mercoledì 28 dicembre 2011

Franco Astengo: Fuori dal PD, oltre il PD

FUORI DAL PARTITO DEMOCRATICO, OLTRE IL PARTITO DEMOCRATICO
La formazione del Governo Monti ha rappresentato un indubbio elemento di novità all’interno del sistema politico italiano, al di là del suo pervicace procedere su di una linea liberista nell’affrontare la crisi il cui prezzo sarà pagato interamente da masse popolari ulteriormente impoverite e al riguardo delle quali si pone ineludibile la necessità di affrontare la lotta politica recuperando per intero i termini, considerati ormai desueti invece sempre attuali, dell’antica “lotta di classe”.
In quest’occasione, però, ci limiteremo ad analizzare alcuni elementi riguardanti la dinamica del sistema politico, con particolare riguardo al Partito Democratico.
Partiamo da un assunto: il Partito Democratico non potrà rappresentare il soggetto di riferimento per un’alternativa che, invece, in collegamento con il quadro europeo, è necessaria e urgente per il Paese.
Andando per ordine è necessario valutare con attenzione un dato: il governo Monti rappresenta un dato di novità vera sotto due aspetti.
Il primo riguarda la sua natura “presidenziale”, di vera e propria ratifica dell’affermazione della Costituzione materiale sulla Costituzione formale: si è aperto, in questo modo, un interrogativo di fondo per le forze politiche. Andare avanti su questa strada e quindi affrontare il tratto che separa la Repubblica parlamentare da una Repubblica presidenziale? Oppure tornare immediatamente all’indietro e ripristinare sul serio i meccanismi istituzionali della Repubblica Parlamentare?
Il secondo elemento riguarda il futuro: quale segno politico questo Governo vorrà lasciare a livello di sistema? E’ indubbio che, al di là delle candidature dei singoli, in questo senso qualcosa andrà muovendosi, indipendentemente se le elezioni saranno anticipate al 2012 (in questo caso, a maggior ragione, essendo- nell’eventualità di questo scenario – il governo caduto “da destra”, si renderà necessario reperire una forma di presentazione elettorale del dicastero) oppure se si arriverà al 2013 (in questo caso, al di là della qualità della “missione compiuta” appare difficile reperire in giro il Cincinnato di turno).
Allora appare evidente che la formazione del Governo Monti e l’esito della prima fase della sua attività chiama i partiti a un rapido riallineamento sistemico: di questo fatto si sono già accorti tempestivamente Lega e IdV, collocandosi immediatamente all’opposizione e candidandosi alla rendita che fisiologicamente questo tipo di posizione assegna a chi la occupa e il “Terzo Polo” che, al contrario si candida, a essere il soggetto politico costitutivo del “farsi carico” dello imprinting espresso dal Governo Monti ai fini di una trasformazione in fattore elettorale.
In questo quadro il PDL appare prigioniero della sorta di “ridotta della Valtellina” in cui il suo leader tende a trasformare il Partito (non a caso abbiamo parlato di “caduta da destra” possibile per il nuovo Governo), ma sono molti i topastri pronti ad abbandonare la nave prima del naufragio.
In netto ritardo il PD, appunto, mentre a sinistra pare non si voglia prendere atto della difficoltà evidente che incontra la linea politica elaborata da SeL, sia rispetto alle primarie, sia rispetto al rinnovo di un’alleanza di centrosinistra nei termini di “Nuovo Ulivo” e appare molto complessa la ricerca di una modalità utile per il necessario rientro in Parlamento di una componente che faccia riferimento all’eredità della “sinistra storica” rivolgendosi nello stesso tempo, con una qualche efficacia ai nuovi movimenti sociali, sia di tipo politico (pensiamo alla spinta dal basso che si è verificata in occasione delle elezioni amministrative, in particolare a Napoli e Milano), sia al riguardo del tema dei “beni comuni”, sia della richiesta di mobilitazione dal basso e di nuova partecipazione democratica (popolo “viola”, movimento 5 stelle).
Proprio il PD è chiamato, però, per le sue dimensioni e le ambizioni dei suoi dirigenti, ad aprire la riflessione più accurata.
Molto modestamente, in quest’occasione, proponiamo sei punti di dibattito:
