbe sostanzialmente obsoleto e anche un po' autoreferenziale.
Quindi, consiglia Boeri, confrontiamoci sulla politica. Solo che sulla politica, se il Pd fosse costretto a prendere delle scelte chiare, finiremmo per assistere a delle spaccature non da poco. E non certo tra Cornelli e Mauri, ma tra Bersani e Veltroni, Marino e la Bindi, Fassina e l'area lib-dem e via di questo passo. Il problema, dal punto di vista delle decisioni strategiche, non sembra essere un difetto della compagine milanese. Semmai l'eco di dinamiche nazionali.
Questione invece tutta milanese è che ruolo abbia scelto per sé e per i suoi Stefano Boeri. Sceso in campo con squilli di trombe, la dirigenza del Pd lo aveva indicato come sicuro vincitore delle primarie. Alzi la mano chi non conosce almeno cinque militanti del Pd che abbiano fatto attivamente campagna per Pisapia alle primarie. Candidato capolista del Pd dopo una lunga gestazione è stato il secondo più votato dopo Berlusconi. Entra in giunta come assessore a Cultura, Expo, Moda e design. E lì inizia a dissentire dalle scelte del sindaco in materia di Expo. Firmata la tregua (armata, maligna qualcuno) con Pisapia, l'attenzione di Boeri è passata a concentrarsi sul partito democratico.
Certo è che Boeri non ha bevuto l'amaro calice per un ruolo da gregario o, ancor peggio, per rimanere estraneo alla decisioni che contano. Se la soluzione di battitore libero in giunta è poco praticabile, soprattutto senza il sostegno almeno parziale del partito, potrebbero essere molti gli approdi potenziali dell'ex direttore di Abitare.
In questo la battaglia interna al Pd milanese potrebbe essere tutt'al più il mezzo, ma non certo il fine. Boeri potrebbe provare a vincerla sapendo che, anche qualora la perdesse, si accrediterebbe come insider (e con una certa percentuale di minoranza) e non più come ospite. Sullo sfondo c'è Expo e ci sono le elezioni nazionali, poi le provinciali e le regionali. Non necessariamente in quest'ordine. E Boeri, che conosce i meccanismi della politica, sa bene che gli avversari che non possono essere marginalizzati rischiano di passare per un promoveatur ut amoveatur. Meccanismo che si può subire o, con un gioco di carambole, provocare.
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