lunedì 24 ottobre 2011

Tomaso Greco: Renzi, Civati e il futuro che manca

Dopo la due giorni bolognese di Giuseppe Civati e di Debora Serracchiani, nutriate o meno simpatie verso il duo, è necessario porsi qualche domanda sul futuro della sinistra italiana.

Perché se è vero che dall'inizio degli anni '90 a oggi gli interpreti sono stati, sostanzialmente, sempre gli stessi, è possibile che in un futuro prossimo assisteremo a un ricambio generazionale.

Ma che cosa hanno in mente per il futuro del Paese i 30-40enni candidati alla successione?

Anzitutto, e questo è un dato comune tanto a Renzi quanto a Civati, marcare una discontinuità con chi li ha preceduti, proponendosi -ambizione legittima- come innovatori.

Il sindaco di Firenze dicono amministri non male, si presenta bene in pubblico, è televisivo dai tempi della Ruota della Fortuna e, cosa non di poco conto, piace alle donne. A occhio nudo si potrebbe definire un Tony Blair a passeggio per il Giardino di Boboli. E il passato non si contenta di superarlo, lo vuole rottamare. E così la sinistra, superata o rottamata che dir si voglia, troverebbe la sua palingenesi nel matrimonio con le posizioni lib-dem e una certa fiducia nel potere demiurgico dei mercati.

Giuseppe Civati, dopo essere stato sodale del Renzi, ha indicato la via lombarda alla rottamazione e si è incoronato leader nazionale di corrente in quel di Bologna nel weekend appena trascorso.

E Civati è critico nei confronti del partito, ma fino a un certo punto. In realtà si infila a piene mani nella dialettica interna, dove dispensa stilettate e apprezzamenti, cerca alleanze e stringe mani.

Al netto di una spruzzata di information technology (il fisco 2.0, ad esempio), la retorica è quella società civile che vanta un primato morale sul partito, con un'amabile strizzata d'occhio alla piazza degli indignati e un retrogusto giustizialista che non guasta mai.

A chiudere gli occhi sembrava di star ascoltando una prolusione di Leoluca Orlando ai tempi della Rete o l'intervento congressuale dell'area più movimentista del PDS di Occhetto. Vent'anni dopo.

Due leader, Civati e Renzi, che fanno fatica a discostarsi dai due modelli di sinistra in voga negli anni '90. La prima moralisteggiante, la seconda innamorata della terza via (eran del resto i tempi della new economy).

Su una cosa concordano: la potenza innovativa delle primarie, che potrebbero tracciare la strada della sinistra nel 2012. Del resto lo pensavano anche i democratici statunitensi quando adottarono questo sistema avveniristico di consultazione. Correva l'anno 1842.

6 commenti:

claudio ha detto...

Si, la potenza innovativa delle primarie che sono di moda, ma che fanno dimenticare che in qualunque partito e associazione civile si eleggono delegati e dirigenti a scheda segreta con tutela delle minoranze, meno che in Italia. Renzi e Civati sono mai stati votati in questo emozionante modo? Quanto alle loro idee mi sembra che ci sia solo la richiesta di una "quota giovani" da aggiungere alla "quota donne" e che vorrebbero essere loro a distribuire tra i sostenitori acclamanti e non votanti.

felice ha detto...

sono contrario a primi ministri con accento regionale rimarcato: dopo De Mita niente Renzi. Il rinnovamento generazionale dovrebbe esserefisiologico e derivare da processi elettorali trasparenti altrimenti si tratta di coptazione come è stato per la quota femminile

Mario ha detto...

Se Renzi e Civati rappresentano il ricambio generazionale nel PD e nella Sinistra, stiamo freschi! Se penso al solo Renzi (che, tra l'altro, a Firenze sta privatizzando l'acqua pubblica in barba ad un risultato referendario fortemente significativo sia dal punto di vista politico sia da quello amministrativo) quasi quasi prego che il Padreterno mantenga eternamente in buona salute i Bersani, i D'Alema e i Veltroni....ed è quanto dire!
Bisognerebbe sgombrare definitivamente il campo da certe "mitologie mediatiche" artatamente create da e su certi presunti nuovi personaggi che in realtà sono quanto di più "vecchio" e "berlusconian style" si possa immaginare. Per me il solo fatto di parlarne, citandoli per nome e cognome, è già una forma di ulteriore ed immeritata pubblicità a loro favore.
Se vogliamo dirla tutta, poi, alla due giorni bolognese il vero trionfatore mediatico è stato un Luigi De Magistris in grande spolvero che tra il grande e positivo stupore di molti, smessi i panni del rozzo giacobino-giustizialista e dipietrista ha iniziato a declinare un linguaggio diverso e molto meno provinciale scavalcando tutti sul fronte della prospettiva di una nuova sinistra di governo che deve fare necessariamente i conti con l'evidentissimo collasso dei modelli neo e vetero capitalisti.
Quanto alle primarie rimane chiaro che un conto è la pagliacciata che ci siamo inventati in Italia (e che pur nelle sue rozzezze ha prodotto qualche risultato positivo) e ben altro son quelle statunitensi.
Mario Francese

francesco ha detto...

