sabato 1 gennaio 2011

Luigi Fasce: il vigoroso riformismo di prodi

Prima era il termine liberalsocialista a essere usato con sapiente
doppiezza dai liberisti ex socialisti ora ci si mette anche Prodi a
fare il moroteo sul termine riformismo.

Si continua a giocare con le parole, anche Prodi sembra avere ben
appreso l'arte della doppiezza della parola ... Moro ne è il
modello.

"Vigoroso riformismo" ... che spudoratezza ma il vigoroso
riformismo lo ha completato proprio Prodi dopo Amato D'Alema, Ciampi,
un vigoroso riformismo liberista. Povero riformismo che è diventato
termine polisemico ma che originariamente era riformismo socialista,
perché sono parole di Tamburrano, o è socialista o non è riformismo.
Invece di riformismo ce ne possono essere di tanti tipi, nel loro
illuminante librino li hanno elencati tutti Sylos Labini Paolo -
Roncaglia Alessandro. Per la ripresa del riformismo.
L´Unità Nuova Iniziativa editoriale - Milano 2002 ma noi socialisti
quello di senso liberista lo dovremmo catalogare come contro-
riformismo, ma tantè gli Schroeder e i Blair ci sono riusciti a
confondere le idee dei socialisti europei.

Prodi ora persiste, tanto sa che a sinistra siamo ancora nella grande
confusione . Dopo aver privatizzato tutto il possibile di economia e
servizi sociali ora ci spiega cosa è per lui il riformismo
< a differenza dell'antico socialismo, il moderno riformismo non
ripudia i fondamenti del mercato ma vuole semplicemente garantire che
il mercato lavori in modo appropriato. A questo scopo è necessario
che lo Stato ne controlli il corretto funzionamento. Eppure, proprio
mentre la perdurante crisi economica e le crescenti disparità
avrebbero bisogno di un governo attivo e vigile, le forze che in
teoria portano avanti questi valori perdono sistematicamente le
elezioni. Tuttavia i cittadini europei sono nella grande
maggioranza convinti che gli errori elencati in precedenza siano
gravissimi e che debbano essere corretti in fretta, prima che il
crescente malessere dei giovani e degli esclusi si esprima
in un'aperta rivolta. Essi cioè credono nella diagnosi dei
riformisti ma non credono nelle loro ricette.>

Non credono nelle loro ricette ... ma di quali ricette alternative al
liberismo diffuso, egemone ha ancora proposto la sinistra, certo non
quelli del PD, brutta copia del PDL, si comincia solo ora con SEL a
proporre la ricetta alternativa quella di "un nuovo modello di
economia" che non può essere altrimenti che "nel solco del riformismo
socialista con collante ideologico "laico liberalsocialista
ecologista" che non è certo quella del "moderno riformismo" citato
sopra da Prodi, nemmeno quello del "vigoroso riformismo" citato sotto
preservare e rafforzare il welfare state, difendere la salute,
potenziare la scuola e la ricerca, proteggere il territorio,
garantire la sicurezza e rendere più vivibili le città.> ma non dice
che il governo dell'economia non è più in mano agli stati ma è in
mano alle multinazionali. Prodi è del clan di quelli che hanno messo
in mano l'economia globalizzata alle multinazionali.
Lo Stato deve essere arbitro, controllare che le regole del mercato
siano rispettate. Ma quando mai, o lo stato è dalla parte delle
multinazionali o è dalla parte dei lavoratori-cittadini e in certi
settori strategici dell'economia e presente. Mentre attualmente lo
Stato è il lacchè delle multinazionali.

