mercoledì 7 settembre 2011

Franco Astengo: Le richieste della piazza rossa

LA RICHIESTA DELLA PIAZZA ROSSA
La giornata di ieri è stata contrassegnata, sicuramente, dal brillante risultato politico ottenuto dalla CGIL, con la riuscita dello sciopero generale e la conferma, netta e inequivocabile, dell’assoluta bontà delle ragioni che sono state messe in campo.
Purtuttavia è emerso un altro elemento che deve essere tenuto in forte considerazione all’interno del dibattito politico: mi permetto, dunque, di sottolinearlo inviando questo testo ad alcuni degli esponenti della sinistra italiana con i quali sono in contatto avanzando la proposta di sviluppare, finalmente, una discussione di merito.
Quella di ieri, complessivamente, può ben essere giudicata come una “Piazza Rossa”, non tanto nel senso ideologico, ma nel senso concreto della richiesta di proposta politica e, sicuramente in una dimensione parziale ma forte e importante, la CGIL ha svolto una funzione di supplenza rispetto all’esigenza di soggettività politica che oggi il “popolo di sinistra” esprime senza trovare soddisfazione in alcuna misura.
Insomma la “Piazza Rossa” del 6 settembre 2011 ha chiesto, ancora una volta, una presenza politica “forte” della sinistra italiana: una presenza politica che non c’è, il PD viaggia su altri lidi nonostante lo sforzo di alcuni sui dirigenti di essere presenti, su SeL, FdS e progetto di ricostituzione di un Partito Comunista cercherò di dire immediatamente di seguito.
SeL (in caduta libera nei sondaggi, per quel che questi valgono), appare un impasto delle intenzioni migliori sviluppate all'interno della sinistra italiana nel disastroso periodo seguito allo scioglimento del PCI e di una ricerca del “nuovo”, dell’“intreccio tra le contraddizioni post – materialiste”, che ansiosamente da qualche tempo si sta perseguendo nel tentativo di inseguire le profonde modificazioni sociali insorte nell'ultimo quindicennio e il mutamento, altrettanto profondo, verificatosi nel concreto dell'agire politico, sotto la spinta potente dei mezzi di comunicazione di massa, dell'uso spregiudicato della personalizzazione della politica che ha colpito la destra quanto la sinistra, della modifica delle regole elettorali in senso maggioritario e dell'elezione diretta nelle Regioni e negli Enti Locali.
Un’ansia che ha portato, nel linguaggio barocco che è stato adottato dal leader di questa formazione politica, a sostituire il concetto di contraddizione di classe con quelli di “speranza” e di “felicità”, costringendo la costruenda organizzazione ad adagiarsi in una sorta di “pre-politicismo” fortemente attivistico, finalizzato a scadenze non ancora ben definite sia nel tempo, sia nelle modalità operative (le primarie: il cui meccanismo concreto, comunque data la necessità che impongono i meccanismi della coalizione che s’intende obbligatoriamente perseguire, risulta nella disponibilità dei maggiorenti del PD).
Egualmente la Federazione della Sinistra appare incerta sul cammino da intraprendere (nuovo Partito Comunista, o costola massimalista-movimentista di un nuovo centrosinistra modellato, più o meno come l’Ulivo di un tempo?) e assolutamente marginale sul terreno della prospettiva di una qualche incidenza politica. Quando poi, nel progetto di ricostruzione di un Partito Comunista, si leggono tentativi di distinguo tra la fallita esperienza d’inveramento statuale dei fraintendimenti del marxismo sviluppatisi nel ‘900 ed esperienze ancora attuali sul piano dell’identità dello “Stato-nazione” come quella del “comunismo” (ci vuole coraggio!!) cinese, allora si comprende che la strada scelta appare essere, semplicemente, quella di una forzatura nominalistica utile soltanto per richiamare un certo tipo di simbologia, e non di più.
Vogliamo essere sinceri: serve ben altro per costruire un partito.
Servono, prima di tutto, le coordinate teoriche: la lettura del nuovo quadro internazionale (emerge un nuovo bipolarismo?) Oppure un multilateralismo asimmetrico? Quale ruolo, oltre che per Cina e USA, per l'UE, le “tigri asiatiche”, India, Sud America? ( Nell’esplosione della crisi finanziaria internazionale e nel suo drammatico prosieguo si è visto come manchi, da parte degli stati terzi rispetto alla superpotenza in carica e a quella ( o a quelle, ieri Rampini descriveva bene il ruolo dell’India) “in fieri” una sorta di “spirito di Bandung” che consenta di recuperare un assetto di confronto reale a quel livello, tenuto conto dell'ulteriore – profonda - “faglia” che attraversa il quadro delle relazioni internazionali sotto l'aspetto della presenza islamica); la proposta concreta di meccanismi economici all'altezza di affrontare la crisi sul piano della sua dimensione internazionale (stentiamo a definirla “globale”, sono troppe le disparità; nelle settimane scorse si è parlato di rilancio del keynesismo ma ci si accorge che le iniezioni di denaro pubblico servono a “salvare” le banche e quelli che la crisi l'hanno innestata, serve qualcosa di ben diverso); una lettura