L'idea di contrapporre le primarie a procedure democratiche serie
all'interno dei partiti non mi convince.
In realtà l'una cosa non è affatto in contrasto con l'altra, e tutte
e due sono da rivendicare come obiettivi da mettere in agenda.
Le primarie infatti servono ad individuare le candidature con
maggiori possibilità di vittoria espresse da una coalizione rispetto a
cariche monocratiche : un sindaco, un presidente di regione, un
deputato in un collegio uninominale (ove si tornasse a quel sistema) o
il leader della coalizione stessa, e sono preziose perchè sono un
momento interessante e forte di coinvolgimento dei cittadini elettori
nel processo democratico. Sarebbero secondo me da imporre per legge.
Che i partiti debbano poi essere democratici al loro interno, e che
le linee politiche, i gruppi dirigenti, e le candidature nelle liste
debbano essere scelti con metodo democratico è un fatto altrettanto
essenziale. E anche questo andrebbe imposto per legge.
Non vedo perchè quindi, nel nostro cahier des doleances o nella lista
delle nostre rivendicazioni, dovremmo mettere questi due punti in
contrapposizione fra loro. No: vogliamo l'una e l'altra cosa, primarie
vere e partiti davvero democratici.
Quanto a Renzi, più che un prodotto delle primarie, io lo vedo come
una conseguenza dell'inconsistenza ideologica del PD. E' il veltronismo
(come manifestazione suprema dell'essenza più autentica di quel
partito) che si propaga e devasta culturalmente e moralmente una parte
consistente di elettorato di Centro Sinistra, e produce personaggi di
questa risma.
Alle primarie fiorentine del 2009 Renzi vinse relativamente a
sorpresa. Dovette certamente giocare con abilità quel suo appeal da
ragazzetto che si contrappone alle vecchie barbe, ma il punto vero è
che in quelle primarie dal PD non era uscita nessuna candidatura
minimamente di Sinistra. Il rivale di Renzi era infatti Lapo Pistelli
(!) e i fiorentini (che lì vivono il PD come se fosse ancora il vecchio
PCI) non ebbero la forza di immaginare di sostenere candidature che non
uscissero da quel partito. E così la rossa Firenze si trovò consegnata
mani e piedi a una gara tra margheritini.
Voglio dire, insomma, che non sono le primare a sfornare i Renzi, ma
il PD. E la risposta ai tipi alla Renzi va perciò cercata in un partito
di Sinistra serio. Quel partito che oggi non c'è (ancora).
Saluti,
Francesco Somaini

felice ha detto...

Non c'è ontrapposizione, anzi in caso di coalizioni solo le primarie possono
decidere il candidato. Nei partiti di un paese dove siano regolamentati per
legge spetta al partito decidere se organizzare primarie aperte(agli elettori)
o chiuse (agli iscrittri), come parete della sua offerta politica. I poteri
pubblici posono incentivare la pratica stabilendo un rimborso differenziato dei
costi della campagna elettorale tra chi fa primarie e chi non le fa.
Per le sue caratteristiche le primarie sono adatte a cariche esecutive
monocratiche e a collegi uninominali. Il problema che le primarie non risolvono
è quello della parità di chanches delle candidaturwe. Le spese che si son
volute evitare abolendo le preferenze si sono trasferite ai costi per le
primarie. Una lista di candidati scelta dai partiti dà maggiore posibilit àai
non ricchi, ma anche a isignori delle tessere. Per ridurre i costi delle
elezioni primarie o elezioni vere e proprie occre che ci sia maggior intervello
tra presentazione della candidatura e chiusura delle liste: per poter fare le
tecniche meno costose come il porta a porta, o le riuninion a domicilio di un
gruppo dicondomini. Le tecniche meno costose richiedono collegi picoli. I
cittadini nell'odio contro la casta vogliono primarie e scegliere i candidati e
nel contempo dimezzarli: le due cose sono incompatibili se dimezzziamo i
collegi, specialmente per il Senato. Le primarie favoriscono i candidati
locali, come fare per un personaggio che non è radicato in un luogo? Una
democrazia di partito può risolvere il problema, irresolubile per le primarie.
I problema è difficile perché per i gruppi dirigenti i candidati
imprescendibili sono gli appartenenti alla nomenklatura. Un correttivo sono la
limitazione dei mandati stabilita in via preventiva e con deroghe sottoposte a
quorum elevati. Nel PS la rwegola secondo i cantoni è 2 o 3 e epr una deroga ci
vuole la maggioranza assoluta degli iscritti. Mi sembra che sia necesario un
bel seminario di formazione sulle leggi elettorali in una prospettva comparata.
Mi offro come uno dei relatori.

claudio ha detto...

ottima l'idea del seminario, perchè da troppo tempo i nostri partiti
discutono di leggi elettorali come se fossero i primi a occuparsene. Se non
altro Berluska è stato sincero: metto la legge che mi fa più comodo. Gli
altri invece pensano alla legge della repubblica di Platone, ma in fondo
sono più ipocriti