E ora? Non resta che il PD
L’Italia si trova ad uno snodo cruciale della storia di quella che viene definita la “seconda Repubblica”. Il destino nostro peraltro incrocia il destino dell’Europa, meglio sarebbe dire dell’attuale UME, che si trova anch’essa ad affrontare un nodo ancora più cruciale in quanto si rischia di mancare l’obiettivo dell’unione politica, e non solo monetaria, fondamento dell’idea di costruzione elaborata dai padri costituenti in principio della seconda metà del secolo scorso. E forse non è per uno strano caso che i destini delle due comunità s’intrecciano, considerato che l’Italia rappresenta ancora oggi il settimo paese più industrializzato al mondo.
In Italia e in particolare negli ultimi dieci anni, a mio modo di vedere, la politica ha accusato notevoli ritardi rispetto ai cambiamenti richiesti e avanzati dalla società, ispirati da esigenze e istanze di maggiore libertà in materia di diritti civili e politici. Queste istanze sono state in qualche modo canalizzate nell’alveo degli schieramenti di centrodestra, falsamente rappresentate dal Pdl, e questo travisamento operato nel centrodestra è causa soprattutto della crisi odierna vissuta sul piano istituzionale. Che è cosa diversa dalla crisi economico-finanziaria, che origina sul piano internazionale, ma trova nell’economia italiana facile terreno di coltura. Nella situazione in cui ci troviamo, credo innanzitutto che andrebbero mantenuti fermi alcuni punti:
1. Il consolidamento della struttura politico-istituzionale in chiave moderna e quindi attraverso strutture di potere organizzate su fronti contrapposti. Il bipolarismo va salvaguardato, in una versione chiaramente che non sia quella becera messa in scena sul piano formale dell’immaginario collettivo. Occorre stabilire un’“etica del conflitto” che ci consenta di affrontare seriamente i problemi e laddove necessario risolverli con ricette anche condivisibili dagli opposti schieramenti. In tal senso, il governo Monti potrebbe rappresentare un pericolo, ma diversamente anche un’opportunità. La futura scomposizione e ricomposizione dei partiti politici potrebbe condurre ad un sistema organizzato intorno a due grossi schieramenti contrapposti di centrodestra e centrosinistra. In quest’ambito, il Pd è e sarà investito della funzione di catalizzatore e ha fatto bene Bersani ad evidenziarne ruolo e prospettiva allorchè durante l’esito della caduta del governo Berlusconi e la formazione del governo Monti ha ribadito e meglio precisato che il Pd “o è un partito riformista o non è”. In proposito, mi piace ricordare una definizione di Croce: “il riformismo è la versione liberale del socialismo”.
2. È giunto il tempo, ormai non più procrastinabile, in cui in Italia si avvii un processo di riforme, che veda il centrosinistra naturalmente protagonista. La crisi economico-finanziaria di cui si diceva prima ha attecchito anche in Italia, come del resto negli altri paesi europei ad eccezione ancora della Germania, a motivo si dice del debito pubblico elevato, che è ritornato, non a caso però, ai livelli del 1992. Tra i problemi, oltre l’alto tasso di evasione che l’ultimo governo Prodi aveva iniziato seriamente a fronteggiare, credo vi sia anche quello della (cattiva) spesa pubblica. Già nel 2007, Padoa Schioppa pubblicò con un pool di esperti un Libro verde con l’obiettivo della revisione della spesa ed è su questo punto che bisogna insistere a partire dai costi della politica cifrati in ordine al 15-20% della spesa pubblica attuale.
3. Il rinnovamento della classe dirigente è altro punto fondamentale. Il mondo è cambiato e gli attori protagonisti sulla scena non possono essere sempre gli stessi. Non è questione di “vecchi” e “giovani”, è questione di rinnovamento “culturale”, laddove con il termine deve intendersi il complesso dell’apparato che i vecchi filosofi del partito comunista chiamavano “sovrastruttura”. Oggi quella sovrastruttura è parte del sistema ed inter-agisce in termini “strutturali”; in proposito si guardi all’analisi ontologica che fu già di Heidegger e per quanto riguarda l’Italia, nel corso dell’ultimo trentennio, di Emanuele Severino.
23.11.2011
Angelo Giubileo
1 commento:
Già. Peccato che il PD sia imploso. In questo momento annovera ben 14 correnti, nessuna delle quali gestita con metodo democratico, men che meno che ponga il problema della democrazia interna di un partito tuttora governato dagli oligarchi che lo hanno fondato, e che designano tutti quelli che stanno sotto di loro Tanto odioso è questo sistema che le rare volte che si fanno delle primarie, il loro candidato non vince mai.
Nessuna delle 14 correnti, poi, pone in modo esplicito il tema dell'adesione al PSE. Insomma, se la tua proposta è di andare a costituire una quindicesima corrente, io ci sto. ma non ho grandi speranze.
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