venerdì 4 gennaio 2013

Gim Cassano: Verso le elezioni

Verso le elezioni: la vera partita si giocherà a due. La campagna elettorale ha preso il via e, anche se non tutte le mosse di avvio sono state compiute e più di un’incognita resta ancora sul campo, alcune linee di tendenza iniziano ad apparire chiare. Innanzitutto, ed è il nocciolo di questo ragionamento, mi pare evidente il fatto che, se, come è ovvio, la partita elettorale verrà giocata da una pluralità di soggetti, la vera partita politica, quella da cui dipenderanno, insieme agli equilibri futuri, anche le linee-guida sulle quali si indirizzerà l’auspicata ricostruzione del Paese, vedrà un numero di giocatori assai più ristretto. Essa si gioca infatti attorno al rapporto tra la coalizione di centrosinistra (che sarebbe forse opportuno iniziare a definire come sinistra democratica), che prevedibilmente conseguirà la maggioranza relativa, ed un’area centrista che ad oggi è ancora tutt’altro che monolitica e tutt’altro che saldamente in mano a Monti, ed i cui caratteri di formazione non avranno poco peso nel determinare non solo il suo risultato elettorale, ma anche le prospettive future. La limitazione ad alcune forze (e l’implicita esclusione delle altre) della possibilità di esser partecipi della ricostruzione del Paese non deriva, come negli anni della Prima Repubblica -quando si parlava di “arco costituzionale”- da una legittimazione storica (in quel caso, quella dell’antifascismo), ma si fonda invece sulla prassi e sulla prospettiva politica. Sarà necessariamente limitata a quelle forze che, pur con le ovvie diversità, convergano su almeno tre consapevolezze che costituiscono i prerequisiti imprescindibili per avviare l’uscita dal vicolo cieco nel quale venti anni di berlusconismo hanno infilato il Paese: - quella della necessità che l’Italia mantenga un saldo rapporto con l’Europa e sia parte attiva nel processo della sua progressiva integrazione politica; - quella della indifferibile necessità di riordinare la finanza pubblica e rimettere in movimento il Paese; - quella di dover ripristinare, dopo anni di stravolgimenti, la forma e la sostanza della vita democratica prevista dalla nostra Costituzione. Sulla condivisione di questa cornice si misura la possibilità o meno di guidare il Paese fuori da una crisi economica, politica, sociale, che non ha precedenti a partire dalla fine dell’ultimo conflitto mondiale. Gli avversari della modernizzazione. Venti anni di seconda Repubblica, improntata dal fenomeno Berlusconi anche negli anni in cui il governo è stato tenuto dalle forze di centrosinistra, hanno prodotto come risultato il crearsi di un vasto arco di forze per nulla interessate al funzionamento di una democrazia matura, al rapporto tra l’Italia e l’Europa, all’esigenza di ammodernare e rinnovare il Paese nelle istituzioni, nell’economia, nella società, alla necessità di riequilibrarne i conti pubblici. Dalla destra berlusconiana nelle sue sub-componenti fasciste, clericali, corporative, alla Lega, a quel che resta dell’IdV, agli oscurantisti di Ingroia, all’esoterismo della web-oligocrazia di Casaleggio, si tratta di forze che, da posizioni diverse e per motivazioni diverse, si trovano però affiancate nel ripudiare tutte il prius logico sul quale si costruisce una democrazia: l’utilizzo empirico e relativistico della ragione umana. Accomunate dall’urlare invettive e slogans, dall’indifferenza rispetto ai diversi da sè, dall’opportunismo demagogico, ed interessate unicamente alle proprie visioni unilaterali e monotematiche, non riesce possibile immaginare come tali forze possano concorrere alla ricostruzione di una democrazia, a dare un contributo a qualsivoglia politica europea, a risanare, ammodernare, rendere più civile il Paese. L’inutile voto alla destra. E’ evidente come la destra berlusconiana, antieuropea e populista, avversa all’apertura ed alla partecipazione sociale e politica, dichiaratamente refrattaria alle idee di democrazia, equità, solidarietà, sia inutilizzabile a tali fini. L’ultima conferma è stata fornita dalle parole con le quali Alfano ha brutalmente sfiduciato il governo Monti, visto come un pericoloso monumento che stava a testimoniare, con una politica tutt’altro che bolscevica, le incapacità e le pesanti responsabilità della destra; dal vaudeville col quale il cavaliere ha