giovedì 27 novembre 2014

Gim Cassano: Una sinistra per salvare il paese

Una Sinistra per salvare il Paese. Più volte, e da più parti, si è affermato che una peculiarità delle vicende dell’Italia negli ultimi decenni sia quella dell’avvitarsi e del mutuo amplificarsi, in una molteplicità di rapporti causa/effetto, di aspetti di crisi politica, istituzionale, economica, sociale. Pur non essendo questa la sede per descrivere i caratteri specifici dei diversi aspetti della crisi italiana, che mi sembra che siano stati sufficientemente analizzati, questa constatazione, che condivido, porta alla necessaria conseguenza che le difficoltà che il nostro Paese incontra nel superare una crisi che non ha solo caratteri economici, e che preesiste alla crisi finanziaria del 2008, richiedano approcci sistemici e non settoriali. Tra le democrazie industriali, è proprio in Italia che si osservano sia la maggior gravità che la presenza contemporanea di tutti quei fattori di criticità che caratterizzano variamente l’Occidente industrializzato e che sono stati oggetto di specifici studi e ricerche. In nessun’altra democrazia, si presentano a tal punto, e simultaneamente, il degrado delle istituzioni democratiche e della partecipazione dei cittadini, la paralisi della mobilità sociale, l’eccessiva concentrazione della ricchezza e l’impoverimento della base della piramide sociale e del ceto medio, il degrado delle condizioni di vita dei più, la stagnazione dell’economia e della produzione, la generalizzata incapacità dello Stato a svolgere efficacemente le proprie funzioni ed a promuovere sviluppo, equità, protezione dei più deboli; in nessun’altra democrazia corruzione, evasione ed elusione fiscale, criminalità organizzata, occupano tanto spazio economico, politico, sociale quanto in Italia. In Italia, il ventennio della Seconda Repubblica, insieme all’abbandono delle ragioni della politica ed al crollo del partito politico come strumento -per quanto imperfetto- della democrazia, ha visto generalizzarsi la reazione nei confronti di una fase riformista che si era sviluppata sin verso la fine degli anni ’70, per poi esaurirsi nel corso degli anni ’80, parallelamente all’avvento di Ronald Reagan negli USA, e di Margaret Thatcher nel Regno Unito. In quel ventennio, passo dopo passo, rinuncia dopo rinuncia, sono state create le premesse per la limitazione degli spazi di democrazia a disposizione dei cittadini e per la subordinazione rinunciataria della politica alle scelte dei centri di potere economico e finanziario, e non si è fatto nulla per correggere l’allargarsi delle disparità economiche tra categorie sociali e tra aree territoriali; anzi, sono state incentivate con politiche fiscali e di investimento a ciò indirizzate. Oltre che impoverire ulteriormente i più ed arricchire i pochi, e svantaggiare sempre più un Mezzogiorno abbandonato al suo destino, e non consentire un adeguato accesso al lavoro a giovani e donne, alimentando la percezione oggettiva di abbandono, insicurezza e sfiducia crescenti, ne è risultato un generale infragilimento dell’economia che ha collocato l’Italia, che era all’ultimo posto tra i paesi industriali in quanto a rischi di esposizione nei confronti della crisi finanziaria del 2008, al primo posto nel subirne effetti economici che tuttora perdurano. Lo svilimento della democrazia e del ruolo della politica, ridotta a gioco di gestione di se stessa, hanno impedito un serio dibattito pubblico al riguardo, con la conseguenza fatale della sua riduzione ad un’alternanza inutile nella quale l’agenda politica era pur sempre quella dettata dalla destra, dalle esigenze personali del suo leader, e dagli interessi dell’area sociale che ad essa si riferiva e che ad essa forniva consenso. Gli assetti e gli indirizzi politici che sono andati affermandosi dopo il tracollo dell’ultimo governo Berlusconi con la benedizione di un Presidente della Repubblica che ha rispolverato lo Statuto Albertino e fatta propria e promossa apertamente la politica delle larghe intese, non rappresentano né un’inversione di rotta, né una discontinuità con il precedente ventennio. Al contrario, rappresentano il consapevole tentativo di dare forma compiuta a concezioni della politica e della società che già erano andate sviluppandosi nel corso di quegli anni, e sulle quali hanno concordato la destra e buona parte di quello che fu il centrosinistra. Ciò è passato per l’avvento di Matteo Renzi alla segreteria del PD: un abile imbonitore, non dissimile neanche in questo da Berlusconi, ed altrettanto propenso a considerare parole al vento i propri tweets. Il Patto del Nazzareno, che ben pochi dei partecipanti alle primarie del PD avrebbero a priori accettato, ha rappresentato la premessa logica e politica della defenestrazione