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mercoledì 1 marzo 2017
Franco Astengo: Nuova sinistra
NUOVA SINISTRA, POLITICA E CULTURA di Franco Astengo
MILANO - NASCE IL COMITATO SOCIALISTA
Si è riunito nei giorni scorsi nella sede dell’Associazione il Socialista, il gruppo promotore del Comitato Socialista per il No che deciso di dar vita nell’area metropolitana di Milano il Comitato Socialista milanese con l’obbiettivo di tenere viva l’autonomia e la cultura socialista a livello locale e riunire senza distinzione alcuna tutti i socialisti disponibili a battaglie politiche comuni.
Il Comitato Socialista milanese ha deciso di sostenere la battaglia dei lavoratori contro la riforma del Jobs Act e della scuola e di sostenere i referendum sul lavoro promossi sulla CGIL auspicando che il governo fissi al più presto la data del referendum. Il Comitato Socialista ha deciso inoltre di sostenere la Petizione per restituire la sovranità agli elettori e chiedere in particolare al Parlamento, nel rispetto della sentenza della Corte Costituzionale, di approvare una legge elettorale di tipo proporzionale che escluda ogni forma di premio maggioritario, che abolisca i capolista bloccati e le candidature multiple.
Il Comitato socialista milanese si organizza come interlocutore delle altre forze politiche per tenere viva a livello territoriale le politiche in difesa dei ceti più deboli contro tutti quei provvedimenti che continuano ad essere assunti dalle amministrazioni locali a difesa ormai di interessi economici e finanziari che nulla hanno a che vedere con le politiche di sviluppo e sociali del territorio.
Come nell’esperienza dei Comitati Socialisti per il No aderiscono al Comitato Socialista con la tessera del PSI, socialisti che aderiscono ad altre organizzazioni o associazioni politiche, socialisti senza tessera.
Care Compagne e Cari Compagni, prendo a spunto la notizia della nascita del Comitato Socialista che sorge sulla scorta del “Comitato Socialista per il NO” per riproporre uno spunto di riflessione che mi pare – scusandomi per il disturbo – importante da rimarcare.
Comprendo benissimo come la scelta di trasformazione del Comitato corrisponda, in un momento di grande confusione, a una domanda di chiarezza e di identità che ciascheduno di noi sente necessario almeno in riferimento al proprio “campo d’origine”.
Pur tuttavia mi piacerebbe si compisse uno sforzo ulteriore rivolto non tanto in una direzione “unitaria” intesa in senso meramente politicista, ma soprattutto verso una ricostruzione di cultura politica.
Un percorso di ricostruzione di cultura politica rivolto in direzione di una espressione di soggettività collettiva che mi pare assolutamente indispensabile da avviare.
In questi giorni abbiamo assistito a livello di cosiddetti “gruppi dirigenti” e sulla scorta dell’esito referendario almeno a tre principi di scissione riguardanti il PD, Sinistra Italiana e il Movimento dei “Sindaci Arancioni”.
Questi sommovimenti che hanno determinato un vero e proprio riallineamento nel sistema politico italiano, almeno a livello istituzionale, si sono determinati in quadro sociale molto complesso dov appaiono dominanti pulsioni pericolose nella direzione di quelli che sono stati definiti “populismi” impregnati di venature corporative, isolazioniste e financo razziste.
Questo avviene mentre il quadro generale – come denuncia anche il vostro documento – presenta aspetti di vero e proprio “inasprimento sociale” ( sfruttamento, sottrazione di diritti, precarietà).
Il processo di formazione nell’identità politica dei soggetti che si stanno determinando a seguito di questo riallineamento non appare però positivo, dimostrandosi nel suo procedere ritardi culturali, arroccamenti conservativi, insufficienza nell’analisi della fase.
Un merito, forse, queste convulse giornate trascorse all’insegna dell’autonomia del politico e delle vie di fuga lo hanno avuto.
Infatti, da più parti e da diversi punti di vista, ci si è tornati a interrogare sulle ragioni riguardanti l’assenza di una sinistra organizzata nel nostro Paese e sui limiti profondi delle esperienze fin qui compiute in varie direzioni.
