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lunedì 31 gennaio 2011
domenica 30 gennaio 2011
Peppe Giudice: Quei fischi stupidi alla Camusso
QUEI FISCHI STUPIDI ALLA CAMUSSO
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno sabato 29 gennaio 2011 alle ore 23.00.Scrive Emanuele Macaluso sulle Ragioni del Socialismo:
"A quanto pare gli scioperi della FIOM hanno segnato un successo di partecipazione. Questo è un fatto indubbiamente positivo anche perché era ed è in corso una campagna di demonizzazione della FIOM. Tuttavia, debbo dire che i fischi di parte dei lavoratori metallurgici di Bologna a Susanna Camusso sono un fatto grave, usato dai mezzi di comunicazione contro la stessa FIOM, e segnalano un orientamento preoccupante anche nei dirigenti di questo sindacato. La pretesa che la segretaria della CGIL dal palco in cui svolgeva un comizio proclamasse lo sciopero generale di tutte le categorie, ci dice come la deriva leaderistica che delega tutto al “capo” abbia contagiato anche parte dei lavoratori. Una decisione, quello dello sciopero generale, che appartiene ad organismi larghi e al giudizio dei lavoratori, chiamati alla lotta, non poteva essere preso dalla Camusso in comizio. Assurdo. Aggiungo che la partecipazione di Landini a iniziative politiche promosse da gruppi e riviste della sinistra radicale non mi sembra utile. Utile sarebbe un lavoro volto a una ripresa dell’unità sindacale. Senza la quale, i lavoratori, qualunque sia il loro sindacato di riferimento, conosceranno solo sconfitte e delusioni."
Condivido largamente la nota. Solo un appunto. Quelli che fischiavano molto probabilmente non erano operai metalmeccanici (c'è in proposito una nota della CGIL di Parma) ma qualche gruppo di autonomi notoriamente rompicoglioni che sono sempre stati contro la CGIL e pretendono di insegnare alla CGIL quello che deve fare.
Del resto Landini stesso ha minimizzato l'accaduto, affermando fra l'altro che la Camusso e il gruppo dirigente generale della CGIL non sono affatto contrari per principio allo sciopero generale. La stupidità è pensare che un segretario possa decidere di uno sciopero su un palco, senza aver consultato le altre categorie e senza aver tastato il polso degli iscritti.
Landini, rispetto a chi lo ha preceduto, è un leader che ha una caratura molto più sindacale "pragmatica" che non ideologica (Cremaschi). Però non c'è dubbio che la FIOM negli anni passati (proprio per colpa di Cremaschi) ha dato l'impressione di voler fondare una sorta di soggetto "antagonista" nel momento in cui Rifondazione entrava in crisi. Per cui alla fine nell'immaginario di qualcuno diventa il "nuovo Messia" della sinistra.
In Basilicata, al congresso regionale di SeL , qualcuno, strumentalmente, ha presentato un documento (molto confuso nelle sue indicazioni politiche) in cui ciò che risaltava era lo slogan "dobbiamo essere come la FIOM". Il documento ha raccolto consensi minoritari tra i delegati e serviva solo a fare la trattativa sui posti nel coordinamento regionale - non aveva alcuna nobiltà politica (molta vecchia politica tra gli ex rifondaroli).
Ma io ho sentito il dovere di intervenire in Congresso e dire a chiare lettere: " La FIOM non è il sindacato di SeL, nè SeL è il partito della FIOM. Nè sel può inervenire nella dialettica interna alla CGIL." Devo dire che ho avuto gli applausi della maggior parte della sala. Del resto riprendendo ciò che diceva Vendola al congresso di Firenze ho evidenziato che bisogna evitare ogni ritorno a forme di collateralismo. Partito e sindacato fanno ciascuno il suo mestiere nel difendere gli interessi e la dignità dei lavoratori. Noi giudichiamo sui fatti e sosteniamo sia la FIOM che la CGIL perchè nei fatti oggi loro difendono le ragioni del lavoro e della giustizia sociale.
Ho notato anche che la stampa (tutta la stampa) abbia voluto evidenziare la supposta frattura tra CGIL e FIOM. Che non esiste. Perchè su Mirafiori la Camusso e Landini hanno detto le stesse cose. Anzi se vogliamo la CGIL è stata più coerente, perchè ha detto ai lavoratori di andare a votare no. La FIOM non riconoscendo la validità del referendum avrebbe dovuto dare l'indicazione di non andare a votare.
Ma al di là di aspetti marginali io credo che sia nel nostro interesse di sinistra riformatrice e di governo avere una CGIL forte ed unitaria. La Fiom dovrebbe stare più attenta alle sue frequentazioni. Ha ragione Macaluso: ma che centra Micromega di Flores D'Arcais con le lotte dei lavoratori. Una rivista che in venti anni non si è mai occupata di temi sociali e di lavoro e fatta da "radical-chic" perniciosi. Sono due mondi che nulla hanno che vedere fra loro. Anzi sono proprio costoro che spingono ad enfatizzare i dissensi tra Fiom e Cgil per organizzare poi qualche altro bel girotondo.
Il 46% dei no sono una grande risorsa della democrazia e danno ossigeno ad una battaglia per rimettere al centro il tema del lavoro.
Io credo che uno sciopero generale possa essere utile in questa fase, ma non posso essere io a decidere ovviamente. DeL resto la CGIL di scioperi generali , sotto la segretaria Epifani, ne ha fatti diversi e spesso in solitusìdine. Probabilmente il "maledetto socialista" Epifani ha diretto la fese più a sinistra della storia della CGIL. Ma anche perchè la CGIL si è dovuta sobbarcare il peso della scomparsa della sinistra politica in questo paese.
Si è giustamente detto che in Germania Marchionne è stato cacciato. Un sindacalista della CGT francese ha detto in Francia Marchionne non avrebbe potuto imporre questo diktat, sia perchè in Francia i sindacati sono uniti (sono tre ma hanno un forte patto di unità) , sia perchè c'è una sinistra forte. Ed aggiungo io guidata da un partito socialista forte. In Italia abbiamo due sindacati gialli e nell'ambito politico Bersani e.....non ridete per favore ....Nencini!!!! Se non fosse per Vendola che pure avrebbe bisogno di un soggetto politico più largo e legato al PSE.
Alla fine, come possiamo notate, il tema dell'identità socialista della sinistra. è centrale, non è una astrazione. Ma va posto nel modo giusto.
La scomparsa della parola socialismo dall'orizzonte politico e culturale della sinistra, ha prodotto un PD (con un suo assessore toscano nominato segretario di un ectoplasma) senza identità e senza una posizione chiara sui temi centrali del lavoro e della giustizia sociale. Una sinistra radicaloide e movimentista che tali temi li rappresenta in modalità minoritarie protestatari e senza nessun rigore concettuale. Vendola sta cerando di riempire questo vuoto, ma per ora ha un partito che solo in parte segue il suo passo. Ed un partito che comunque si presenta come transitorio.
La ricostruzione di una forte cultura socialista, di una identità non ridotta ai recinti delle appartenenze storiche, serve a fornire una base ad una sinistra politica che sempre più dovrà essere il frutto di una ricomposizione e scomposizione dei soggetti attuali. Con il Network e gli altri strumenti a disposizione dobbiamo metterci l'anima.
PEPPE GIUDICE
.
.pubblicata da Giuseppe Giudice il giorno sabato 29 gennaio 2011 alle ore 23.00.Scrive Emanuele Macaluso sulle Ragioni del Socialismo:
"A quanto pare gli scioperi della FIOM hanno segnato un successo di partecipazione. Questo è un fatto indubbiamente positivo anche perché era ed è in corso una campagna di demonizzazione della FIOM. Tuttavia, debbo dire che i fischi di parte dei lavoratori metallurgici di Bologna a Susanna Camusso sono un fatto grave, usato dai mezzi di comunicazione contro la stessa FIOM, e segnalano un orientamento preoccupante anche nei dirigenti di questo sindacato. La pretesa che la segretaria della CGIL dal palco in cui svolgeva un comizio proclamasse lo sciopero generale di tutte le categorie, ci dice come la deriva leaderistica che delega tutto al “capo” abbia contagiato anche parte dei lavoratori. Una decisione, quello dello sciopero generale, che appartiene ad organismi larghi e al giudizio dei lavoratori, chiamati alla lotta, non poteva essere preso dalla Camusso in comizio. Assurdo. Aggiungo che la partecipazione di Landini a iniziative politiche promosse da gruppi e riviste della sinistra radicale non mi sembra utile. Utile sarebbe un lavoro volto a una ripresa dell’unità sindacale. Senza la quale, i lavoratori, qualunque sia il loro sindacato di riferimento, conosceranno solo sconfitte e delusioni."
Condivido largamente la nota. Solo un appunto. Quelli che fischiavano molto probabilmente non erano operai metalmeccanici (c'è in proposito una nota della CGIL di Parma) ma qualche gruppo di autonomi notoriamente rompicoglioni che sono sempre stati contro la CGIL e pretendono di insegnare alla CGIL quello che deve fare.
Del resto Landini stesso ha minimizzato l'accaduto, affermando fra l'altro che la Camusso e il gruppo dirigente generale della CGIL non sono affatto contrari per principio allo sciopero generale. La stupidità è pensare che un segretario possa decidere di uno sciopero su un palco, senza aver consultato le altre categorie e senza aver tastato il polso degli iscritti.
Landini, rispetto a chi lo ha preceduto, è un leader che ha una caratura molto più sindacale "pragmatica" che non ideologica (Cremaschi). Però non c'è dubbio che la FIOM negli anni passati (proprio per colpa di Cremaschi) ha dato l'impressione di voler fondare una sorta di soggetto "antagonista" nel momento in cui Rifondazione entrava in crisi. Per cui alla fine nell'immaginario di qualcuno diventa il "nuovo Messia" della sinistra.
In Basilicata, al congresso regionale di SeL , qualcuno, strumentalmente, ha presentato un documento (molto confuso nelle sue indicazioni politiche) in cui ciò che risaltava era lo slogan "dobbiamo essere come la FIOM". Il documento ha raccolto consensi minoritari tra i delegati e serviva solo a fare la trattativa sui posti nel coordinamento regionale - non aveva alcuna nobiltà politica (molta vecchia politica tra gli ex rifondaroli).
Ma io ho sentito il dovere di intervenire in Congresso e dire a chiare lettere: " La FIOM non è il sindacato di SeL, nè SeL è il partito della FIOM. Nè sel può inervenire nella dialettica interna alla CGIL." Devo dire che ho avuto gli applausi della maggior parte della sala. Del resto riprendendo ciò che diceva Vendola al congresso di Firenze ho evidenziato che bisogna evitare ogni ritorno a forme di collateralismo. Partito e sindacato fanno ciascuno il suo mestiere nel difendere gli interessi e la dignità dei lavoratori. Noi giudichiamo sui fatti e sosteniamo sia la FIOM che la CGIL perchè nei fatti oggi loro difendono le ragioni del lavoro e della giustizia sociale.
Ho notato anche che la stampa (tutta la stampa) abbia voluto evidenziare la supposta frattura tra CGIL e FIOM. Che non esiste. Perchè su Mirafiori la Camusso e Landini hanno detto le stesse cose. Anzi se vogliamo la CGIL è stata più coerente, perchè ha detto ai lavoratori di andare a votare no. La FIOM non riconoscendo la validità del referendum avrebbe dovuto dare l'indicazione di non andare a votare.
Ma al di là di aspetti marginali io credo che sia nel nostro interesse di sinistra riformatrice e di governo avere una CGIL forte ed unitaria. La Fiom dovrebbe stare più attenta alle sue frequentazioni. Ha ragione Macaluso: ma che centra Micromega di Flores D'Arcais con le lotte dei lavoratori. Una rivista che in venti anni non si è mai occupata di temi sociali e di lavoro e fatta da "radical-chic" perniciosi. Sono due mondi che nulla hanno che vedere fra loro. Anzi sono proprio costoro che spingono ad enfatizzare i dissensi tra Fiom e Cgil per organizzare poi qualche altro bel girotondo.
Il 46% dei no sono una grande risorsa della democrazia e danno ossigeno ad una battaglia per rimettere al centro il tema del lavoro.
Io credo che uno sciopero generale possa essere utile in questa fase, ma non posso essere io a decidere ovviamente. DeL resto la CGIL di scioperi generali , sotto la segretaria Epifani, ne ha fatti diversi e spesso in solitusìdine. Probabilmente il "maledetto socialista" Epifani ha diretto la fese più a sinistra della storia della CGIL. Ma anche perchè la CGIL si è dovuta sobbarcare il peso della scomparsa della sinistra politica in questo paese.