di Letta, imposta al suo partito come la manifestazione di una necessaria discontinuità: ma non quella di ribaltare gli indirizzi seguiti negli anni della seconda repubblica, quanto quella derivante dal considerare insufficiente e bisognoso di completamento un cammino che la destra non aveva saputo realizzare compiutamente. Ciò rende impossibile il continuare a parlare di un sistema politico fondato su una destra ed un centrosinistra tra loro alternativi: quello che si sta instaurando è un sistema polittico fondato su un blocco centrista, in larghissima misura costituito dal PD renziano, rispetto al quale la Lega trova tanto più facilmente spazio sulla destra quanto meno Forza Italia si differenzia dal PD, e rispetto al quale un’opposizione di sinistra che abbia possibilità di crescita deve ancora consolidarsi. I risultati del voto in Emilia ed in Calabria confermano questa valutazione: l’unico partito che non perda voti è la Lega, ed il pur decoroso 4% della sinistra in Emilia è da valutare in rapporto al 37% di votanti. Qui sta il senso dell’affermazione che da più parti viene fatta circa il fatto che si stia instaurando un regime. Affermazione che, pur se contestata da molti, anche in buona fede e sulla scorta del fatto che non si stia affermando l’egemonia forzosa di un solo partito, trova la sua validità nel fatto che l’attuale assetto politico è stato reso possibile solo per via della tregua richiesta da Berlusconi ed imposta da Napolitano e, tecnicamente, da una pessima legge elettorale; e nel fatto che questo assetto rischia di divenire permanente in via forzosa grazie all’ulteriore peggioramento della legge elettorale, alla sostanziale abolizione del Senato, alla farsa delle Città Metropolitane, a norme del tutto antidemocratiche sull’accesso all’elettorato passivo. E, in ultimissima ma forse ancor più importante considerazione, il suo mantenimento si autoalimenta in virtù del fatto che, impedendo dialettica politica e possibilità di mutamento, gli italiani si convincono dell’inutilità di utilizzare i residui strumenti democratici a loro disposizione, e non vanno più a votare. E’ una ben strana concezione della democrazia, quella che fonda le maggioranze sul non-voto dei cittadini. La combinazione del progressivo aggravarsi delle condizioni economiche complessive del Paese con il peggioramento delle disparità sociali, delle condizioni di vita e lavorative di molti, del degrado urbano, con il contrarsi della spesa sociale e con il venir meno degli ambiti di democrazia, sta creando una miscela che alimenta, in alternativa, ed a seconda dei punti di vista e degli interessi dei singoli, o una sfiducia che rischia di trasformarsi in rassegnazione, o il ribellismo. Dell’una e dell’altro si vedono segni evidenti nel crollo della partecipazione al voto e nel manifestarsi di iniziative violente e proteste nelle nostre periferie urbane, poco importa se alimentate da coloro che non hanno nulla da perdere o da coloro che invece temono di perdere quel poco che hanno. E a poco vale il liquidare la questione col qualificare i primi come antagonisti ed i secondi come tendenzialmente reazionari. La storia e l’esperienza insegnano quanto siano frequenti le risposte autoritarie a situazioni di stallo di quei sistemi politici che non riescono ad affrontare per la via della democrazia il protrarsi di situazioni di crisi economica, sociale, politica. Nell’Italia di oggi, si sta dichiaratamente sottraendo ai cittadini gran parte degli strumenti che, in una democrazia, sarebbero a loro disposizione per esercitare quella sovranità che la Costituzione loro assegna. E non solo per quanto riguarda le regole e le Istituzioni della democrazia, ma anche per quanto riguarda quelle forme di partecipazione intermedia che dovrebbero trovare il loro ambito nei partiti politici, nei sindacati, nell’associazionismo. I primi, trasformatisi da libere associazioni di cittadini in corpi feudali nei quali ogni scelta emana da vertici ed apparati di professione aventi nella propria sopravvivenza la principale preoccupazione, e che l’abolizione del finanziamento pubblico rende sempre più dipendenti dalle oligarchie economiche. E, per quanto riguarda i sindacati, dietro la discussione in atto sull’Art.18 e lo scontro politico che vi si è collegato, c’è la questione ancor più generale se al sindacato, nei nuovi assetti che si sta cercando di porre in atto, spetti un ruolo di rappresentanza generale del lavoro, o se invece non debba avere altra funzione che quella di pura controparte aziendale o di categoria. Si vorrebbe cioè per questa via ridimensionare, dopo quello più propriamente politico, un altro aspetto degli strumenti di partecipazione e rappresentanza di gran parte dei cittadini e togliere dalla scena un