La ricetta per contrastare le multinazionali è scritta nella nostra
Costituzione così come in quella Tedesca si tratta di ripristinare il
diritto costituzionale sopra il potere liberista tradotto in leggi
radicalmente anti intervento dello stato in economia.L'unica difesa
possibile di stato sociale universale scuola sanità assistenza
pubblica è che lo Stato, meglio il sovrastato Unione Europea, che
prenda le redini di moneta, finanza e economia, e solo allora si
arresterà l'attuale impennata del reddito da capitale azionario delle
multinazionali - in mano a pochi con lo sfruttamentobrutale del
lavoro delle moltitudini - ci sarà di nuovo il recupero di salari per
i lavoratori.Una Unione Europea che recuperi il modello di economia
mista con missione fortemente sociale e ecologica può reggere le
sfide con il modello liberista di USA, Cina e India. Ovviamente con
governance mondiale che tuteli lavoro e ambiente. Nel mentre, si può
promuovere la trasformazione delle piccole e medie imprese private in
cooperative, è questa la scelta fatta di necessità in Argentina con
le "Imprese recuperate" dopo il 2001. Ma anche pretendere la
cogestione delle grandi imprese. Né più ne meno come in Germania.
Buon dibattito.
Luigi Fasce

< Prodi: se le diagnosi dei riformisti convincono e le terapie no

ROMA (29 dicembre) - Nell'anno che sta per finire è caduto l'ultimo
governo di centrosinistra che ancora era al potere in un grande Paese
europeo. Dopo la sconfitta dei laburisti inglesi
nelle elezioni dello scorso maggio, Francia, Germania, Italia e Gran
Bretagna sono oggi governate o dalla destra o da coalizioni di
centrodestra, mentre anche il governo socialdemocratico
spagnolo è dato come probabile sconfitto nelle prossime elezioni.
Tutto questo avviene in un periodo storico in cui le differenze fra
ricchi e poveri aumentano in modo inaccettabile e le giovani
generazioni si sentono emarginate da un'economia di mercato che, in
teoria, dovrebbe preparare loro uno spazio crescente ma che, in
pratica, di spazi non ne prepara nessuno. In questa fase
storica l'economia di mercato, escludendo una quantità crescente di
cittadini e mostrando difficoltà ad affrontare le nuove sfide come
quelle ambientali, avrebbe bisogno di essere corretta
da una politica capace di garantire la collettività di fronte alle
insicurezze e agli squilibri che essa stessa ha creato. Questa
politica di riassicurazione e di riequilibrio non dovrebbe in teoria
trovare ostacoli insormontabili, anche perché, a differenza
dell'antico socialismo, il moderno riformismo non ripudia i
fondamenti del mercato ma vuole semplicemente garantire che il
mercato lavori in modo appropriato. A questo scopo è necessario che
lo Stato ne controlli il corretto funzionamento. Eppure, proprio
mentre la perdurante crisi economica e le crescenti disparità
avrebbero bisogno di un governo attivo e vigile, le forze che in
teoria portano avanti questi valori perdono sistematicamente le
elezioni. Tuttavia i cittadini europei sono nella grande
maggioranza convinti che gli errori elencati in precedenza siano
gravissimi e che debbano essere corretti in fretta, prima che il
crescente malessere dei giovani e degli esclusi si esprima
in un'aperta rivolta. Essi cioè credono nella diagnosi dei riformisti
ma non credono nelle loro ricette. Non voglio in questa sede
approfondire come questo avvenga nei diversi Paesi ma solo
cercare di avere un'idea sul perché avvenga in Italia. Credo che la
prima ragione sia che anche l'elettore che capisce e soffre per le
crescenti ingiustizie sia nel contempo preoccupato che la
lotta contro di esse sia esercitata dai partiti di centrosinistra per
mezzo di strumenti che mettano a rischio le proprie conquiste. Anche
se il cittadino medio si rende conto che il comunismo è
ovunque tramontato, esso è infatti portato a credere che la
coalizione riformista conservi troppi residui del passato dirigismo.
Il ridicolo ma continuo richiamo al comunismo fa tuttavia
riemergere vecchie paure che la parte più radicale (ma pur
necessaria) della coalizione riformista finisce col riportare
quotidianamente a galla. Inoltre la lista delle riforme necessarie
appare spesso poco credibile. Questa lista è in generale scritta col
bilancino, con l'occhio più attento agli opinion polls che alla
capacità di risolvere i problemi, più dedicata a non scontentare
che non a cambiare la società. Ne risulta l'inefficacia di una
proposta alternativa all'attuale maggioranza, che pure è ritenuta
ampiamente inadeguata all'interno del Paese e non credibile
all'estero. È evidente quanto sia difficile uscire dall'attuale
situazione perché questo implica da un lato la rinuncia ad un
impossibile ed antistorico radicalismo e, dall'altro esige la ripresa
di un riformismo vigoroso, il tutto accompagnato dall'indispensabile
disciplina che deve fare parte di una moderna cultura di governo.
Quando parlo di vigoroso riformismo intendo la necessità
di preservare e rafforzare il welfare state, difendere la salute,
potenziare la scuola e la ricerca, proteggere il territorio,
garantire la sicurezza e rendere più vivibili le città. Con la
consapevolezza che tutto ciò può essere ottenuto solo con il
contributo dei cittadini non indigenti, con il mutamento dei modelli
lavorativi, con la necessaria lotta all'evasione fiscale, con la
riforma del sistema
pensionistico e con il trasferimento di risorse verso i settori che
garantiscono il futuro, cioè la scuola e la ricerca. Un riformismo
che deve tenere conto della globalizzazione, del fatto che l'Italia
compete non solo con la Cina o la Germania, ma anche con la Turchia,
la Serbia, la Polonia e gli Stati Uniti. Un riformismo possibile
perché in buona parte lo ha realizzato Schroeder in
Germania ed è ormai un patrimonio comune dei Paesi del Nord Europa.
Nelle condizioni politiche in cui si trova oggi l'Italia si tratta di
un esercizio assai difficile, simile a quei tuffi con un
triplice avvitamento che si vedono alle Olimpiadi, ma lo stare fermi
porta al ripetersi delle sconfitte, fino al momento in cui
l'inevitabile peggioramento delle condizioni di vita e delle
occasioni di lavoro spingerà i giovani alla rivolta,
indipendentemente da chi siederà al governo dell'Italia.>