Si è giustamente detto che in Germania Marchionne è stato cacciato. Un sindacalista della CGT francese ha detto in Francia Marchionne non avrebbe potuto imporre questo diktat, sia perchè in Francia i sindacati sono uniti (sono tre ma hanno un forte patto di unità) , sia perchè c'è una sinistra forte. Ed aggiungo io guidata da un partito socialista forte. In Italia abbiamo due sindacati gialli e nell'ambito politico Bersani e.....non ridete per favore ....Nencini!!!! Se non fosse per Vendola che pure avrebbe bisogno di un soggetto politico più largo e legato al PSE.
Alla fine, come possiamo notate, il tema dell'identità socialista della sinistra. è centrale, non è una astrazione. Ma va posto nel modo giusto.
La scomparsa della parola socialismo dall'orizzonte politico e culturale della sinistra, ha prodotto un PD (con un suo assessore toscano nominato segretario di un ectoplasma) senza identità e senza una posizione chiara sui temi centrali del lavoro e della giustizia sociale. Una sinistra radicaloide e movimentista che tali temi li rappresenta in modalità minoritarie protestatari e senza nessun rigore concettuale. Vendola sta cerando di riempire questo vuoto, ma per ora ha un partito che solo in parte segue il suo passo. Ed un partito che comunque si presenta come transitorio.
La ricostruzione di una forte cultura socialista, di una identità non ridotta ai recinti delle appartenenze storiche, serve a fornire una base ad una sinistra politica che sempre più dovrà essere il frutto di una ricomposizione e scomposizione dei soggetti attuali. Con il Network e gli altri strumenti a disposizione dobbiamo metterci l'anima.
PEPPE GIUDICE
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Antonio Caputo: Lettera aperta a Spinelli, Travaglio, Santoro
Ho inviato a Santoro, Travaglio e Barbara Spinelli, che hanno indetto una "manifestazione" il 13 febbraio davanti al tribunale di Mlilano la lettera che allego..
Io credo che la Magistratura debba essere lasciata lavorare senza clamori, anche silenziosi, di "piazza", sine ira ac studio.
Il che non vuo dire affatto che non si debba difendere in tutti i modi, ciascuno al suo posto, lo Stato di diritto, per quel che ne rimane.
:Apriamo un dibattito sul significato di "pubblico" e di "giurisdizione in una stato di diritto.
:
Un caro saluto.
Antonio
Pregiatissimi Signori,
credetemi condivido integralmente il senitimento della Vostra e mia indignazione.
Condivido quanto Barbara Spinelli scrive sulla questione della moralia', che non vuol dire moralismo, ma Etica pubblica, etica universale e dunque laica e non ipocrita, dai tempi de La Stampa.
Condivido lo spirito sanguigno di Michele Santoro, al quale va la mia ammirazione.
Condivido l'annosa battaglia per la salvezza dello Stato di diritto, purtroppo in lenta e inesorabile dissoluzione, di Marco Travaglio.
Ma non condivido l'idea di una pubblica manifestazione, sia pure "silenziosa" dinanzi al Tribunale di Milano.
I Giudici vanno rispettati in tutti i sensi e non devono vedere intorno a se' maniifestazioni, inevitabilmente di "piazza", al di la' delle buone intenzioni.
Come si diceva un tempo: sine ira ac studio.
Anche questo rischia di essere populismo.
Le "mura della citta", per usare l'espressione di Eraclito, evocata da Piero Calamandrei per definire la "legalita", vanno mantenute fuori del certamen della "gente", che legittimerebbe o "giustificherebbe" "contromanifestazioni", che amplierebbero il baratro dell'incivilta' in cui sta precipitando il Paese.
E potrebbe anche risuonare, certo a sproposito e comunque ad accrescere la confusione, l'invettiva Sciasciana contro i professionisti dell'anti....
Tutto cio' non vuole dire affatto e implica in pieno che ciascuno di voi e di noi debba rimanere al proprio posto di combattimento, in cui ai trova, nella sua quotidiana esperienza di vita e professionale , per aiutare tuitti noi ad invertire la tendenza, ad "insorgere per risorgere", usando l'espressione dei partigiani di Giustizia e Liberta', nel 150 anniversario della tentata unificazione dell'Italia, sempre piu' divisa e confusa.
Altro che Unita': rieccheggiano le parole dei Vicere': Fatta l'Italia, facciamoci gli affari nostri!
Certo e' che se comunque deciderete di manifestare, saro' con Voi.
Antonio Caputo
Io credo che la Magistratura debba essere lasciata lavorare senza clamori, anche silenziosi, di "piazza", sine ira ac studio.
Il che non vuo dire affatto che non si debba difendere in tutti i modi, ciascuno al suo posto, lo Stato di diritto, per quel che ne rimane.
:Apriamo un dibattito sul significato di "pubblico" e di "giurisdizione in una stato di diritto.
:
Un caro saluto.
Antonio
Pregiatissimi Signori,
credetemi condivido integralmente il senitimento della Vostra e mia indignazione.
Condivido quanto Barbara Spinelli scrive sulla questione della moralia', che non vuol dire moralismo, ma Etica pubblica, etica universale e dunque laica e non ipocrita, dai tempi de La Stampa.
Condivido lo spirito sanguigno di Michele Santoro, al quale va la mia ammirazione.
Condivido l'annosa battaglia per la salvezza dello Stato di diritto, purtroppo in lenta e inesorabile dissoluzione, di Marco Travaglio.
Ma non condivido l'idea di una pubblica manifestazione, sia pure "silenziosa" dinanzi al Tribunale di Milano.
I Giudici vanno rispettati in tutti i sensi e non devono vedere intorno a se' maniifestazioni, inevitabilmente di "piazza", al di la' delle buone intenzioni.
Come si diceva un tempo: sine ira ac studio.
Anche questo rischia di essere populismo.
Le "mura della citta", per usare l'espressione di Eraclito, evocata da Piero Calamandrei per definire la "legalita", vanno mantenute fuori del certamen della "gente", che legittimerebbe o "giustificherebbe" "contromanifestazioni", che amplierebbero il baratro dell'incivilta' in cui sta precipitando il Paese.
E potrebbe anche risuonare, certo a sproposito e comunque ad accrescere la confusione, l'invettiva Sciasciana contro i professionisti dell'anti....
Tutto cio' non vuole dire affatto e implica in pieno che ciascuno di voi e di noi debba rimanere al proprio posto di combattimento, in cui ai trova, nella sua quotidiana esperienza di vita e professionale , per aiutare tuitti noi ad invertire la tendenza, ad "insorgere per risorgere", usando l'espressione dei partigiani di Giustizia e Liberta', nel 150 anniversario della tentata unificazione dell'Italia, sempre piu' divisa e confusa.
Altro che Unita': rieccheggiano le parole dei Vicere': Fatta l'Italia, facciamoci gli affari nostri!
Certo e' che se comunque deciderete di manifestare, saro' con Voi.
Antonio Caputo
Felice Besostri: Intervento all'assemblea dei socialisti del Nord Italia
Conferenza dei socialisti del Nord, Teatro Pier Lombardo, Milano 29 gennaio 2011
INTERVENTO del compagno Felice Besostri, della direzione nazionale PSI, portavoce del gruppo di Volpedo
C OMPAGNE E COMPAGNI
Una volta il settentrione era politicamente associato all'espressione “Vento del Nord”, con un preciso significato di rinnovamento per tutto il Paese.
Ora è ben altra l'aria che spira, non più dalle Alpi, ma dalla villa di Arcore: fetida e ammorbante per l'intera nostra nazione.
C'è un rapporto preciso tra il regime dei venti e la debolezza della sinistra in queste plaghe nordiche, una sinistra drammaticamente segnata dalla perdita di consensi popolari e tra i lavoratori: la caduta di tradizionali bastioni municipali nelle ultime tornate elettorali ne è il segno più evidente.
Se la sinistra italiana è la più debole d'Europa, quella del Nord ne è il ventre molle.
I destini dei socialisti, che lo vogliamo o no, sono strettamente legati a quelli della sinistra nel suo complesso e reciprocamente: anche se si tende a dimenticarlo da troppe parti
La questione socialista non è la questione dei socialisti, ma il problema finora non risolto della sinistra italiana. Il problema, lasciatemelo dire, che ha tenuto separata la sinistra italiana dalla corrente maggioritaria ed egemone nel resto d'Europa, quella di ispirazione socialista, socialdemocratica e laburista, ora raccolta nel PSE e nell'Internazionale Socialista.
Se il PSI e i socialisti variamente organizzati, come il Gruppo di Volpedo hanno una missione è quel la di convertire la sinistra italiana e non è solo un contributo di idee, che è richiesto, spesso ridotte a parole e niente più, ma un'identificazione in un'area politica, abbandonando ipotesi e tentazioni terzaforziste . Nella lacerazione drammatica tra classi sociali, con insopportabili divari nelle distribuzioni8 della ricchezza ( il 50% concentrata nelle mani del 10% della popolazione) i socialisti potrebbero essere il fattore di ricomposizione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi o apparentemente tali come il famoso popolo delle partite IVA.
Dopo il referendum alla FIAT Mirafiori si tratta anche di ricomporre lacerazioni tra i lavoratori. Il primo compito è quello, in quel caso specifico, ma è un insegnamento di carattere generale, di evitare che la divisione tra SI' e NO, diventi ancor più che politica o sindacale , morale.
Come accennato, se c'è una priorità è quella di aprire il confronto, anzi un dialogo, con chi,. Convinto o costretto, ha votato SI'.
L'indicazione socialista è chiara e semplice: ritrovare le strade dell'unità sindacale, che tutela al meglio i lavoratori.- Così è negli altri paesi europei, dove, pur nella reciproca autonomia, vi è una relazione costante e diretta tra il partito socialista democratico, dominante a sinistra e la centrale sindacale unitaria.
L'assenza di una sinistra europea, democratica e riformatrice si avverte anche in questa situazione, quando l'iniziativa a sinistra pare essere stata, impropriamente assunta da una federazione sindacale di categoria, come la FIOM, in una crescente esasperazione dei toni.- Chi non si allinea al 100% con la sua linea e parole d'ordine è messo sul banco degli accusati. E' successo persino con la segretaria generale della CGIL, la compagna Susanna Camusso, cui va tutta la nostra solidarietà personale e politica, perché giustamente e responsabilmente non lancia la paro0la d'ordine dello sciopero generale durante un comizio.
Psicologicamente si può capire una sinistra sconfitta pesantemente nelle urne, che cerchi di uscire dalle proprie frustrazioni a qualsiasi costo. In settori della sinistra, per fortuna ancora minoritari, si pensa di trarre spunto o ispirazione dai fatti tunisini o, ancor più egiziani ( gli albanesi son a guida socialista). Nel disegnare alternative politiche si deve scegliere se l'Italia è un paese vincolato all'Europa o sprofondato nel mediterraneo più arretrato. In Europa i cambiamenti politici si perseguono nelle urne e con la mobilitazione politica pacifica dell'opinione pubblica e non con la violenza in piazza. Senza negare la nostra solidarietà ai popoli tunisino ed egiziano, come socialisti non possiamo aderire e nemmeno giustificare una deriva terzomondista in Italia, ma con uno stato d'animo pieno di amarezza dobbiamo dire, che il miglior antidoto all'estremismo sterile sarebbe stato l'esistenza di una sinistra rinnovata e ristrutturata: la sinistra che non c'è e che dovrebbe esserci. Una sinistra di respiro nazionale ed europeo, che fosse in grado di rappresentare una credibile alternativa al regime berlusconiano, capace di incanalare e dare uno sbocco all'indignazione e al senso di giustizia, libertà e maggior eguaglianza della popolazione italiana, in particolare della generazione senza futuro dei giovani, studenti, precari o disoccupati.
Il PSI ha un ruolo essenziale da giocare, come unico membro italiano del PSE e dell'Internazionale Socialista, nella cui costellazione ricopre un ruolo di prestigio la compagna Pia Locatelli, Presidente dell'Internazionale delle Donne Socialiste e, come tale, Vice-presidente dell'IS.
Se non collochiamo nettamente a sinistra il PSI con i suoi valori, che lo distinguono dalle altre sinistre, rinunciamo al nostro unico ruolo significativo.
In altre parole il PSI non può, parafrasando Cyrano de Bergerac, limitarsi ad essere un apostrofo rosa tra PD'e UDC.
Le prossime elezioni municipali in grandi città come Milano, Torino e Bologna saranno il banco di prova della capacità di allargare un'area socialista forte e plurale e del ruolo di rinnovamento della Sinistra dei socialisti italiani.
INTERVENTO del compagno Felice Besostri, della direzione nazionale PSI, portavoce del gruppo di Volpedo
C OMPAGNE E COMPAGNI
Una volta il settentrione era politicamente associato all'espressione “Vento del Nord”, con un preciso significato di rinnovamento per tutto il Paese.
Ora è ben altra l'aria che spira, non più dalle Alpi, ma dalla villa di Arcore: fetida e ammorbante per l'intera nostra nazione.