altro fattore di articolazione di quei contropoteri, anche non istituzionali, la cui presenza ed operatività è richiesta in una democrazia. Ed è significativo che men che mai una simile questione sia stata posta nei confronti di chi rappresenta il mondo delle imprese. Anche queste sono questioni che entrano a pieno titolo nel valutare le condizioni di funzionamento della democrazia nel nostro Paese. Il venir meno degli strumenti e dei processi democratici impedisce una seria discussione sul significato e sull’efficacia delle politiche e delle cosiddette riforme che vengono sottoposte al Parlamento come articoli di fede da accettare o respingere in blocco, il più delle volte ricorrendo ad interpretazioni estensive dell’istituto della delega, che sottrae al Parlamento ulteriore capacità di intervento e di controllo. Non c’è quindi da stupirsi se poi, in mancanza di una appropriata funzionalità del Parlamento e di un’adeguata opposizione politica, dilaghi la protesta sociale. E non c’è neanche da stupirsi se, da parte di molti commentatori, non certo catalogabili sbrigativamente come appartenenti all’antagonismo di sinistra, si manifesti più di un dubbio su proposte che appaiono, molto spesso e di volta in volta, velleitarie, prive di adeguate coperture, inefficaci, o indirizzate a prefigurare forme oligarchiche di controllo politico ed economico. Ma, soprattutto, appaiono inadeguate a far uscire il Paese dalla sua crisi economica e sociale. Questo stato di cose non può iniziare a modificarsi se non per effetto della presenza di una forza di sinistra adeguata nei termini della capacità politica e culturale di svolgere un ruolo che si limiti a quello di essere forza di opposizione ed antagonista. Una tale sinistra, indispensabile a fornire possibilità di rappresentanza ad una parte importante della società italiana, ad indirizzare in termini politici quei conflitti sociali che si vorrebbe elidere in parte ricorrendo all’effetto placebo ed in parte per via normativa, ed a ripristinare un dibattito politico non formale e fondato sulle condizioni reali del paese e senza il quale la democrazia risulterebbe ulteriormente svuotata, ancora manca. Le iniziative intenzionali ed esplicite del governo in carica ed i mancati interventi da parte dello stesso governo e della politica in generale su un altro hanno però fatto maturare in molti un comune giudizio di pericolosità dell’attuale conduzione del Paese, pur se in un quadro articolato e non omogeneo di atteggiamenti che vanno dall’esprimere gravi preoccupazioni sino al manifestare una determinata e consapevole opposizione. Si tratta di espressioni politiche che vanno dalle minoranze interne di PD e PSI, a SEL, a coloro che si sono riconosciuti nella “Lista Tsipras”, alla CGIL ed ora anche alla UIL, ad una galassia di associazioni di sinistra senza partito ed aventi diverse connotazioni politico-culturali, una parte delle quali ha dato vita e partecipa ad “Iniziativa 21 Giugno”; e, soprattutto, si tratta di quel milione di cittadini che ha coscientemente manifestato il 25 Ottobre scorso e di coloro che il 12 Dicembre aderiranno allo sciopero indetto da CGIL ed UIL. Da questi, molti di coloro che domenica 23 Novembre non sono andati a votare in Emilia ed in Calabria attendono una risposta. Se tutto ciò non costituisce ancora una forma politica, ne è però il terreno di coltura, e non può trovare che uno sbocco: quello del formarsi, in tempi non biblici, di una Sinistra ampia e degna di tal nome, a partire da chi ci sta, senza escludere a priori chi potrebbe, o meglio dovrebbe, starci. E’ compito di coloro che più sono convinti di tale necessità -e tra questi va annoverata “Iniziativa 21 Giugno”, col metodo non formalistico ed aperto che ha voluto mettere in campo- quello di avviare e favorire in ogni modo un percorso in questa direzione, nella convinzione che questa sia una condizione necessaria, non tanto a far rinascere una sinistra politica, quanto a salvare il Paese dall’involuzione verso un’oligarchia che, avendo più interesse al tornaconto dei pochi che ad una prospettiva di sviluppo complessivo, lo condanna ad una lunga stagnazione. Il compito non è facile, e richiede che siano chiarite alcune linee di indirizzo, riguardo alle quali qui di seguito mi limito ad esprimere dei punti di vista (non di programma) non esaustivi e non conclusivi, ma che mi paiono toccare le questioni principali sulle quali verificare la possibilità di procedere. A- Per quanto riguarda i connotati di fondo: - Saper sviluppare non solo le capacità di analisi e di critica tipiche di una forza di opposizione, ma soprattutto quelle di indicare un’alternativa che si misuri attraverso iniziative, indicazioni e proposte, concrete, realistiche, comprensibili. Vanno in questa