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mercoledì 31 maggio 2017
Franco Astengo: Siderurgia italiana
LA SIDERURGIA ITALIANA CARTINA DI TORNASOLE DELLA CRISI INDUSTRIALE DEL PAESE (a cura di Franco Astengo)
Questa la notizia di oggi:
“L'Ilva rischia di dover subire dai 5mila ai 6mil esuberi: una sforbiciata drastica al personale che inizierà a prendere forma quando il colosso siderurgico passerà dall'attuale amministrazione atraordinaria alla cordata vincitrice della gara, con ogni probabilità il tandem ArcelorMittal-Marcegaglia scelto dai commissari straordinari.
I numeri, tanto più pesanti se si pensa che il gruppo Ilva lavora a scartamento ridotto e con 4.100 dipendenti in cassa integrazione (3mila 300 fra Taranto e Marghera e 800 tra Genova e Novi). Secondo quanto riferito dai sindacati, il piano ArcelorMittal e Marcegaglia prevede 4mila 800 esuberi da subito per poi salire a 5mila 800 nel 2023.
Tenuto conto che il gruppo Ilva ha in tutta Italia 14mila 200 dipendenti, questo significa che si partirebbe con una forza lavoro di 9mila 400 addetti per poi scendere a 8mila 400 nel 2023. Mentre la cordata Acciaitalia prevede 6mila 400 esuberi e con una forza lavoro di circa 7mila 800 addetti alla fine del 2018 per poi far risalire l'occupazione fino a 10mila 800 addetti nel 2024. Differente fra le due cordate anche il costo medio annuo per lavoratore che per ArceloMittal e Margegaglia arriva al 2023 di 52mila euro, mentre per Acciaitalia arriva al 2023 a 44mila euro”
Considerazioni possibili a questo punto
Sorge un interrogativo che già da tempo aleggia in aria senza risposta: A quale piano industriale corrisponde la prospettiva che si apre con questo passaggio dall’amministrazione controllata alla cordata vincente?
Quale logica, sempre sul piano industriale, corrisponde agli intendimenti del governo partendo da un altro interrogativo: la siderurgia è considerata settore strategico e a quale tipo di siderurgia si pensa (Federacciai denunciava recentemente il fatto che l’Italia importi laminati piatti)?
In sostanza si conferma la profonda crisi industriale che attraversa il nostro Paese, la rinuncia ad un serio intervento di gestione pubblica nel settore, l’apertura di una fase intensiva di sfruttamento per i lavoratori.
Sarebbe necessario avere chiare le prospettive in materia di lavorazioni e, nello stesso tempo, di rapporto tra la produzione e l’ambiente che a Taranto costituisce il punto focale di tutta la vicenda ricordando che, per Genova, si è rinunciato da tempo all’area a caldo ed esiste un accordo di programma che in questo caso risulterebbe clamorosamente tradito.ù
Ovvio a questo punto invocare la necessità di mobilitazione: appunto però l’assenza di una prospettiva industriale rischia di far apparire la mobilitazione sindacale la pronunzia di parole vuote di fronte a scatole che il profitto intende assolutamente svuotare.
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