C'è un rapporto preciso tra il regime dei venti e la debolezza della sinistra in queste plaghe nordiche, una sinistra drammaticamente segnata dalla perdita di consensi popolari e tra i lavoratori: la caduta di tradizionali bastioni municipali nelle ultime tornate elettorali ne è il segno più evidente.
Se la sinistra italiana è la più debole d'Europa, quella del Nord ne è il ventre molle.
I destini dei socialisti, che lo vogliamo o no, sono strettamente legati a quelli della sinistra nel suo complesso e reciprocamente: anche se si tende a dimenticarlo da troppe parti
La questione socialista non è la questione dei socialisti, ma il problema finora non risolto della sinistra italiana. Il problema, lasciatemelo dire, che ha tenuto separata la sinistra italiana dalla corrente maggioritaria ed egemone nel resto d'Europa, quella di ispirazione socialista, socialdemocratica e laburista, ora raccolta nel PSE e nell'Internazionale Socialista.
Se il PSI e i socialisti variamente organizzati, come il Gruppo di Volpedo hanno una missione è quel la di convertire la sinistra italiana e non è solo un contributo di idee, che è richiesto, spesso ridotte a parole e niente più, ma un'identificazione in un'area politica, abbandonando ipotesi e tentazioni terzaforziste . Nella lacerazione drammatica tra classi sociali, con insopportabili divari nelle distribuzioni8 della ricchezza ( il 50% concentrata nelle mani del 10% della popolazione) i socialisti potrebbero essere il fattore di ricomposizione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi o apparentemente tali come il famoso popolo delle partite IVA.
Dopo il referendum alla FIAT Mirafiori si tratta anche di ricomporre lacerazioni tra i lavoratori. Il primo compito è quello, in quel caso specifico, ma è un insegnamento di carattere generale, di evitare che la divisione tra SI' e NO, diventi ancor più che politica o sindacale , morale.
Come accennato, se c'è una priorità è quella di aprire il confronto, anzi un dialogo, con chi,. Convinto o costretto, ha votato SI'.
L'indicazione socialista è chiara e semplice: ritrovare le strade dell'unità sindacale, che tutela al meglio i lavoratori.- Così è negli altri paesi europei, dove, pur nella reciproca autonomia, vi è una relazione costante e diretta tra il partito socialista democratico, dominante a sinistra e la centrale sindacale unitaria.
L'assenza di una sinistra europea, democratica e riformatrice si avverte anche in questa situazione, quando l'iniziativa a sinistra pare essere stata, impropriamente assunta da una federazione sindacale di categoria, come la FIOM, in una crescente esasperazione dei toni.- Chi non si allinea al 100% con la sua linea e parole d'ordine è messo sul banco degli accusati. E' successo persino con la segretaria generale della CGIL, la compagna Susanna Camusso, cui va tutta la nostra solidarietà personale e politica, perché giustamente e responsabilmente non lancia la paro0la d'ordine dello sciopero generale durante un comizio.
Psicologicamente si può capire una sinistra sconfitta pesantemente nelle urne, che cerchi di uscire dalle proprie frustrazioni a qualsiasi costo. In settori della sinistra, per fortuna ancora minoritari, si pensa di trarre spunto o ispirazione dai fatti tunisini o, ancor più egiziani ( gli albanesi son a guida socialista). Nel disegnare alternative politiche si deve scegliere se l'Italia è un paese vincolato all'Europa o sprofondato nel mediterraneo più arretrato. In Europa i cambiamenti politici si perseguono nelle urne e con la mobilitazione politica pacifica dell'opinione pubblica e non con la violenza in piazza. Senza negare la nostra solidarietà ai popoli tunisino ed egiziano, come socialisti non possiamo aderire e nemmeno giustificare una deriva terzomondista in Italia, ma con uno stato d'animo pieno di amarezza dobbiamo dire, che il miglior antidoto all'estremismo sterile sarebbe stato l'esistenza di una sinistra rinnovata e ristrutturata: la sinistra che non c'è e che dovrebbe esserci. Una sinistra di respiro nazionale ed europeo, che fosse in grado di rappresentare una credibile alternativa al regime berlusconiano, capace di incanalare e dare uno sbocco all'indignazione e al senso di giustizia, libertà e maggior eguaglianza della popolazione italiana, in particolare della generazione senza futuro dei giovani, studenti, precari o disoccupati.
Il PSI ha un ruolo essenziale da giocare, come unico membro italiano del PSE e dell'Internazionale Socialista, nella cui costellazione ricopre un ruolo di prestigio la compagna Pia Locatelli, Presidente dell'Internazionale delle Donne Socialiste e, come tale, Vice-presidente dell'IS.
Se non collochiamo nettamente a sinistra il PSI con i suoi valori, che lo distinguono dalle altre sinistre, rinunciamo al nostro unico ruolo significativo.
In altre parole il PSI non può, parafrasando Cyrano de Bergerac, limitarsi ad essere un apostrofo rosa tra PD'e UDC.
Le prossime elezioni municipali in grandi città come Milano, Torino e Bologna saranno il banco di prova della capacità di allargare un'area socialista forte e plurale e del ruolo di rinnovamento della Sinistra dei socialisti italiani.
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Dilagante - «La cocaina dilagante è un simbolo dell'avvelenamento a cui tutti soggiaciamo.» - Dino Segre (Pittgrilli)
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Inaudita - «La società erotico-pubblicitaria in cui viviamo si adopera a organizzare il desiderio, a sviluppare il desiderio in proporzioni inaudite, mantenendo la soddisfazione nella sfera della vita privata. Perché la società funzioni, perché la competizione continui, bisogna che il desiderio cresca, si estenda e divori la vita degli uomini.» - Michel Houellebecq
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EDITORIALE
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Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre?
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di Andrea Ermano
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L’enorme debito pubblico italiano è il dagherrotipo contabile dei lussi che generazioni più anziane si sono concesse scommettendo sulla Crescita (infinita) dell’economia nazionale.
Senonché, verso la fine dei vituperati anni ottanta, la Crescita si è prima raffreddata, poi arrestata e, infine, con il sopraggiungere della crisi finanziaria, invertita in Decrescita.
Il debito fin qui contratto per i lussi di noi vecchi, se lo dovranno caricare sulle spalle le generazioni a venire. In altre parole: stiamo commettendo un furto ai danni dei giovani.
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Riflettendo a quanto sopra, l’ex premier Giuliano Amato ha recentemente proposto di introdurre un prelievo fiscale straordinario da operare sui grandi patrimoni, appartenenti al terzo più abbiente della nazione. Beninteso, non stiamo parlando di redditi, ma soltanto di ricchezze accumulate, e non stiamo parlando di tutti gli italiani, ma solo del terzo più ricco.
Il terzo più ricco degli italiani è molto ricco. Grazie a un contributo, tutto sommato modesto, diciamo diecimila euro pro capite annui, i più fortunati potrebbero, in cinque anni, aiutare l’Italia a ridurre il disavanzo al 60-80% del PIL.
L'autorevole "Proposta Amato" segue analoghe considerazioni di Carlo De Benedetti ed è stata variamente ripresa nei giorni scorsi da numerosi commentatori ed esponenti politici, e tra essi anche da Romano Prodi.
Che i più ricchi facciano qualcosa per risollevare il Paese dalla prostrazione in cui versa è non solo giusto, ma anche intelligente, poiché non c’è pace senza un minimo di giustizia.
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Se la proposta di un’imposizione patrimoniale limitata alle grandi ricchezze, risponde a una semplice nozione di buon senso, il premier Silvio Berlusconi ha dichiarato ieri in un suo videomessaggio che mai e poi mai il governo da lui presieduto varerà una patrimoniale.
Oibò. Tanto peggio per il suo governo, potremmo dire parafrasando Giorgio Guglielmo Federico Hegel.
E che saranno poi diecimila euro all’anno?!
Si apprende dai giornali di tycoon brianzoli che spendono cifre ben superiori per le loro serate di relax, karaoke, home moovie etc.
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Vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera del 28 gennaio 2011
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Ironia a parte, l’indisponibilità del premier a prendere in esame un’imposizione patrimoniale straordinaria costituisce almeno un dato politico.
Non è concessione da poco in questa suburra mediatico-giudiziaria.
E non di meno, si tratta di un errore forse irreparabile. Forse non ci si rende conto del passaggio d’epoca e quindi nemmeno del dissenso che il popolo di sinistra può ben cristallizzare proprio intorno alla semplice "questione morale" che così riassumiamo: Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre?
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A proposito di videomessaggi, il compagno Rino Formica, in un'intervista a La Stampa, ne ha tratto un'impressione di "crisi di panico". In effetti, chi non proverebbe, al posto dell’Uomo di Arcore, un desiderio di fuga? Certo, lui giura di "non essere mai fuggito" ed esclude di volerlo fare ora.
Belle parole, ma il tram arranca verso il capolinea.
Dunque, ecco un bel problema: "Dove mettere Berlusconi?".
A suo tempo, il CLN offrì la via d’uscita. Pietro Nenni fu moderato e giusto nell’epurazione. Palmiro Togliatti firmò persino un'amnistia. "Ora il sistema dovrebbe chiudere la stagione con una fuoriuscita dolce", sostiene Formica: "Mediaset non si tocca, i beni non si toccano e lui se ne va ad Antigua".
La più antica testata della sinistra italiana, fondata nel 1897
Organo della F.S.I.S., organizzazione socialista italiana all'estero
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Crescita insopportabile - «Aumentare i desideri fino all'insopportabile, rendendo la loro realizzazione sempre più inaccessibile, era il principio unico su cui poggiava la società occidentale.» - Michel Houellebecq
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Dilagante - «La cocaina dilagante è un simbolo dell'avvelenamento a cui tutti soggiaciamo.» - Dino Segre (Pittgrilli)
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Inaudita - «La società erotico-pubblicitaria in cui viviamo si adopera a organizzare il desiderio, a sviluppare il desiderio in proporzioni inaudite, mantenendo la soddisfazione nella sfera della vita privata. Perché la società funzioni, perché la competizione continui, bisogna che il desiderio cresca, si estenda e divori la vita degli uomini.» - Michel Houellebecq
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EDITORIALE
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Dagherrotipo
contabile
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Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre?
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di Andrea Ermano
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L’enorme debito pubblico italiano è il dagherrotipo contabile dei lussi che generazioni più anziane si sono concesse scommettendo sulla Crescita (infinita) dell’economia nazionale.
Senonché, verso la fine dei vituperati anni ottanta, la Crescita si è prima raffreddata, poi arrestata e, infine, con il sopraggiungere della crisi finanziaria, invertita in Decrescita.
Il debito fin qui contratto per i lussi di noi vecchi, se lo dovranno caricare sulle spalle le generazioni a venire. In altre parole: stiamo commettendo un furto ai danni dei giovani.
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Riflettendo a quanto sopra, l’ex premier Giuliano Amato ha recentemente proposto di introdurre un prelievo fiscale straordinario da operare sui grandi patrimoni, appartenenti al terzo più abbiente della nazione. Beninteso, non stiamo parlando di redditi, ma soltanto di ricchezze accumulate, e non stiamo parlando di tutti gli italiani, ma solo del terzo più ricco.
Il terzo più ricco degli italiani è molto ricco. Grazie a un contributo, tutto sommato modesto, diciamo diecimila euro pro capite annui, i più fortunati potrebbero, in cinque anni, aiutare l’Italia a ridurre il disavanzo al 60-80% del PIL.
L'autorevole "Proposta Amato" segue analoghe considerazioni di Carlo De Benedetti ed è stata variamente ripresa nei giorni scorsi da numerosi commentatori ed esponenti politici, e tra essi anche da Romano Prodi.
Che i più ricchi facciano qualcosa per risollevare il Paese dalla prostrazione in cui versa è non solo giusto, ma anche intelligente, poiché non c’è pace senza un minimo di giustizia.
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Se la proposta di un’imposizione patrimoniale limitata alle grandi ricchezze, risponde a una semplice nozione di buon senso, il premier Silvio Berlusconi ha dichiarato ieri in un suo videomessaggio che mai e poi mai il governo da lui presieduto varerà una patrimoniale.
Oibò. Tanto peggio per il suo governo, potremmo dire parafrasando Giorgio Guglielmo Federico Hegel.
E che saranno poi diecimila euro all’anno?!
Si apprende dai giornali di tycoon brianzoli che spendono cifre ben superiori per le loro serate di relax, karaoke, home moovie etc.
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Vignetta di Giannelli sul Corriere della Sera del 28 gennaio 2011
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Ironia a parte, l’indisponibilità del premier a prendere in esame un’imposizione patrimoniale straordinaria costituisce almeno un dato politico.
Non è concessione da poco in questa suburra mediatico-giudiziaria.