direzione l’attività di Felice Besostri e degli avvocati e giuristi che con lui collaborano nei ricorsi giudiziari diretti a difendere le forme democratiche in uno Stato di Diritto e, su un altro versante, l’approccio seguito nella definizione di un documento di politica economica che, senza rinunciare ad individuare prospettive di indole generale, è stato formulato nei termini estremamente concreti e misurabili della proposta “Per una legge di stabilità alternativa”. - Avere la capacità di raccordarsi con forze e movimenti che, pur non schierati su un fronte di sinistra, siano disponibili ad impegnarsi in iniziative, lotte politiche, campagne di opinione volte alla difesa della democrazia e dello Stato di Diritto, allo sviluppo di politiche riguardanti i diritti individuali e civili e la laicità dello Stato e delle Pubbliche Amministrazioni, alla difesa di consumatori, utenti dei pubblici servizi, ed in generale, delle parti deboli nei rapporti tra soggetti privati e tra privati e settore pubblico. - Essere pienamente consci di dover parlare all’intero paese, e non solo a sue parti: politiche alternative a quelle presenti trovano credibilità solo se tendono ad affrontare un’emergenza che è nazionale e sistemica, che riguarda cioè l’intero sistema-paese. Dato per scontato che una qualsivoglia forza di sinistra non possa prescindere dalla tutela delle condizioni di vita dei più svantaggiati e dalla difesa del lavoro in termini quantitativi, economici e normativi, la sinistra di cui oggi c’è bisogno non può lasciare che un ceto medio impoverito identifichi i propri interessi con quelli di coloro che ne hanno determinato l’impoverimento e, in termini politici, con la destra o con la Lega di Salvini; e non può non sostenere lo sforzo che moltissimi onesti e capaci imprenditori, artigiani, operatori commerciali, professionisti, compiono quotidianamente nel competere in termini di innovazione di prodotto e di processo più che di dumping salariale o normativo, di idee e conoscenze, di metodi, dando il loro contributo ad ammodernare e rendere competitivo il Paese. - Aver chiaro come la correttezza e l’efficienza della Pubblica Amministrazione, il rigore nella gestione della spesa, l’intransigenza nei confronti di disonestà, incapacità, sprechi e cattivi utilizzi del denaro pubblico, siano nell’interesse generale del Paese, ed in particolare dei più deboli. Una Pubblica Amministrazione moderna, efficiente, motivata, capace di controllare e controllarsi, di dare risposte rapide e chiare, di esser vista come un sostegno e non come un freno allo sviluppo, è una precondizione necessaria ad un ruolo attivo in termini di capacità di indirizzo e programmazione. - La visione di una “società diversamente ricca”, per usare l’espressione di Riccardo Lombardi, presuppone un ruolo attivo della scuola, della conoscenza e della cultura, della ricerca e dell’innovazione, dell’arte, mobilitando capacità e risorse pubbliche e private, finalizzate a nuove occasioni di sviluppo ed a mettere in luce nuove risorse umane e materiali, a riequilibrare le prospettive e le condizioni di vita economica e civile delle diverse aree del Paese, a combatterne il degrado territoriale, ambientale, urbano, a preservarne i beni culturali. - Avere la consapevolezza di dover operare criticamente, ma senza indulgere a preconcette avversioni, all’interno di un quadro di riferimento europeo tutt’altro che facile: cosa che richiede non un tiepido, ma un elevato senso di appartenenza europea. Occorre attrezzarsi, anche su un piano tecnico/scientifico, per respingere il semplicismo populista che tende a distinguere i paesi virtuosi dai PIGS, chiarendo come non sia tutto oro quel che riluce nei conti dei primi, come alcuni parametri indichino una solidità di fondo del nostro sistema economico ben superiore a quella espressa dal rapporto debito/PIL, e come gli squilibri interni all’area-euro non siano determinati solo dai deficit di bilancio di alcuni, ma anche dalle politiche deflazionistiche ostinatamente seguite da altri. Ragionamenti simili verrebbero a cadere sul nascere, se non preparati da un punto di vista scientifico e politico, e se non sviluppati nel quadro di una forte spinta verso un’Europa politica, che la sinistra deve saper fare propria. - E, non ultima questione, anzi premessa metodologica e condizione necessaria al formarsi di una sinistra aperta ed adeguata alle necessità che sono state definite, è quella della capacità critica di tutti nei confronti delle proprie storie, sovente conflittuali tra loro, e costellate da errori, incomprensioni, pregiudizi; e dalle conseguenti sconfitte. La constatazione del deserto attuale impone più di una riflessione, ed impone a tutti la disponibilità a ripartire dall’oggi col rimettersi in