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lunedì 26 novembre 2012
Angelo Giubileo: Capitalismo senza futuro (o del futuro della politica)
25 nov 2012
Invito alla lettura
Capitalismo senza futuro (o del futuro della politica)
Nel suo ultimo saggio Emanuele Severino sostiene che “il capitalismo va verso il tramonto non per le contraddizioni che il marxismo ha creduto di trovarvi, ma perché l’economia tecnologica va emarginando l’economia capitalistica”.
Nel suo ultimo saggio, Capitalismo senza futuro, Emanuele Severino ripropone la tesi del superamento del Capitalismo ad opera della Tecnica, termini che lui propone con la maiuscola, sottolineando in particolare che “il capitalismo va verso il tramonto non per le contraddizioni che il marxismo ha creduto di trovarvi, ma perché l’economia tecnologica va emarginando l’economia capitalistica”. E tuttavia, quest’oltrepassamento è, dal filosofo, ascritto anch’esso nel de-stino della Follia dell’Occidente, in quanto non escluderebbe la realtà del rovesciamento di mezzo e scopo. In altri termini, il filosofo ritiene che sia impossibile, anche per la Tecnica, eliminare la contraddizione che rende l’uomo folle e che viceversa può essere eliminata solo mediante il possesso certo della Verità.
L’opera ultima di Severino è, direi, tra le sue, una tra quelle di più facile lettura, senz’altro al passo con i tempi di crisi che stiamo vivendo, tempi che testimoniano il passaggio, per così dire, da una globalizzazione politica ad una economica e da questa ad una tecnologica, solo in parte già presente.
Quel che mi divide dal giudizio di Severino, è la possibilità che l’uomo sia o possa trovarsi nella certezza della verità, come egli viceversa afferma da tempo, senza tuttavia riuscire a renderne mai esplicito il contenuto; tanto che il termine stesso, verità, assume una valenza del tutto tautologica e resta pertanto privo di qualsi-voglia contenuto. Ma c’è di più: a tale proposito, sulla scia del tentativo di Hilbert, posto che la realtà sia identificabile, anche solo attraverso i numeri, cosa che peraltro rende superfluo l’uso di ogni altro linguaggio tradizionale, i due teoremi dell’incompletezza di Godel dimostrano una volta per tutte che: a) all’interno di un sistema formale una proposizione non è dimostrabile né refutabile, cioè vera b) se un sistema formale è coerente è impossibile dimostrare questa proprietà; se è incoerente, la dimostrazione è viceversa sempre possibile, quasi per definizione del termine (stesso) incoerente.
Se come dice Severino, e qui mi trova d’accordo, “l’Apparato planetario della tecno-scienza non produce soltanto il deperimento dell’esser uomo, ma ne è anche l’inveramento supremo”, allora si deve (e non si può), a mio giudizio, dire che l’uomo, costretto nel proprio isolamento dalla terra, persegue attraverso il mezzo della Tecnica lo scopo supremo dell’Apparato, ovvero il paradiso della Tecnica. E la divergenza, da teorica, si fa senz’altro più concreta, allorquando sempre Severino afferma che “gli scopi degli individui non riescono a essere autonomi e indipendenti rispetto alle grandi prospettive e ideologie che hanno guidato il mondo, ma s’inscrivono all’interno di esse; e quindi anche gli scopi individuali sono destinati a mettersi essi a disposizione dell’Apparato della Tecnica”.
E invece, la realtà odierna sembra poter dimostrare già oggi esattamente il contrario, se è vero che, avviate a scomparsa prima le ideologie religiose e poi quelle politiche del secolo scorso, il mondo stesso della politica, ancora in larghissima parte orientato dai capitali dell’economia e sempre più della finanza internazionale, dimostra in qualche sia pur lieve misura di poter essere governato anche attraverso l’uso dei mezzi che la tecnologia rende già ora solo in minima parte disponibili a tutti. E’ questo, ritengo, il significato più profondo che si nasconde, solo per fare un esempio, dietro l’elezione per la prima volta di Barack Obama a presidente degli Stati Uniti. Ma, per tornare alle piccolissime cose di casa nostra, secondo l’espressione spesso usata da Severino, tutto questo c’è anche nel sottosuolo della contrapposizione di personaggi come Matteo Renzi all’apparato della vecchia organizzazione di partito, ancora pervasa da una nietzschiana volontà (ideologica) di (pre)potenza, così come c’è nella rapida ascesa del movimento Cinquestelle. E, in entrambi i casi, è del tutto evidente che nessuno dei sostenitori pensa di agire in nome di un’idea o per uno scopo che in qualche modo poi non gli appartenga.
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