COME SI E’ COSTRUITO IL DEFICIT: IL FEDERALISMO CON I BUCHI
La più grande incognita, nel discutere della vicenda del deficit pubblico e dei tentativi che – attraverso i tagli – il Governo cerca di compiere per fronteggiarlo – rimane, per la gran parte dell’opinione pubblica, il “come” questo deficit si sia formato, quali siano in realtà le spese che hanno portato a questa situazione, quali investimenti improduttivi siano stati compiuti: insomma sul deficit servirebbe la verità nel dettaglio, ed anche il movimento sotto quest’aspetto non appare avanzare una richiesta molto precisa, puntando di più a chiedere la rimozione o il parziale arretramento dei tagli imposti in questo o in quell’altro settore.
Cercheremo, attraverso questo intervento, di esporre un aspetto della formazione di questo deficit attraverso l’esposizione di dati riguardanti un preciso settore: quello degli Enti Locali, laddove la Lega Nord ha esercitato più fortemente la propria azione politica, rivendicando il merito dell’avanzarsi del federalismo, prima di tutto sotto l’aspetto fiscale.
Il nostro riferimento è stato rappresentato da una relazione della Corte dei Conti, al riguardo dell’acquisto da parte di Comune e Province di titoli messi sul mercato, in gran parte, da banche straniere e denominati “SWAP” e poi, più realisticamente “titolo tossico”.
I numeri di quest’operazione parlano di per sé. I giudici della Corte dei Conti non aggiungono commenti davanti all’esito dell’indagine condotta sull’uso dei derivati da parte dei Comuni e delle Province.
Un’inchiesta condotta attraverso una serie di audizioni che ha visto protagonisti moltissimi responsabili delle finanze degli Enti Locali.
L’augurio avanzato da tutti è stato quello di poter riuscire a chiudere questo tipo di contratti nel più breve tempo possibile.
Perché il danno materiale rischia di essere niente affatto trascurabile.
Basta dire che al 31 dicembre 2009 il risultato atteso (tecnicamente il mark to market depurato dei flussi finanziari realizzati fino a quella data) come conseguenza dei contratti di finanza derivata stipulata negli anni da Comuni e Province era negativo per oltre 885 milioni di Euro: 700 di competenza dei municipi e 185 delle amministrazioni provinciali.
Un vero e proprio fallimento di questa strategia: il ricorso a questi strumenti era stato autorizzato all’inizio del decennio scorso dal precedente governo Berlusconi, con l’intento di alleggerire la spesa per gli interessi per i debiti di Comuni, Province, Regioni.
Il bilancio che adesso ne ha tratto la Corte dei Conti non può certamente essere considerato lusinghiero.
Ecco i dati: si è verificato nel complesso un costo che va a gravare sulle finanze dei Comuni pari al 4,3% del valore nominale.
In alcune regioni questo valore s’impenna come in Piemonte (10,2%), nella Campania (10.16%), nella Basilicata (9.84%), nella Toscana (7,60%) in Liguria (5,88%: la statistica però non tiene conto della risoluzione del contratto vantaggiosamente realizzata dal Comune di Genova, in tempi molto recenti) e così via, fino agli Enti della Regione Lombardia dove il valore negativo si misura appena nello 0,64%.
Questo per i Comuni non va meglio per le Province, dove l’aggravio dell’indebitamento assume un valore medio ancora più elevato: 5,1%.
Spiega la Corte dei Conti: “ Nel caso delle province gli ambiti regionali in cui l’incidenza del valore finale del derivato, rispetto al valore nazionale, è più forte sono quelli del Lazio (8,34%), Piemonte (7,33%), Lombardia (7,19%).
Il fatto è che l’uso dei derivati è stato lanciato in una fase in cui le amministrazioni comunali e provinciali, risultavano per lo più impreparate alla bisogna (si tratta di una valutazione contenuta sempre nella relazione della Corte dei Conti), affidate ad advisor talvolta in aperto e grave conflitto d’interesse; quando non direttamente agli stessi istituti di credito che proponevano loro gli strumenti di finanza creativa.
Per giunta, alcuni contratti (82 per i soli Comuni, pari all’8,6% del totale) sono sottoposti a una “giurisdizione non italiana”.
Scrivono a questo proposito i magistrati contabili: “A parte i problemi di diritto internazionale privato e l’oggettiva difficoltà di conoscenza della legislazione e giurisprudenza di un Paese straniero, nell’eventualità di un contenzioso l’ente dovrebbe accollarsi maggiori oneri e rischi e questo certamente non risponde a principi di sana amministrazione”.
Il risultato è che dei 965 contratti di derivati siglati da 655 Comuni, ben 688 cioè il 71,3% del totale aveva, alla fine del 2009 un segno negativo (pensiamo per quel che riguarda il 2010, agli effetti della crisi economica.).
Non c’è una sola Regione, nella quale siano stati stipulati questi accordi bancari da parte dei Sindaci, che vanti a tutt’oggi un esito positivo degli stessi.
Il volume di debito coinvolto in contratti di finanza derivata per i soli Comuni, ammonta a 16,3 miliardi di euro: un quarto dell’intera esposizione comunale.
Il record si riscontra nella Regione Lazio, con 3 miliardi 894 milioni seguita dalla Lombardia con 2 miliardi 141 milioni.
Veniamo alle Province: su 121 contratti stipulati dalle Province, quelli con segno negativo sono 97: l’80.16%.
In testa a tutti c’è la Lombardia, i cui enti provinciali rischiano di rimetterci 76 milioni.
Quasi inevitabile che in una situazione del genere si cercasse di correre ai ripari, con l’estinzione anticipata degli accordi con le banche.
Finora si è riusciti a farlo soltanto in 314 casi: 296 Comuni e 18 Province.
In sostanza si può ben affermare che i derivati dovevano proteggere gli investimenti, ma nella maggioranza dei casi il risultato è stato esattamente il contrario.
Il risultato è stato, quindi, quello di un allargamento del deficit in una dimensione che minaccia di risultare particolarmente considerevole: l’operato dei giudici della Corte dei Conti può ben essere indicato come un esempio di tentativo di far chiarezza che dovrebbe essere realizzato anche in tanti altri settori.
Savona, li 22 ottobre 2011 Franco Astengo
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