gioco senza presunzioni egemoniche che non trovano fondamento nella realtà dei fatti e che farebbero immediatamente fallire ogni tentativo di avvio. B- Per quanto riguarda il percorso politico da compiere: - Non si può pensare di poter avviare questa costruzione sulla presunzione del mantenimento in vita di un centrosinistra che, da tempo, non esiste più. Occorre esser chiari al riguardo: l’idea di un centrosinistra capace di essere alternativo alla destra è tramontata con il sostanziale affossamento della neonata coalizione Italia Bene Comune, avviato dal PD già prima dell’insulsa campagna elettorale politica del 2013, e definitivamente certificato con il Patto del Nazzareno. Parlare ancora di centrosinistra significa semplicemente proseguire negli equivoci e, di fatto, fornire a chi oggi governa una comoda, ancor più gradita in quanto gratuita, copertura politica. E’ evidente come questa consapevolezza non sia ancora generale. Però il suo maturare è nei fatti, a meno di un’improbabile mutamento di rotta da parte del PD sulle questioni degli assetti istituzionali e degli indirizzi economici; e, pur ammesso il verificarsi di un’ipotesi di tal genere, resterebbe comunque viva la necessità di una forza che possa costituire un solido punto di riferimento politico a sinistra. - La costruzione di una sinistra ampia e capace di rapportarsi alla realtà complessiva del Paese presuppone il concorso plurale di espressioni politiche e soggetti diversi e caratterizzati, oltre che da storie politiche e radici culturali diverse, anche da ruoli, dimensioni, modi di operare, diversi. Non può quindi realizzarsi per aggregazioni o cooptazioni centrate sull’uno o sull’altro dei soggetti politici esistenti, e nemmeno per via della semplice aggregazione orizzontale di pezzi di politica, che verrebbe percepita unicamente come l’unione di più debolezze, tutte modeste in quanto a capacità di proposta, e nessuna delle quali capace di vita ed autonomia politica ed elettorale propria. Deve anche tener conto del fatto che la necessità di questo processo, ad oggi, non è ancora percepita da tutti con la stessa chiarezza. Il percorso possibile passa quindi per un processo largo, non precostituito, aperto a tutti coloro che, anche in un prossimo futuro, vi siano disponibili, rispetto al quale il veicolo più adatto appare quello di una forma federativa che consenta la partecipazione di forze politiche, associazioni, movimenti, individualità, nonchè l’articolazione territoriale; e, al tempo stesso, capace di definire comportamenti politici omogenei e di non parlare con una babele di linguaggi diversi. - La questione del rapporto col sindacato è centrale. E’ necessaria una forza di sinistra che sappia essere interlocutore politico delle forze sindacali. Più che la recita di giaculatorie in tal senso, ciò comporta, nel rispetto della diversità di ruoli tra forze sindacali e politica, la capacità costante di confronto e verifica nel già citato riferimento alle condizioni reali del paese, nello sviluppo di proposte realizzabili ed empiricamente misurabili nei loro effetti, e comporta la capacità di dare sostanza e contenuti politici, senza opportunismi, al concetto dell’inscindibilità dei diritti individuali, civili, sociali. Un processo di questo tipo è reso ineludibile sia dal precipitare di una crisi economica e sociale che, ove non trovi espressione politica, rischia di degenerare in ribellismo, che dall’approfondirsi di una crisi politica di cui il crollo della partecipazione al voto è una manifestazione, ed i cui termini sfuggono, con voluto opportunismo, alla quasi totalità delle forze politiche oggi presenti in Parlamento che, in definitiva, traggono dalla sfiducia degli italiani la loro legittimazione elettorale. Ed ancora, è reso ineludibile dal fatto che non basta stare in attesa che gli eventi confermino la convinzione, largamente diffusa, dell’inadeguatezza degli indirizzi di politica economica e delle cosiddette riforme a rimettere in movimento il Paese. Ad evitare che la sfiducia si trasformi in definitiva rassegnazione, o in ribellismo, entrambi esiziali per una democrazia, occorre una sinistra capace di concezioni aperte e non anguste, e capace di guardare in grande ed oltre le contingenze dell’oggi, per salvare l’Italia. In questa direzione, “Iniziativa 21 Giugno” e le associazioni e gruppi che vi partecipano, tra cui Alleanza Lib-Lab, Critica Liberale, Iniziativa Socialista, Laboratorio Politico per la Sinistra, Network per il Socialismo Europeo, Rete Socialista, Sinistra d’Azione, nonché diverse individualità ed esponenti di altri circoli e gruppi politici, possono e devono dare un contributo in termini di idee e di facilitazione nella costruzione di rapporti e percorsi politici. Gim Cassano, 26-11-2014