--
Luigi Fasce

9 commenti:

claudio ha detto...

"Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo è
l'inizio della loro opera e ora quanto avranno in progetto di fare non sarà
loro impossibile. Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché
l'uno non capisca la lingua dell'altro!»
Genesi 11,6-7".

Chiamare le cose con il loro nome è un gesto rivoluzionario, (Rosa
Luxemburg)

Finalmente vedo affrontare la questione dell'importanza della proprietà di
linguaggio in politica ed in economia.
Viviamo in un tempo in cui la confusione delle lingue ci fa cortocircuitare
i neuroni; venendo meno la loro funzione le decisioni si prendono non più
con il discernimento della ragione, ma con la pigrizia dell'intestino.
Si continua pigramente a fare riferimento a categorie politiche del passato,
quando queste oggi non hanno più alcuna ragione di esistere.
Correttamente, ricorda Luigi, aveva senso parlare di riformismo quando ad un
mondo conservatore e di destra, che mai avrebbe usato quel termine per sè,
si contrapponevano le forze socialiste dei lavoratori che si distinguevano
in massimaliste e riformiste.

Oggi non ha più senso parlare di riformismo se tutte le forze politiche
dell'arco costituzionale sono dichiaratamente riformiste (si può tutt'al più
parlare di riformismo di destra e di sinistra).
Ma il riformismo non più una connotazione di valore né di qualità: é solo
una procedura.

Vanno rifondati i valori, con essi le parole, con esse costruita la nuova
comunicazione politica.

Fraternamente
Claudio Marra

PS.: Un recente supporto per chi é sensibile alla proprietà di linguaggio e
aborrisce la torre di babele:

La manomissione delle parole
Gianrico Carofiglio

Sinossi
(http://www.amazon.it/manomissione-delle-parole-Scala-italiani/dp/8817043680)