Premesso che appare sbagliato l’indirizzo prevalente nell’impostazione prevalente di ricerca (si semplifica in questo caso, ma è per accelerare i tempi di comprensione dei dati in campo) di un nuovo ambito di “centro – sinistra” e di “sinistra di governo” mentre appare evidente una carenza “strutturale” sul piano dell’analisi politica è il caso di approfondire comunque un aspetto che appare, in questo frangente, del tutto decisivo.
La ragione più importante riguardante la sparizione e la possibilità di recupero di una forza di sinistra coerente all’interno del sistema politico italiano è dovuta, in primo luogo, all’abbandono (avvenuto ormai da molti anni) di un progetto di ricerca posto sul piano della cultura politica.
La profonda trasformazione avvenuta all'interno dei soggetti politici organizzati, sia dal punto di vista strutturale, sia sotto l'aspetto degli obiettivi dell’“agire politico” e il mutato rapporto con i movimenti sociali, propositivi di una sorta di “autorganizzazione” della rappresentanza delle nuove contraddizioni ha lasciato un vuoto nella riflessione politica.
Un vuoto, per ora non ancora riempito da nessuno, sul piano dell'analisi e della capacità di proposizione che intendiamo, ponendoci al livello dell'ispirazione teorica, di vera e propria “cultura politica”.
Non riempie questo vuoto l'Università, laddove sia a livello di dibattito collettivo sia di espressione pubblicistica l'orientamento appare essere quello di seguire – piuttosto – una sorta di “modellistica” rivolta ai leader politici come da assumere secondo schema (pensiamo all'idea della “vocazione maggioritaria” che è nata, appunto, dall'adozione di uno schema non verificato assolutamente nel campo della complessa situazione politica italiana) senza riuscire a influenzare le coordinate di fondo dell'azione politica.
Non riempiono questo vuoto le Fondazioni cosiddette “culturali” che, al di là della qualità della loro produzione (spesso di buon livello), si muovono sul terreno del “supporto” alle correnti interne ai partiti e, in particolare, di semplice supporto al “leader” nella dominante competizione personalistica.
E' necessario riprendere, anche dal basso e in una situazione periferica, il filo di una caratteristica fondamentale che componeva (fra le altre) la realtà dei soggetti politici di massa (ricordando che non erano i numeri, pur molto diversi degli attuali, a definire una “realtà di massa”: bensì la logica che presiedeva l'organizzazione, la struttura, la capacità di svolgere una funzione effettivamente pedagogica, di forte acculturazione all'interno e all'esterno del partito): quella appunto di funzionare da “promotore di cultura politica” sotto i diversi aspetti della riflessione teorica, della conoscenza normativa, della capacità di analisi sui fatti e di costruzione dell'agenda (quest'ultimo il vero punto effettivo di potere da esercitare da parte dei soggetti organizzati, sicuramente più forte di quello, pur importante delle presenze istituzionali di rappresentanza e/o di governo).
Nell’impossibilità di avanzare proposte di tipo organizzativo appare il caso però di verificare quali possono essere i campi di intervento posti proprio sul piano di una ripresa della capacità di interrogarsi su di un nuovo sistema di relazione tra la cultura e la politica.
Se ne vedono almeno tre:
Il primo riguarda una rivisitazione profonda dei temi della storia del pensiero politico (questa ci pare la lacuna più grave, il vuoto più grande lasciato dalla sparizione dei grandi partiti di massa e dalla loro sostituzione con gli attuali partiti – personali).
Non si tratta di disporre steccati ma partendo da filoni della storia e della realtà politica della sinistra, sia internazionale, sia italiana sarà comunque necessario ridefinire un’identità.
Non è il caso di ricostruire qui un percorso ma sarà necessario recuperare le idee della prima modernità, il rapporto tra il soggetto e lo Stato, la “frustata” dell'illuminismo, la dialettica, il rapporto tra società e nazione.