9 commenti:

lorenzo ha detto...

Alleanza Lib-Lab, Critica Liberale, Iniziativa Socialista, Laboratorio Politico per la Sinistra, Network per il Socialismo Europeo, Rete Socialista, Sinistra d’Azione, nonché diverse individualità ed esponenti di altri circoli e gruppi politici: quante divisioni possono mettere in campo? Cordialmente. Lorenzo Borla

dario ha detto...

Caro Lorenzo, Domenica scorsa in una Regione "nei secoli fedele" non ha dato uno schiaffo ma un potente calcio nei cabasisi. Gli italiani sono un popolo strano, disposto a credere che il gioco delle tre carte sia un gioco serio, nella convinzione di poter vincere qualcosa, ma che quando si accorge che c'è il trucco rovescia il tavolo.
Come diceva un vecchio adagio pubblicitario "la credibilità è una cosa seria che si da alle cose serie" e per parafrasare il vecchio Riccardo Lombardi sono tutti "diversamente perdenti", ma in particolare è perdente l'Italia che oggi, dopo anni di propaganda, si trova in braghe di tela e senza uno straccio di idea politica utile per uscire dalla crisi.
Dario Allamano

luigi ha detto...

Caro compagno Gim Cassano, solo una iniziale battuta, Borla lo sa che
le divisioni staliniane sono state battute dalla pantofola del papa
polacco ? Ma andiamo a parlare di cose serie.
Dopo attenta lettura mi pare di capire che comunque diversamente
declinati a sinistra tutti assieme, è tempo di CLN, si condivida
l'anti neoliberismo ... premessa indispensabile per riunire la
Sinistra in un unico soggetto politico.
Mi resta difficile però capire come riuscire a fare incontrare con
pari dignità tutte le soggettività sparpagliate in campo per la
costituzione del nuovo partito della sinistra senza che, da un lato
un partitino pretenda di avere un ruolo egemone e daltra parte si
eviti il rischio di un novello assemblaggio tipo lista arcobaleno, ma
anche che ci sia una spartizione di vertice a priori come è stato
per SEL.
Come fare dunque a partire divisi e arrivare uniti alla meta ?
Provo a fare alcune ipotesi: il bandolo della matassa, dopo la
diaspora post elezioni, potrebbe essere la ricostituzione dei
comitati territoriali ex Tsipras con adesioni individuali (come è
stato per la Lista elettorale anche se dietro le quinte c'erano i
partiti che hanno trattato con il comitato dei saggi sulle
candidature) che sia base di elettorale per l' assemblea nazionale
costituente il nuovo partito della sinistra.
Il primo problema è come fare a convincere le parti riottose (SEL
principalmente) a rientrare in questo percorso.
Speravo che il misero risultato elettorale alle regionali facesse
ravvedere i dirigenti di SEL ancora sotto l'ala del PD alla ricerca
di posti nelle istituzioni ... peraltro ad rapido esaurimento.
Invece a livello regionale persistono.
E intanto Vendola nega il percorso già fatto della lista Tsipras e
persevera nel tentativo di egemonizzare la sinistra con l'unico
risultato certo, ancora una volta, di dividerla.
http://www.huffingtonpost.it/2014/11/27/vendola-contro-leopolda_n_6231
030.html
Poi c'è l'altro problema (che discende però dal primo): stallo
dell'assemblea dei 221 e comitato operativo nazionale post Lista
Tsipras (Revelli, Viale, Gianni, ecc.) che inoltre stanno ancora
