sabato 19 marzo 2011

Lanfranco Turci: Perché non sono d'accordo con Formica

PERCHE’ NON SONO D’ACCORDO CON FORMICA

Non condivido l’analisi e il senso politico dell’appello di Formica ai socialisti che stanno nel centro destra. Pur non provenendo dalla storia socialista ,trovo che sia addirittura una contraddizione in termini l’espressione ,a meno che non si dichiari un uso della parola puramente indicativo e riferito ai passati biografici degli interessati.E invece non è questo l’uso che ne fa Formica che mostra di credere alla idea di una presunta identità comune ancora attuale,derivante dalla esperienza vissuta nel PSI storico .In questo modo Formica pare voler riaprire il tormentone dell’unità dei socialisti,che è una delle chimere e degli equivoci più persistenti della vita politica italiana dopo la crisi del ’92. Indagare perchè questo mito riappaia periodicamente nel dibattito politico richiederebbe di riprendere il discorso sulla fine traumatica del PSI,su cui pure giudizi più equilibrati sono stati formulati in occasione del recente anniversario della morte di Craxi.Giudizi che hanno riconosciuto che il PSI ha pagato in modo sproporzionato per le sue responsabilità nella corruzione del sistema politico dell’epoca.Richiederebbe di tornare sul rapporto di odio/amore fra PCI e PSI,che ha finito per alimentare faziose e contrapposte damnatio memoriae,l’una in nome del fallimento del comunismo sovietico,l’altra in nome di tangentopoli.Richiederebbe di tornare sulla mancata scelta del campo socialista europeo da parte del PCI al momento del suo scioglimento .Il fallimento ricordato da Formica del, che avrebbe potuto costruire la casa comune del grosso dei socialisti e dei comunisti e creare le premesse di un grande partito italiano del socialismo europeo,non aiutò certo a orientare a sinistra lo sbocco della crisi del PSI. Aiutò invece i nuovisti del PCI a evitare di fare i conti con la storia comunista,a evitare una discussione su ciò che era vivo e ciò che era morto del comunismo italiano. Col paradossale risultato che tutta la memoria del PCI fu sepolta tacitamente e immeritatamente sotto le fondamenta del PD,per aprire la strada a una sinistra debole e culturalmente inconsistente.Una sinistra che attraverso percorsi ulivisti è poi giunta a incontrare la terza via di Blair e altre componenti moderate del socialismo europeo nella fase della loro subalternità alla cultura liberista. Ma la ricostruzione di questi passaggi della nostra storia recente,che Bertinotti ha sintetizzato nella formula del doppio fallimento della sinistra radicale e del PD,non toglie nulla a quello che successe al momento della crisi del PSI. Intendo dire lo sbandamento che si verificò fra l’elettorato e i quadri socialisti in quel momento e lo spostamento a destra di una parte consistente di essi Quel fenomeno non si può spiegare solo con la reazione a quella che fu ritenuta una persecuzione giudiziaria,ma anche e soprattutto con una preesistenza di orientamenti culturali e sociali che andavano in quella direzione e che erano già presenti nel PSI degli ultimi anni.Si pensi al culto dei ceti rampanti,al ministerialismo a tutti i livelli,a una politica piegata alla conservazione del potere anche quando la caduta del muro di berlino avrebbe dovuto spingere Craxi a mosse più ardite.Di questo sbandamento si fecero tramite parte dei gruppi dirigenti provenienti dal PSI che spostarono competenze e clientele sotto la guida di Berlusconi.Un fenomeno impressionante di abbandono dei principi e degli ideali dichiarati fino a poco tempo prima,motivato da un anticomunismo esasperato che non bastava però a coprire il trasformistico riposizionamento di un largo ceto politico.Per questo lascia senza parole quanti stimano Formica, la sua intelligenza e passione di combattente della sinistra,sentirlo oggi elogiare questi capitani coraggiosi,esaltarne i tormenti,l’orgoglio,le ragioni della ribellione che li spinsero alla dell’area del centro destra,anche a