martedì 20 novembre 2012

Gim Cassano: Verso il 2013

Verso il 2013. La fotografia triforcuta di Vasto è stata definitivamente archiviata, e Di Pietro conferma sempre più apertamente la sua vocazione populista ed avversa alle forme ed ai metodi di uno Stato di Diritto. A mio parere, la dichiarazione di intenti “Italia Bene Comune” (PD, SEL, PSI) rappresenta un passo in avanti verso una maggioranza di governo in grado di assumersi le sue responsabilità; il che è la prima cosa di cui il Paese ha bisogno. In questo senso, la “dichiarazione di intenti” risponde ad una larga parte delle istanze che erano stata espresse nel Manifesto che, come Associazione, avevamo proposto per la prima iniziativa (quella dell’Aprile scorso, a Firenze) di “Spirito Libero”, e che era stato recepito dai promotori e dalla massima parte degli intervenuti a quell’iniziativa. Ciò detto, mi pare evidente come la “Dichiarazione di Intenti” non rappresenti un programma, e vada completata con poche e chiare indicazioni, comprensibili agli italiani, in ordine alle questioni fondamentali della forma e del funzionamento della sfera pubblica (Istituzioni, articolazione ed estensione del sistema delle autonomie, burocrazia, welfare, scuola, giustizia), delle scelte economiche e di finanza pubblica, ed a quella della tutela e promozione delle potenzialità degli individui, singoli ed associati, nelle loro molteplici vesti di persone, cittadini, operatori culturali ed economici, consumatori, utenti dei pubblici servizi. Dare queste indicazioni è una precondizione per avviare la rimessa in marcia del Paese; e non possono arrivare da altro soggetto che da una maggioranza politica che vi si impegni e sulle quali, in un patto coi cittadini, assuma le sue responsabilità. Risposte in tal senso non potevano arrivare da un governo tecnico, nato fuori dalla politica, ed anzi proprio a seguito della sua crisi, e per rimediare agli aspetti più strettamente finanziari di un’emergenza che, se manifestava i suoi effetti più devastanti ed evidentemente insostenibili proprio sul piano della finanza pubblica, aveva però origini ben più vaste. E non tutte riconducibili agli errori, incapacità, vergogne, del governo che lo ha preceduto. Non ha quindi alcun senso l’addebitare ad un governo nato per uno scopo ben definito il fatto di non aver risolto od affrontato questioni più ampie di quelle di cui è stato investito. Troppo facilmente si dimentica il baratro nel quale il governo Berlusconi stava sprofondando l’Italia, e si rimprovera al governo Monti il fatto di aver posto in via prioritaria l’accento sul ripristino della credibilità finanziaria del Paese, quando questo era esattamente quanto gli era stato richiesto. E si rimprovera al governo Monti il fatto di aver agito più sul lato delle entrate (ed in modo particolare, di alcune entrate) che su quello della spesa, quando è risaputo che le azioni rivolte a contenere la spesa pubblica sono sempre più lente, difficili, ed aleatorie di quelle rivolte ad incrementare il prelievo fiscale. D’altra parte, ci si deve render conto che l’emergenza finanziaria è tutt’altro che superata (il debito pubblico è ulteriormente aumentato in termini assoluti e relativi, arrivando a sfiorare i 2000 miliardi ed al 126% del PIL); che l’economia italiana è in piena recessione; e che, in tali condizioni, non è sufficiente neanche il pareggio di bilancio a ridurre l’incidenza del debito sul PIL. Quindi, se il risanamento finanziario è una precondizione necessaria a risollevare e rimettere in marcia il Paese, non è però di per sé una condizione sufficiente, ed una politica economica fondata sull’aumento indiscriminato e non selettivo dell’imposizione fiscale non è a lungo sostenibile in un’economia già di per sé debole e frenata da carenze strutturali. La terapia introdotta dal governo Monti va quindi riorientata, nel senso che, fermo restando l’obbiettivo del risanamento dei conti pubblici, il suo fulcro va spostato dall’incremento generalizzato del prelievo alla riduzione ed alla