sabato 22 ottobre 2011

Franco D'Alfonso: Il riformismo di ieri, il progetto per il domani

RELAZIONE INTRODUTTIVA
Il Riformismo di ieri , il progetto per il domani di Franco D’Alfonso
Milano, Circolo di via De Amicis 20 ottobre 2011

La miglior descrizione della situazione politica e personale dei socialisti milanesi fino allo scorso anno l’ho trovata in una celebre scena di “Brancaleone alle crociate” . Il prode interpretato da Vittorio Gassman incrociando altri scalcinati aspiranti crociati li apostrofa con un “ Onde ite ?” E quelli “ Sanza meta” . Ed il leader di definitivo rimando . “ Anca noi. Ma per diverso percorso”.
Se è vero che la metafora è applicabile all’intero campo della sinistra e non solo a Milano , non v’è dubbio che la diaspora politica socialista si sia caratterizzata a lungo per inconcludenza ed irrazionalità ed in pochi potevano pensare che avrebbe potuto trovare, come ha trovato, una sua nuova vitalità e funzione, come questa sera possiamo ancora verificare.
Questo è stato possibile perché nello studio di Pisapia si è raccolto quasi un anno fa un piccolo gruppo di amici ed esponenti politici di provenienza di sinistra estremamente eterogenea accomunati da una volontaria marginalità rispetto alle oligarchie ed alle parodie di partiti e partitini della sinistra milanese che ha iniziato da subito a lavorare su una ipotesi molto semplice : per tornare a vincere a Milano si doveva operare in maniera opposta rispetto a quanto fatto fino ad allora, con tempi e metodi dettati da un Partito Democratico alla eterna ricerca di un “papa straniero” , vagamente centrista , con il quale cercare di conquistare una maggioranza che per sei volte era rimasta un miraggio. A Milano la sinistra non è mai andata oltre il 40% ma ha avuto la guida della città in tutti i momenti di svolta e sviluppo con Caldara nel 1913 , con Greppi nel 1946 , con Cassinis prima ed Aniasi poi negli anni sessanta e settanta, infine con Tognoli fino alla fine del secolo , grazie ad un'alleanza con la borghesia “illuminata” laica e con la forte componente cittadina cattolico-liberale : partendo da questa semplice considerazione si è definito il profilo del candidato “ideale” che è cosa tutta diversa dalle imitazioni di berlusconismo e di leghismo che inevitabilmente scomparivano di fronte all'originale , scegliendo una persona con una chiara storia di sinistra, lontano dalle derive nuoviste e giustizialiste , con una capacità di dialogo e tessitura politica di alleanze che una volta avevano i partiti della sinistra laica e riformista .
La scommessa era che il professionista di successo , membro di una delle famiglie milanesi più note e rispettate, una storia di impegno politico e sociale in città , garantista e difensore della legalità e dei diritti senza ombre , un passato di parlamentare che gli ha guadagnato il rispetto unanime di tutte le parti politiche manifestasse una leadership in grado di reggere una partita politica totalmente esterna ed almeno inizialmente in contrasto con le burocrazie di partito votate al detto “sconfitta sia basta che sia mia” . Pisapia ha prima imposto le primarie, candidandosi senza alcuna negoziazione partitica, poi le ha vinte contro la “solita” scelta esterna del Pd , infine ha gestito gli scossoni post primarie in maniera tanto accorta da riuscire a mettere in campo la coalizione di liste e partiti più ampia della “seconda repubblica” , dai “moderati civici” ed i Radicali fino ai comunisti di tutte le confessioni, senza nessuna polemica nei confronti di un Pd pure uscito ferito ed umiliato dal confronto.
Pisapia ha rivendicato fin dal primo momento la “continuità” con la storia della sinistra milanese e quindi con il socialismo municipale, sia attraverso atti simbolici come la partecipazione all'annuale raduno socialista di Volpedo sia soprattutto attraverso atti politici , quali il recupero delle buone pratiche di confronto con la società milanese nelle sue diverse articolazioni associative e, soprattutto, il ritrovare lungo vecchi sentieri abbandonati da anni una classe dirigente politica e cittadina che era stata dimenticata . La grande abilità di Pisapia è stata quella di impedire che questa fosse un'operazione nostalgia o di rinverdire vecchi rancori, ma fosse una riscoperta di un'antica “scuola” che è in grado ancora di produrre risultati apprezzabili sul piano delle idee : è nato anche così il “Comitato del 51%” animato da Piero Bassetti che ha raccolto oltre cento professionisti ed esponenti della società milanese che hanno costituito l' agorà politica dove si sono svolte con successo le prove di nuova alleanza tra una sinistra che non si vergogna di sé stessa ed un centro che ragiona in termini di sviluppo e non di egoismi .
E' così che Pisapia politico di sinistra non partitico ha suscitato un'alleanza “mitterandiana”, ( confermata dallo slogan della campagna “La forza gentile” che richiama la “forza tranquilla” di Seguela per il primo Mitterrand ) basata su un “gauchismo” creativo e propositivo ed un riformismo meneghino pragmatico ed inclusivo , che prima ha battuto quel che resta del progetto degli eredi della sinistra Dc e del Pci poi ne ha lanciato uno di speranza inclusivo.