Le parole servono a comunicare e raccontare storie. Ma anche a produrre
trasformazioni e cambiare la realtà. Quando se ne fa un uso sciatto e
inconsapevole o se ne manipolano deliberatamente i significati, l'effetto è
il logoramento e la perdita di senso. Se questo accade, è necessario
sottoporre le parole a una manutenzione attenta, ripristinare la loro forza
originaria, renderle di nuovo aderenti alle cose. In questo libro, atipico e
sorprendente, Gianrico Carofiglio riflette sulle lingue del potere e della
sopraffazione, e si dedica al recupero di cinque parole chiave del lessico
civile: vergogna, giustizia, ribellione, bellezza, scelta, legate fra loro
in un itinerario concettuale ricco di suggestioni. Il rigore dell'indagine -
letteraria, politica ed etica - si combina con il gusto anarchico degli
sconfinamenti e degli accostamenti inattesi: Aristotele e don Milani,
Cicerone e Primo Levi, Dante e Bob Marley, fino alle pagine esemplari della
nostra Costituzione. Ne derivano una lettura emozionante, una prospettiva
nuova per osservare il nostro mondo. Chiamare le cose con il loro nome è un
gesto rivoluzionario, dichiarava Rosa Luxemburg ormai un secolo fa.
Ripensare il linguaggio, oggi, significa immaginare una nuova forma di vita.

felice ha detto...

I" Reform Party" sono normalmente di destra.le parole sono rette dalle stesse
regole dell'economia: se una parola è usata troppo si inflaziona e perde di
valore. Quando una parola ha diversi significati o viene usata con intenzioni
diverse vale la legge di Grey per cui la parola cattiva scaccia quella buona.
Son d'accordo non si può più usare la parola "riformista" nè come sostantivo,
nè come aggettivo. E' tollerabile l'uso di riformista socialista, mas soltanto
se accompagnato da un elenco, se non esaustivo, almeno esemplificativo, delle
riforme che si propongono. Riformatore si può ancora usare perchè storicamente
i riformatori hanno riformato.

renato ha detto...

Ho l'impressione che qualcosa non torni.
Trovo contraddittorio plaudere alla proprietà di linguaggio e,
contemporaneamente, ritenere opportuno "rifondare le parole, oltre che i
valori".
Dovrebbe essere abbastanza semplice rendersi conto della (ovvia) necessità
di continuare a chiamare le cose con il proprio nome.
Proprio perchè (oggi) tutte le forze dell'arco costituzionale si dichiarono
riformiste, si rende necessaria l'esigenza di continuare a distinguere tra
coloro che sono portatori di valori autenticamente riformisti - che possono
cambiare, ma non invecchiano mai - e quanti, invece, si appropriano del
termine riformista.
In politica, essere "riformista" non è semplice.
E, soprattutto, non è nè una moda nè una semplice procedura. Direi,
piuttosto, che è:"Una concezione mentale"; una sorta di "categoria dello
spirito".
Per intenderci con un semplice esempio:
se riteniamo, a giusta ragione, di considerare Brodolini (legge 300/70) un
fulgido esempio di riformismo (politico), non è possibile sostenere che la
Gelmini (recente riforma dell'Università) abbia prodotto una riforma.
Ella ha prodotto sì, un cambiamento delle norme e delle regole, ma - è
certo - non ha operato con autentico spirito riformista. Non con quello
spirito riformista che tutti noi riconosciamo all'opera di Brodolini e
Giugni, per intenderci.
La stessa cosa vale per la distinzione tra "destra" e "sinistra".
Anch'esse, a mio parere, non possono essere (semplicisticamente) liquidate
come "categorie politiche del passato"!
Commettere quest'errore significa cadere in un'altra delle tante trappole
tese dal dilagante berlusconismo (già "qualunquismo").
Proprio al fine di esaltare la proprietà di linguaggio e non cedere alla
"omologazione", è indispensabile, a mio avviso, continuare a sostenere ciò
che differenzia noi riformisti dai controriformisti e tutto l'abisso che -
ancora oggi, come ieri e domani - separa noi "sinistra" dalla "destra"!
Con cordialità
Renato Fioretti

dario ha detto...