1) Al di là del tema della “fusione fredda” (o della d’alemiana “amalgama non riuscita”), nel PD si nota l’assenza completa di una proiezione di tipo internazionale (la perlomeno ambigua collocazione al Parlamento Europeo appare fortemente indicativa, sotto quest’aspetto).I DS avevano comunque tentato se si pensa all’“Ulivo Mondiale” (formula un po’ pretenziosa per la verità). Adesso si nota un respiro appena provinciale, una sostanziale incapacità di muoversi su di un terreno più ampio. La gestione della crisi è stata portata avanti, sempre per esempio, senza che si sia notato un passo perlomeno significativo a livello europeo. Perché quando Merkel e Sarkozy hanno preso in mano la gestione europea in forma dualistica, non si è proposto un passo comune, ad esempio a SPD e PSF.?Questo per limitarci all’Europa. Quali rapporti, tanto per andare avanti ad esempi, ha il PD con le forze democratiche del BRIC e quale politica di vicinato propone all’Europa nell’area mediterranea?
2) Il secondo limite sul quale il PD dovrebbe interrogarsi a fondo risiede nell’essere nato, sul piano della “mission” esclusivamente sul terreno della “governabilità” a pieno scapito del concetto di rappresentanza esordendo , alle elezioni del 2008, con un tentativo di bipartitizzazione del sistema, forzando lo schema bipolare per coalizione al quale gli elettori si erano abituati votando con il sistema misto del 2003 (ricordate “bipolarismo per caso”, ecc., ecc.). L’idea della “vocazione maggioritaria” si è rivelata a questo modo assolutamente sciagurata e la sconfitta del 2008 di proporzioni esiziali, quasi delle dimensioni di quella subita dal Fronte Popolare nel 1948. Nella sostanza con la “vocazione maggioritaria” si è favorito l’avversario, non vedendo l’articolazione esistente nel rapporto tra il sistema politico e la società. Un errore grave, non rimediabile a tavolino con la continuità sostanziale del gruppo dirigente, al vertice come in periferia;
3) L’idea della governabilità quale unico riferimento per la vita del Partito, oltre a dar vita a fenomeni personalistici sinceramente imbarazzanti (ad esempio quello riguardante il sindaco di Firenze, Renzi) ha impedito al PD, oltre alla già citata verifica della mutazione delle fratture sociali, anche la possibilità di afflusso nel Partito di nuovi soggetti non interessati a collocazioni istituzionali e di governo, ma interessati a far valere collettivamente le ragioni di determinate istanze sociali;
4) In collegamento al punto tre va chiarito come il rapporto tra concetto di governabilità e realtà della base sociale, abbia fatto intendere il PD quasi come una sorta di soggetto formatore delle “liste d’attesa” per ruoli istituzionali e di sottogoverno, in particolare e in una dimensione molto forte, alla periferia, anziché come luogo di militanza politica. Un fattore questo sulla base del quale si sono originati anche episodi legati all’intreccio tra questione politica e questione morale, non ancora risolti, dal caso “Sesto San Giovanni” a quello della giunta pugliese;
5) Il PD non è riuscito a realizzare un’ipotesi di “partito nazionale” (nella concezione che molto opportunamente porta avanti Ilvo Diamanti). Esiste , infatti, una discrasia molto forte fra la composizione, indubbiamente interclassista, del partito e la base elettorale ancora concentrata prevalentemente nelle antiche roccaforti “rosse” del Centro Italia e di alcune città ex-industriali come Genova. Come può un Partito che pretende di essere “a vocazione maggioritaria” ottenere all’incirca il 10% dei voti in zone nevralgiche del Paese, in particolare al Sud?
6) Infine: la riflessione che c’è capitata di proporre in quest’occasione appare urgente e indispensabile alla vigilia di un probabile riallineamento del sistema. In questo senso come sta la discussione collettiva nel PD? Come funzionano i suoi organismi dirigenti, al di là delle dichiarazioni e delle interviste di questo/a o di quello/a, considerato che nel corso di questi ultimi mesi abbiamo annotato pochissime o quasi nessuna presa di posizione degli stessi organismi dirigenti? Come sono valutate le primarie che, nel caso genovese, appaiono davvero lo sfogatoio per improbabili ambizioni personali e faide di corrente?
Savona, li 27 dicembre 2011 Franco Astengo

