venerdì 2 settembre 2011

Pierpaolo Pecchiari: la colpa del debito pubblico italiano

Nella generale pochezza del tragicomico dibattito sulla manovra finanziaria, ogni tanto qualcuno sente l'esigenza di ricordare (???) che questa classe politica di miserabili in fin dei conti paga colpe non sue, costretta a gestire in tempi di congiuntura economica difficile un debito pubblico generato da altri.
Ovviamente vengono chiamati in causa i babau della politica italiana, buoni per tutte le occasioni. Craxi e Andreotti, of course, in quanto paradigma della classe politica banditesca e partitocratica della Prima Repubblica (la stessa della Ricostruzione post-bellica, del boom degli anni '60, della tenuta della democrazia nel periodo tra Piazza Fontana e gli anni di piombo.

Purtroppo a volte la buona politica dovrebbe partire, come la buona ingegneria, da dati e cifre.

Per questo ho trovato estremamente interessante l'analisi sull'esplosione del debito pubblico italiano riportata in questo articolo. A sensazione erano cose cui la maggior parte di noi credo fosse già arrivata, per intuizione o per conoscenza, almeno parziale, di alcuni degli elementi che qui, però, sono messi in collegamento tra loro e supportati dal richiamo a serie di dati econometrici di fonte BankItalia.

Il risultato è sorprendente...

http://www.umanista.info/spip.php?article1

Secondo la vulgata corrente (cito testualmente l'articolo linkato) ..."in un paese poco «serio», «i ceti dirigenti pubblici» non riuscirono (o non vollero) «ricondurre rapidamente a ragione, nei limiti delle risorse disponibili» le spese sociali derivanti dalle contestazioni giovanili e operaie"... E questa non è l'analisi di Beppe Grillo, ma quella di Michele Salvati.

In realtà:


secondo le cifre della Banca d’Italia [4], la spesa primaria, cioè al netto degli interessi sul debito pubblico, fu quasi sempre inferiore: eccezion fatta per il biennio 1989-1990 in cui l’Italia sopravanzò leggermente la media europea, la spesa primaria nostrana non fece altro che arrancare lontano dietro gli altri paesi. Nessuna colpa perciò va attribuita alla "partitocrazia"
contrariamente a quanto accadde negli altri paesi dell'Europa Occidentale, in Italia si dovette aspettare il 1970 per l'istituzione della previdenza sociale a carattere obbligatorio, e il 1978 per l'introduzione del Sistema Sanitario Nazionale. Chi attacca la partitocrazia e le sue spese pubbliche dovrebbe, con onestà intellettuale, dirci che rinuncia a pensioni e assistenza sanitaria!
ancora peggio sul lato delle entrate, la riforma che introduce l'IRPEF è del 1974 ma ..."in seguito al mutamento della struttura delle imposte non fu infatti previsto nessun adeguamento dell’amministrazione tributaria, il che non poteva che condurre a ingenti difficoltà di riscossione del tributo"... Peggio ancora per l'IVA.

Se la classe politica della Prima Repubblica ha delle colpe, queste stanno nelle considerazioni sviluppate dall'autore dello studio sulle rendite finanziarie, del tutto esenti da imposte, legate ai BOT. E al furbo comportamento di alcune aziende italiane: ..."Si coniò una nuova espressione (BOT people) al fine di intrattenere l’illusione «democratica» secondo la quale i titoli di Stato sarebbero stati nelle mani di una miriade di piccoli risparmiatori. La realtà era ben diversa: nel 1985 oltre il 40% dei titoli in circolazione erano posseduti da banche e istituti di credito mentre secondo il comunista Napoleone Colajanni il 57% degli utili FIAT e il 62% degli utili Olivetti per il 1984 provenivano da interessi su titoli"...

La mia personale opinione è che, se la classe politica della Prima Repubblica ha un torto, è quello di aver provato ad avere la botte piena e la moglie ubriaca. Le riforme sociali legate a previdenza e sanità sono state finanziate non con un aumento di entrate da tasse e imposte, ma con l'indebitamento pubblico - e chi avrebbe dovuto, in ragione delle sue disponibilità, essere colpito dalla progressività dell'imposizione fiscale, ha invece evaso o eluso questa per lucrare rendite dagli interessi sui titoli del debito.

Ora, immaginare che questa sia stata una trovata da magliari e che la classe politica della Prima Repubblica non sapesse quello che stava facendo sarebbe fargli un torto enorme. In realtà quella classe politica si è trovata a dover fronteggiare - e questo nelle serie di dati econometrici non si trova - una sovversione di sinistra che ai tempi raccoglieva ampie simpatie e consensi, e un'eversione di destra capace di trovare connivenze e complicità in seno agli apparati dello Stato.
Probabilmente la sto facendo più semplice di quanto non sia, ma se ai tempi mi fossi trovato nella situazione di dover creare rapidamente consenso, disinnescando tutti i conflitti sociali, avrei fatto le stesse scelte.
Che il debito pubblico di oggi sia, davvero, il "costo della democrazia"?




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