cercato, dopo averne pesantemente contestato l’operato, di intrappolare Monti in un improbabile fronte dei moderati che gli avrebbe consentito di fare a meno della Lega e di restare “dominus” della situazione, per poi, ottenutone un rifiuto, ritornare alle posizioni di partenza; dall’avvio di una campagna elettorale demagogicamente impostata sull’avversione nei confronti di misure che altro non erano che le conseguenze di cinque anni di governo incapace; tutto ciò certifica quanto questa destra, i suoi alleati, le sue componenti interne, non siano in grado di indicare una qualsivoglia prospettiva politica che non sia la sbiadita riproposizione dei propri incantesimi e dell’immagine ridicolmente liftata del neofidanzato cavaliere. E, insieme a questa, il riproporre il consueto repertorio di menzogne contradditorie, di omissioni, di impegni non mantenibili e mai mantenuti, la solita litania della o delle congiure ordite ai suoi danni da magistrati, giornalisti, Presidenza della Repubblica, politica europea, l’oramai abituale ritornello sulle “sinistre”, che ormai quotidianamente, il cavaliere ci propina da ogni TV di questo Paese. Rendendo, tra l’altro, un pessimo servizio alla sua stessa parte politica, che si trova oggi isolata e priva di una prospettiva diversa dal mantenere comunque una presenza parlamentare che, per quanto ampia possa risultare, sarà al più utile all’unico fine di assicurare un minimo di autotutela, ma che, visti i presupposti politici e l’incapacità di rapportarsi ad altri, non consentirà di assumere un ruolo nel rinnovamento del Paese. Molti di questi caratteri verranno accentuati, in una campagna elettorale che già da oggi vede come primo bersaglio il sen. Monti, visto come il traditore di una sorta di patto anticomintern, in base alla vecchia presunzione che chiunque non venga ad ingrossare il gregge berlusconiano, sia ipso-facto al servizio delle “sinistre”. I comportamenti seguiti dal cavaliere e dal suo entourage negli ultimi tempi sono stati indirizzati unicamente a cercare di preservare una parvenza di presenza politica personale. Non vengono in mente al suo capo le ragioni per le quali gli stessi ambienti industriali e le gerarchie vaticane, lungi dall’entusiasmarsi per il ritorno sulla scena del cavaliere, ne hanno preso nettamente le distanze, preferendo puntare sul cavallo centrista, che viene oramai fondatamente considerato più utile della destra nel rappresentarne efficacemente gli interessi. Votare questa destra rappresenta il vero voto inutile: reso tale dall’incapacità di superare il populismo berlusconiano, dall’avversione all’Europa, dall’avere perso ogni capacità di relazione con altre forze politiche: quale che sia il suo risultato elettorale; a meno di un’improbabile vittoria, essa sarà destinata unicamente a combattere battaglie corporative e di retroguardia. In modo non molto diverso, non può arrivare alcun contributo serio a politiche riformiste di stampo europeo da parte di chi fonda la ricerca del consenso elettorale sull’antagonismo, sul localismo, sull’oscurantismo giustizialista, sull’utilizzo irrazionale ed antidemocratico della giusta indignazione nei confronti degli spettacoli offertici dalla seconda Repubblica, sulla falsificazione della realtà e della storia. Il confronto tra centristi e sinistra democratica potrà essere utile al Paese, se…. Spetta quindi ad un arco di forze che comprende i centristi e la sinistra democratica e riformista di giocare la vera partita politica che si aprirà dopo le elezioni, che avrà per oggetto il varo delle prime, urgenti, riforme, tra cui quella della legge elettorale, il superamento della fase di emergenza finanziaria, la ripresa dello sviluppo. Ad alcune condizioni. La prima: Che sia chiaro come il processo e le modalità di aggregazione dell’area centrista avranno rilevanti conseguenze, ancor più che sul suo risultato elettorale, sulla qualità della politica del dopo-voto. Non sta a me di sindacare le ragioni e le modalità delle scelte del Senatore Monti, né il fatto che egli abbia deciso di farsi parte politica: cosa in sé assolutamente legittima e, a certe condizioni, anche opportuna. Ma, una volta che egli abbia compiuto una scelta politica, le sue indubbie qualità non possono impedire che le sue azioni vadano valutate come ogni altra scelta politica, e che ne vengano