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martedì 20 ottobre 2015
Franco Astengo: Ancora tra nazione e popolo
ANCORA TRA NAZIONE E POPOLO di Franco Astengo
Era opinione della maggioranza dei ceti intellettuali e politici rappresentativi della “modernità” (almeno dagli anni ’80 del XX secolo) che il processo di globalizzazione dell’economia e della trans-nazionalizzazione dei flussi finanziari avrebbe reso obsoleto il concetto di Nazione, mandando in crisi l’ideologia dello Stato burocratico centralizzato.
Oggi il fallimento di tutte le ipotesi di collegamento sovra-nazionale e di trasformazione del potere statuale, in presenza di un forte rallentamento del fenomeno che – appunto – era stato più o meno propriamente definito come di globalizzazione – sta portando il mondo sulle soglie di una guerra globale, mentre si stanno svolgendo fortissime guerre locali e si verificano fatti di grande portata come quello di una migrazione fornita di grandissimi numeri che, in Europa hanno già superato quelli pur imponenti accertati a cavallo della seconda guerra mondiale.
Il ruolo dell’ONU appare perlomeno appannato, gli USA come solo “gendarme del mondo” sembrano proprio aver esaurito il loro compito lasciando una scia di conflitti non conclusi e l’emergere di nuovi soggetti sorti come diretta conseguenza come l’IS, l’Unione Europea non è riuscita (oppure non si è voluto che riuscisse) ad assumere una dimensione politica, appare evidente la ripresa di un asse di conflitto tra Est ed Ovest (ripresa di ruolo imperiale della Russia; conflitto all’interno della UE tra i paesi provenienti dallo schieramento occidentale tracciato ad Jalta e quelli assegnati, nella medesima occasione, al blocco orientale); l’area di scambio creata da BRICS è alle prese con la profonda ristrutturazione in atto nell’economia cinese e con le difficoltà evidenti di quella brasiliana.
Tutti questi fattori, rinchiusi del resto all’interno di una crescita esponenziale del livello di diseguaglianze ben dimostrato nel lavoro di Piketty sul capitalismo del XXI secolo (restando convinti della fallacia delle teorie di Deaton sulla positività del fenomeno, nonostante l’assegnazione del premio Nobel recentemente avvenuta nei confronti di questo autore), contribuiscono a creare quel “Regno del Caos” descritto in alcuni recentissimi testi, gettando un alone di tragedia sulle prospettive della nuova modernità.
Anche il fenomeno d’identificazione neoregionalista appare in declino (lo stesso esito delle recenti elezioni in Catalogna lo dimostra in una qualche maniera) e l’unico elemento politico in sicura crescita è sicuramente quello, almeno al riguardo delle democrazie occidentali ( e delle neo-democrazie orientali), della disaffezione, misurabile ben oltre le percentuali delle astensioni elettorali che comunque si aggirano ormai attorno al 50%, percentuale collocata ben oltre la soglia dell’astensione fisiologica che si vuole inevitabile all’interno delle cosiddette “democrazie mature” ( un fattore che si evidenzia, comunque, anche in quelle considerabili ancora come “acerbe”).
Forse sarebbe utile, dal punto di vista della filosofia politica, fare un passo indietro e tornare ad un confronto fra i concetti classici di “nazione” e di “popolo”, da intendersi non necessariamente conflittuali tra di loro.
Il sociologo inglese A.D. Smith ha molto insistito, in studi abbastanza recenti, sul potenziamento del progetto politico – costituzionale dello Stato nazionale, al fine di concorrere alla realizzazione della nazione come quadro unitario dell’identità e della cittadinanza.
D’altra parte il concetto di popolo, all’interno delle democrazie rappresentative, deve essere inteso come soggetto del potere costituente, dotato della possibilità di esprimersi come società strutturata dalla leggi costituzionali.
E’ dal confronto tra il concetto di nazione e quello di popolo, intesi nella dimensione appena accennata, che potrà ricostruirsi un progetto di “ri-costituzionalizzazione” della società e assieme una visione geo – politica dei rapporti internazionali da collegare a progetti di cooperazione e di pace in sedi adeguate (il rilancio dell’ONU, ad esempio, in una visione di nuovi equilibri) con una strutturazione politica che, all’interno della dimensione data, assuma le vesti di un’identità sociale ben precisa posta in relazione a “fratture” concretamente operanti nel concreto della quotidianità.
Strutturazioni politiche che, ponendosi in questo modo in relazione a progetti ideologici e politici di trasformazione o (contrapposti) di conservazione, potranno sviluppare in modo nuovo forme di soggettività trans-nazionale.
Consentendo così alla sinistra di riassumere il proprio ruolo naturale di portatrice del progetto di cambiamento.
Un passo indietro, insomma, rispetto all’acquisizione acritica della crisi della globalizzazione in un concerto internazionale profondamente modificato da quello entrato, ormai, in una fase estremamente pericolosa.
L’impianto, così sommariamente proposto attraverso questo intervento, incontra un limite di fondo perché possa svilupparsi in una proposta adeguata: quello dell’assenza di soggettività politiche provviste di un bagaglio ideologico e culturale adeguato, su tutti i versanti.
Il rischio, in assenza di un processo di ricostruzione in quel senso, è quello di una fase di guerre e di dittature: dittature più o meno feroci, magari anziché con l’uso delle armi del tipico “Stato di polizia”orchestrate attraverso un uso sapiente della menzogna trasmessa dai mezzi di comunicazione di massa al fine di una cloroformizzazione generale, e comunque rette dal primato dell’ineluttabilità del potere dell’economia su quello della politica.
Un rischio che sarebbe necessario impegnarci per evitare.
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