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domenica 30 novembre 2014
A QUARANTACINQUE ANNI DA PIAZZA DELLA FONTANA: TERRORISMO E DEMOCRAZIA ITALIANA di Franco Astengo
A QUARANTACINQUE ANNI DA PIAZZA DELLA FONTANA: TERRORISMO E DEMOCRAZIA ITALIANA di Franco Astengo
Tra pochi giorni, il 12 Dicembre, ricorreranno quarantacinque anni dalla strage di Piazza della Fontana, snodo fondamentale nella storia della democrazia italiana.
Sarà del tutto naturale il presentarsi, nel campo della pubblicistica e dell’analisi storico-politica, di tutta una serie di importanti riflessioni su quell’avvenimento e sui tragici fatti che seguirono negli anni che furono definiti “di piombo”.
In questo intervento si cercherà di rispondere a una domanda: nell’intento di attaccare al cuore la democrazia italiana perché, rispetto al terrorismo, hanno ottenuto maggiori risultati gli attori del sistema politico riducendola ormai a un brandello di simulacro?
Per quindici anni l’Italia è apparsa al mondo intero immersa in una crisi caratterizzata dal succedersi di stragi e atti terroristici che hanno provocato più di 360 vittime e circa 4.500 feriti.
Sono stati gli anni che si collocano storicamente tra l’emergere della contestazione studentesca e delle lotte operaie e lo stabilizzarsi della situazione politica con l’ascesa al potere del leader socialista Bettino Craxi, alla guida di una coalizione di pentapartito che resse fino al crollo del vecchio sistema politico nei primi anni’90: crollo del sistema dovuto all’implosione die partiti storici causata da tre fattori concomitanti, l’approdo europeo attraverso il trattato di Maastricht, “Tangentopoli”, la caduta del muro di Berlino.
La vicenda del terrorismo ha le sue radici però in un periodo antecedente e anzi percorre tutto il cinquantennio dalla Liberazione coincidendo, in sostanza, con la fase della guerra fredda: si esaurisce quando viene a cadere un’alternativa al sistema di produzione fondato sul capitalismo liberale, così come era andato evolvendosi nella seconda metà del ‘900.
Proprio in quel momento, tra la fine degli anni’80 e l’inizio degli anni’90, all’interno della struttura capitalistica andava affermandosi proprio quell’idea di “iperliberismo” che poi avrebbe contrassegnato i decenni successivi fino all’esplosione delle crisi finanziaria globale nel corso del primo decennio del XXI secolo.
E’ giusto, ancora in questo momento, chiarire ancora una volta il quadro d’insieme entro cui si è collocata la stagione delle stragi e dei terrorismi.
In particolare è indispensabile spiegare in che senso si parlava allora di “doppio stato” o “stato parallelo” giacché molte diverse accezioni si sono diffuse nel corso di questi anni in particolare dopo la pubblicazione nel 1989 di un importante saggio di Franco De Felice con il quale si propose il tema del “doppio stato” e soprattutto della “doppia lealtà” alla Costituzione e all’Alleanza Atlantica che avrebbe contrassegnato il comportamento di una parte della classe dirigente italiana e che spiegherebbe appunto la partecipazione di quegli uomini alla “strategia della tensione” proprio a partire da Piazza della Fontana per arrivare al rapimento Moro.
La categoria di “doppia lealtà” introdotta da De Felice fu assunta peraltro come fondamentale nella proposta di relazione del presidente della Commissione stragi Pellegrino nel dicembre 1995.
Per quel che riguarda il caso italiano però la migliore definizione, quella che meglio si può attagliare alla qualità della vicenda, è quella proposta da Paolo Cucchiarelli e Aldo Giannuli e che è stata anche ripresa da Nicola Tranfaglia nel suo saggio compreso nel nono volume della Storia dell’Italia Repubblicana edito da Einaudi nel 1995.
