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giovedì 31 gennaio 2013
Paolo Bagnoli: Chiudere l'ellissi del governo tecnico
Dall'Avvenire dei lavoratori
Chiudere l’ellissi
del governo tecnico
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Se ci viene passata una battuta abbiamo avuto, in contemporanea, tanto per non farci mancare niente, sia l’uomo della Provvidenza, Mario Monti, che la donna della Previdenza, Elsa Fornero. I risultati sono sotto gli occhi di tutti!
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di Paolo Bagnoli
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Qualche settimana fa il presidente della Repubblica, non sappiamo se per prassi di ruolo o per convincimento, aveva raccomandato una campagna elettorale misurata. Con il massimo rispetto verso Giorgio Napolitano osserviamo, qualunque fosse la sua intenzione, che essa avrebbe, per forza, scontato un’ingenuità. I fatti dimostrano quanto non era difficile prevedere. Premesso che in ogni campagna elettorale, fisiologicamente, i toni si fanno sempre più alti del dovuto, come sarebbe stato possibile che, da un quadro politico fortemente anomalo e democraticamente alterato, potesse scaturire un clima di pacatezza? Lo svolgimento della campagna elettorale altro non è che l’epifania delle condizioni cui è giunto il Paese; siamo, infatti, convinti che le elezioni non rappresenteranno un passaggio ricostruttivo, ma solo uno ulteriore nello smottamento di un sistema che da tempo, troppo tempo, non è più tale.
Il contesto complessivo si è ulteriormente aggravato e non perché, siamo sinceri, Mario Monti dal governo ha fatto – cosa previdibilissima – una specie di partito, ma perché queste elezioni sono inficiate da un’improprietà politica, funzionale e gestionale, del governo tecnico espressosi in un’illogica superbia e ruvidità sapienziale che ha peggiorato il quadro d’insieme. Esso, già fortemente guastato, è stato aggravato per i metodi usati, l’arroganza nel porsi, il cinismo sociale applicato e la totale assenza di ogni intenzione politica: vale a dire, ricostruire un’idea dell’Italia e di come rifondare lo Stato avendo cognizione, come avviene peraltro in ogni altro Paese, della propria memoria storica. Un’operazione, quest’ultima, per cercare di riavviare il Paese chiudendo vent’anni di non politica i quali, inevitabilmente, hanno prodotto uno Stato che, evirato dalla dimensione della politica, naviga verso derive, ora cesaristiche, ora di una sapienza tecnica per di più aggravata da un ridicolo porsi. Come se la democrazia fosse frutto della Provvidenza.
Se ci viene passata una battuta abbiamo avuto, in contemporanea, tanto per non farci mancare niente, sia l’uomo della Provvidenza, Mario Monti, che la donna della Previdenza, Elsa Fornero. I risultati sono sotto gli occhi di tutti!
Naturalmente la Provvidenza di Monti, in un Paese in cui chiudono mille attività commerciali al giorno, non ha prodotto “provvidenze” visto l’accrescersi dell’impoverimento generale perché la tassazione è iniqua e perché il profilo finanziario ha sostituito quello politico.
Ora, tutti sanno che la “politica” è tale perché, di là delle misure che adottano coloro che sono chiamati a gestirla, si fonda su una concezione collettiva del Paese e non sugli interessi di un singolo comparto. Quando, poi, alcuni di questi interessi vanno in emergenza e in taluni momenti risultano preminenti, è doveroso affrontarli; sempre, però, nell’ottica della “coesione sociale” e non di particolarità esclusive; nello specifico, di genere finanziario.
Al corpo ferito e martoriato del Paese il governo tecnico ha causato ulteriori lacerazioni aggravando la deriva di allontanamento dallo spirito repubblicano della Costituzione; quello spirito che avevano assicurato al senso di essere della democrazia italiana i vecchi partiti politici – ed è un dato di fatto che quelli appaiono, alla luce degli odierni, addirittura meritevoli, nonostante i loro limiti.