E non di meno, si tratta di un errore forse irreparabile. Forse non ci si rende conto del passaggio d’epoca e quindi nemmeno del dissenso che il popolo di sinistra può ben cristallizzare proprio intorno alla semplice "questione morale" che così riassumiamo: Quelli che dalla Nazione hanno ricevuto molto, troppo, negli anni delle vacche grasse, non dovrebbero ora restituire qualcosa, negli anni delle vacche magre?
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A proposito di videomessaggi, il compagno Rino Formica, in un'intervista a La Stampa, ne ha tratto un'impressione di "crisi di panico". In effetti, chi non proverebbe, al posto dell’Uomo di Arcore, un desiderio di fuga? Certo, lui giura di "non essere mai fuggito" ed esclude di volerlo fare ora.
Belle parole, ma il tram arranca verso il capolinea.
Dunque, ecco un bel problema: "Dove mettere Berlusconi?".
A suo tempo, il CLN offrì la via d’uscita. Pietro Nenni fu moderato e giusto nell’epurazione. Palmiro Togliatti firmò persino un'amnistia. "Ora il sistema dovrebbe chiudere la stagione con una fuoriuscita dolce", sostiene Formica: "Mediaset non si tocca, i beni non si toccano e lui se ne va ad Antigua".
sabato 29 gennaio 2011
Due citazioni
Entrambe di grande attualità, tratte da La mia vita di Lina Merlin
E' difficile conquistare un posto nel mondo, specie quando si ha la coscienza dei propri valori culturali e umani e non ci si piega a compromessi di nessuna specie
Studiai Marx e altri, ma ancora oggi, dopo tanti anni di studi e di esperienze politiche, sono convinta che si può conoscere Marx e non essere socialisti, come si può essere socialisti senza conoscere Marx. E sono convinta pure di un'altra cosa ben più importante: per essere socialisti bisogna essere onesti
E' difficile conquistare un posto nel mondo, specie quando si ha la coscienza dei propri valori culturali e umani e non ci si piega a compromessi di nessuna specie
Studiai Marx e altri, ma ancora oggi, dopo tanti anni di studi e di esperienze politiche, sono convinta che si può conoscere Marx e non essere socialisti, come si può essere socialisti senza conoscere Marx. E sono convinta pure di un'altra cosa ben più importante: per essere socialisti bisogna essere onesti
venerdì 28 gennaio 2011
Network per il socialismo europeo: Lo sciopero della Fiom
Lo sciopero indetto dalla FIOM e dalla CGIL per il prossimo 28-29 gennaio 2011 deve costituire l’occasione per riunire l’intera sinistra, anche quella variamente definita riformista o riformatrice.
Pomigliano e Mirafiori, infatti, non costituiscono la vittoria dei riformisti sui massimalisti poiché storicamente furono proprio i riformisti, in polemica con i c.d. rivoluzionari a teorizzare il principio della inscindibilità tra diritto al lavoro, conquiste di libertà ed avanzamento sociale.
La promessa di qualche euro in più ed il miraggio della partecipazione azionaria non possono risolvere i problemi di fondo aperti dalla FIATt in queste vertenze. È in atto, infatti, un processo che ha l’obiettivo di cambiare tutto: le relazioni sindacali, i rapporti sociali, la collocazione del lavoro nella produzione e nella società.
L’intera strategia della FIAT, dalla scissione del legame con Confindustria fino alle profonde modifiche sul terreno della contrattazione, si muove in una logica semplice ed estrema che è quella di eliminare i vincoli sociali e democratici ai quali è stata sottoposta l’impresa nella storia contemporanea in nome di una competitività aziendale che scarica tutto sui lavoratori fino a delegittimare il conflitto e cancellare i sindacati più autonomi.
La sinistra, tutta intera, deve reagire con fermezza ed intelligenza senza rinchiudersi in una logica esclusivamente difensiva e minoritaria, ma soprattutto senza cadere nell’errore di considerare modernizzatici posizioni che sono contro la modernità poiché espressione di una regressione storica sotto il profilo della civiltà del lavoro e della rappresentanza dei lavoratori.
Allo stesso tempo la sinistra, il sindacato, i lavoratori devono prendere fino in fondo atto che si è chiusa un’epoca; è cambiato il tipo di capitalismo, l’organizzazione del lavoro, la composizione sociale di classe, è in crisi la democrazia e l’idea stessa che la politica possa continuare a svolgere efficacemente il ruolo svolto nel secolo che si è chiuso.
La FIAT e più in generale il mondo della produzione parlano e agiscono su scenari mondiali, il sindacato e la sinistra si muovono con culture locali dimensionate su scenari nazionali. Questa disparità di condizioni a tutto svantaggio dei lavoratori e dei loro rappresentanti da un lato richiede il massimo sforzo per ritrovare le ragioni dell’unità sindacale e la più ampia solidarietà delle forze che si richiamano ai valori della sinistra, dall’altro esige l’elaborazione di modelli e proposte alternative che fuoriescano dai confini nazionali e che siano capaci di indicare un diverso scenario per i popoli ed il pianeta.
In assenza di questa ricerca, la difesa delle conquiste sociali e democratiche ottenute dai lavoratori rischia di produrre vertenze giuste ma candidate alla mera testimonianza ed all’eterna sconfitta.
Nell’immediato, però, occorre avviare con vigore iniziative tese ad evitare i lavoratori si trovino nuovamente soli a fronteggiare le esigenze di maggiore competitività ed efficienza produttiva. Ciò significa innanzitutto: chiedere alla FIAT di fare chiarezza sui piani di investimento; rilanciare l’unità sindacale per ottenere l’apertura di una tavolo per la crescita e lo sviluppo; rinnovare comunque un’intesa interconfederale sulla rappresentatività, la democrazia sindacale e le condizioni per validare contratti ed accordi. Significa, infine, protestare contro un Governo partigiano che non ha messo in campo una politica industriale per sostenere le imprese nel difficile processo di ristrutturazione. Per queste ragioni, il “Network per il socialismo europeo” aderisce alla giornata di mobilitazione indetta dalla Fiom e dalla CGIL.
Per il Network per il socialismo europeo (Lanfranco Turci, Felice Besostri, Giuseppe Vetrano)
Pomigliano e Mirafiori, infatti, non costituiscono la vittoria dei riformisti sui massimalisti poiché storicamente furono proprio i riformisti, in polemica con i c.d. rivoluzionari a teorizzare il principio della inscindibilità tra diritto al lavoro, conquiste di libertà ed avanzamento sociale.
La promessa di qualche euro in più ed il miraggio della partecipazione azionaria non possono risolvere i problemi di fondo aperti dalla FIATt in queste vertenze. È in atto, infatti, un processo che ha l’obiettivo di cambiare tutto: le relazioni sindacali, i rapporti sociali, la collocazione del lavoro nella produzione e nella società.
L’intera strategia della FIAT, dalla scissione del legame con Confindustria fino alle profonde modifiche sul terreno della contrattazione, si muove in una logica semplice ed estrema che è quella di eliminare i vincoli sociali e democratici ai quali è stata sottoposta l’impresa nella storia contemporanea in nome di una competitività aziendale che scarica tutto sui lavoratori fino a delegittimare il conflitto e cancellare i sindacati più autonomi.
La sinistra, tutta intera, deve reagire con fermezza ed intelligenza senza rinchiudersi in una logica esclusivamente difensiva e minoritaria, ma soprattutto senza cadere nell’errore di considerare modernizzatici posizioni che sono contro la modernità poiché espressione di una regressione storica sotto il profilo della civiltà del lavoro e della rappresentanza dei lavoratori.
Allo stesso tempo la sinistra, il sindacato, i lavoratori devono prendere fino in fondo atto che si è chiusa un’epoca; è cambiato il tipo di capitalismo, l’organizzazione del lavoro, la composizione sociale di classe, è in crisi la democrazia e l’idea stessa che la politica possa continuare a svolgere efficacemente il ruolo svolto nel secolo che si è chiuso.
La FIAT e più in generale il mondo della produzione parlano e agiscono su scenari mondiali, il sindacato e la sinistra si muovono con culture locali dimensionate su scenari nazionali. Questa disparità di condizioni a tutto svantaggio dei lavoratori e dei loro rappresentanti da un lato richiede il massimo sforzo per ritrovare le ragioni dell’unità sindacale e la più ampia solidarietà delle forze che si richiamano ai valori della sinistra, dall’altro esige l’elaborazione di modelli e proposte alternative che fuoriescano dai confini nazionali e che siano capaci di indicare un diverso scenario per i popoli ed il pianeta.
In assenza di questa ricerca, la difesa delle conquiste sociali e democratiche ottenute dai lavoratori rischia di produrre vertenze giuste ma candidate alla mera testimonianza ed all’eterna sconfitta.
Nell’immediato, però, occorre avviare con vigore iniziative tese ad evitare i lavoratori si trovino nuovamente soli a fronteggiare le esigenze di maggiore competitività ed efficienza produttiva. Ciò significa innanzitutto: chiedere alla FIAT di fare chiarezza sui piani di investimento; rilanciare l’unità sindacale per ottenere l’apertura di una tavolo per la crescita e lo sviluppo; rinnovare comunque un’intesa interconfederale sulla rappresentatività, la democrazia sindacale e le condizioni per validare contratti ed accordi. Significa, infine, protestare contro un Governo partigiano che non ha messo in campo una politica industriale per sostenere le imprese nel difficile processo di ristrutturazione. Per queste ragioni, il “Network per il socialismo europeo” aderisce alla giornata di mobilitazione indetta dalla Fiom e dalla CGIL.
Per il Network per il socialismo europeo (Lanfranco Turci, Felice Besostri, Giuseppe Vetrano)
giovedì 27 gennaio 2011
Fidel Romano: Proiezione film Craxi al Parlamento europeo
copia della lettera scritta di getto e inviata alla fondazione craxi
Care compagne e cari compagni(spero vi possa ancora chiamare così come amava chiamarsi il nostro caro leader) della Fondazione Craxi,
sono un socialista senza partito, come tutti i socialisti, a meno che non si voglia definirsi socialisti stando nel pd o nel pdl. Sono giovane nel senso che non ho vissuto gli anni del PSI di Craxi, non vengo da una famiglia socialista eppure mi sento tutt'oggi un craxiano. Combatto il conformismo italico, l'unanimismo piccolo borghese, il giacobinismo di una destra travestita da sinistra e lotto per una vera modernizzazione culturale ed economica del nostro paese ingessato oggi così come o forse peggio del 1976. Sono di sinistra perchè come diceva Bettino "lo siamo nonostante Stalin" figurarsi nonostante D'Alema e Pancho Pardi. Non ho mai votato Berlusconi ma non lo odio e non lo combatto con l'elmetto in testa.
Rimango però sgomento quando, aprendo con emozione l'invito alla proiezione del film al parlamento europeo del prossimo febbraio, leggo che l'evento è organizzato col PPE.
Ora capisco tutto(o quasi)! Capisco il rancore verso i comunisti, capisco il disaccordo con una sinistra conservatrice ma la storia di Bettino Craxi è la storia della sinistra italiana e ancor più di quella europea ed internazionale. L'Europa ed il PSE nasce anche per merito di Craxi. L'Internazionale Socialista assume importanza globale sotto la guida di Brandt e col contributo fondamentale di Craxi. Non posso perciò accettare che venga fatta una iniziativa per me importante, non è solo la proiezione di un documentario ma ha una valenza politica, senza il PSE. I socialisti europei hanno mille difetti ed a volte non hanno sostenuto la causa dei socialisti italiani preferendo comodamente il sostegno e la presenza più forte dei postcomunisti nostrani.
Nello speciale del TG1 di qualche giorno fa Marcello Sorgi racconta che Blair in confidenza gli disse che il new labour del 1994 prende spunto da Craxi che con la sua politica si era dimostrato anni avanti a tutti.
Craxi continua ad esistere mille anni avanti questi signori e sopra la loro piccolezza ed anche la proiezione di un film può e deve avere un significato politico, organizzato appunto insieme al PSE, non di riabilitazione, ma per ribadire con forza "LA SINISTRA SIAMO NOI".
Care compagne e cari compagni(spero vi possa ancora chiamare così come amava chiamarsi il nostro caro leader) della Fondazione Craxi,
sono un socialista senza partito, come tutti i socialisti, a meno che non si voglia definirsi socialisti stando nel pd o nel pdl. Sono giovane nel senso che non ho vissuto gli anni del PSI di Craxi, non vengo da una famiglia socialista eppure mi sento tutt'oggi un craxiano. Combatto il conformismo italico, l'unanimismo piccolo borghese, il giacobinismo di una destra travestita da sinistra e lotto per una vera modernizzazione culturale ed economica del nostro paese ingessato oggi così come o forse peggio del 1976. Sono di sinistra perchè come diceva Bettino "lo siamo nonostante Stalin" figurarsi nonostante D'Alema e Pancho Pardi. Non ho mai votato Berlusconi ma non lo odio e non lo combatto con l'elmetto in testa.
Rimango però sgomento quando, aprendo con emozione l'invito alla proiezione del film al parlamento europeo del prossimo febbraio, leggo che l'evento è organizzato col PPE.