7 commenti:

claudio ha detto...

Caro Astengo: il problema non è il partito democratico, piuttosto che altre formazioni politiche di sinistra più o meno avanzata. Il problema è che l'Italia deve agganciare il suo vagone al treno del PSE che si sta formando, in ritardo e con fatica, ma sta cominciando a muoversi, mentre noi siamo ancora a discutere " no, quel treno no, dobbiamo aspettare che se ne formi un altro". E per il sindacato europeo non c' 'è nessun treno neanche nelle rimesse

luigi ha detto...

Caro compagno Claudio,
non mi stancherò mai di ripeterlo noi del GdV e NSE e Lega dei
socialisti dobbiamo scrivere un documento-manifesto (sintetico) da
condividere con i compagni iscritti al PD SEL PSI per sostenerli
nella loro azione interna ad ognuno dei tre partiti, chiedendo
adesioni ad altri compagni - del PD e di SEL ex PCI sensibili al
discorso dell'adesione al PSE.
Provando e riprovando finantanto che non le avremo tentate tutte da
qua in avanti un po' prima delle elezioni politiche (di quelle
europee poi si vedrà, tanto vedremo se ancora ci sarà l'U.E.).
Poi se tutti gli sforzi nostri saranno caduti nel nulla ... ebbene
dovremo ripartire ... con un nuovo movimento di sinistra socialista
ma con radici antiche forti.
Un socialista dialogante fraterno saluto.
Luigi Fasce

felice ha detto...

1)La polemica sulla trasformazione in senso presidenziale della nostra forma
di governo è tipica di un modo italiano di banalizzare problemi seri. La forma
di governo deriva dai rapporti che si instaurano tra i vertici dei poteri dello
Stato e segnatamente tra(secondo il mio ordine di importanza) Parlamento, Capo
dello Stato e Governo. Nella nostra Costituzione è chiara la scelta tra le
varie forme di governo a favore di quella parlamentare. Questa scelta in
concreto si esprime in vari modi, determinati dal sistema politico e anche
dalla personalità degli attori: basta pensare a un De Gasperi.

felice ha detto...

Possiamo quindi
avere di fatto o per scelta una forma di governo parlamentare , di cui quella
semi-presidenziale è una variante, a prevalenza del primo ministro o del Capo
dello Stato. La prevalenza del Primo Ministro è stata una scelta attuata con la
legge elettorale, cioè una legge ordinaria, mentre il ruolo del Capo dello
Stato è una questione di fatto. La prevalenza del Primo Ministro non è estranea
alla forma di governo parlamentare( Gran Bretagna, Germania e Spagna per fare
alcuni esempi), ma nel caso italiano si è giunti a quella scelta con forzature
della Costituzione formale, quali la quasi elezione diretta, accompagnata da un
premio di maggioranza esagerato e dalle liste bloccate, formate, imposte o
comunque avallate dal candidato alla carica di Primo Ministro, in assenza di
ogni contrappeso costituito dal suo stesso partito politico. Il Premier
britannico può, invece, essere sostituito in ogni tempo, dal congresso del suo
partito. La legge elettorale italiana ha ucciso il Parlamento e questo non è
possibile e soprattutto illegittimo se si vuol restare nella forma di governo
parlamentare. Quando si scriverà la storia della Seconda Repubblica si
individueranno i responsabili della degenerazione non solo nei capi partito, ma
anche negli organi di stampa, con i loro direttori ed editorialisti che hanno
appoggiato l’elezione diretta dei vertici esecutivi, ma fatto ancor più grave,
nella complice ignavia della magistratura, compresa quella costituzionale.

felice ha detto...

Il
Parlamento non è mai stato centrale a causa della Partitocrazia, ma di partiti,
caso unico in Europa, non regolati da alcuna legge, come invece avrebbe
richiesto l’art. 49 della Costituzione. Il ruolo del Capo dello Stato si è
espanso per la perdita di credibilità del Primo Ministro e l’assenza di
legittimazione di un Parlamento di nominati. Senza una riforma dei partiti
ogni cambiamento della legge elettorale non produrrà alcun effetto, compresa la
reintroduzione delle preferenze, questo è il nodo, un nodo politico perché non
c’è bisogno di una legge per costituire un partito democratico, retto da organi
collegiali e partecipato ad ogni livello dai suoi militanti. Le primarie non
sono uno strumento salvifico, e neppure un’invenzione del diavolo, basta che
siano aperte e che rappresentino anche una scelta di programmi e non solo di
persone: vincere le primarie in ogni caso non è di per se sufficiente per
fondare una leadership. La riforma della legge elettorale non è al primo posto
nell’agenda, tanto per usare un eufemismo, al più se ne parla, in compenso di
una legge sui partiti non se ne parla neppure. D’altro canto non si può
chiedere ai tacchini di organizzare il menù del Giorno del Ringraziamento,
quindi i capi partito sperano di nominare i loro fedeli in Parlamento e le
seconde e terze file dei gruppi dirigenti sperano di essere tra i prescelti: è
più semplice e meno rischioso. Al di fuori nel contempo si agitano i populismi
demagogici più stupidi e violenti, che metteranno in discussione lo stesso
concetto di rappresentanza democratica.

felice ha detto...