Scrivono dunque Cucchiarelli e Giannuli:
“si dà Stato duale quando una parte delle élite istituzionali, ai fini di conservazione, si costituisce in potere occulto, dotato di un proprio principio di legittimazione, estraneo e contrapposto a quello della Costituzione formale, per condizionare stabilmente il sistema politico attraverso metodi illegali, senza giungere al sovvertimento dell’ordine formale che conserva una parte della propria efficacia”.
Gli elementi di fondo che hanno caratterizzato il quindicennio delle stragi e dei terrorismi possono essere così riassunti: un quadro internazionale che forniva all’Italia una sovranità limitata; la persistenza del più forte partito comunista occidentale tollerato ma non legittimato al governo; il ripetersi di gravissimi atti di rilevanza penale all’interno del sistema politico; la presenza di organizzazioni criminali colluse con gli apparati dello Stato e complici della repressione poliziesca nei confronti delle manifestazioni popolari; l’emergere frequente di organizzazioni occulte, come quella emblematica della loggia massonica segreta P2.
Riflettendo su questi punti si ha ancora adesso la chiarezza e la forza nell’interpretazione del fenomeno contenuta nell’analisi di Cucchiarelli e Giannuli.
Quali erano gli obiettivi degli epigoni dello “Stato duale”: sfruttando l’idea dell’esistenza di un pericolo di invasione dall’Est fin dagli anni’50 e poi in quelli’60 si pensò a un tentativo di instaurare nel nostro Paese un regime militare sull’esempio greco o turco.
Poi l’avanzata delle lotte operaie e studentesche alla fine del decennio e la pressante richiesta di una più ampia democratizzazione del Paese portarono, proprio in coincidenza con piazza della Fontana, all’idea che occorresse arrestare quel flusso, stabilizzando gli equilibri politici italiani all’interno di un quadro moderato secondo l’impostazione sostenuta dai governi degli Stati Uniti, dell’alleanza atlantica e delle loro organizzazioni militari e di spionaggio.
L’obiettivo fu conseguito ma si trattò di un obiettivo parziale, di “tenuta” occorreva andare ben oltre.
A questo punto, infatti, al momento dell’implosione del sistema e del procedere dell’egemonia di un capitalismo iperliberista insediatosi anche ai vertici della Comunità Europea si è proceduto allo smantellamento della democrazia italiana attraverso vie diverse da quelle terroristiche (atti terroristici non sono comunque mancati all’interno della lotta/collusione/trattativa) fra la criminalità organizzata e poteri dello Stato.
La base di riferimento di questo smantellamento della democrazia repubblicana, principiato con l’adozione del sistema elettorale maggioritario nel 1993 e l’elezione diretta di Sindaci e Presidenti di Provincia e di Regione, è stata rappresentata dal documento di “Rinascita Nazionale” redatto proprio all’interno della già citata loggia massonica P2 nel 1975.
Gli obiettivi contenuti in quel documento sono stati quasi tutti raggiunti e si sta dando l’assalto alle residue cittadelle diminuendo lo spettro delle possibilità di incidenza dell’elettorato che, nel frattempo, con la sparizione dei partiti si è vieppiù rarefatto con una caduta impressionante della partecipazione al voto e attaccando i corpi intermedi rappresentativi dei più importanti settori sociali, in primis il sindacato confederale e puntando a farli sparire.
Le bomba di Piazza della Fontana non scoppiò invano; allora si trattò di contenere e fermare l’ondata democratica, poi – con mezzi più raffinati – si è smantellata la democrazia.
L’obiettivo era però rimasto comune, tra strategia della tensione e progetto di distruzione della democrazia: quello della svolta autoritaria.
Oggi a 45 anni dalla strage più importante tra le tante verificatesi nella storia d’Italia, non possiamo non porci di fronte a questo tipo di riflessione: da Portella della Ginestra al governo Renzi un filo (sicuramente non rosso) lega l’idea della cancellazione della rappresentanza politica e della repressione anche violenta delle istanze democratiche e di riscatto sociale.
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