Ora capisco tutto(o quasi)! Capisco il rancore verso i comunisti, capisco il disaccordo con una sinistra conservatrice ma la storia di Bettino Craxi è la storia della sinistra italiana e ancor più di quella europea ed internazionale. L'Europa ed il PSE nasce anche per merito di Craxi. L'Internazionale Socialista assume importanza globale sotto la guida di Brandt e col contributo fondamentale di Craxi. Non posso perciò accettare che venga fatta una iniziativa per me importante, non è solo la proiezione di un documentario ma ha una valenza politica, senza il PSE. I socialisti europei hanno mille difetti ed a volte non hanno sostenuto la causa dei socialisti italiani preferendo comodamente il sostegno e la presenza più forte dei postcomunisti nostrani.
Nello speciale del TG1 di qualche giorno fa Marcello Sorgi racconta che Blair in confidenza gli disse che il new labour del 1994 prende spunto da Craxi che con la sua politica si era dimostrato anni avanti a tutti.
Craxi continua ad esistere mille anni avanti questi signori e sopra la loro piccolezza ed anche la proiezione di un film può e deve avere un significato politico, organizzato appunto insieme al PSE, non di riabilitazione, ma per ribadire con forza "LA SINISTRA SIAMO NOI".
mercoledì 26 gennaio 2011
Livorno 19 febbraio: dalla scissione comunista all'unione per il socialismo
19 febbraio 2011
Sala delle Corallaie, via delle Corallaie N°10, Località Picchianti LIVORNO
La Lega dei Socialisti di Livorno, in collaborazione con il Network per il Socialismo Europeo e il Gruppo di Volpedo, ha deciso di cogliere l’occasione del 90.mo anniversario del Congresso di Livorno per organizzare, il 19 febbraio p.v., un Convegno nazionale sul tema:
“Dalla scissione comunista all’unione per il socialismo nel XXI° secolo
Nel 90° anniversario della scissione di Livorno”
Il titolo dell’iniziativa indica l’orizzonte entro il quale si vuole collocare la riflessione politica auspicando che essa corrisponda a una esigenza avvertita in molti ambienti della sinistra italiana.
PROGRAMMA:
Il programma della giornata è articolato in due sessioni con la seguente organizzazione:
Sessione mattutina: Sala delle Corallaie - Seminario dalle 9,30 alle 13,00
Introduzione a cura di Ottavio Herbstritt e di Roberto D'Ambra della LdS Livorno
Introduzione tematica: Felice BESOSTRI (portavoce Gruppo di Volpedo)
Interventi con la partecipazione delle associazioni promotrici, aderenti e invitate.
Conclusioni: Norberto FRAGIACOMO (PSI)
Sessione pomeridiana: Sala delle Corallaie - Tavola rotonda dalle 15,00 alle 18,00
Partecipano:
Fausto BERTINOTTI
Emanuele MACALUSO
Giuseppe TAMBURRANO
Giuseppe VACCA
Presiede:
Lanfranco TURCI (Network per il socialismo europeo)
Si confida nella più ampia partecipazione.
INFORMAZIONI:
Per il/i pernottamenti: Hotel Mediterraneo Via Aurelia 25 Loc.Stagno Livorno 25
Tel.0586/943067 rif. Sig.ra Ilaria .€ 55.00 CAMERA SINGOLA, € 65.00 CAMERA DOPPIA / MATRIMONIALE,€ 95.00 CAMERA TRIPLA.
I gentili ospiti provvederanno come concordato , direttamente alle proprie prenotazioni facendo riferimento all 'evento delle "Le Corallaie"
Negli stessi locali delle “Corollaie” è previsto il pranzo del 19.2
si prega prenotare presso Montauti cellulare 3474219599( il costo è di €.20,00 con antipasto ,primo,secondo,contorno, dolce e caffè ).
Sala delle Corallaie, via delle Corallaie N°10, Località Picchianti LIVORNO
La Lega dei Socialisti di Livorno, in collaborazione con il Network per il Socialismo Europeo e il Gruppo di Volpedo, ha deciso di cogliere l’occasione del 90.mo anniversario del Congresso di Livorno per organizzare, il 19 febbraio p.v., un Convegno nazionale sul tema:
“Dalla scissione comunista all’unione per il socialismo nel XXI° secolo
Nel 90° anniversario della scissione di Livorno”
Il titolo dell’iniziativa indica l’orizzonte entro il quale si vuole collocare la riflessione politica auspicando che essa corrisponda a una esigenza avvertita in molti ambienti della sinistra italiana.
PROGRAMMA:
Il programma della giornata è articolato in due sessioni con la seguente organizzazione:
Sessione mattutina: Sala delle Corallaie - Seminario dalle 9,30 alle 13,00
Introduzione a cura di Ottavio Herbstritt e di Roberto D'Ambra della LdS Livorno
Introduzione tematica: Felice BESOSTRI (portavoce Gruppo di Volpedo)
Interventi con la partecipazione delle associazioni promotrici, aderenti e invitate.
Conclusioni: Norberto FRAGIACOMO (PSI)
Sessione pomeridiana: Sala delle Corallaie - Tavola rotonda dalle 15,00 alle 18,00
Partecipano:
Fausto BERTINOTTI
Emanuele MACALUSO
Giuseppe TAMBURRANO
Giuseppe VACCA
Presiede:
Lanfranco TURCI (Network per il socialismo europeo)
Si confida nella più ampia partecipazione.
INFORMAZIONI:
Per il/i pernottamenti: Hotel Mediterraneo Via Aurelia 25 Loc.Stagno Livorno 25
Tel.0586/943067 rif. Sig.ra Ilaria .€ 55.00 CAMERA SINGOLA, € 65.00 CAMERA DOPPIA / MATRIMONIALE,€ 95.00 CAMERA TRIPLA.
I gentili ospiti provvederanno come concordato , direttamente alle proprie prenotazioni facendo riferimento all 'evento delle "Le Corallaie"
Negli stessi locali delle “Corollaie” è previsto il pranzo del 19.2
si prega prenotare presso Montauti cellulare 3474219599( il costo è di €.20,00 con antipasto ,primo,secondo,contorno, dolce e caffè ).
Elio Veltri: Via Craxi? Un vicolo cieco
Via Craxi? Un vicolo cieco
La discussione che si è aperta in seguito alla intitolazione di una via a Craxi in Tunisia per iniziativa del Presidente della Repubblica di quel paese e la proposta di farlo anche in Italia, al di là del giudizio politico che ciascuno pò dare su Craxi, sulla sua opera e i suoi comportamenti come segretario del PSI e capo del governo, non tiene conto di alcuni fatti determinanti che dovrebbero far riflettere prima di imboccare un vicolo cieco. Craxi è stato condannato per reati comuni, con sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Quindi chiamare in causa ragioni politiche non ha senso, a meno che qualcuno non abbia il sospetto o la certezza che in tre gradi di giudizio la magistratura abbia agito e deciso per motivi politici. Se così è l’amministrazione che gli dedica una struttura pubblica si assuma la responsabilità di dirlo e motivarlo.
La condanna per reati come la corruzione prevede l’interdizione dagli uffci pubblici. Quindi bisogna assumersi la responsabilità di onorare Craxi latitante, nonostante gli impedimenti morali, politici e giuridici dei nostri ordinamenti.
Tutto si può fare, ma il messaggio al Paese sarebbe davvero terribile e un precedente da non sottovalutare.
In una sentenza della Corte di Appello di Milano dell’8 Febbraio 2005 riguardante il processo a Raggio, ultimo confidente di Craxi al quale il leader socialista aveva consegnato i suoi conti e i suoi soldi dopo la rinuncia di Tradati, è scritto in grassetto:” Il giudice di primo grado rileva che nei suoi corposi memoriali Craxi si è sempre guardato dall’accennare alla disponibilità dei conti International Gold Coast e Costellation Financiere, che all’epoca non erano ancora stati scoperti e costituivano per lui un importante “ tesoretto” riposto nelle fidate mani prima di Tradati, poi di Raggio”. Dai conti fatti dai giudici di Milano, l’ammontare del “ tesoretto” era di oltre 50 miliardi di vecchie lire, transitati in molti paradisi fiscali al fine di impedirne la individuazione, ai quali si dovevano aggiungere 187 miliardi di finanziamenti al partito negli anni 1987-1990, come ebbe a dichiarare lo stesso Craxi. Sempre nella sentenza si legge una dichiarazione di De Toma, altro collettore di tangenti al PSI, il quale ai giudici ha dichiarato che “ il segretario amministrativo( Balzamo) non solo non aveva aperto o gestito conti esteri, ma che non aveva nemmeno potere dispositivo su di essi, che risaliva esclusivamente a Craxi”. Avrei scritto le stesse cose per qualsiasi uomo di governo, forse senza l’amarezza, di vedere il Paese privato di un grande partito socialista, che segna davvero l’anomalia italiana in Europa. Ricordo che in una trasmissione televisiva alla quale partecipava Bobo Craxi, provocato dal conduttore, citando l’Ecclesiaste avevo detto che c’è un tempo per parlare e uno per tacere e che io avevo parlato quando Craxi era potente, mentre chi doveva farlo, anche nell’interesse di Craxi e del PSI, aveva taciuto. Non ho cambiato opinione. Ma non bisogna esagerare. Se poi si creano le condizioni per un dibattito sereno, allora sarò il primo a compiacermene.
PS) Questo articolo è stato pubblicato dall’Unità diretta da Antonio Padellaro con la quale ho collaborato dal primo momento della direzione Colombo e poi licenziato dall’attuale direttrice senza “ giusta causa” come altri.
Il ricorso di Raggio contro la sentenza di appello è stato rigettato con sentenza della 2° sezione penale della Corte Suprema di Cassazione N.34511/09 del 9-4-2009, depositata il 7-9-2009
Ho deciso di pubblicare l’articolo perchè tra polemiche e contestazioni nei giorni scorsi una strada a Craxi è stata intitolata e Stefania Craxi ne annuncia un’altra a Milano
La discussione che si è aperta in seguito alla intitolazione di una via a Craxi in Tunisia per iniziativa del Presidente della Repubblica di quel paese e la proposta di farlo anche in Italia, al di là del giudizio politico che ciascuno pò dare su Craxi, sulla sua opera e i suoi comportamenti come segretario del PSI e capo del governo, non tiene conto di alcuni fatti determinanti che dovrebbero far riflettere prima di imboccare un vicolo cieco. Craxi è stato condannato per reati comuni, con sentenza definitiva della Corte di Cassazione. Quindi chiamare in causa ragioni politiche non ha senso, a meno che qualcuno non abbia il sospetto o la certezza che in tre gradi di giudizio la magistratura abbia agito e deciso per motivi politici. Se così è l’amministrazione che gli dedica una struttura pubblica si assuma la responsabilità di dirlo e motivarlo.
La condanna per reati come la corruzione prevede l’interdizione dagli uffci pubblici. Quindi bisogna assumersi la responsabilità di onorare Craxi latitante, nonostante gli impedimenti morali, politici e giuridici dei nostri ordinamenti.
Tutto si può fare, ma il messaggio al Paese sarebbe davvero terribile e un precedente da non sottovalutare.
In una sentenza della Corte di Appello di Milano dell’8 Febbraio 2005 riguardante il processo a Raggio, ultimo confidente di Craxi al quale il leader socialista aveva consegnato i suoi conti e i suoi soldi dopo la rinuncia di Tradati, è scritto in grassetto:” Il giudice di primo grado rileva che nei suoi corposi memoriali Craxi si è sempre guardato dall’accennare alla disponibilità dei conti International Gold Coast e Costellation Financiere, che all’epoca non erano ancora stati scoperti e costituivano per lui un importante “ tesoretto” riposto nelle fidate mani prima di Tradati, poi di Raggio”. Dai conti fatti dai giudici di Milano, l’ammontare del “ tesoretto” era di oltre 50 miliardi di vecchie lire, transitati in molti paradisi fiscali al fine di impedirne la individuazione, ai quali si dovevano aggiungere 187 miliardi di finanziamenti al partito negli anni 1987-1990, come ebbe a dichiarare lo stesso Craxi. Sempre nella sentenza si legge una dichiarazione di De Toma, altro collettore di tangenti al PSI, il quale ai giudici ha dichiarato che “ il segretario amministrativo( Balzamo) non solo non aveva aperto o gestito conti esteri, ma che non aveva nemmeno potere dispositivo su di essi, che risaliva esclusivamente a Craxi”. Avrei scritto le stesse cose per qualsiasi uomo di governo, forse senza l’amarezza, di vedere il Paese privato di un grande partito socialista, che segna davvero l’anomalia italiana in Europa. Ricordo che in una trasmissione televisiva alla quale partecipava Bobo Craxi, provocato dal conduttore, citando l’Ecclesiaste avevo detto che c’è un tempo per parlare e uno per tacere e che io avevo parlato quando Craxi era potente, mentre chi doveva farlo, anche nell’interesse di Craxi e del PSI, aveva taciuto. Non ho cambiato opinione. Ma non bisogna esagerare. Se poi si creano le condizioni per un dibattito sereno, allora sarò il primo a compiacermene.