costo di fare .Certo l’appello di Formica lascia trapelare anche lo sconforto derivante dalla sua esperienza personale, di chi ha scelto di .Ma questo sconforto non giustifica il fatto di giungere a definire i Cicchitto,i Sacconi,i Brunetta come gli eredi di< una scuola di liberi pensatori,di refrattari al dominio del potere e di ribelli alla subalternità sociale>Qui qualcuno potrebbe pensare che Formica stia scherzando e stia sfottendo con l’ironia sferzante che gli è propria gli zelanti mozzi della nave berlusconiana.Invece no,Formica parla sul serio e dice loro:ora tocca a voi .Siete i più bravi,avete salvato l’orgoglio socialista.Sbarcate il capitano rincoglionito al sicuro su qualche isola(che sia Antigua?) e mettete le vele al vento del .Qui forse comincia un discorso più serio.Io non so cosa Formica intenda per revisionismo politico e sociale.Sul piano istituzionale,da tempo egli sostiene che la crisi della prima repubblica deriva dal mancato adeguamento del nostro sistema costituzionale a una società che già dagli anni ’80 chiedeva di uscire dagli schemi della repubblica parlamentare basata sui tradizionali partiti di massa.Pare di capire che la via d’uscita dovrebbe essere una repubblica presidenziale e che questa mancata riforma,intuita ma non realizzata neppure dal Psi degli anni ruggenti,sarebbe alla base del disordine istituzionale della seconda repubblica,dell’indebolimento della politica,del peso crescente dell’antipolitica e dei giudici e della conseguente affermazione del capo carismatico.Devo dire che questo mi sembra un punto di vista parziale che non coglie la complessità della crisi.Alla cui base c’è una debolezza della politica ben più marcata e decisiva , portata alla luce dall’attuale crisi economica .Parlo della debolezza della politica di fronte al potere economico nazionale e internazionale.Una debolezza ormai di munga data ,incardinata nel modello stesso di Europa liberista uscito da Maastricht.Di questa debolezza la destra è l’interprete coerente,come si è visto nell’atteggiamento del governo,anche dei suoi ministri , nella vicenda Fiat.Ma anche la sinistra che va per la maggiore nel nostro paese dimostra una sua grave debolezza,perché il PD pare non avere più gli strumenti culturali,né la volontà politica per elaborare una sua risposta alternativa,autonoma e critica a questo potere,che sembra invece accettare come un dato neutrale e naturale,in nome di una visione irenica della modernità.Al di là di tutte le trasformazioni sociali e di costume degli ultimi anni,nasce prima di tutto da qui la debolezza della politica della sinistra e l’indebolimento del partito di massa,dal momento che hanno rinunciato a rappresentare e a organizzare gli interessi sociali colpiti,a cominciare dal mondo del lavoro.Se si abbandona una visione politicista e provinciale della crisi italiana,ci si accorge che c’è bisogno di un rilancio socialista,ma non nel senso del socialismo nominalistico e opportunistico dei cosiddetti socialisti berlusconiani,bensì nel senso del recupero di un punto di vista socialista sulla realtà del capitalismo globalizzato e di una autonomia di pensiero in confronto alla cultura liberista.E’ un processo già in atto in molti partiti socialisti europei,ma anche in Italia comincia a manifestarsi a sinistra e ai margini del PD.Sel ne è al momento il segnale più evidente,ma il processo è molecolare,fluido,si muove più in largo e in profondità.E ha fra i suoi protagonisti anche tanti militanti provenienti dalla storia socialista,che per quanto meno noti,mi sembrano ben più autentici testimoni della vitalità di quella storia in confronto ai< socialisti> che lavorano a contratto sotto Berlusconi.Il Network per il socialismo europeo che abbiamo recentemente avviato fra compagni di diverse provenienze e per fortuna anche fra giovani che non hanno vissuto né l’89,né il ’94 ,è una testimonianza significativa che qualcosa di nuovo si sta muovendo.

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