Edmondo Rho, Il suicidio, Milano 2011
Il suicidio è il racconto di un’agonia: quella di un uomo, di una classe politica, di una cultura che hanno tenuto per diciassette anni l’Italia in ostaggio. E’ un libro didascalico che procede per accumulazione di elementi, ma è anche una sorta di romanzo in sospeso tra la farsa e la tragedia. Il protagonista è lui, Berlusconi, il populista che ha creduto che un Paese si guidasse come un’azienda; che ha voluto impersonare il Grande Seduttore, senza averne né il fascino né il talento.
La narrazione procede per grumi e per cerchi concentrici (il cuore è Milano), e non in linea diacronica. Prende l’avvio dal conflitto fra Tremonti e Berlusconi, che non gli perdona di aver fatto fuori l’amico Cesare Geronzi. Il quadro sembra uscire dalla Roma di Alessandro VI: intrighi, ripicche, agguati, vendette.
Con pacata sapienza, capitolo dopo capitolo, Rho mette a nudo gli errori del capo e dei suoi seguaci.
Berlusconi perde il contatto con la realtà e si candida a Milano, credendo che la favola del baluardo al comunismo possa ancora funzionare. La medesima cecità mostra anche Letizia Moratti che non chiede scusa a Pisapia, lascia che i manifesti di Lassini deturpino Milano e tratta la città come suo feudo personale.
Al centro della narrazione Rho colloca le zingarate ignoranti di Bossi e la prudente sapienza di Tettamanzi. E traspare con chiarezza come i bisogni individuati dalla Lega siano indotti, contingenti, pretestuosi, mentre quelli cui la Chiesa ambrosiana fa riferimento siano veri e diffusi. L’elenco degli errori del centro destra a Milano lo fa, il 30 maggio 2011, proprio Igor Iezzi, giovane Segretario provinciale della Lega Nord: il comizio di Berlusconi davanti al tribunale, la lotta ai giudici, la bugia sull’auto rubata, gli elettori senza cervello, la Santanché, la pagina Facebook della Moratti, i manifesti di Lassini, lo spot in cui Berlusconi se la prende con la sinistra clientelare e affarista (che non governava da vent’anni)…. e potremmo continuare!
Poi i riflettori si allontanano da Milano e tornano su un piano nazionale, all’ordalìa mediatica del Cavaliere in TV. La perdita di contatto con la realtà qui è ancora più vistosa: occupa spazi impropri, e si fa multare; ripete “come un disco rotto” le solite formule, e nessuno più gli crede; pensa di mettere il silenziatore agli avversari, e la rete gli si scatena contro. Ed è quella rete che dà il primo forte segnale inascoltato: va in massa a votare per il referendum. Pensa, sceglie, disobbedisce.
Avviandosi alla fine Rho pone la domanda di chi possano essere i successori: banchieri (Profumo)? Imprenditori (Montezemolo)? Non c’è ancora risposta.
Cosa certa è, però, l’incapacità di Berlusconi di governare il Paese: per ignoranza e arroganza mescolate insieme. Non ha mai capito cosa occorra per governare uno Stato, e ha creduto di poterlo fare con quell’assenza di regole e di utilizzo dell’esistente per interesse personale, che aveva caratterizzato la sua carriera d’imprenditore.
Rho lo dimostra con chiarezza, ma senza vis polemica. Sono i fatti a parlare: e a questi, con puntuale accuratezza, fa riferimento.
Il suicidio prende così forma e acquista senso: è iniziato lontano, nel momento stesso in cui Berlusconi “è sceso in campo”. E non è soltanto un “suicidio anomico”, per inosservanza delle regole: esso si radica, piuttosto, nell’assenza di una cultura adeguata, nella mancanza di intelligenza politica, nell’arrogante pretesa che il denaro possa comprare tutto e, sopra tutto, nella valutazione sbagliata del popolo che intendeva governare. Sul momento ha ceduto all’incantesimo del pifferaio magico, ora si sta svegliando.
Il Don Giovanni è vecchio, finto, dileggiato dal mondo intero. Il vorace Pantagruel non ha giardini ordinati e città vivibili nella sua bocca: ha solo i poveri resti di un Paese che ha provato a distruggere.
giuliana nuvoli
19 ottobre 2011
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