PS) Questo articolo è stato pubblicato dall’Unità diretta da Antonio Padellaro con la quale ho collaborato dal primo momento della direzione Colombo e poi licenziato dall’attuale direttrice senza “ giusta causa” come altri.
Il ricorso di Raggio contro la sentenza di appello è stato rigettato con sentenza della 2° sezione penale della Corte Suprema di Cassazione N.34511/09 del 9-4-2009, depositata il 7-9-2009
Ho deciso di pubblicare l’articolo perchè tra polemiche e contestazioni nei giorni scorsi una strada a Craxi è stata intitolata e Stefania Craxi ne annuncia un’altra a Milano
Aldo Penna: Gli uomini del perenne ritorno
Gennaio 1994
Fini, Casini, Berlusconi si apprestavano a vincere le elezioni imminenti.
Veltroni e D'Alema, braccio destro e sinistro del leader del PDS,
si preparavano gioiosamente a perdere.
Sedici anni dopo, le cronache si occupano degli stessi personaggi.
Mentre la Francia passa da Mitterand a Chirac e Sarkozy, la Germania da Khol a
Schröder alla Merkel, gli inglesi da Major a Blair, Brown e Cameron, in Italia le
cronache sono ancora occupate dagli stessi immutabili personaggi.
Il centrosinistra è affetto da una strana sindrome: i leader che hanno
sabotato i due governi Prodi, consentito con i loro patti della crostata e delle
lenticchie il ritorno trionfale di Berlusconi al potere nel 2001 e nel 2008,
pontificano ancora dai loro caldi scranni parlamentari su strategie, rilanci,
anatemi, naturalmente mai orfani di incarichi spesso contrattati con i loro
avversari.
Amano il mondo anglosassone ma rifuggono da una semplice regola: se perdi, sparisci.
Kerry, Dukakis, Gore, si sono dedicati ad altro e non hanno mai sognato di tornare a fare i leader.
Dunque cari D'Alema e Veltroni uomini del perenne ritorno, in prossimità del
prossimo definitivo scontro con Berlusconi fateci un favore, c'è un colle romano
pronto ad accogliervi: l'Aventino.
Riparate lì, vi ricorderemo come uomini che amano il loro paese, sconfitti per
mancanza di strategia certo, ma pieni di dignità e orgoglio repubblicano.
Aldo Penna
Fini, Casini, Berlusconi si apprestavano a vincere le elezioni imminenti.
Veltroni e D'Alema, braccio destro e sinistro del leader del PDS,
si preparavano gioiosamente a perdere.
Sedici anni dopo, le cronache si occupano degli stessi personaggi.
Mentre la Francia passa da Mitterand a Chirac e Sarkozy, la Germania da Khol a
Schröder alla Merkel, gli inglesi da Major a Blair, Brown e Cameron, in Italia le
cronache sono ancora occupate dagli stessi immutabili personaggi.
Il centrosinistra è affetto da una strana sindrome: i leader che hanno
sabotato i due governi Prodi, consentito con i loro patti della crostata e delle
lenticchie il ritorno trionfale di Berlusconi al potere nel 2001 e nel 2008,
pontificano ancora dai loro caldi scranni parlamentari su strategie, rilanci,
anatemi, naturalmente mai orfani di incarichi spesso contrattati con i loro
avversari.
Amano il mondo anglosassone ma rifuggono da una semplice regola: se perdi, sparisci.
Kerry, Dukakis, Gore, si sono dedicati ad altro e non hanno mai sognato di tornare a fare i leader.
Dunque cari D'Alema e Veltroni uomini del perenne ritorno, in prossimità del
prossimo definitivo scontro con Berlusconi fateci un favore, c'è un colle romano
pronto ad accogliervi: l'Aventino.
Riparate lì, vi ricorderemo come uomini che amano il loro paese, sconfitti per
mancanza di strategia certo, ma pieni di dignità e orgoglio repubblicano.
Aldo Penna
martedì 25 gennaio 2011
Franco Astengo: La sinistra italiana di fronte a scelte difficili, ma necessarie
LA SINISTRA ITALIANA DI FRONTE A SCELTE DIFFICILI MA NECESSARIE
Sono molti gli argomenti che, limitandoci all'attualità, si affacciano alla riflessione di quanti si pongono ancora il tema del destino della sinistra italiana: prima di tutto, naturalmente, si colloca l'ipotesi di un mutamento di fondo del quadro politico attraverso la caduta del governo ( sotto questo aspetto Ilvo Diamanti ha tracciato, sulle colonne di Repubblica) uno scenario sicuramente ipotetico ma molte interessante di vero e proprio "disfacimento" del quadro simile, per certi versi, con quanto accadde con Tangentopoli; in secondo luogo l'esito del referendum di Mirafiori che, secondo i sondaggi, ha spostato maggiormente l'opinione pubblica più di quanto non abbiano fatto le rivelazioni riguardanti il malcostume imperante ai vertici del governo; in terzo luogo il presunto "rilancio" del PD, attraverso l'esito della "convention" dell'area Modem a Torino e l'esito delle primarie a Bologna e Napoli; e ancora il successo mediatico, e di recupero sul piano della partecipazione, fatto registrare dall'offensiva condotta dal Presidente della Regione Puglia, successo innegabile e da valutare attentamente, ancorché realizzato quasi esclusivamente sul piano personale (così indicano anche alcune valutazioni eseguite nel rapporto fra elettori di SeL e conoscenza degli eventuali leader di quel partito: in questo caso, davvero, e senza alcun intento polemico si può parlare di "un uomo solo al comando").
Abbiamo riassunto molto di corsa, senza dimenticare ovviamente il quadro complessivo, quello di una crisi economica che minaccia di inasprirsi ulteriormente, sul piano internazionale ed interno, nei confronti della quale sale la tentazione di rispondere con un governo di stampo "tecnocratico-iperliberista" e la crescita della disaffezione verso la politica (l'eventuale astensione dal voto, in caso di elezioni anticipate pare ormai assestata bel oltre il 25%, per toccare potenzialmente la punta del 30%).
Tutto questo mentre, sul piano della dinamica legislativa è in discussione la patata bollente del federalismo fiscale e resta sullo sfondo il tema della legge elettorale, che avrebbe dovuto rappresentare, fino a qualche giorno fa, il vero e proprio punto di collegamento per la costruzione di una alleanza tesa a favorire un governo di transizione "a termine".
In questo coacervo emergono due punti relativi alla prospettiva della sinistra: il primo relativo al dopo-Mirafiori.
Nei giorni scorsi a Marghera si è realizzato un confronto tra la FIOM , le organizzazioni dei precari della scuola e dell'Università che hanno condotto la battaglia contro la cosiddetta "riforma Gelmini" ed i comitati contrari alla privatizzazione dei "beni comuni", primo fra tutti l'acqua.
Un confronto conclusosi nella prospettiva di una collaborazione posta sul terreno dell'opposizione complessiva allo stato di cose in atto, si di un piano abbastanza distante dall'agenda proposta dal quadro politico: di conseguenza, se è consentito, semplificare di tipo "movimentistico".
Nello stesso tempo si pone, per SeL, una questione a nostro giudizio fondamentale: mentre la FdS pare proprio non riuscire a decollare anche in termini minimali di crescita, il movimento (non ci azzardiamo a definirlo ancora partito, anche perché le modalità congressuali sono risultate sotto questo aspetto del tutto anomale, come è avvenuto del resto anche per la FdS), il movimento formato dali ex-Rifondazione e dagli ex-DS appare in crescita, trainato essenzialmente - come abbiamo già accennato - dalla presenza assolutamente "carismatica" del suo leader, ed anche in assenza di un progetto politico ed un programma adeguatamente articolato ai temi della crisi economica, del rilancio dello stato sociale, della democratizzazione delle istituzioni, della qualità dell'agire politico (è impensabile, sotto questo aspetto, che si possa durare a lungo promuovendo personaggi indirizzati alla personalizzazione delle primarie, tanto per fare un esempio immediato).
Una crescita che pone un dilemma: potrà essere utile alla ricostruzione di un nuovo soggetto della sinistra italiana, non confinato nel ruolo di "copertura" dell'area della fu sinistra radicale (come vorrebbero molti nel PD) oppure "svolazzante" alla ricerca di una leadership del centrosinistra, non suffragata però da quegli elementi di radicamento sociale, qualità programmatica, iniziativa territoriale propri di un partito?
Ci è capitato più volte di proporre una riflessione adeguata attorno a questo nodo: riflessione che non è ancora decollata, essendo il ceto politico (anche quella parte di ceto politico apparentemente più "aperta") impegnato in operazioni di autoconservazione.
Insistiamo cocciutamente: serve un nuovo soggetto politico; un nuovo soggetto politico che prima costruisce la propria autonomia ideale, programmatica, politica, andando coraggiosamente controcorrente sia sul terreno della strutturazione del soggetto ( democrazia interna, radicamento sul territorio, capacità culturale di "integrazione di massa"), delle radici ideali (superando contrapposizioni ataviche e sterili), del programma (Europa, intervento pubblico in economia, difesa del lavoro e dei lavoratori, stato sociale, sistema elettorale proporzionale, centralità dei consessi elettivi, no a questo federalismo assolutamente pasticciato come fu pasticciata la riforma del titolo V della Costituzione, difesa della Costituzione Repubblicana e dei valori della "memoria storica" della democrazia italiana e dell'antifascismo).
E' possibile aprire una seria discussione su questi punti, non dando per scontato il cedimento reciproco al modello di azione politica imposto dall'avversario o il semplice arroccamento difensivo?
Savona, li 24 Gennaio 2011 Franco Astengo
Sono molti gli argomenti che, limitandoci all'attualità, si affacciano alla riflessione di quanti si pongono ancora il tema del destino della sinistra italiana: prima di tutto, naturalmente, si colloca l'ipotesi di un mutamento di fondo del quadro politico attraverso la caduta del governo ( sotto questo aspetto Ilvo Diamanti ha tracciato, sulle colonne di Repubblica) uno scenario sicuramente ipotetico ma molte interessante di vero e proprio "disfacimento" del quadro simile, per certi versi, con quanto accadde con Tangentopoli; in secondo luogo l'esito del referendum di Mirafiori che, secondo i sondaggi, ha spostato maggiormente l'opinione pubblica più di quanto non abbiano fatto le rivelazioni riguardanti il malcostume imperante ai vertici del governo; in terzo luogo il presunto "rilancio" del PD, attraverso l'esito della "convention" dell'area Modem a Torino e l'esito delle primarie a Bologna e Napoli; e ancora il successo mediatico, e di recupero sul piano della partecipazione, fatto registrare dall'offensiva condotta dal Presidente della Regione Puglia, successo innegabile e da valutare attentamente, ancorché realizzato quasi esclusivamente sul piano personale (così indicano anche alcune valutazioni eseguite nel rapporto fra elettori di SeL e conoscenza degli eventuali leader di quel partito: in questo caso, davvero, e senza alcun intento polemico si può parlare di "un uomo solo al comando").
Abbiamo riassunto molto di corsa, senza dimenticare ovviamente il quadro complessivo, quello di una crisi economica che minaccia di inasprirsi ulteriormente, sul piano internazionale ed interno, nei confronti della quale sale la tentazione di rispondere con un governo di stampo "tecnocratico-iperliberista" e la crescita della disaffezione verso la politica (l'eventuale astensione dal voto, in caso di elezioni anticipate pare ormai assestata bel oltre il 25%, per toccare potenzialmente la punta del 30%).
Tutto questo mentre, sul piano della dinamica legislativa è in discussione la patata bollente del federalismo fiscale e resta sullo sfondo il tema della legge elettorale, che avrebbe dovuto rappresentare, fino a qualche giorno fa, il vero e proprio punto di collegamento per la costruzione di una alleanza tesa a favorire un governo di transizione "a termine".
In questo coacervo emergono due punti relativi alla prospettiva della sinistra: il primo relativo al dopo-Mirafiori.
Nei giorni scorsi a Marghera si è realizzato un confronto tra la FIOM , le organizzazioni dei precari della scuola e dell'Università che hanno condotto la battaglia contro la cosiddetta "riforma Gelmini" ed i comitati contrari alla privatizzazione dei "beni comuni", primo fra tutti l'acqua.
Un confronto conclusosi nella prospettiva di una collaborazione posta sul terreno dell'opposizione complessiva allo stato di cose in atto, si di un piano abbastanza distante dall'agenda proposta dal quadro politico: di conseguenza, se è consentito, semplificare di tipo "movimentistico".
