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venerdì 28 luglio 2017
Franco Astengo: Il cammino del gambero
IL CAMMINO DEL GAMBERO? di Franco Astengo
Si sta scrivendo molto, e da diverse angolazioni, sull’idea del “ritorno all’indietro”, di un’organizzazione sociale che procede con il “cammino del gambero” nonostante il vertiginoso avanzare dell’innovazione tecnologica.
Un avanzamento quello della cosiddetta innovazione tecnologica auto centrato e posto proprio sul terreno della velocità e del ravvicinamento nel tempo (ma non nello spazio) delle relazioni pubbliche e personali.
Velocità e riavvicinamento nel tempo delle relazioni pubbliche e personali realizzato attraverso l’innovazione tecnologica che causa un riaffermarsi delle condizioni di disuguaglianza e dominio sul piano culturale evidenziando le “distanze” sociali all’interno delle società occidentali avanzate ma soprattutto a livello planetario (mentre noi clicchiamo come forsennati, 600 milioni di africani sono privi della luce elettrica).
Nella sostanza una ulteriore esaltazione dell’individualismo.
La “Lettura”, allegato culturale del “Corriere della Sera” ha dedicato addirittura le prime pagine a questo tema soffermandosi, da un lato, sulla “Illusione di una società neofeudale” (prendendo spunto da diverse opere uscite recentemente sul tema) e dall’altro su “Ma il feudalesimo va riabilitato”.
Sono tre i nodi di fondi di cui nella fattispecie ci si occupa:
1) La cosiddetta “globalizzazione” intesa come espressione dell’autonomia dell’economia dalla politica. Nell’occhiello del primo articolo si sostiene: “ Il mondo sta uscendo da una crisi decennale che ha segnato la fine della globalizzazione dolce. E sostengono alcuni, soprattutto riguardo all’Europa, sta entrando in una ri-medievalizzazione della vita pubblica: un sistema di sovranità multiple che possa dare origine a un nuovo ordine flessibile, post – coercitivo. Ma il vero modello è il Rinascimento.”
Nel testo dell’articolo si aggiunge e chiarisce attorno a questo concetto, prendendo spunto dall’analisi di Ian Zielonka: “Oggi c’è chi parla di una ri-medievalizzazione, soprattutto in Europa. Con questo termine si fa riferimento all’apparente emergenza di una forma di organizzazione politica basata su sovranità multiple, in parte sovrapposte, in parte condivise, in parte in reciproca concorrenza. Sovranità “acefele” senza comando supremo: un sistema basato su scatole cinesi di sovrani (dalle comunità locali ai governi nazionali all’UE e via salendo) ciascuno con le sue quote di risorse. I neo – medievalisti guardano con favore a questi sviluppi e confidano che dal pluralismo di centri, poteri, sovranità possa nascere (almeno in Europa) un nuovo tipo di ordine flessibile, post – coercitivo”.
2) Il tema è dunque quello dell’autonomia del potere nella sua costruzione in rapporto alla molteplicità dello sviluppo sociale. L’idea neo –medievalista andrebbe così in soccorso al fallimento dell’ipotesi di verticalizzazione di un potere raccolto attorno alle logiche economiciste di una globalizzazione “dura” attorno alla quale si era accentrata la “governance” europea. Un tentativo di verticalizzazione del potere non riuscito perché scontratasi con l’emergere del fenomeno contemporaneo dell’estendersi orizzontale di molteplici “autonomie” sociali foriere di una nuova corporativizzazione. Tutto questo mentre sparivano dall’orizzonte politico, le forme di rappresentanza ideologica recanti con sé prospettive e visioni complessive di mutamento storico.
3) Difatti la prima risposta che sta arrivando, in questo senso, è di pieno recupero del concetto di “Stato – Nazione” in una dimensione pienamente sovranista.
Per riflettere al meglio su questo stato di cose servirebbe forse una revisione della “Scienza nuova e le tre età della storia” cioè della teoria vichiana dei corsi e ricorsi.
Fin qui però resteremmo all’interno della teoria e non riusciremmo a scendere sul terreno della prospettiva politica che, invece, dovrebbe prioritariamente interessarci.