riqualificazione della riqualificazione rdella spesa, e da un prelievo indiscriminato che colpisce il potere d’acquisto dei più, ad uno selettivo in quanto a progressività ed a perimetrazione dell’ambito di applicazione. Ciò richiede scelte politiche di fondo, che l’ibrida maggioranza che sostiene l’attuale governo non è in grado di fare, ed appunto in tal senso, e nella misura in cui si proceda in questa direzione, è da valutare positivamente quanto è andato recentemente definendo nel Centrosinistra. In questo quadro si inserisce la questione delle primarie del Centrosinistra. Per quanto mi riguarda, ritengo che la scelta tra i due principali contendenti vada fatta in rapporto a quanto detto sopra: e cioè alla necessità che possa affermarsi una reale maggioranza politica, capace di scegliere e di assumersi responsabilità sulle scelte effettuate. Niente è più distante dalle necessità del Paese di inutili e rischiosi trasversalismi con chi ha avuto gravi responsabilità dirette nel sostegno alla destra berlusconiana o con chi è incapace, per limiti di cultura politica o per calcolo di opportunità, di fare scelte chiare. O dell’illusione che una ipotetica maggioranza a vocazione tecnocratica possa affrontare le arretratezze del Paese, o ancora, quella di immaginare che da una grande ammucchiata che finga di attenuare il livello dei contrasti politici possano emergere le riforme di cui il Paese ha bisogno. A parte le diverse caratteristiche dei personaggi, è evidente che le posizioni di Matteo Renzi esprimano ben poca consapevolezza al riguardo, e che una sua eventuale vittoria alle primarie aprirebbe la strada al contrabbandare come grande novità un trasversalismo del quale non si sente affatto il bisogno. Ed è evidente che, invece, una vittoria di Bersani avrebbe quantomeno il pregio di mirare ad un centrosinistra costruito su basi politiche. Ciò detto, è chiaro che una vittoria di Bersani nelle primarie non esaurisce di per sé le questioni da affrontare: occorre che nel configurare un centrosinistra che intenda credibilmente ammodernare il Paese, riavvicinandolo all’Europa ed alle grandi democrazie, sia riconoscibile, e non solo per analogia, la presenza di una forza di democrazia laica, liberale, socialista. Se il compito da affrontare richiede la profonda trasformazione del Paese ed il superamento di arretratezze che hanno origini ben lontane e che per molti aspetti risalgono addirittura alla Prima Repubblica, non è pensabile che ciò possa prescindere dall’apporto modernizzatore e riformatore di quelle culture ed espressioni politiche che in tutto il mondo hanno guidato i processi di apertura e democratizzazione: quella del riformismo liberale, socialista, liberalsocialista. Oggi, nello sviluppo del rapporto tra laici, liberali, socialisti, che Alleanza Lib-Lab ha sostenuto sin dal suo avvio, si presenta la concreta possibilità di dar corpo e rappresentanza a questa necessità, e le iniziative di “Spirito Libero”, delle quali Alleanza Lib-Lab è stata uno dei promotori, vanno in questa direzione. Pur se i processi politici sviluppatisi in Italia nel corso della cosiddetta seconda Repubblica hanno condotto, con risultati che sono sotto gli occhi di tutti, alla marginalizzazione di tali forze, occorre riconoscere che invece esse sono ben vive nella cultura e nella società, e verso di queste occorre muoversi ed operare. In questa direzione, e con questi intenti, sabato 15 Dicembre, a Roma (luogo ed orario sono ancora da definire, e saranno presto comunicati), si terrà una iniziativa nazionale di “Spirito Libero”, nella quale, oltre che definirne il Coordinamento Nazionale, si avrà modo di approfondire e verificare questi concetti. Ad essa potranno partecipare i Circoli di “Spirito Libero” già costituiti o in via di costituzione, le Associazioni, Clubs, Circoli, Movimenti politici che vi aderiscono o che vi siano interessati, nonché chiunque abbia interesse nei confronti di questa iniziativa e delle sue prospettive.

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