Nello stesso tempo si pone, per SeL, una questione a nostro giudizio fondamentale: mentre la FdS pare proprio non riuscire a decollare anche in termini minimali di crescita, il movimento (non ci azzardiamo a definirlo ancora partito, anche perché le modalità congressuali sono risultate sotto questo aspetto del tutto anomale, come è avvenuto del resto anche per la FdS), il movimento formato dali ex-Rifondazione e dagli ex-DS appare in crescita, trainato essenzialmente - come abbiamo già accennato - dalla presenza assolutamente "carismatica" del suo leader, ed anche in assenza di un progetto politico ed un programma adeguatamente articolato ai temi della crisi economica, del rilancio dello stato sociale, della democratizzazione delle istituzioni, della qualità dell'agire politico (è impensabile, sotto questo aspetto, che si possa durare a lungo promuovendo personaggi indirizzati alla personalizzazione delle primarie, tanto per fare un esempio immediato).
Una crescita che pone un dilemma: potrà essere utile alla ricostruzione di un nuovo soggetto della sinistra italiana, non confinato nel ruolo di "copertura" dell'area della fu sinistra radicale (come vorrebbero molti nel PD) oppure "svolazzante" alla ricerca di una leadership del centrosinistra, non suffragata però da quegli elementi di radicamento sociale, qualità programmatica, iniziativa territoriale propri di un partito?
Ci è capitato più volte di proporre una riflessione adeguata attorno a questo nodo: riflessione che non è ancora decollata, essendo il ceto politico (anche quella parte di ceto politico apparentemente più "aperta") impegnato in operazioni di autoconservazione.
Insistiamo cocciutamente: serve un nuovo soggetto politico; un nuovo soggetto politico che prima costruisce la propria autonomia ideale, programmatica, politica, andando coraggiosamente controcorrente sia sul terreno della strutturazione del soggetto ( democrazia interna, radicamento sul territorio, capacità culturale di "integrazione di massa"), delle radici ideali (superando contrapposizioni ataviche e sterili), del programma (Europa, intervento pubblico in economia, difesa del lavoro e dei lavoratori, stato sociale, sistema elettorale proporzionale, centralità dei consessi elettivi, no a questo federalismo assolutamente pasticciato come fu pasticciata la riforma del titolo V della Costituzione, difesa della Costituzione Repubblicana e dei valori della "memoria storica" della democrazia italiana e dell'antifascismo).
E' possibile aprire una seria discussione su questi punti, non dando per scontato il cedimento reciproco al modello di azione politica imposto dall'avversario o il semplice arroccamento difensivo?
Savona, li 24 Gennaio 2011 Franco Astengo
lunedì 24 gennaio 2011
Francesco Bochicchio: Legittimo impedimento
LA CORTE COSTITUZIONALE SUL LEGITTIMO IMPEDIMENTO: NON LA RAGIONE DEI FORTI MA LA FORZA DELLA RAGIONE
di FRANCESCO BOCHICCHIO
La Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale della legge sul legittimo impedimento, purché sia interpretata nel senso che il legittimo impedimento sia ritenuto sussistente dalla Magistratura: la legge, nella sua formulazione originale, dava valore all’impedimento quale dichiarato da autocertificazione dell’interessato. La legge dava quindi valore all’impedimento in quanto tale, anche non legittimo, nonostante l’intestazione della legge stessa, mentre la Corte Costituzionale doverosamente chiede che sia legittimo e quindi che la Magistratura possa sindacare l’effettività e la fondatezza dell’impedimento. La Corte Costituzionale richiede quindi che il Governo possa eccepire ostacoli all’esercizio di azione giudiziale nei confronti di propri esponenti solo ove effettivamente necessari, e con facoltà di sindacato della stessa autorità giudiziaria, di modo che gli ostacoli siano non solo effettivi ma anche temporanei e quindi tali da non bloccare l’azione giudiziale. La Corte si è mossa nell’ambito della propria tradizione di contemperamento ed equilibrio tra poteri: nel caso in questione era forse necessario un atto di coraggio, visto che Berlusconi ha utilizzato il potere politico per sfuggire alle azioni giudiziali, e ciò dal 2001, con depenalizzazione del falso in bilancio e prescrizioni abbreviate: è il potere politico che vuole sottrarsi al potere giudiziario in violazione della separazione tra poteri a base del costituzionalismo, e del principio fondamentale che la sovranità statuale non è superiore alle leggi. Previti è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per aver corrotto Giudice della Corte di Appello di Roma per il Lodo Mondadori, utilizzando somme in essere su conti Fininvest: è quindi del tutto fondato sostenere che Berlusconi ha evitato la condanna solo per prescrizione del reato. Berlusconi ha beneficiato del potere politico per realizzare obiettivi del tutto illeciti e per sovvertire l’assetto costituzionale. E’ la frode alla Costituzione che Berlusconi vuole realizzare: la Corte sta reagendo in modo composto e resta magistralmente e doverosamente nell’ambito dei suoi compiti di rispetto pedissequo della Carta e di salvaguardia dell’equilibrio costituzionale. Ma è l’attentato alla Costituzione che Berlusconi realizza sistematicamente e quotidianamente con utilizzo di strumenti del tutto illeciti ma anche ove temporaneamente leciti rientranti in un disegno complessivo di lesione della Costituzione, di modo che la posizione della Corte si rivela insufficiente o comunque passiva ed inerme di fronte allo svuotamento completo del senso della Costituzione. Non è una critica alla Corte, le cui sentenze vengono di per sé condivise da chi scrive. E’ semplicemente la sollevazione di un punto di allarme sulla lesione dei valori della Carta che Berlusconi realizza senza difesa, in modo da sollecitare soluzioni e risposte rigorosamente ancorate al più rigoroso piano della legalità. E’ bene che si apra un dibattito: chi scrive propone la sottoposizione alla Corte di un conflitto di attribuzione tra poteri, art. 134 1° comma secondo alinea Costituzione: conflitto che può essere sollevato dal potere leso, in questo caso Magistratura ordinaria e perché no Magistratura Costituzionale davanti a se stessa per violazione surrettizia della Costituzione, e Capo dello Stato, garante dell’equilibrio tra poteri. Ciò senza trascurare profili penalisti, quali quelli relativi al reato di attentato alla Costituzione, art. 283 c.p., visto che per atti violenti, necessari perché si realizzi il reato in oggetto, si intendono, per giurisprudenza unanime, anche mezzi atti a coartare la volontà dello Stato, quali sono indubbiamente quelli utilizzati da Berlusconi sia in generale, sia nel caso Ruby: su tale caso, Berlusconi, che ha ormai perso il controllo di sé, si rifiuta di andare davanti ai PM milanesi giudicando illeciti le indagini e minacciando punizioni; è il ribaltamento della separazione dei poteri e dello Stato di diritto, con il sovrano che invece di sottostare alle indagini giudica i suoi indagatori e li minaccia dell’esercizio di poteri che, per fortuna, non ha, né in proprio nè per il tramite dei propri fedeli. Di fronte a tale attentato alla Costituzione Bersani invoca l’art. 54 2° comma Costituzione e la lesione dei principi di onore e disciplina ivi fissati a carico di chi esercita funzioni pubbliche: si tratta di richiamo che ha la stessa efficacia e la stessa portata di terribile condanna di chi in un campo di concentramento nazista avesse lamentato la mancanza di aria condizionata. Quagliarello, illustre politologo dello schieramento berlusconiano, afferma che attende di vedere “gli anticoncezionali” (Quagliarello ha utilizzato un termine più “corrente”, ma chi scrive preferisce maggiore compostezza di linguaggio, per sé e per rispetto dei lettori, del giornale e del direttore) pretesamente utilizzati da Berlusconi: domanda all’illustre politologo, quale orientamento giurisprudenziale prescrive la sussistenza del reati sessuali a danno di minori solo in presenza degli anticoncezionali usati? O l’illustre politologo ritiene che per Berlusconi occorra un trattamento “ad hoc”? Per favore, basta con le “barzellette”: come dice giustamente Fini non c‘è nulla di cui divertirsi.
di FRANCESCO BOCHICCHIO
La Corte Costituzionale ha riconosciuto la legittimità costituzionale della legge sul legittimo impedimento, purché sia interpretata nel senso che il legittimo impedimento sia ritenuto sussistente dalla Magistratura: la legge, nella sua formulazione originale, dava valore all’impedimento quale dichiarato da autocertificazione dell’interessato. La legge dava quindi valore all’impedimento in quanto tale, anche non legittimo, nonostante l’intestazione della legge stessa, mentre la Corte Costituzionale doverosamente chiede che sia legittimo e quindi che la Magistratura possa sindacare l’effettività e la fondatezza dell’impedimento. La Corte Costituzionale richiede quindi che il Governo possa eccepire ostacoli all’esercizio di azione giudiziale nei confronti di propri esponenti solo ove effettivamente necessari, e con facoltà di sindacato della stessa autorità giudiziaria, di modo che gli ostacoli siano non solo effettivi ma anche temporanei e quindi tali da non bloccare l’azione giudiziale. La Corte si è mossa nell’ambito della propria tradizione di contemperamento ed equilibrio tra poteri: nel caso in questione era forse necessario un atto di coraggio, visto che Berlusconi ha utilizzato il potere politico per sfuggire alle azioni giudiziali, e ciò dal 2001, con depenalizzazione del falso in bilancio e prescrizioni abbreviate: è il potere politico che vuole sottrarsi al potere giudiziario in violazione della separazione tra poteri a base del costituzionalismo, e del principio fondamentale che la sovranità statuale non è superiore alle leggi. Previti è stato condannato, con sentenza passata in giudicato, per aver corrotto Giudice della Corte di Appello di Roma per il Lodo Mondadori, utilizzando somme in essere su conti Fininvest: è quindi del tutto fondato sostenere che Berlusconi ha evitato la condanna solo per prescrizione del reato. Berlusconi ha beneficiato del potere politico per realizzare obiettivi del tutto illeciti e per sovvertire l’assetto costituzionale. E’ la frode alla Costituzione che Berlusconi vuole realizzare: la Corte sta reagendo in modo composto e resta magistralmente e doverosamente nell’ambito dei suoi compiti di rispetto pedissequo della Carta e di salvaguardia dell’equilibrio costituzionale. Ma è l’attentato alla Costituzione che Berlusconi realizza sistematicamente e quotidianamente con utilizzo di strumenti del tutto illeciti ma anche ove temporaneamente leciti rientranti in un disegno complessivo di lesione della Costituzione, di modo che la posizione della Corte si rivela insufficiente o comunque passiva ed inerme di fronte allo svuotamento completo del senso della Costituzione. Non è una critica alla Corte, le cui sentenze vengono di per sé condivise da chi scrive. E’ semplicemente la sollevazione di un punto di allarme sulla lesione dei valori della Carta che Berlusconi realizza senza difesa, in modo da sollecitare soluzioni e risposte rigorosamente ancorate al più rigoroso piano della legalità. E’ bene che si apra un dibattito: chi scrive propone la sottoposizione alla Corte di un conflitto di attribuzione tra poteri, art. 134 1° comma secondo alinea Costituzione: conflitto che può essere sollevato dal potere leso, in questo caso Magistratura ordinaria e perché no Magistratura Costituzionale davanti a se stessa per violazione surrettizia della Costituzione, e Capo dello Stato, garante dell’equilibrio tra poteri. Ciò senza trascurare profili penalisti, quali quelli relativi al reato di attentato alla Costituzione, art. 283 c.p., visto che per atti violenti, necessari perché si realizzi il reato in oggetto, si intendono, per giurisprudenza unanime, anche mezzi atti a coartare la volontà dello Stato, quali sono indubbiamente quelli utilizzati da Berlusconi sia in generale, sia nel caso Ruby: su tale caso, Berlusconi, che ha ormai perso il controllo di sé, si rifiuta di andare davanti ai PM milanesi giudicando illeciti le indagini e minacciando punizioni; è il ribaltamento della separazione dei poteri e dello Stato di diritto, con il sovrano che invece di sottostare alle indagini giudica i suoi indagatori e li minaccia dell’esercizio di poteri che, per fortuna, non ha, né in proprio nè per il tramite dei propri fedeli. Di fronte a tale attentato alla Costituzione Bersani invoca l’art. 54 2° comma Costituzione e la lesione dei principi di onore e disciplina ivi fissati a carico di chi esercita funzioni pubbliche: si tratta di richiamo che ha la stessa efficacia e la stessa portata di terribile condanna di chi in un campo di concentramento nazista avesse lamentato la mancanza di aria condizionata. Quagliarello, illustre politologo dello schieramento berlusconiano, afferma che attende di vedere “gli anticoncezionali” (Quagliarello ha utilizzato un termine più “corrente”, ma chi scrive preferisce maggiore compostezza di linguaggio, per sé e per rispetto dei lettori, del giornale e del direttore) pretesamente utilizzati da Berlusconi: domanda all’illustre politologo, quale orientamento giurisprudenziale prescrive la sussistenza del reati sessuali a danno di minori solo in presenza degli anticoncezionali usati? O l’illustre politologo ritiene che per Berlusconi occorra un trattamento “ad hoc”? Per favore, basta con le “barzellette”: come dice giustamente Fini non c‘è nulla di cui divertirsi.
