lunedì 14 luglio 2014

Gim Cassano: La Controriforma di Matteo Renzi

La Controriforma di Matteo Renzi: nel silenzio quasi generale, agli italiani che percepiscono i danni dell’oligarchia partitocratica, si risponde con il suo rafforzamento. Condivido pienamente quanto afferma il mio amico Franco Astengo circa la sottovalutazione di quanto sta avvenendo in Senato a proposito delle modifiche istituzionali scaturite dal patto Berlusconi-Renzi (vedi: “Una pericolosa deriva autoritaria”). La stanchezza degli italiani nei confronti di una politica inconcludente, chiusa in se stessa, e preoccupata unicamente del proprio tornaconto (non di rado, anche materiale), è tale che qualsiasi fatto nuovo venga percepito come positivo in sé ed a prescindere da ogni valutazione di merito. Su questa stanchezza si consuma l’imbroglio di far passare per Riforma quel che Riforma non è, ma Controriforma, e per modernizzazione del sistema politico-istituzionale la sua restaurazione in senso oligarchico. Su questa stanchezza si realizza l’equivoco e l’estremo degrado morale di far passare un pregiudicato per delitti comuni per una sorta di nuovo Gandhi condannato per motivi politici che, meritando il rispetto degli stessi avversari, diventa uno dei padri della nuova repubblica. Bisogna dar atto a Renzi, o ai suoi consulenti, di aver mostrato grandi fiuto ed abilità nell’esser riusciti a rivolgere l’opinione pubblica in direzione esattamente opposta a quella verso la quale sarebbe stato logico che questa si fosse indirizzata dopo avere per anni constatato incapacità, inconcludenze, malversazioni dell’attuale sistema politico. Mi spiego meglio: Una delle cause principali del declino della democrazia, non solo in Italia, sta nell’essersi sovrapposto a quello istituzionale un sistema politico “de facto”, costruito attorno a partiti che hanno perduto la loro originaria funzione di “partes” finalizzate alla lotta politica, per trasformarsi in gestori pro-quota delle opportunità offerte dal controllo della cosa pubblica. Si è andata così configurando un’oligarchia non contendibile che, al di là delle divisioni e delle differenze tra le diverse formazioni politiche, manifesta una notevole comunanza trasversale di caratteri e tratti. Ciò si accompagna, senza che sia facile stabilire se ne sia la causa o l’effetto, all’indebolirsi della politica come strumento per la realizzazione di fini aventi valenza pubblica e generale, sostituita dall’esercizio di una sorta di “teoria dei giochi” indifferente rispetto alle finalità pubbliche, ma finalizzata al conseguimento di obbiettivi di potere. Val la pena di ricordare, al proposito, le profetiche parole (siamo nel 1951) che appaiono a sottotitolo del classico di Maurice Duverger (“Les partis politiques”): “La democrazia non è minacciata dal regime dei partiti ma dall’orientamento contemporaneo delle loro strutture interne: il pericolo non risiede nell’esistenza dei partiti, ma nella natura burocratica, religiosa e totalitaria che nell’epoca presente essi tendono ad assumere”. Tutto ciò è chiaramente percepito dalla stragrande maggioranza degli italiani; sarebbe quindi logico supporre che larghissima parte dei cittadini, ed in modo particolare coloro che seguono la vita politica e che, bene o male, costituiscono la base dei partiti, ad iniziare dal PD, debba ritenere che l’antidoto a ciò vada ricercato nell’indebolimento di questa oligarchia, e non nel suo rafforzamento. E, per converso, nella richiesta di ampliare e rafforzare, e non di ridimensionare, gli spazi e gli strumenti di controllo e partecipazione diretti e mediati dei quali i cittadini possano disporre. Avviene invece esattamente l’opposto: sia per una stanchezza che induce a prender per buona una qualsiasi medicina che appaia come nuova, quanto per via di un’abile manipolazione che tende a presentare la riduzione del numero dei senatori e la loro sottrazione al voto popolare, l’aumento del numero di firme occorrente ad avviare un Referendum abrogativo, la sostanziale espulsione delle formazioni politiche minori dalla Camera dei Deputati, il resto delle norme compendiate nell’Italicum come riforme razionalizzatrici e semplificatrici, dirette a ridurre i costi della politica, gran parte dei cittadini italiani trangugia silenziosamente la polpetta avvelenata di una controriforma che va esattamente ad indebolire e sottrarre loro quegli strumenti che, a rigore, essi dovrebbero voler vedere rafforzati e diffusi. Si realizza così un grande paradosso, reso possibile anche da un sistema dell’informazione prontamente adeguatosi al nuovo corso, facilitato dall’aura demagogicamente rottamatrice di Matteo Renzi e, poco o punto sostenuta da una proposta politica compiuta nell’individuazione di strumenti e risorse, dall’agitazione populistica ed estemporanea di frasi e temi che si possono ascoltare in qualsiasi bar delle piazze