evidenziati non pochi elementi di criticità. E, a questo punto, vi sono diverse cose da osservare, nel cercare di capire se il Sen. Monti riuscirà a costruire quel genere di forza politica che probabilmente egli ha in mente. Le premesse non appaiono le più incoraggianti: il processo di aggregazione delle forze centriste da lui e nel suo nome avviato appare minato da forti incrostazioni di sapore medievale: se è vero che i baroni, non avendo alternative di leadership credibile, né di proposta, hanno prontamente acclamato il loro re, e ne hanno altrettanto prontamente accettato l’Agenda che dal re prende il nome, è anche vero che essi sono stati ben attenti a non cedere assolutamente nulla del potere di controllo feudale dei loro clans. Monti rischia così di trovarsi a capo di un partito-persona, con i relativi limiti, ma nelle condizioni di quei sovrani medievali che dipendevano in tutto e per tutto dall’aiuto loro prestato dai grandi feudatari. Certo, egli dispone, e non in termini metaforici, dell’investitura pontificia, del consenso pieno di Confindustria, di una solida credibilità fuori d’Italia. Ma ciò cui si sta assistendo appare cosa ben diversa dal tentativo di trasformare in un moderno partito conservatore ciò che nasce da un’unione eterogenea di forze diverse, di storie diverse, di modestissimi capiclan ciascuno dei quali interessato a non cedere nulla: in particolare, a non cedere la capacità di controllo dei nomi degli eligendi loro concessa dal “Porcellum”. E, soprattutto, occorre che i centristi si rendano definitivamente conto come il loro ruolo non possa essere visto nei termini della politica dei due forni, della quale Casini è stato maestro concettuale ed artefice pratico. Essa non è nell’interesse del Paese, che chiede invece scelte chiare ed assunzione di responsabilità. Una forza politica che voglia operare per la ricostruzione del Paese non può considerare sullo stesso piano i comportamenti di chi, non contento di aver determinato le difficoltà attuali, continua a proporre la perpetuazione di quelle politiche che le hanno generate e quelli di chi, forse troppo debolmente, vi si è opposto. Né può, di conseguenza, ritenere destra e sinistra come categorie politiche irrilevanti e tra loro indifferenti e sostituibili. Anche da questo punto di vista, sorge più di una perplessità nell’ascoltare le diverse voci della coalizione di centro. Le recenti dichiarazioni di Casini che, indicando in Monti il futuro Presidente del Consiglio, pronuncia un lapidario: “dopo Monti, c’è solo Monti”, sono del.tutto scoraggianti al riguardo. Se viste come l’auspicio della sua parte politica, sono pienamente legittime. Ma che significa dire ciò? In italiano, ciò vuol dire che, ove il Centro fosse determinante al Senato, non verrebbe votata la fiducia ad un governo di coalizione con la Sinistra, a meno che questo non sia diretto dal Sen. Monti. E, ove tale pretesa non venisse accettata da chi con tutta probabilità avrà comunque la maggioranza a Montecitorio, significa minacciare di rendere ingovernabile il Paese, rimettendo in circolo la destra. Con quali conseguenze sul Paese e sulla sua credibilità è facile immaginare. Al di là delle qualità personali di Monti, che devono passare in secondo piano nel momento in cui egli abbia fatto, legittimamente, una scelta politica, questi atteggiamenti puzzano terribilmente di vecchio e non rendono un buon servizio agli interessi generali del Paese, e tantomeno lo rendono alla causa della costruzione di un moderno partito conservatore. Se il Sen. Monti intende realmente contribuire a rendere l’Italia un Paese diverso da quel che sinora è stato, deve rapidamente prender le distanze da tutto ciò. La seconda: aver chiaro che, se è necessario che quest’arco di forze condivida il quadro di riferimento che sopra è stato tracciato, occorre anche che non si ingeneri la tendenza a confondere le posizioni di un centro democratico ed aperto alle riforme con quelle di una sinistra democratica e riformatrice. Perché -è bene ricordarlo- non tutte le riforme sono tra loro equivalenti, ed i concetti di rigore, di equità, di sviluppo, possono esser coniugati in modi molto differenti, con differenti effetti economici e sociali. Ed occorre anche ricordare come il comune riferimento alla Costituzione Repubblicana non possa riguardare unicamente le regole