L’Aquila due anni dopo.
Alle prese col terremoto maggiore: un disegno vero per la ricostruzione economica
Stefano Rolando
Oggi è il 6 aprile. Da qualche giorno i media ci spiegano che questa data non è rilevante solo per la ricorrenza di San Celestino – papa del 400, amico di Sant’Agostino, tradizionalista e antieretico – ma per il ricordo dei 308 morti tra le macerie del terremoto dell’Aquila il 6 aprile del 2009 e per la verità scomoda di un centro storico che, dopo due anni, non ha ripreso a vivere. “Il centro storico dell'Aquila è morto, tra macerie e imprese in crisi” ha intitolato in questi giorni il Sole 24 ore. “L’Aquila anno zero” ha ribattuto La Repubblica. “L’Aquila dimenticata” il titolo del Corriere della Sera. Si sa, i giornali coloriscono. Mostrano più patologia residua che lenti processi di cambiamento. Ma le inchieste tra gli aquilani fanno capire che l’orologio della frenesia ricostruttiva si è fermato. Tutti parlano di soldi che non ci sono. Il governo parla di soldi che ci sono. Gli esperti (di ricostruzione e di governo) dicono che i soldi ci sono ma che manca la visione della ricostruzione. Dunque l’ombra dell’inerzia si stende dal cielo di primavera su questa città ferita e sulla sua sempre più pallida possibilità di essere capitale di qualcosa. Domani il presidente del Consiglio è atteso all’Aquila. Nessuno dubita del discorso che invaderà le agenzie. Sarà forte e rassicurante, sarà ottimista e di garanzia. Ci sono i soldi, ci sono i progetti, ci sono le volontà. Ma è solo “politico” il muro di diffidenza dei media e della gente?
Un passo indietro. A terremoto scoppiato – eravamo sul posto in una ricognizione del modo con cui poteri e cittadini costruivano nuove relazioni per sopravvivere e per sperare – un patto forte si stabilì tra il governo e la gente: le case, qui e ora. Il premier è forte in questo genere di patti. Ma anche le autorità locali (centrosinistra) aggiunsero la mano a croce su quella di Berlusconi. E la tensione generale riguardò essenzialmente il quadro abitativo “di ricambio” per eliminare i maggiori disagi e consentire in qualche modo la permanenza. Come sottovalutare una tale posta! Sei mesi dopo però serpeggiavano dubbi. Così non si rimette in moto davvero l’economia di una città già in declino. Riuscirà l’università – prima azienda locale – a riorganizzare l’offerta per i suoi 25 mila studenti? Riusciranno le imprese lesionate a riprendere la produzione? Riusciranno i commerci – anche decentrandosi - a non sospendere la filiera distributiva? Domande che furono oggetto di una seria indagine stimolata dal Ministero dell’Economia e condotta dall’Ocse che lo stesso Berlusconi, insieme al ministro Tremonti, presentò con giusta enfasi. Ricetta dura: ridisegnare l’economia – in quelle condizioni – non può significare breve termine. Bisogna ipotizzare ambiti di investimento praticabile e bisogna avere fiducia in progetti capaci di trasformare la condizione di rischio in una condizione di opportunità. Della dozzina di progetti che affiorarono da una selezione seria e partecipata, uno solo – l’Istituto del Gran Sasso per la ricerca di base – è sopravvissuto ad un percorso darwiniano. Laboratori, patti impresa-università, centri di restauro, sfruttamenti del sottosuolo, eccetera, con potenzialità di chiamata di partnership internazionale, tutto ciò è diventato neve al sole. Pur con la positiva creazione di una unità di missione affidata a mani competenti per superare ostacoli e generare operatività. Ora pare che anche quel solo progetto sopravvissuto non decolli per ritiro di fiducia del Ministero dell’Istruzione. Connettere soldi a risultati, si sa, non è effetto annuncio; e non è neppure burocrazia efficiente. E’ il frutto di una regia progettuale che sembra il fantasma dell’Italia contemporanea. Ha osservato la Svimez: non c'è nemmeno una cabina di regia per calcolare quante risorse finanziarie siano arrivate dopo il sisma. Lo stesso Sole 24 ore ha scritto “L’Aquila, metafora di un paese bloccato”. Ma, appunto, per l’evanescenza di una regia concreta e visionaria, anche l’esistenza di fondi non riesce a dare corpo a progetti concreti. Questa la cornice che dovrebbe oggi far fare al premier non un intervento rassicurativo, da campagna elettorale, ma un intervento churchilliano di coraggio imprenditoriale.
(stefano.rolando@iulm.it)
(opinione redatta per Finanza&Mercati)
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