Quello che Giuliano ed i suoi collaboratori hanno fatto a Milano è stato recuperare un metodo di analisi e di lavoro, ingaggiare una battaglia politica “interna” attraverso le primarie che ha permesso di recuperare un rapporto straordinario con il proprio “popolo” ed infine confrontarsi con l'avversario politico su un piano di governo della città : esattamente quello che i vecchi partiti della sinistra, con le loro vecchie classi dirigenti impegnate nello studio e nel confronto prima che nell'apparire in televisione hanno fatto per anni con risultati a volte negativi ma più spesso vincenti .
Ma l’arancione di Pisapia colora su una precisa scelta politica, quella di un rinnovato municipalismo riformista che aveva come riferimento le esperienze dei sindaci socialisti e riformisti di Milano, a partire da Emilio Caldara, con la cui esperienza vedo una singolare somiglianza politica e di situazione.
Caldara pensava che il Comune non fosse un ente che derivava il suo potere con un atto di decentramento dello Stato; ma fosse una comunità primaria che aveva dei suoi diritti innati, di libertà e di autonomia, che andavano inseriti nel disegno statuale, ma che non sono ‘concesse’: sono originarie.
In particolare riteneva che il Comune, nel rapporto con lo Stato, fosse come la cellula nel corpo umano, e che la forza della cellula derivava prevalentemente dalla sua capacità autonoma di fornire servizi pubblici.
Vedeva quindi il Comune come una cellula in cui la società economica e quella sociale potessero trovare le condizioni per condividere la necessità dello sviluppo più equo. “Tanto più le cellule sono in grado di funzionare tramite energie proprie – sosteneva Caldara - tanto più saranno in grado di concorrere al rafforzamento dello Stato”.
Per Caldara il municipalismo non è mai stato localismo fine a se stesso. E’ stato il ricercare nella concretezza della vita cittadine i principi di una vera democrazia, di una buona vita comune da portare a livelli più elevati e complessi.
Oggi le mutate condizioni socio-economiche richiedono forti innovazioni nel rapporto cittadini/amministrazioni pubbliche.
A Milano abbiamo incominciato a individuarle e soprattutto a praticarle, contribuendo a definire un nuovo modo di organizzare la democrazia e la partecipazione, avendo però ben chiaro l’obiettivo di ridare al Comune quel ruolo originario espropriato prima dal fascismo e poi, nella seconda metà del secolo scorso, dal crescente centralismo fiscale. Un obiettivo che non può essere conseguito solo localmente ma ha bisogno di una nuova politica nazionale.
Troviamo qui una nuova somiglianza con il periodo di Caldara, certo molto meno rassicurante : a fronte di una sinistra politica che ritrova sé stessa attraverso il faticoso farsi carico di un processo di partecipazione e responsabilità civica potentemente evocata e quasi incarnata dall’immagine simbolo del Novecento politico, il Quarto Stato di Pellizza da Volpedo , una politica nazionale apparentemente impazzita ed incapace di trovare perfino una modalità di confronto precipita l’Italia in un periodo di profonda crisi sociale ed economica avviandosi non verso il sole dell’avvenire ma verso il crepuscolo dell’antipolitica e la notte della democrazia.
Io so bene che Giuliano sente oggi sulle proprie spalle , che sono anche le nostre, il peso di una grave responsabilità . Il movimento arancione , la “buona politica” che tutti assieme, travolgendo inutili steccati partitici, abbiamo contribuito a mettere in moto deve misurarsi con una realtà difficile e complessa come l’amministrazione di Milano , con un orizzonte proiettato sul ciclo di un quinquennio che non può essere condizionato dall’esasperazione quotidiana della verifica del livello del consenso ; al tempo stesso però l’esperienza milanese è già un importante riferimento , direi quasi un indispensabile punto di ancoraggio e di speranza per l’intero Paese, quasi senza distinzione di campo politico. I tempi della politica “nazionale” non sono quelli dell’amministrazione, i rischi di una deriva del nostro Paese ai margini dell’ Europa sono reali .
Il dilemma è tra lo sviluppare una nuova politica basata su partecipazione, trasparenza, responsabilità civica nell’esperienza milanese, nella convinzione che l’esempio positivo possa essere lievito di un rinnovamento per tutta l’Italia ovvero impegnarsi in maniera più diretta ed attiva, correndo tutti i rischi derivanti dalla necessità di conquistare e non di mantenere un consenso che permetta di governare. Si tratta di un dilemma forse risolto in partenza, nel senso che ritengo che governare Milano con la buona politica sia un impegno al quale Giuliano e tutti noi non intendiamo certo venir meno, ma che non possiamo far finta che non sia , anche questa sera, sul tavolo.
Franco D'Alfonso

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