Dall'Avvenire dei lavoratori
A volte ritornano
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Il cardinale e
i suoi coperchi
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Su Veltroni e D’Alema pesa, per un verso, il loro essere stati comunisti di rango, indelebilmente; per l’altro verso pesa il disfacimento dell’operazione Pd che però può sempre assicurarsi il governo del Paese.
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di Paolo Bagnoli
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“Nel mondo mutevole e leggero – saggezza è spesso cambiar pensiero”. La frase di Torquato Tasso e ci è balzata subito alla mente quando, alcuni giorni orsono, abbiamo letto le dichiarazioni di Massimo D’Alema sul socialismo come storia passata. L’occasione si presterebbe pure a qualche facile ironia poiché i fatti lo smentivano subito dopo visto che – varrà quel che varrà, ma il dato politico è indicativo – per la prima volta dal 1945, i socialisti conquistano la maggioranza nel Senato francese.
Qualcuno ha pure osservato che, poiché il personaggio non ne azzecca una, quanto diceva era di buon auspicio per il futuro del socialismo. Ma, ripetiamo, la questione è troppo seria per essere liquidata con una battuta. Dopo la fine del Pci e nella vicenda del Pds, D’Alema era colui che aveva sostenuto le ragioni della sinistra, il senso del socialismo e l’esigenza di partecipare ai suoi organismi internazionali fino ad ambire a guidarne qualcuno. Non ci riuscì perché non lo vollero.
Che Massimo D’Alema non abbia mai creduto nel socialismo era un’ideuzza che ci vagava per la testa. Nella storia italiana sono più numerosi i Giuliano Ferrara che gli Antonio Giolitti, più i comunisti andati a destra che quelli divenuti socialisti. Ma l’uomo, ritenendosi forse l’unico italiano che sa di politica, non fa nulla per nulla. È evidente che una ragione politica ci deve pur essere a base di questa esplicita dichiarazione. Per certuni tutto è sempre tattica.
A vedere bene, l’operazione è intelligente. E, una volta capito il fine, si comprende anche l’inganno. Vediamo. Il partito democratico, da quando è nato, tutto è riuscito a fare, qualche volta almeno, se pur senza tanta presa, pure opposizione. Ciò che non è mai riuscito a essere è a divenire un “partito”. Ora che il rodaggio c’è stato, viene confermato quanto pensavamo circa l’impossibilità di generare un partito vero.
Un partito degno di tale nome non può prescindere da ceppi culturali storici e da una precisa rappresentazione della realtà. Ciò viene prima di tutto. Poi ci sono, naturalmente, le politiche intese come comportamenti, scelte e così via.
Di tutto questo nel Pd non vi è, né vi sarà mai, nemmeno l’ombra visto che è nato su una negazione, non su un’affermazione. E la “negazione” riguarda il socialismo dato per morto, e la sinistra per finita.
E l’affermazione? L’affermazione – si prega di non ridere – sarebbe quella del “riformismo del fare”. Qualche settimana fa l’ha rilanciata Walter Veltroni che ha occupato una paginata di “Repubblica” per dimostrare che il niente non è spiegabile. In dottrina politica sicuramente no.
Veltroni ha fatto il replicante di se stesso, macinando ovvietà politicamente vane, con educazione e persino con passione. Tuttavia, poiché egli, benché portato a fare cinema, è un politico di professione, neanche lui ha ribadito le sue ovvietà per caso, bensì per una qualche preoccupazione.
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Newsweek 29.3.2008: "Veltrusconi per salvare l'Italia"
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Ora, quest’ultima sembra prendere corpo con le posizioni della Chiesa, che il cardinal Bagnasco ha recentemente esposto senza reticenza e facendo capire che i cattolici democratici di opposti schieramenti, al di là delle apparenze, sono ben più avanti di quel semplice “annusamento tra cattolici di opposte sponde” che in questi tristi anni peraltro non è mai mancato. Se da tutto ciò nascesse una nuova forza, Bersani, melomane appassionato, potrebbe cominciare a schiarirsi la voce per intonare il De profundis al proprio “partito”.
Se parla Sussi non può certo tacere Biribissi.
Ecco allora che dopo Veltroni arriva D’Alema il quale con maggiore finezza intellettuale cerca di arginare un possibile devastante futuro: “le grandi forze progressiste al governo non hanno matrice socialista.”
Resistiamo alla curiosità di sapere quali siano le evocate “grandi forze” e dove esse siano (crediamo che la curiosità resterà tale vita natural durante).
D’Alema cerca di dare sostanza ideologica al “pensiero” veltroniano sostituendo al termine “riformismo” il termine “progressismo”. Con la tessa motivazione di Veltroni: l’inattualità del socialismo. Ma con un’aggiunta intellettuale birichina: il progressismo sarebbe la naturale evoluzione storica del socialismo. In via subliminale ci ha fatto intendere che il progressismo dell’oggi sarebbe l’equivalente del socialismo dell’ieri e che lui – complimenti davvero – in quanto presidente della Federazione dei progressisti europei sarebbe il riferimento “vero” di tutto ciò, lasciando indietro il “riformismo” di Veltroni che però evoca anch’esso, almeno nel nome, quella che i nostri ideologi di strada definirebbero una “categoria novecentesca”.
E’ stato detto più volte: il riformismo senza aggettivi non si sa cosa sia. Questo progressismo, che subentrerebbe al socialismo “storia passata”, è ancora più oscuro. Ma è tatticamente più marcante rispetto all’altro, un collante più forte per un partito di raccolta che perde coloro che aveva raccolto. Valga per tutti il caso di Massimo Calearo.
Il socialismo, comunque la si possa pensare, ha la sua storia, i suoi ideali, la sua natura, la sua rappresentatività, i suoi problemi. Problemi che, se ci viene passato un bisticcio, più che dal socialismo e dalla sue idee di libertà, democrazia e giustizia per il fine della socializzazione del potere, sembrano derivare dai “socialisti” medesimi, o quanto meno da quelli che hanno smesso di combattere contro la barbarie del capitalismo globalizzato per inseguire le “modernità” del mercatismo e del liberismo globalizzato.
Su Veltroni e D’Alema pesa, per un verso, il loro essere stati comunisti di rango, indelebilmente; per l’altro verso pesa il disfacimento di un’operazione che, anche se mal riuscita e per molti versi responsabile della forza devastante e dilagante del berlusconismo, può sempre assicurarsi il governo del Paese.
La filosofia del “governiamo” è ciò che, oggettivamente, li tiene insieme. Insieme tra loro e a tanti altri. Altro che primarie!
Il diavolo, si dice, “fa le pentole, ma non i coperchi”. Stavolta sembra essersi messo a farli il cardinal Bagnasco.
Com’è noto, chi vivrà, vedrà.
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