procedendo in modo scisso rispetto ai comitati territoriali
costringendoli alla costituzione autonoma di: L'Altra Emilia Romagna,
Calabria, Toscana, Liguria, Campania e così via procedendo.
Questi del comitato operativo come verranno sollecitati
dall'accelerazione di Vendola che li vuole tagliare fuori ?
Cosa fare
1 sollecitare i sopracitati vertici a sveltire le pratiche e proporre
la Costituente della Sinistra e i comitati territoriali allora
indicheranno i loro delegati alla assemblea costituente.
2) In subordine: in mancanza di questa iniziativa di vertice, andare
individualmente a rimpolpare i vari comitati territoriali dei propri
territori e nei tempi un po' più lunghi ma non più di 2 mesi
procedere alla costituzione di una federazione nazionale del nuovo
partito politico ... il nome per me ... L'Altra Italia a Sinistra
Sveltire il processo costituente è oramai indispensabile senza di
ciò, se continua la diaspora, permane l'attuale totalitarismo
neoliberista presidiato in Italia dai suoi sodali politici Napolitano
e il Renzi pidiino.
Un dialogante saluto.
Luigi Fasce-comitato Tsipras - L'Altra Liguria Genova -
www.circolocalogerocapitini.it
PS informativa utile

luciano ha detto...

Caro Luigi,
anch'io parto da una iniziale battuta che poi invece è la realtà dei fatti,non si vorrà forse far credere che l'Altra Europa per ER e quella per la Calabria hanno preso di più di SEL ????Perchè tu parli del misero risultato di SEL ma invece i risultati delle due Regioni Emilia Romagna e Calabria sono questi:SEL tra calabria e emilia ha preso 72954 voti contro l'altra emilia/calabria che hanno invece preso in totale 54719 voti.Quindi è chiaro che SEL ha avuto ben 18235 (diciottomiladuecentotrentacinque) voti in più dell'altra emilia/calabria.Leggere qui i dati del ministero degli interni:per Emilia Romagna http://elezioni.interno.it/…/scr…/20141123/R080000000000.htm per la Calabria http://elezioni.interno.it/…/scr…/20141123/R180000000000.htm (in Calabria mancano ancora due seggi ).
Dopo le sopra ovvie precisazioni che ho fatto credo che finalmente la linea politica di SEL abbia finalmente riaperto "La Partita"e che era fortemente sbagliato rinchiudersi a riccio assieme agli "ALTRI".
L'evento di SEL del 04/10/2014 a Roma seguita poi dalla grande manifestazione della CGIL di fine ottobre Roma e l'uscita dall'aula dei 30 deputati del PD nel momento del voto sul jobts act aprono nuovi ed importanti scenari politici.
Adesso "Tocca a noi" non perderci dalla "Strada Giusta " che abbiamo intrapeso.
Per quello che verrà,quindi non preoccuparti che non saranno certo i duri ed i puri alla Ferrero,alla Ingroia ecc a condurre le danze per la costruzione di un nuovo possibile contenitore politico.
Scusa mi dimenticavo di ricordarti che quei duri e puri a Livorno sono stati decisivi nel far vincere il GRILLINO Nogarin che due giorni fa a Livorno si è rifiutato di salire sul palco assieme al Segretario della CGIL di Livorno e al Presidente della Regione Toscana durante una manifestazione di migliaia di lavoratori di alcuni stabilimenti livornesi che stanno per chiudere.
Saluti socialisti.L.Montauti

piero ha detto...