delle grandi disparità sociali presenti sia nelle parti del mondo “a capitalismo maturo”, sia nelle altre (la “contraddizione di classe” in forme che raccolgono la nuova realtà dell'intreccio di contraddizioni che il consumismo individualistico e le diverse condizioni dell'innovazione tecnologica hanno prodotto appare, comunque ben viva, non a caso si parla di “disfatta del valore di scambio”); il tema della guerra e della pace non può essere affrontato soltanto sul piano esigenziale (tutti siamo per la pace, se possibile la guerra resti lontano da casa nostra, così non ne sentiamo il rumore), ma un’azione concreta e incisiva sotto quest’aspetto reclama un rapporto con quel tema relativo al muoversi e al modificarsi dello scacchiere internazionale cui già si accennava, collegandolo al ruolo dei grandi organismi planetari e ai temi prioritari per il futuro del mondo: clima, ambiente, disponibilità energetica, beni comuni; l'immigrazione, da interi continenti verso il Nord del mondo, rimane questione fondamentale, sotto il profilo della dinamica complessiva cui si sta accennando, da collegarsi al tema complessivo delle relazioni internazionali e di una dimensione d’integrazione sociale, economica, culturale, politica di fortissimo profilo posta in modo da controbattere la crescita delle culture avversa di razzismo, xenofobia, respingimento; eguale dimensione riveste il tema ambientale che non può essere affrontato unilateralmente ma soltanto verificandolo alla luce di una profonda modificazione delle coordinate dello sviluppo e della crescita economica sul piano mondiale (senza credere alla favola della decrescita: si tratta di equilibrare lo sviluppo).
Questi soltanto alcuni dei tempi, ma ne rimangono ben altri sullo sfondo.
In chiusura mi permetto di richiamarne altri, almeno due.
Il primo, una volta avvenuta la rivendicazione di eredità delle parti migliori della “sinistra storica”, riguarda il tema europeo, attorno al quale non debbono esistere incertezze e/o venature di altro tipo: serve un collegamento europeo tentando di funzionare da punto di riferimento e di coesione tra la tradizione socialista e socialdemocratica e quella, originale sulla quale vale ancora la pena di spendere bagagli di riflessione accurata, del comunismo italiano e delle sue varianti critiche.
Un ritorno che può essere definito, impropriamente rispetto alla realtà storica, alla “terza via”? Potrebbe anche essere.
Il secondo riguarda il quadro politico interno, la vicenda italiana, la crisi profonda della nostra democrazia.
E' evidente come occorra un’alternativa alla “torsione demagogico – populistica” in atto e al tentativo di attacco alla Costituzione Repubblicana, alla quale concorrono anche “vocazionisti maggioritari” e “rottamatori” all’interno del PD, non a caso schierati con un referendum sulla legge elettorale che ci farebbe cadere dalla padella nella brace dei collegi uninominali in luogo delle liste bloccate (mantenendo queste ultime nella quota proporzionale): un modo come un altro per impedire la scelta diretta da parte degli elettori. Se poi si pensa, che rispetto a questo meccanismo, una nuova classe politica si possa esprimere attraverso le primarie ci si sbaglia di grosso: una nuova classe politica potrà imporsi prima di tutto evitando di centrare il proprio modo d’essere sull’elettoralismo e poi, tornando a Gramsci, con la fatica, l’impegno, lo studio, la conoscenza della realtà, nel suo profondo delle contraddizioni sociali.
La costruzione di un partito, di un soggetto politico organizzato, richiede elaborazione teorica, progettuale, programmatica, costruzione di solidi riferimenti organizzativi.
Al riguardo di quest'ultimo aspetto, allora, un riferimento conclusivo: guai se si pensa di costruire una rete di quadri e un gruppo dirigente sulla base dell'elettoralismo spicciolo e del personalismo di qualche presuntissimo “leader”.
Per costruire un partito servono tre condizioni di partenza: un gruppo dirigente, un quadro intermedio diffuso, una base militante.
Nessuno dei soggetti attualmente in campo, SeL, FdS, ricostituendo Partito Comunista (ma penso anche a Verdi e socialisti) dispone di tutti e tre questi indispensabili elementi e la richiesta venuta dalla Piazza Rossa ha dimostrato per intero questa realtà.
Ripetiamo per concludere: la costruzione di un quadro dirigente vero è affare di tempo, di studio, di fatica, di lontananza dalle luci della ribalta, di contatto quotidiano con la realtà del partito, dei lavoratori, della società civile, di apprendimento dei problemi di grande portata e quotidiani; infine di “umiltà”, dalle nostre non possono esserci “unti del signore” e neppure arroccamenti ideologici collocati in un’altra dimensione temporale
Serve un soggetto che rappresenti uno schieramento largo che renda l’idea di una “Costituente per l’alternativa” capace di costruire un “Programma Comune” e di condurre le lotte che servono qui e ora e che serviranno anche domani.

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