Così, se l’unica proposta del raggruppamento montiano, ma soprattutto del suo leader, è di demonizzare Vendola e la Cgil, – la matrice berlusconiana non si smentisce e il marchionismo si palesa mentre Giorgio Squinzi ragiona con serietà e senso del Paese – e Berlusconi, da sconfitto storico procedendo brillantemente sui vecchi percorsi della sue pantomime, dice tutto e il contrario di tutto ringalluzzito com’è dal fatto che lo hanno resuscitato. Ed è poi veramente singolare la posizione del Pd il quale ha sostenuto Monti ac perinde cadavere ricevendone pesci in faccia a più non posso. Il Pd, infatti, ne ha votato tutti i provvedimenti antisociali, salvo dire un minuto dopo che non era d’accordo; alla fine è sceso in battaglia contro di lui pur auspicando un’intesa dopo le elezioni e pure parlando di “polvere sotto il tappeto”.
Monti si è arrabbiato. Bersani non ha detto di quale "polvere" di tratti, ma siccome la polvere non si accumula in un giorno, non poteva il Pd, che chiede “un po’ di lavoro” mentre tace sulla patrimoniale, cercare di alzare il tappeto invece di fare il soldatino ubbidiente agli ordini del generale incapace?
La questione della democrazia è del tutto assente. Non si capisce se interessa ancora a qualcuno. Sulla legge elettorale si è assistito, per mesi, a una commedia in cui ognuno voleva esattamente quello che è avvenuto: non cambiare l’ignominia calderoliana. Il tema nella campagna elettorale latita. Anzi, dimostrando carenza di senso dello Stato, il Pd ebbro delle primarie, le ha rappresentate come la risoluzione alla violenza costituzionale perpetrata, aggiungendo, così, alla gravità generale un’altra cifra di pericolosa confusione.
Ancora: la discriminazione verso gli operai è norma. E la norma, quella della legge vera, non sembra valere. La ripresa, tanto invocata, è solo il secondo tempo delle partite di calcio, mentre la corsa all’arricchimento personale, con lo scialo dei soldi destinati alla politica, sembra fenomeno così esteso che Tangentopoli recupera una dimensione strapaesana.
Potremmo aggiungere il progressivo smantellamento dell’università pubblica, lo stato delle scuole di ogni ordine e grado, parte della magistratura che appare sempre più come la necessaria scuola di formazione per entrare in Parlamento.
Il tutto rimbalza tra scandali, "retroscena" giornalistici, pollai televisivi, untuose e false dichiarazioni di europeismo, in un esplodere di quell’Italia provinciale, particolaristica, anticivica e dallo spiccato senso pezzentesco-proprietario che, liberata da ogni vincolo sia giuridico che morale, riemerge con forza: è l’ Italia della “desistenza” di calamandreiana memoria; quella stessa che ordì la pugnalata a Ferruccio Parri.
Cancellata l’idea fondante del partito politico come corpo che vive di gente e, quindi, fattore vivo della sovranità democratica, confermato un corpo rappresentativo imposto dalle oligarchie delle varie formazioni, demonizzato il sindacato e vessato il mondo del lavoro, considerato addirittura pestilenziale chi emblematizza in qualche modo la sinistra – ridotta al tardo bertinottismo di Vendola – in assenza di ogni contrafforto serio, come sarebbe un partito socialista finalmente degno di una gloriosa tradizione e di un’altrettanto gloriosa storia che il craxismo non ha sminuito pur portandolo alla tomba, l’Italia, scomparsa oramai anche la falsità del bipolarismo – falsità sì, perché quello italiano era solo lo scontro tra berlusconismo e antibelusconismo per la conquista del governo – queste elezioni appaiono destinate a non risolvere niente, se non a chiudere l’eclissi del governo tecnico. Che torni il sole, tuttavia, appare veramente improbabile.
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