Buonasera i dati numerici esposti da Luciano Montaiuti sono esatti lo parlo per l’ Altra Calabria che ho votato abbiamo avuto un risultato elettorale molto deludente mi sento di dire un’ altra cosa noi che ci siamo posti come alternativa al pd non siamo stati percepiti COME tali dagli elettori calabresi Piero Ferrari

gim ha detto...

Credo che quando ci si addentri in discussioni riguardanti il 3-4% su percentuali di votanti dell’ordine del 40% ci si stia avventurando su un terreno molto scivoloso. Quali sarebbero state queste percentuali se il 65-70% (percentuale già bassa rispetto a quelle fisiologiche) fosse andato a votare per un’elezione politica? E’ evidente che il problema è quello di un soggetto politico che possa mettere sul tavolo, più che una generica unità a sinistra, un’offerta politica più convincente, che al momento, non c’è; o almeno, che non è stata resa percepibile. Altrimenti, si rischia di mettere insieme orizzontalmente cocci di politica, con risultati che già più di una volta si sono visti. Nel mio intervento, non ho cercato di indicare la soluzione, ma quelli che, a mio parere, sono i punti ed i criteri di metodo sui quali occorre ragionare. Personalmente, non mi appassiona affatto l’incoronazione preventiva di un soggetto “federatore”, quanto la messa in moto di un processo di aggregazione che non può vedere federatori e federati, ma solo confederati. Processo che, tra l’altro, richiede anche l’attitudine a marciare

nel deserto, come cammelli, senza curarsi troppo del bere e mangiare sinchè non si sia arrivati a destinazone. Un caro saluto a tutti

Gim Cassano

felice ha detto...

Ora è il tempo di Human Factory. Stiamo a vedere. Ma perché l'inglese? C'è gia il Job Act che non mi fa dormire. Non c'è dubbio che nel complesso SEL abbia avuto più voti dei regional-tsipras, ma se dobbiamo costruire un'alternativa a Renzi non ci siamo, Al massimo un'opposizione, tra l'altro non troppo decisa se ci si allea. Al Politcamp di Livorno era iniziato un percorso ma che è continuato solo a Livorno. Dalle altre parti i socialisti non esistono nell'orizzonte di SEL, Civati o altra sinistra PD. Eppure soltanto i socialisti della Rete hanno organizzato l'unica contestazione possibile alla normalizzazione renziana e alla riduzione della democrazia nelle Province e Città Metropolitane impugnando per incostituzionalità le elezioni a Milsano Napoli e prossimamente Torino.


Felice C. Besostri

mauro ha detto...

Ho letto con stupore lo scambio di opinioni tra Montauti e Fasce sul giudizio da trarre dal voto regionale. Reputo priva di (buon) senso un'analisi tesa oggi a ribadire le ragioni di SeL contro l'Altra Emilia/ Altra Calabria e viceversa.

Quel che appare chiarissimo è la debolezza mostrata dalle due proposte politiche (per chi voglia approfondire i dati numerici consiglio la lettura di un bell'articolo di Liguori sul Manifesto di oggi) : nessuna delle due, separatamente considerate, è in grado di rappresentare il nucleo di una forza politica capace in tempi brevi di un consenso pari o superiore al 10% dell'elettorato. Resta plausibile, dopo il voto emiliano, la sola prospettiva di una reductio ad unum: sel , lista Tsipras, movimenti organizzati e non , parti di sindacato, rete studenti, devono decidere, pur rimanendo tali ancora almeno per qualche anno , di condividere e dar voce ad una sola proposta politica/elettorale, di natura plurale . Sapendo che non sarà una passeggiata e che non durerà poco tempo se si vuol competere per una nuova egemonia. I capisaldi dovrebbero essere due: chiarezza degli obiettivi concentrati su poche questioni di fondo: lavoro, istruzione , welfare, allargamento base produttiva, casa , democrazia ; chiarezza su come e dove si reperiscono le risorse ,chi si favorisce chi si sfavorisce. E soprattutto: essere a fianco di lavoratori, precari, partite iva vere e false. Da li si deve partire per costruire radici e credibilità. Il resto lo si vedrà.

mauro sentimenti

luciano ha detto...

Caro Mauro,a SEL interessa poco il Partito ,ma la PARTITA sono anni che diciamo questo ma gli altri specie i duri ed i puri come quelli dell'altra ecc...ecc... sono sordi.SEL vuole costruire una forza politica di sinistra MA di governo senza portarsi dietro il suo nome ,ma costruendone uno nuovoL.Montauti