Mi pare di ricordare che, ai tempi di inizio novecento RIFOTRMISTA era un aggettivo, se non ricordo male era l'aggettivo che distingueva in Italia una delle tre correnti socialiste (prima della scissione di Livorno)I socialisti riformistii socialisti massimalisti i socialisti-comunisti,serviva per distinguere chi riteneva necessaria la Rivoluzione per conquistare il potere rispetto a chi privilegiava l'azione gradualistica, e da allora definisce il metodo di azione politica che si utilizza ma non è mai un fine, il fine, per noi, è il Socialismo.Mettersi oggi a discettare sul termine, come fa Prodi (ma anche come facciamo noi) è francamente superfluo. Ormai non si tratta più di distinguerci dai "rivoluzionari", solo pochi disperati pensano ancora alla rivoluzione prossima ventura.Essendo perè il Riformismo un metodo "revolving" la possono benissimo utilizzare anche quelli di destra, la differenza è determinata dai fini che si perseguono e dai ceti che si intendono favorire nella redistribuzione delle richhezze, se i ricchi o i ceti medio bassi della scala sociale.Queste discussioni semantiche sono tipiche di chi, non avendo particolari idee su come affrontare la crisi sociale ed economica in atto, si diletta a parlare del sesso degli angeli, e l'asinistra di quest'ultimo ventenni eccelle in questo sport.Mentre i riformisti di destra cambiano il mondo noi ci facciamo tante pippe.Fraterni salutiDario Allamano

claudio ha detto...

Che ultimo ventennio! è da quando è stata approvata la costituzione che prima il PCI, adesso tanti altri rumorosi gruppettari partecipano con entusiasmo al gioco di questa nostra politica provinciale denominato "il pendolo delle riforme". Qualche riformista le propone, gli interessi colpiti sparano contro, l'asinistra si mette a gridare che non è abbastanza: una volta lo faceva il PCI insieme con gli intellettuali firmaioli, da quando c'è l'ulivo lo fanno di più le microsinistre, mentre DS e PD propongono qualcosa solo in sintonia col sindacato, che in molti casi rappresenta interessi conservatori.
Riformatore è il riformista cui riesce di fare una riforma, in Italia è più facile l'enalotto

fabio ha detto...

Non esistono i riformisti di destra, ma i populisti tout court! Almeno su alcune cose cerchiamo di parlare un unico linguaggio. Cari saluti. Fabio

luigi ha detto...

Guido Calogero è il filosofo del dialogo ... dunque il dialogo mi
piace ... ma per fare chiarezza.
Il riformismo o è socialista o non è disse perentorio Tamburrano a un
conmvegno organizzato da me alcuni anni orsono appunto per fare
chiarezza sul termine "riformismo".
Ma perché così perentero ? Perché il riformismo socialista, ovvero il
gradualismo socialista (vedasi Bernstein) nella dialetica
parlamentare - che i socialisti riformisti accettavano - era tendere
nei tempi necessari della storia a raggiungere il traguardo della
società socialista ... mica altro. Si dividevano dai massimalisti
perché non volevono il socialismo qui e subito ma nel tempo, magari
lungo, ma sempre con lo stesso obiettivo finale.
Dunque il criterio per distinguere il riformismo socialista dai suoi
opposti, a sinistra quello comunista-statalista tipo ex URSS ex
Cina di Mao e quello a destra del modello capitalista USA è la scelta
del modello europeo di socialdemocratico (economia mista, diritti dei
lavoratori, stato sociale universale, libertà individuali) sancito
nel 1947 dalla nostra Costituzione (ma anche dalla successiva
costituzione tedesca e nel 1959 a Bad Godesberg dal manifesto
socialdemocrativo tedesco. Il paradosso che mentre l'americano
Rifkin osanna questo modello intitolando un suo libro "il sogno
Europeo" ()
Insomma delle due l'una o coloro che usano il riformismo per
politiche liberiste- teocon di destra sono ignoranti o sono in
malafede.
Sapere noi con chiarezza queste cose e farle sapere ai tanti confusi
mi pare opera utile e necessaria per dare il senso di marcia al
nostro agire politico.
Buon dialogo a tutti.
Luigi Fasce

Anonimo ha detto...

Per la verità esistono anche i populisti di sinistra e sono tanti

Dario

mario ha detto...

Personalmente ho sempre ritenuto che il riformismo socialista sia la "RIVOLUZIONE DI TUTTI I GIORNI".... e non quella "una tantum" dei massimalisti. Se mi sbaglio io, vuol dire che si sbagliava pure Riccardo Lombardi e non solo lui....!!!
Fraterni saluti.
Mario Francese