Si dovranno recuperare le domande inevase del ‘900 novecento tra il tramonto dell’inveramento delle ideologie e la trasformazione della politica, giù, giù fino alle novità rappresentate dalle contraddizioni post-materialiste, la crisi dello Stato-Nazione, il processo di globalizzazione, lo spostamento nell'asse di fondo del rapporto tra rappresentanza e governabilità, l'imporsi – a tutti i livelli – della personalizzazione.
Nello stesso tempo dovranno essere recuperati i temi della scienza politica e del diritto costituzionale: le ragioni della necessità dello studio scientifico della politica, il ruolo dei parlamenti, dei governi, i partiti, i sistemi elettorali, la partecipazione politica e il rapporto tra questa e i livelli di decisionalità con la possibilità di forme progressive di egemonia di una nuova democrazia di massa.
Tutti temi che non possono essere considerati “d’antan”, eliminati perché risolti dalla semplificazione mediatica e dalla velocizzazione delle scelte.
Egualmente non si potranno trascurare gli spunti offerti dall'evolversi dell’agenda politica, non tanto e non solo dal punto di vista dell'attualità corrente, ma anche dell'analisi approfondita attorno ai temi delle nuove fratture sociali, della logica che presiede le nuove idee aggregative,all'esame delle diverse realtà associative che, come si accennava all'inizio, tendono all'autorganizzazione attorno ad un’inedita dislocazione del potere.
Un’operazione tanto più importante e urgente proprio in questo momento dominato, sul piano internazionale, da quella che è stata denominato “l’età del caos” e dai pericoli di all’allargamento dei fronti di conflitto, mentre impallidisce quello che per molti fu il “riferimento europeo” e si stanno ristabilendo gerarchie planetarie sulla base di una forte spinta di ritorno conservatore com’è stato nel caso dell’elezione del nuovo Presidente degli Stati Uniti.
Sul piano interno è necessario fare i conti con la fase aperta dall’esito referendario del 4 Dicembre che ha sbarrato la strada alla costruzione di un regime all’interno del quale si stava cercando di realizzare un ulteriore passaggio di svolta autoritaria attraverso il combinato disposto tra riforme costituzionali e legge elettorale.
L'obiettivo di fondo dovrebbe essere quello della politica che recupera i criteri della legittimazione sociale, nell'idea di una rappresentanza quale fattore fondamentale dei processi di inclusione.
Un programma, così elencato che ci fa immediatamente pensare alle nostre inadeguatezza: un programma, però, che indica un cammino.
Un cammino che siamo convinti valga la pena di percorrere, non certo in forma isolata, ma costruendo interesse collettivo, capacità di dibattito, costanza di un’iniziativa tale da produrre effettivi momenti di crescita nella conoscenza, nella consapevolezza, nella realtà di una proposta rivolta verso il futuro.
Soltanto così sarà possibile sviluppare la forza di una visione realistica delle contraddizioni e dei possibili sbocchi.
L’auspicio dovrebbe essere quello di promuovere una “criticità diffusa” quale espressione di una visione del cambiamento non ridotta nell’ambito della profezia ma sviluppata nell’ambito concreto dell’abolizione dello stato di cose presenti.
La base di pensiero da ricercare, dunque, per muovere l’azione di una soggettività politica operante tutti i giorni dentro e in riferimento con le fatiche quotidiane dell’esistenza.
Il mio invito non è rivolto tanto alla dismissione della propensione identitaria ma allo stabilire condizioni perché si possa pervenire, anche dal punto di vista storico, ad un suo superamento inaugurando un ampio colloquio pubblico che funzioni da crogiuolo di una identità superiore posta all’altezza delle contraddizioni in atto.
La forma politica potrà essere ricercata anche attraverso espressioni di originalità sotto l’aspetto organizzativo (anche in forme inedite per quello che riguarda la situazione italiana: ad esempio forme di tipo federativo).
Importante sarebbe non trascurare nessuno esaltando il potenziale possibile anche rivolgendosi ai settori più facilmente identificabili come antagonisti, espressione delle organizzazioni di base e – ancora – come nel vostro caso espressioni identitarie legate alla storia e alla tradizione del movimento operaio italiano: socialisti, comunisti, democratici di sinistra, forze e soggetti dell’antagonismo sociale.
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