italiane: la burocrazia, l’Europa, i vertici del management pubblico, il lavoro, i giovani. Paradosso che consiste appunto nel rafforzare un’oligarchia giustamente esecrata dall’opinione pubblica con il consenso di gran parte di quella stessa opinione pubblica; e che consente quindi, facendo scempio del termine “Riforma”, di far apparire come conservatori coloro che si oppongono a tale rafforzamento. In definitiva, quel che si prefigura è il mettere, non solo il governo del Paese, ma l’intera sua vita politica, nelle mani di un club oligarchico al quale si accede per cooptazioni e non in virtù di processi democratici, del quale facciano parte i feudatari dei maggiori partiti, coloro che controllano i mezzi di informazione, le espressioni di vertice del mondo finanziario ed imprenditoriale. Tale è il senso di una controriforma, di una sorta di colpo di Stato per via parlamentare, che si sta attuando nella generale indifferenza, e che ai cittadini riserva l’unica opzione, a fine mandato, e con il trucco di una legge elettorale che comunque preserva gli equilibri esistenti ed il controllo delle oligarchie, di sostituire al governo del Paese un pezzo di oligarchia con l’altro. Per il resto, tra un’elezione e l’altra, nessuno avrebbe il diritto o la possibilità di disturbare il conducente: non una Camera dei Deputati sulla cui composizione, attraverso le soglie differenziate, i maggiori partiti avranno un forte potere di interdizione e, attraverso le liste bloccate, la possibilità di scegliere uno ad uno i singoli deputati; non un Senato ridotto a inutile rifugio di cacicchi locali, eletto da ceti politici sovente pessimi, con meccanismi ancora non chiari, ma sicuramente oscuri (si parla di listini bloccati anche per l’elezione dei cosiddetti senatori da parte dei Consigli Regionali); non un Presidente della Repubblica o una Consulta che nascerebbero da un Parlamento di tal fatta e schiavo dell’Esecutivo; non da un sistema di partiti politici che molto difficilmente potrebbe rinnovarsi e veder emergere forze nuove e alternative all’esistente, stante i meccanismi della legge elettorale e, non ultimi, i meccanismi farraginosi ed antidemocratici richiesti per l’accesso all’elettorato passivo (raccolta firme, spazi di informazione, etc.). Da ultimo, pur prevedendo la riduzione del quorum per l’efficacia di un referendum abrogativo, se ne ostacola la possibilità di presentazione aumentando da 500.000 a 800.000 le firme necessarie alla sua presentazione. Contro questo paradosso e contro questo imbroglio occorre muoversi: gli italiani devono sapere che quanto si sta realizzando non va a ridurre, ma ad aumentare lo strapotere dei partiti, e dei partiti maggiori in particolare; e che va a sottrarre ai cittadini, ed ai corpi intermedi della società, ogni possibilità di controllo sull’operato della politica e dell’Esecutivo in particolare. Il mio amico Astengo chiede a questo proposito che si tenga una grande manifestazione, quale quella del 25 Aprile 1994. Ma dove sono le forze che dovrebbero oggi sostenere tale mobilitazione? Il centrosinistra non esiste più, da tempo (e cioè da quando Bersani ha di fatto smantellato, già prima delle ultime elezioni politiche, la coalizione “Italia Bene Comune”); il PD è di fatto diventato forza centrista, con una minoranza interna che guarda a sinistra senza riuscire a risolversi ad una qualsiasi iniziativa; a sinistra troviamo un cartello elettorale litigioso ed un partito in gravissima crisi di prospettiva; il piccolo PSI ha abdicato alla propria autonomia. Né una adeguata risposta può arrivare dai “vaffa” di Beppe Grillo e da un movimento che, oscillando tra assemblearismo via web e autoritarismo, nega la funzione del partito politico e dei corpi sociali intermedi. In via generale, sembra che larga parte della sinistra politicamente organizzata “snobbi” la questione della tenuta della democrazia, forse considerando altre le emergenze italiane, senza rendersi ben conto che è la democrazia lo strumento che ha reso possibile lo sviluppo civile, economico, e sociale di qualsivoglia Paese, e che l’infragilimento degli strumenti democratici non può produrre altro risultato che l’arretramento complessivo del Paese. In questa situazione di obbiettiva difficoltà, non c’è altro da fare che operare perché si aggreghino senza inutili distinguo e senza primogeniture tutti coloro che ritengono cosa prioritaria il combattere questo percorso, preparandosi anche a battaglie referendarie abrogative (per le leggi ordinarie), ed eventualmente confermative, ove leggi di modifica costituzionale non venissero approvate con la maggioranza dei 2/3. Credo che il mondo associazionistico, ed in particolare quelle associazioni che hanno dato vita a “Iniziativa 21 Giugno”, tra cui quella che rappresento (Alleanza Lib-Lab), possano e debbano svolgere un’utile funzione in tal senso.

Nessun commento: