venerdì 7 settembre 2012

PIERFRANCO PELLIZZETTI - Riforme, solo chiacchiere e diversivo

PIERFRANCO PELLIZZETTI - Riforme, solo chiacchiere e diversivo

Certo, le nostre condizioni di vita peggiorano, visto che troppi nodi
pregressi stanno giungendo al pettine. Anche perché - sottotitola il
nostro giornale - "l´effetto delle riforme non si vede". Di grazia,
quali riforme? Certo non sono tali le scazzottate di Fornero con le
residue rappresentanze dei lavoratori o la messa in sicurezza del
sistema bancario nazionale; magari il tempo regalato ai partiti
"azionisti di riferimento del governo" perché trovino la quadra di
una legge elettorale che li metta al riparo dalla crescente
indignazione popolare.

D´altro canto ormai sappiamo tutti che la compagine governativa ha un
solo mandato imperativo: porre fine alle mattane dimostrandosi
malleabile nel praticare la cosmesi restaurativa in ambito nazionale
e rispettosa delle pressanti richieste che provengono dai signori
internazionali del danaro.

Certo, in tale compagine ci sono personaggi che aspirerebbero a
perseguire davvero una politica di cambiamento: ad esempio Fabrizio
Barca, se l´incarico in materia di sviluppo fosse attribuito a lui
(invece di essere confinato in un ambito nebuloso quale "la coesione
territoriale"); taluno indica anche il ministro Profumo, ma solo in
materia di ricerca scientifica. Comunque la logica governativa
imperante è quella di dare silenziosamente (e sobriamente)
applicazione anche dalle nostre parti al "progetto mostriciattolo"
vigente dopo il 2008, impostosi come ricetta generale alla moda, di
far pagare i costi della crisi alle fasce più deboli della
popolazione.

Il politologo Colin Crouch lo ha definito paradossalmente "keynesismo
privatizzato": ancora una volta l´uscita dall´impasse economica viene
vista nel fare debiti. Soltanto che se al tempo della Grande
Depressione si traduceva - secondo l´insegnamento di John Maynard
Keynes - in una grande politica di investimenti pubblici, ora devono
essere le famiglie a indebitarsi e impoverirsi per assicurare la
tenuta del sistema. Visto che il pensiero dominante considera
l´irresponsabilità finanziaria un bene collettivo!

Riformismo questo? Suvvia... una truffa generalizzata a danno dei più
deboli.

Sempre che per riforme si intendano profonde trasformazioni che
aprono la società creando nuove chances di giustizia e libertà. Il
New Deal lo era, così pure lo erano le politiche di Welfare non meno
della costruzione europea all´insegna dell´economia sociale di
mercato. Non sono tali i regolamenti di conti, con relativo
dirottamento in misura ciclopica delle risorse materiali e politiche
verso la fascia privilegiata della società. Il tutto avvolto nelle
fumisterie del riformismo.

Anche in Italia.

Del resto chi scrive, nelle sue quasi sette decadi di vita, nel suo
Paese di riformismo preso sul serio ne ha visto pochino. Sperammo nel
primo Centro-Sinistra, ma bastò un tintinnio di sciabole (il generale
Di Lorenzo e il presidente Segni) perché qualcuno se la facesse
sotto. Avrebbe potuto essere tale il regionalismo, se gli enti
istituiti nel 1970 non fossero diventati immediatamente cronicari per
politici trombati. Anche lo Statuto dei Lavoratori, oggi indicato
come fonte di tutti i nostri mali dalle frotte dei
liberisti/revanscisti, più che una riforma fu la registrazione dei
temporanei rapporti di forza determinati dagli ultimi bagliori delle
lotte del lavoro.

Lapalisse ci direbbe - a questo punto - che per fare le riforme ci
vogliono i riformisti, cioè gente capace di pensare in termini
innovativi e con il coraggio di rischiare. Li avete mai visti dalle
nostre parti tipi con queste caratteristiche? Craxi, che faceva il
Ghino di Tacco per più vantaggiose spartizioni? La Balena Bianca nel
suo complesso, con i suoi sagrestani interessati solo a tenere a bada
il popolo? Ma anche i presunti eroi sconfitti: l´onesto Berlinguer,
che impostava strategie difensive sconfittiste proprio mentre la
Sinistra vinceva; l´azionista padre della Patria La Malfa, che
espelleva i probiviri del PRI, al grido di "Torquemada da strapazzo",
perché avevano espulso il proconsole Aristide Gonnella. I parolai
inconcludenti alla Nenni e compagni...

Per cui fa ridere il neodirettore dell´autorevole rivista il Mulino -
Michele Salvati (ma che senso ha riciclare un blairiano da Terza Via
nel 2012?) - quando spiega che i nostri riformisti dovrebbero essere
"responsabili". Ma quali riformisti. Quelli che si guardano bene dal
toccare gli intoccabili? Sicché - parafrasando la celebre battuta del
film di De Palma (appunto, "Gli intoccabili") - alla prova storica
dei fatti il riformismo nostrano "è solo chiacchiere e diversivo".

Pierfranco Pellizzetti
da MicroMega Blog
(3 settembre 2012)>

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