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martedì 8 maggio 2018
Paolo Bagnoli: Il canone della politica
la biscondola
nonmollare
il canone
della politica
paolo bagnoli
Il Paese è immerso in una lacerante quotidianità
L’Italia è incistata nell’incertezza; un qualcosa che
prescinde dalla stessa soluzione di governo,
qualunque essa possa essere. Lo stesso governo
emanazione di Sergio Mattarella, invece di
rappresentare un punto saldo di tenuta
istituzionale, in questo clima, rischia di
assomigliare all’ancoraggio di una nave che soffre
la violenza del mare per quanto ancorata al molo.
Ma il mare nel quale naviga la Repubblica da un
quarto di secolo è quello delle macerie lasciate da
un sistema politico disintegratosi, non solo nella
sua dimensione partitica, ma per la mancata
risposta della politica alla devastante ondata
giustizialista che lo investì: Nel momento in cui si è
accettato – e qui la classe politica che era rimasta
intatta da Tangentopoli ha grosse responsabilità
essendosi nascosta e cercato di lisciare il pelo del
gatto invece di tenerlo a freno - che lo stato di
diritto si trasformasse in un’entità dominata dalla
virtuosità esterna espressa dalla giurisdizione ,
allora, l’etica della Repubblica quale sistema
fondato sulle leggi scritte e non scritte della
politica democratica si è incrinata. Smarrito il
significato del “mandato politico” il canone
democratico si è basato solo sul principio della
delegittimazione di cui il tragico nostrano sistema
bipolare ha rappresentato la sublimazione: chi
perdeva era delegittimato da ogni punto di vista;
andare al governo significava la legittimazione della
verità e della conquista dello Stato. E’ stato
drammatico, dopo Tangentopoli, non aver
compreso che la democrazia avrebbe ripreso
campo nel senso più pieno solo rilegittimando il
canone della politica; l’occasione fu persa, ma
dopo il referendum costituzionale del 2016,la
vittoria dei No, riponeva con forza sul tavolo il
problema; un esagerato e immotivato riguardo
verso il renzismo ha impedito che si potesse
recuperare un senso pieno alla politica
democratica. Se ciò fosse avvenuto il penoso
spettacolo di questi due mesi ce lo saremmo
risparmiato.
Lo scenario cui assistiamo è, a dir poco,
deprimente. Scomparsi ogni ideale e ogni
ideologia ha preso il sopravvento la paura di
riorganizzare seriamente la lotta politica e prodotto
leggi elettorali sbagliate, l’emergere di ceti politici
senza nerbo vero, un battere continuo sul mito
negativo della casta, il dilagare del populismo e
della demagogia. E’ trascorso mezzo secolo nel
quale tutto ciò che si è verificato lascia le orme di
una serie concatenata di fallimenti: il partito
democratico, il bipolarismo, l’ulivismo, l’Unione, il
polo delle libertà, il governo grigio e doloroso dei
professori, l’illusione di un una nuova specie di
pentapartito con Enrico Letta, un modo più che
sbagliato di porsi di fronte al problema dei
migranti e, infine, l’affermazione dei 5Stelle che
sublima il tutto nel nulla pericoloso come ci
dicono le cose che abbiamo sotto gli occhi..
La ripresa, però, non ci sarà se il Paese non
verrà sollecitato a una ampia, diffusa e seria
discussione pubblica. Giornali, televisioni, social si
rosolano negli echi della quotidianità aumentando
alle macerie politiche quelle dell’informazione e
della riflessione; tutto pare affogato nelle acque
limacciose e grigie della mera comunicazione, la
quale, alla fine produce l’effetto contrario a quello
desiderato poiché, sempre che uno ci ragioni, batti
oggi e batti domani la costruzione artificiosa di
fatti e persone finisce per franare.
Ci rendiamo conto che la nostra lettura delle
cose possa apparire troppo pessimista. Non ci
stupiamo considerato a cosa ha portato tanto
ottimismo e attendismo e come la classica via
d’uscita della nostra mentalità - il dire tipicamente
italico ”mah! Staremo a vedere” - di cose belle da
vedere non ha dato niente. Se l’indignazione
morale non coglie i lati critici e, quindi, esprime
solo approssimazioni, allora essa si trasforma in
rabbia populistico-demagogica; se, invece, il
pessimismo serve a mettere in risalto quanto un
esercizio critico della situazione dovrebbe imporre
a chi ha cuore l’avvenire della Repubblica, allora
non è un fatto da deprecare, non è mancanza di
fiducia né dismissione morale; certo che ha il
sapore amaro di una verità di fronte alla quale
troppo colpevolmente si è finito per chiudere gli
occhi.
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