2) In questo contesto politico-istituzionale tutti i partiti esistenti sono
sia i prodotti che i fattori della crisi, PD compreso. La crisi del PD è crisi
dell’opposizione, che dal PD non può prescindere. Le insufficienze del PD e le
sue contraddizioni paralizzano tutti gli altri soggetti, che ne approfittano
tatticamente, ma che vivendo nell’atteso di una sua scomposizione nel frattempo
non si organizzano. Significativo è il atto che non sia all’ordine del giorno
in termini concreti la costituzione di un soggetto politico nuovo nella
sinistra dello schieramento politico, né da parte di un partito che abbia come
riferimento il socialismo europeo organizzato nel PSE, né da parte di eredi del
filone storico PCI,PDS e DS e neppure frutto della capacità di incontrarsi di
questi due filoni: l’ultimo tentativo Sinistra e Libertà delle Europee 2009 è
finito male coe sappiamo. Il PD non si scomporrà a meno che le intenzioni di
voto che raccoglie non dovessero crollare drasticamente. Al momento è la
miglior macchina di consenso disponibile nel centro- sinistra: chi aspiri a
cariche elettive o di nomina politica ha la maggiore probabilità di conseguirle
stando in quel partito: Milano è un esempio. Il PD ha perso le primarie, ma ha
la maggioranza del gruppo consiliare della coalizione del Sindaco. Se l’
obiettivo di un partito non è la realizzazione di un progetto ideale di società
o più modestamente di un suo progetto sistematico di riforme programmatiche, ma
di gestire il potere empiricamente il PD è una formazione ideale, perché
proprio l’assenza di un corpo ideologico strutturato è la sua forza e gli
consente alleanze variabili dalla foto di Vasto al modello Marche: la garanzia
di questa centralità sono proprio i sistemi elettorali nazionali, regionali e
delle autonomie territoriali.
3) Il PD è anche il riferimento concreto dei partiti socialisti europei per il
suo radicamento territoriale, sia pure non paragonabile a quello degli antichi
PCI e PSI ( costruire luoghi comuni di discussione e confronto, ma dai quali
nascano iniziative comuni di militanti, quadri e dirigenti dei partiti eredi
dei filoni storici della sinistra, in primo luogo PD, Psi e SEL ma anche quei
settori della FdS impegnati nel progetto di costruzione del Partito del Lavoro,
militanti sindacali di CGIL e UIL e senza tessera, che devono essere la
maggioranza. Esempi ce ne sono dal precursore Gruppo di Volpedo nel Nord Ovest
d’Italia( uno dei primi sponsor del modello Pisapia) al Network per il
Socialismo Europeo ai comitati referendari per i beni comuni. Da una serie
molteplice di iniziative, che nelle forme ricorda quello che ha preceduto la
fondazione del Partito dei Lavoratori a Genova nel 1892, nascerà una possibile
risposta per una sinistra con vocazione maggioritaria, purché no si confonda
sinistra di governo con sinistra al governo o di sostegno al governo, qualunque
cosa sia o faccia. Nel 120° anniversario di Genova “RICOMINCIAMO DA CAPO” e
“RIPROVIAMOCI ANCORA”. Due parole d’ordine che ben si sposano con un pensiero
Maya ricevuto con gli auguri del Partito Socialista argentino di Cordoba: "Un
mundo nuevo no se crea en un solo intento, si no a través de sucesivos ensayos"
(Un mondo nuovo non si crea in un solo tentativo bensì attraverso prove
successive)
Nuβdorf am Attersee 30/12/2011

claudio ha detto...

voglio bene ai tanti amici che sono nel PSI, ma sotto l'1% si fa
etnologia, non politica. Oltre a tutto divisi tra chi vuol chiedere aiuto a
SeL (due gruppi) e chi al PD (altri due). In più sento oggi che Stefania
vuol fare il suo partito di reduci del PDL, e ha designato suo
rappresentante in Piemonte Daniele Cantore. Non si hanno per ora notizie di
Bobo, forse ancora esterrefatto di quel che ha combinato il suo amico e
designato Lavitola