In realtà l’idea di una ri-medievalizzazione aleggia intorno a noi ma in una forma diversa del riprodursi del confronto tra verticalizzazione del potere e orizzontalizzazione della società che fu risolto attraverso il processo successivo di feudalesimo, Comuni, Signorie nell’Italia tra il 1000 e il 1400 mentre in Europa si affermavano progressivamente gli Stati – Nazione sotto forma di monarchie assolute.
Feudalesimo versus sistema westfaliano? Certo che chi pensava di accantonare in tutta fretta lo “Stato Nazione” si ritrova con molte ragioni di ripensamento.
Tutto questo discorso si accompagna con l’incapacità degli strumenti della democrazia cosiddetta “liberale” di accompagnare e governare la realtà concreta della crisi di senso della nostra epoca.
E’ necessario ritrovare invece la percezione completa della crisi che stiamo attraversando. ‘ sufficiente assistere al dramma della disoccupazione, ai suicidi per povertà, all’arretramento nelle condizioni materiali di vita nel quotidiano, all’impossibilità del rivolgersi al welfare.
Il senso della crisi sta nei negozi chiusi, negli opifici silenti dove non echeggia più il rumore del lavoro, nel ritorno alla “guerra tra i poveri”, all’odio crescente tra gli apparentemente diversi senza che nessuno sia più capace di farli riconoscere tra loro eguali nel gran modo degli sfruttati.
Anche Serge Halimi dalle colonne de “Le monde diplomatique” ha scritto di “Medioevo Europeo”. Sì appare proprio un “ritorno al Medioevo” quanto sta accadendo qui nell’Occidente super sviluppato ma non nel senso indicato dai teorici delle forme di governo dell’orizzontalità del potere buone per mantenere il dominio di un “vertice” sempre più lontano e apparentemente inscalfibile fondato sul primato di una persona: Trump, Putin, adesso Macron (domani una nuova versione , diversa dalle precedenti, di Angela Merkel?) stanno lì a dimostrarci l’applicabilità concreta di questa teoria di relazione tra orizzontalità e verticalizzazione.
Il senso profondo della crisi lo si avverte nell’assenza del conflitto: ci giunge lontano l’eco di “piazze ribelli” poi normalizzate dallo stridere lento sull’asfalto dei cingoli dei carri armati.
Un’eco lontana che non sappiamo raccogliere, rinchiusi qui nella fortezza di un’economia definita “comportamentale” che ci impone i modelli, gli stili di vita, i consumi senza dei quali il nostro individualismo non trova altra strada che annegare nella disperazione.
Il senso profondo della crisi corrisponde all’assenza di un’alternativa, nell’omologazione delle culture, nel rendere omaggio all’eterna e intangibile “costituzione del potente”.
“Ribellarsi” potrebbe rappresentare l’imperativo d’obbligo: ma come?
Il senso profondo della crisi ci impone di riscoprire la politica: la politica, prima di tutto, intesa come ricerca dell’appartenenza alla propria condizione materiale, la politica come studio della situazione umana, dal singolo al collettivo, per cercare, proporre, imporre soluzioni, la politica come sede di rappresentanza degli interessi e dei conflitti.
Se ritorno all’indietro c’è, ritorno all’indietro deve essere fino in fondo anche per le grandi masse dei diseredati, colpiti dall’eterno ma mai eguale massacro capitalista, perché ritrovino la scienza, la volontà, la forza di organizzarsi per resistere e cambiare profondamente questa società: pietra su pietra come si scriveva un tempo.
Se non si riflette su questo appare inutile e perfino dannoso muoversi sul terreno teorico della ricerca di un nuovo sistema di relazioni di governo tra politica, economia, tecnica: quello che sembra stare tanto a cuore a filosofi e politologi dello “status quo”.
La riflessione deve necessariamente portare ad una ricostruzione culturale ponendoci di fronte alla ricerca di un nuovo “senso della storia” proponendoci il ritrovarsi delle espressioni viventi delle grandi contraddizioni sociali in una autonoma dimensione di organizzazione in grado di esprimere una lotta intellettuale, morale e di conseguenza politica.
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