dall'avvenire dei lavoratori
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Un po' oltre
questa fase
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di Andrea Ermano
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“Che ci facciamo noi laggiù?” – chiedono i media britannici al premier Cameron con riferimento alle operazioni militari in Libia. E sembra che già un mese fa da Londra siano partite un bel po’ di truppe speciali per preparare l'insurrezione, riferisce il Sunday Mirror. Un mese dopo, gli insorti di Bengasi sono stati sottratti al “bagno di sangue” ed è senza dubbio un bel risultato umanitario.
L'operazione Odissea all’alba non ha sortito effetti specifici sulla tirannia di Gheddafi, causando invece una scossa di assestamento nel “nuovo ordine mondiale”, con il quadrilatero Brasile-Russia-India-Cina (BRIC) che rivendica ormai una sua primazia di affidabilità a fronte dello scoordinamento euro-americano. Ora tutti si appellano alla “soluzione politico-diplomatica”, che prevedibilmente sarà fonte di nuove tensioni.
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Fatichiamo a cogliere l'esatta finalità di tutto questo. Proviamo allora a ripercorrere alcune notizie dell'ultimo anno, apparentemente disparate.
Nell’estate scorsa, mentre Mosca si vedeva assediata dagli incendi per siccità, giunse dal Cremlino la notizia secondo cui erano state sospese fino a nuovo ordine le esportazioni di grano, cosa che – diessero subito avveduti commentatori – avrebbe nuociuto all’Egitto, dipendente dalle forniture cerealicole russe.
Sempre nell'estate scorsa, quando Marchionne avviò il suo rilancio condizionato di Pomigliano d’Arco, presero a circolare strategie aziendali sulla nuova area emergente dell’economia globalizzata, che si estenderebbe dall’Iraq al Marocco.
In autunno si parlò della strana "campagna d’Africa" che Pechino porta avanti ormai da tempo con l’acquisto massiccio di terreni coltivabili, materie prime, beni alimentari ecc.
Sotto Natale siamo stati informati che incombeva sull’Africa e altre regioni povere del mondo uno spaventoso aumento dei prezzi alimentari. Era il risultato dell’embargo russo e del consumismo cinese nonché delle consuete speculazioni finanziarie (futures ecc.) che i nostri garzoni di borsa moltiplicano per ritagliarsi una fetta di lesso.
A febbraio ci siamo svegliati stupefatti: tumulti nel mondo arabo per il pane!
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Vent’anni fa, riflettendo sulla necessità di produrre energia senza rischiare nuove Cernobyl (e senza continuare a surriscaldare l'atmosfera), un fisico tedesco si accorse che i deserti della Terra ricevono dal Sole "in sei ore più energia di quanta l’umanità consumi durante un anno".
Quel fisico, il dottor Gerhard Knies, si mise al lavoro. E nel 2003 promosse un incontro informale tra la fondazione ecologista Hamburger Klimaschutz Fonds, il CNR del Regno di Giordania e il Club di Roma. Ne seguì un’intensa fase di studi, ricerche e sperimentazioni.
Nel 2009 un consorzio tedesco (formato da RWE, Eon, Deutsche Bank, MAN, Siemens e Schott Solar) ha istituito la Desertec Foundation, con una proiezione di spesa pari a 400 miliardi di euro e l’obiettivo di produrre “fino al 15% del fabbisogno energetico euroccidentale” (http://www.desertec.org/de/globale-mission/).
Nel novembre scorso è stata inaugurata in Marocco la prima centrale elio-elettrica. In sostanza si tratta di una macchina a vapore, gigantesca, costituita da ordini di specchi parabolici che convogliano la luce su lunghi sifoni cilindrici dai quali, grazie all’elevata temperatura, fuoriesce un getto continuo di vapore che aziona speciali turbine idroelettriche.
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"Desertec" è in sostanza un mega-sistema di macchine a vapore, che si fonda su ordini di specchi parabolici che convogliano la luce solare su lunghi sifone cilindrici capaci di vaporizzare l'acqua per le turbine elettriche (v. foto sopra e http://www.desertec.org/en/concept/technologies/). Nell'immagine qui sotto la rete energetica prevista nel progetto. Nel novembre scorso è stata inaugurata in Marocco la prima centrale di questo tipo (produzione giornaliera pari a 20 megawatt).
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Due ex ministri degli esteri italiani, Massimo D’Alema e Gianfranco Fini, ci hanno spiegato che, grazie a queste nuove tecnologie, il deserto libico può produrre energia elettrica quanta ne basta per l’Africa e l’Europa messe assieme.
È perciò che il Parlamento unanime (con l'eccezione di Furio Colombo e dei radicali) ha stipulato il famoso contratto d’amicizia con Gheddafi? In caso affermativo, sia lecito chiedere a chi di dovere se questo "capolavoro di diplomazia" bipartisan sia avvenuto come solitario colpo di genio italico o all’interno di un solido quadro di alleanze.
Frattanto, la Banca mondiale ha stanziato qualche miliardo di dollari nella cosa. Anche la Francia ha attivato un suo progetto, il Transgreen. Lo stesso vale presumilmente per diversi altri paesi. Insomma, si profila una corsa allo sfruttamento energetico dei deserti.
E l’immane tragedia giapponese può avere impresso alla dinamica una brusca accelerazione, soprattutto in conseguenza del ripensamento sul nucleare da parte dell'opinione pubblica internazionale.
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Se è vero che i deserti della Terra ricevono energia pari a centinaia di volte il fabbisogno mondiale, come sostiene il dott. Knies, ne consegue che gli interessi energetici in ballo nella partita contro Gheddafi potrebbero superare la questione petrolifera tutta intera, e di qualche ordine di grandezza.
Il che, sul piano della valutazione storica, comporta un rischio di tensioni e guai molto seri. Evidentemente, occorre lavorare alla pacificazione dell’area mediterranea, senza egoismi nazionali, miopi e suicidi.
L’attuale crisi militare nasce in ultima analisi dalla carenza di pane nel Maghreb. Sicché l’Occidente – dopo avere mobilitato armi, aerei e missili per ragioni umanitarie – dovrebbe mettere ora coerentemente in atto un Piano Marshall per l’alimentazione umanitaria, l’educazione umanitaria, la ricerca umanitaria, il lavoro umanitario: “Si svuotino gli arsenali di guerra, sorgente di morte, si colmino i granai, sorgenti di vita per milioni di vite umane che lottano contro la fame!”.
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