di funzionamento delle Istituzioni, nel momento in cui questa stabilisce anche i fini e gli obbiettivi che la Repubblica persegue, dellq maggior parte dei quali si è persa la memoria nel corso dell’ultimo ventennio. Dopo due decenni di sonno della politica, l’Italia ha bisogno di una discussione vera, riferita alla realtà, tra forze politiche che siano anche espressione di interessi e punti di vista diversi, ma che, di fronte agli interessi generali del Paese, sappiano rinunziare al particolare: qualcosa di simile è accaduto in questi giorni negli USA di fronte al rischio del “fiscal cliff”. Da questo punto di vista, il Manifesto di “Italia Bene Comune” e la cosiddetta “Agenda Monti” sono due utili, ma diversi, punti di partenza che, ove si pensasse di volerli far coincidere, verrebbero a perdere ogni utilità e dignità concettuale. E’ nell’interesse del Paese il fatto che Monti cerchi di trasformare il centrismo italiano, luogo tradizionale di tutti i compromessi, in una forza politica moderna, europea, aliena dalle vocazioni populiste, tale da erodere il terreno su cui è prosperato il berlusconismo, e capace di interloquire con le forze di sinistra democratica. E, se è cosa utile il fatto che le istanze moderate siano finalmente rappresentate da una destra civile, europeista, avvezza alla democrazia, con la quale, a prescindere dal peso relativo tra centristi e sinistra democratica, ed a prescindere dall’eventuale autosufficienza parlamentare di quest’ultima, sia possibile più di una convergenza al fine di ricostruire il Paese, occorre aver chiaro che comunque sempre di destra si tratta. Si tratta di una destra non populista, dalla quale possono arrivare contributi su questioni ed istanze che il centrosinistra non è sinora riuscito a far proprie ed assimilare pienamente, ma che i ritardi e le evidenti necessità del Paese obbligano ad affrontare, quali produttività, efficienza, merito, e con la quale è possibile convergere su altre questioni: sull’esigenza di una seria presenza in Europa, sull’esigenza di risanare i conti pubblici e di ridurre e riqualificare la spesa, su quella di rendere efficiente la macchina pubblica, sul rigore morale, sul richiamo a prassi politiche costituzionalmente corrette. Ma deve esser chiaro come la connotazione tecnocratico-economicista che la ispira, di cui la pretesa che il PD metta la sordina a Fassina e Vendola è un brutto esempio, l’agnosticismo nei confronti di forme di libertà che non siano quelle economiche, l’evidente condizionamento cattolico, collocano il centro montiano su un versante più propriamente conservatore (sia pure nell’accezione nobile e britannica), che liberale nel senso pieno del termine. Con buona pace di coloro che considerano il liberalismo come fatalmente vocato al liberismo economico ed al centrismo politico, mi pare inappropriato il riconoscervi istanze compiutamente liberali, quando resta sullo sfondo la questione di quanto il regresso economico di questi anni abbia colpito in misura proporzionalmente più grave coloro che stanno tra la base ed il mezzo della piramide sociale, in termini di mancanza di lavoro, di cattivo lavoro, di iniquità fiscale, di costi e qualità di servizi primari forniti dal pubblico e dal privato. Facendo venir meno, quindi, una delle premesse sulle quali si fonda la concezione liberale della società: quella delle pari opportunità. Tutto ciò detto, sarebbe un grave errore se, da parte della coalizione che fa capo a Bersani da un lato, e dal Senatore Monti dall’altro, in un momento cruciale per il Paese, non vi sia la piena consapevolezza che solo dal loro confronto potranno emergere politiche adeguate ad affrontare la crisi italiana. Senza inutili conflitti, ma anche senza confusioni. Per queste ragioni, ritengo che tutti coloro che si ispirano alle concezioni di una democrazia liberale, laica, socialista, trovino il loro naturale riferimento nella coalizione di “Italia Bene Comune”, avviata in termini politici dal PD, da SEL, e dal PSI, ed alla quale si è successivamente aggiunta la lista capeggiata dagli onorevoli Tabacci e Donadi. Ciò a prescindere dal fatto che le aberrazioni del Porcellum rendano o meno possibile la presentazione di una lista socialista aperta a laici e liberali. Gim Cassano (Alleanza Lib-Lab), 03-01-2013

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