martedì 7 marzo 2017

Paolo Bagnoli: La patologia della falsa democrazia

la patologia della falsa democrazia Da Critica liberale paolo bagnoli Lo spettacolo di ulteriore devastazione della politica italiana che va in scena in questi giorni ci conferma la modestia del “ceto politico” che ci governa. Altrettanto si può dire per quanto gli gira intorno. Siamo alla conferma di una patologia. Essa si è venuta via via aggravando con la scomparsa dei partiti. Con ciò la Repubblica ha perso i pilastri del suo sostegno e del suo regolare svolgimento. Oggi siamo giunti a un punto talmente basso che il confronto tra le parti si è ridotto a un inseguimento demagogico e distruttivo nel quale escono triturati i meccanismi imprescindibili per una decente tenuta del sistema. All’alzarsi del sipario sul teatro della rappresentazione vediamo che tutti gli attori seguono lo stesso copione dettato dalla mediatizzazione esasperata, dal gesto che può colpire i cittadini e far acquisire consensi, dalla demonizzazione degli avversari politici, da un farisaico moralismo che nasconde l’assenza di qualsiasi morale, dalla mancanza di ogni residuo buon senso e dall’incapacità – cosa assai grave – di saper dare senso alle cose, grandi o piccole che siano. Altro che riforme di cui tutti si riempiono la bocca; pregiudiziale a tutto è la riforma morale e intellettuale del Paese. Dicendolo evochiamo un’espressione che sa bene cosa significhi chi conosce la storia nazionale: un’esigenza con la quale si dovrebbero fare i conti, ma non essendo mai stata affrontata seriamente quale grande problema collettivo, è chiaro che i saldi non tornano mai. Un tempo la classe politica, ad ogni livello, si formava attraverso i partiti quali centri motori del processo democratico. Anche il più sprovveduto amministratore locale aveva un’idea di cultura, idealità e appartenenza che dava sostanza alla rappresentanza e senso all’azione pubblica di governo. Il partito proponeva, offriva, correggeva ed era il garante che i suoi esponenti camminassero nel solco tracciato di un progetto politico. I partiti erano i luoghi del progetto politico che non nasceva da personalità taumaturgiche o da meccanismi populisti, ma da grandi istanze collettive. La perfezione non esiste, ma, sicuramente, il tutto aveva una logica: quella della democrazia politica. Questa, infatti, era la base della politica repubblicana. Una volta che tali presupposti sono stati travolti per lasciare il posto alle improbabilità di questi oltre vent’anni, la Repubblica ha rischiato di 061 06 marzo 2017 5 sbandare sotto il vento gelido di una estesa pratica corruttiva, privatizzazione del potere, formazioni del momento finalizzate solo al mantenimento del proprio spazio di potere o alla conquista del governo, da un trasformismo utilitaristico e miserabile, da un vuoto assoluto di coscienza storica e di cultura politica, da pulsioni neofasciste, separatiste, nuoviste che hanno veicolato germi patogeni nel corpo del Paese; da un ceto politico men che modesto e dal fatto che il potere, prima gestito – talora non sempre bene – nel nome della collettività, venga praticato in nome proprio. Uno sbandamento serio che ha avuto nel tentativo di cambiare la Costituzione il suo punto più alto; un rischio che, meno male, il Paese ha respinto. Il segnale è suonato forte, ma non sembra essere stato udito. Il referendum, tra tante altre cose, ha messo pure a nudo come la leadership naufragata del presidente del consiglio, fosse attorniata da pretoriani di poco spessore politico. Basti pensare all’abolizione delle Provincie elettive e alla riforma della legge elettorale. Entrambe sono state fatte ritenendo che il nuovo progetto costituzionale sarebbe stato approvato. Si è voluta, cioè, vendere la pelle dell’orso prima di averlo preso. Il risultato è che le Provincie sono da ripristinare – tra l’altro quelle” ibride” che sono subentrate costano più delle precedenti – e il Parlamento continua a basarsi su due Camere e non su una sola. Oramai, però, non fa scandalo più niente; la stessa indignazione sembra scomparsa e anche il pudore. E’ mai possibile, per esempio, che si possano passare i parlamentari alla gestione dell’Inps come se fossero non i rappresentanti del popolo, ma degli “impiegati salariati” delle Camere? Tutte le obiezioni relative ai costi sono solo demagogia e gli argomenti di Tito Boeri stanno nell’iperuranio dell’assurdo, ma la questione dimostra la perdita di senso e di dignità della funzione parlamentare; un qualcosa che, in una democrazia, è un tutt’uno con questa. Nel nostro Paese anche le riforme che si riteneva servissero a responsabilizzare e velocizzare lo Stato quali l’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di Regione si sono rivelate corrosive della democrazia. Per quanto concerne i comuni la situazione è più pesante di quella delle Regioni. L’elezione diretta dei sindaci venne politicamente giustificata con il fatto che, dopo il rinnovo di un consiglio comunale, non si poteva aspettare per settimane che i partiti si mettessero d’accordo per eleggere il sindaco e la giunta. Il problema poteva essere risolto stabilendo un tempo entro il quale un’amministrazione, pena il ricorso a nuove elezioni, doveva dotarsi degli organi di governo. Nella nuova dimensione presidenzialista il risultato è che la figura del sindaco ha incarnato il profilo di una democrazia personalistica, il consiglio comunale è stato di fatto evirato dei compiti propri di un’assemblea elettiva e il potere burocratico 061 06 marzo 2017 6 considerevolmente aumentato. La reductio alla personalizzazione ha spersonalizzato gli stessi organi di governo delle città essendo, oramai, le giunte solo organi di servizio del sindaco, del tutto staccati da ogni obbligo di rendicontazione democratica. La nebbia del movimentismo, basata sulla figura imprescindibile del leader e sul mito fittizio della società civile, ha messo la democrazia italiana in una situazione di subalternità rispetto ai soggetti che si contendono il potere: sono i “partiti” dell’oggi. Essi si reggono su dinamiche diverse e sostanzialmente anomale rispetto a ogni regola di trasparenza democratica. Il partito democratico, incardinato sulle primarie, va al congresso immerso nello scandalo di tesseramenti impropri; i 5Stelle si fondano sull’oscurità della democrazia da computer e Forza Italia, da quando esiste, non ha mai fatto un congresso. La storia ci dice come la democrazia non sia un sistema perfetto, ma quando il tasso di inefficienza da fisiologico diviene patologico, allora c’è veramente da allarmarsi.

1 commento:

salvatore ha detto...

Questo articolo di Paolo Bagnoli descrive con esattezza non solo quanto è avvenuto negli ultimi 20 anni, ma ne suggerisce, implicitamente, anche dei rimedi: la politica deve tornare ad essere frutto di partecipazione collettiva, e per realizzare ciò i corpi intermedi e i partiti sono il necessario punto di sintesi fra le differenti istanze che una società così complessa esprime.
Un corollario è, ovviamente, che le istituzioni devono governare sulla base di una ampia e legittima rappresentanza, e questo significa leggi elettorali sostanzialmente proporzionali. Infine due considerazioni sulle elezioni dei sindaci e lo spessore della classe politica. Le due cose sono correlate: nei vecchi consigli comunali crescevano giovani abituati al confronto e anche alla necessaria mediazione. Nei nuovi consigli comunali crescono giovani "ducetti" , abituati sin da piccoli a disprezzare l' avversario politico, sia esterno che interno al proprio schieramento.
Grazie Paolo per questo bellissimo articolo!