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martedì 29 maggio 2018
Luciano Belli Paci: Non è la mia crociata
NON E’ LA MIA CROCIATA
Come tutti ricevo in queste ore molte cartoline precetto. Dovrei stringermi
a Mattarella, arruolandomi nella nuova union sacrée che si appresta a
schierarsi contro le orde barbariche. Rispetto il Presidente, sono solidale
con lui di fronte a demenziali richieste di impeachment e ad attacchi
incivili. Ma non mi arruolo.
Un conto è riconoscere che il potere che il Presidente ha esercitato rientra
nei limiti della Costituzione, altro conto è sostenere che lo abbia
esercitato bene. Se Salvini cercava solo un pretesto per andare al voto, era
un buon motivo per non darglielo. E Savona era proprio il pretesto più
sbagliato che gli si potesse offrire. Uno dei pochi ministri di alta qualità
e con robuste credenziali democratiche. Le sue tesi sull’Europa saranno
eterodosse nell’establishment, ma al 90 % dell’opinione pubblica appaiono di
semplice buon senso. Ed è uno strano modo di difendere il risparmio delle
famiglie quello di aprire una crisi istituzionale mai vista, mandando allo
sbaraglio un governo di minoranza, dando luogo a mesi di instabilità e
portando ad elezioni ravvicinate che con ogni probabilità vedranno un enorme
rafforzamento dei partiti considerati antisistema. Davvero tutto ciò
rassicurerà le borse e raffredderà lo spread ?
Ma veniamo al punto dolente: l’europeismo. Basta chiacchiere e distintivo.
Chi veramente vuole salvare l’Unione Europea non può difendere
l’indifendibile, ma deve agire per ottenere in tempi rapidi un suo profondo
cambiamento. Non si tratta solo di forzare la gabbia dei vincoli che,
vietando politiche keynesiane, prolungano all’infinito la recessione ed
accrescono il divario tra le economie forti e quelle deboli. C’è ben altro.
L’avventura europeista, che era (e sarebbe ancora) bella e nobile, si è
arenata in una palude mortifera. Da un lato il culto idolatrico del Mercato,
la moneta unica e i famosi parametri privano gli Stati nazionali di ogni
reale possibilità di fare politiche industriali (“aiuti di stato” !) e di
fronteggiare l’impoverimento di larghi strati della popolazione ed il
collasso della coesione sociale; dall’altro lato la mancanza di unione
fiscale e nella regolamentazione del lavoro fa sì che su entrambi questi
terreni si produca una concorrenza al ribasso tra gli Stati membri. Una gara
a smantellare il welfare state per abbassare le tasse ed attirare capitali,
e a ridurre salari e diritti per attirare le imprese che delocalizzano.
Questo micidiale cocktail non soltanto esaspera, anziché governarli, tutti
gli squilibri prodotti dalla globalizzazione, ma a ben vedere produce un
vero e proprio ecosistema incompatibile con la vita della sinistra. Di
qualunque sinistra, dalla più moderata e responsabile alla più radicale.
Dunque c’è un solo modo - per chi è di sinistra e vuole ancora battersi per
la giustizia sociale - di salvare al tempo stesso l’Europa dal suicidio e la
sinistra dall’estinzione (difficile prevedere quale arriverà prima):
battersi per bonificare urgentemente quell’ecosistema avvelenato, per
costruire un’altra Europa. Invece, la crociata dell’establishment per la
difesa a oltranza dell’ordine europeo costituito a me pare palesemente
perdente e, comunque, non è la mia crociata.
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