Ludovica Monarca: Noi socialisti, custodi dei valori della sinistra
Celebrata davanti al teatro Goldoni la «più dolorosa delle scissioni»
LUDOVICA MONARCA
Il Tirreno, 22 gennaio 2011
LIVORNO. Il 21 gennaio 1921, sotto la pioggia, i comunisti abbandonavano il
Congresso del partito socialista al teatro Goldoni per recarsi al teatro San
Marco e fondare il Partito Comunista d’Italia. Ieri, dopo esattamente novant’
anni, in balia di un forte vento, una quarantina di appartenenti al Psi si sono
ritrovati davanti allo storico teatro livornese per ricordare la più
significativa scissione della sinistra italiana.
«Significativa e dolorosa», commenta qualcuno mentre Pieraldo Ciucchi,
segretario Psi Toscana, depone un mazzo di garofani rossi e rose davanti all’
ingresso del teatro. Non sono molti e per lo più anziani, ma guai a chiamarli
“reduci” o nostalgici: «Rappresentiamo un presidio di valori, principi,
identità politica e culturale che vogliamo continuare a difendere e alimentare,
convinti che presto o tardi la sinistra italiana, se vorrà affermarsi, dovrà
ripercorrere “la via del socialismo che è il solo immortale”.
Quella scissione rappresenta l’origine di una mancata affermazione in Italia
di una cultura politica riformista che nel resto dell’Europa ha invece piena
cittadinanza. Il socialismo e il riformismo sono l’unica alternativa possibile
e vincente al populismo e all’incapacità di una destra che, oggi più che mai,
sta portando il nostro paese nel baratro», afferma Ciucchi citando Turati,
Nenni, Pertini, Craxi: nomi che, con le proprie differenze, hanno attraversato
la storia politica del nostro Paese e che sono sulla bocca di tutti i
partecipanti, anche di Euro Tavarini, 80 anni e socialista dal 1948, che per
non mancare alla commemorazione è partito all’alba da Genova. Socialista
convinto è anche uno dei pochi giovani presenti, Beniamino Franceschini, 25
anni: «Libertà e giustizia sociale, che poi come direbbe Pertini sono le mete
del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile per la costruzione del
mio futuro».
LUDOVICA MONARCA
Il Tirreno, 22 gennaio 2011
LIVORNO. Il 21 gennaio 1921, sotto la pioggia, i comunisti abbandonavano il
Congresso del partito socialista al teatro Goldoni per recarsi al teatro San
Marco e fondare il Partito Comunista d’Italia. Ieri, dopo esattamente novant’
anni, in balia di un forte vento, una quarantina di appartenenti al Psi si sono
ritrovati davanti allo storico teatro livornese per ricordare la più
significativa scissione della sinistra italiana.
«Significativa e dolorosa», commenta qualcuno mentre Pieraldo Ciucchi,
segretario Psi Toscana, depone un mazzo di garofani rossi e rose davanti all’
ingresso del teatro. Non sono molti e per lo più anziani, ma guai a chiamarli
“reduci” o nostalgici: «Rappresentiamo un presidio di valori, principi,
identità politica e culturale che vogliamo continuare a difendere e alimentare,
convinti che presto o tardi la sinistra italiana, se vorrà affermarsi, dovrà
ripercorrere “la via del socialismo che è il solo immortale”.
Quella scissione rappresenta l’origine di una mancata affermazione in Italia
di una cultura politica riformista che nel resto dell’Europa ha invece piena
cittadinanza. Il socialismo e il riformismo sono l’unica alternativa possibile
e vincente al populismo e all’incapacità di una destra che, oggi più che mai,
sta portando il nostro paese nel baratro», afferma Ciucchi citando Turati,
Nenni, Pertini, Craxi: nomi che, con le proprie differenze, hanno attraversato
la storia politica del nostro Paese e che sono sulla bocca di tutti i
partecipanti, anche di Euro Tavarini, 80 anni e socialista dal 1948, che per
non mancare alla commemorazione è partito all’alba da Genova. Socialista
convinto è anche uno dei pochi giovani presenti, Beniamino Franceschini, 25
anni: «Libertà e giustizia sociale, che poi come direbbe Pertini sono le mete
del socialismo, costituiscono un binomio inscindibile per la costruzione del
mio futuro».
domenica 23 gennaio 2011
Documento della sinistra socialista
.pubblicata da Pier Luigi Camagni il giorno domenica 23 gennaio 2011 alle ore 0.38.Le compagne e i compagni della Sinistra Socialista che si sono ritrovati oggi a Sassuolo, in rappresentanza delle realtà territoriali di Piemonte, Lombardia, Liguria, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna e Marche, oltre al compagno Franco Bartolomei e ad altri compagni del Lazio, dopo un ampio dibattito a cui ha partecipato anche il compagno Lanfranco Turci e portato il proprio saluto il segretario della Federazione PSI di Modena, hanno approvato il seguente documento:
Gli accadimenti di questi ultimi mesi, se non degli ultimi giorni, portano la sinistra a porsi con urgenza alcune questioni su come affrontare l’opportunità offerta per il futuro dal risultato di Mirafiori prima, e dalla crisi, personale e politica, poi, che stringe il premier e il governo di centro-desta.
Come socialisti innanzitutto, ma poi come rappresentanti della sinistra del PSI e attivisti delle Leghe socialiste che stanno sorgendo in tutta Italia, sentiamo come ineludibili alcuni punti, per altro già ribaditi nella mozione che avevamo presentato al congresso di Perugia.
■i socialisti si devono impegnare nel cantiere della nuova sinistra italiana con DETERMINAZIONE, non può esservi spazio per alcuna idea di autosufficienza suicida. I risultati elettorali del Partito Socialista degli ultimi due anni, chiaramente negativi, rappresentano il fallimento di una presunzione di autosufficienza che conduce a perseguire , a dispetto di vuote proclamazioni identitarie, solo tattiche di sopravvivenza prive di qualsiasi valenza strategica per il socialismo Italiano, destinate inevitabilmente a concludere irreversibilmente la loro parabola nelle liste del PD. Il ricorso al tatticismo rischia di azzerare le nostre residue potenzialità politiche, allontanando il Partito dal perseguire con determinazione qualsiasi progetto finalizzato alla costruzione di una nuova forza in grado di riproporre con ben maggiore consistenza politica le ragioni del socialismo italiano ed europeo, a cui affidare la continuità del nostro patrimonio culturale e politico e su cui costruire la nostra rinascita. Il PD, in particolare, ha ribadito l’incapacità di offrire una credibile proposta politica su cui misurare le difficoltà del governo e l’incapacità di tornare a parlare al proprio blocco sociale di riferimento rappresentato dal mondo del lavoro, fino ad accettare dinamiche socio-economiche le cui conseguenze dirette sono state la flessibilizzazione e la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Il logoramento del tentativo del PD di concepire il nuovo ulivo essenzialmente come una preliminare riaggregazione attorno a se del centro sinistra, finalizzata ad un successivo rapporto politico di stretta alleanza con il nuovo centro nascente, sta progressivamente mostrando come la propria debolezza politica non può essere risolta eludendo il nodo centrale della necessità di un recupero complessivo della autonoma identità riformista del centro sinistra, come premessa principale della sua capacità di aggregazione, prima nell’elettorato e, successivamente, nel sistema politico.
■occorre riportare al centro della proposta politica socialista lavoro e libertà, perché il voto di Mirafiori ha rappresentato un risultato importante per la sinistra, e su quello si giocherà la possibilità, e le scelte fatte ne saranno discrimine, per costruire la sinistra del futuro. Rappresenta un NO chiaro al tentativo di governare le conseguenze sociali della crisi, e organizzare una possibile riattivazione dei processi di crescita, riducendo le rappresentanze sociali ad esclusivo momento interno ad una gestione meramente attuativa degli equilibri esistenti, economici , finanziari, e sociali, predeterminati da processi decisionali riservati in gran parte a tecnostrutture esterne alle sedi istituzionali deputate alla espressione della sovranità popolare. Sotto questo profilo l'esito del voto rappresenta per la sinistra italiana una occasione eccezionale per avviare finalmente una riflessione critica sulla propria incapacità di proposta e sulla bassissima qualità dei propri livelli di rappresentatività sociale, premessa inevitabile per una sua necessaria rifondazione attraverso la individuazione di un progetto di governo, autenticamente alternativo alle ragioni sociali responsabili della crisi verticale di un sistema di rapporti economici e finanziari che minaccia seriamente lo sviluppo futuro della nostra società, e la tenuta sostanziale della nostra democrazia. Questo nell’interesse dei lavoratori che hanno votato sì, sotto ricatto, pur di difendere il proprio lavoro, così come di coloro che hanno votato no, mettendolo anche a rischio, pur di difendere i propri diritti e un’idea di modello di sviluppo e di relazioni industriali che non si può basare su atti d’imperio, ma deve vedere la compartecipazione e cogestione di capitale e lavoro.
■il quadro politico pone con sempre maggiore urgenza la necessità del superamento dell’attuale schieramento di centro-sinistra, guidato da una forza politica in piena crisi di rappresentanza, come il PD, priva di una definita identità riformatrice, incapace a dispetto delle sue affermazioni di svolgere una autentica funzione nazionale, e soprattutto incapace, per i suoi limiti strutturali e culturali, di progettare un sistema di alleanze politiche e sociali potenzialmente maggioritario in grado di riattivare una autentica democrazia dell’alternanza all’interno della quale misurare democraticamente la volontà di cambiamento e di riforma di tutto lo schieramento progressista. La situazione di crisi politica, istituzionale, economica e sociale che attraversa il paese chiama i socialisti alla assunzione di grandi responsabilità politiche nell’interesse della democrazia italiana, per la tutela del mondo del lavoro e delle classi più deboli della società e per la difesa dei valori costituzionali di libertà e giustizia sociale. Occorre una rinnovata capacità di analisi ed interpretazione della realtà, necessaria ad impostare , fuori da ogni illusione di autosufficienza, una azione politica diretta a collocare i socialisti alla guida di un processo di ricostruzione della sinistra, che porti l’insieme delle forze di progresso a recuperare una visione strutturale dei processi di riforma sociale ed economica necessari a risollevare il paese dal disastro in cui la crisi del modello neo-liberista ha gettato l’intero occidente sviluppato. In tal senso occorre un deciso impegno al sostegno, nelle prossime elezioni amministrative, di quelle coalizioni, quelle liste, quei candidati che, come Pisapia a Milano, meglio rappresentano l’indicazione di un percorso verso una nuova prospettiva per la sinistra.
Il compito dei socialisti diviene quindi la costruzione di una nuova sinistra impegnata a lavorare ad un nuovo modello di sviluppo fondato sulla riappropriazione sociale del giudizio di valore sulla qualità dei processi di crescita economica, attraverso la realizzazione di nuovi strumenti istituzionali di programmazione e di controllo delle variabili economiche orientate a garantire gli interessi generali della comunità civile dei produttori e dei consumatori, in grado di svincolare la vita delle società dal totale assorbimento nelle logiche di mercato raggiunto nell’attuale fase di finanziarizazzione integrale della economia, ed in grado di rappresentare un potenziale alternativo sistema di riferimento per gli stessi paesi emergenti e per il resto del mondo in via di sviluppo.
Diviene quindi ineludibile la costruzione di un rapporto unitario con tutte le forze politiche che si rendessero disponibili a lavorare a questo progetto di rinascita socialista della sinistra italiana.
In questo quadro di prospettiva appare quindi evidente che i socialisti debbano giocare tutte le proprie carte politiche all’interno del nuovo rapporto politico nascente a sinistra, scatenato dalle contraddizioni aperte all’interno del PD dalla capacità di impatto della candidatura di Vendola a candidato premier del centro-sinistra, assumendo il ruolo di garanti della evoluzione di questo processo verso la realizzazione del nostro obiettivo di fondo della costruzione di una grande forza politica inclusa nello schieramento del socialismo europeo.
Per questi motivi riteniamo necessario che i socialisti lavorino per trasformare il rapporto tra il PSI, SEL ed il PD, innanzitutto, oggi limitato alla sola comune partecipazione all’alleanza del nuovo ulivo, in una nuova grande forza politica unitaria, socialista e democratica, in grado di ricostruire l'identità riformista della sinistra italiana, e di guidare politicamente l’alleanza di centro-sinistra.
Gli accadimenti di questi ultimi mesi, se non degli ultimi giorni, portano la sinistra a porsi con urgenza alcune questioni su come affrontare l’opportunità offerta per il futuro dal risultato di Mirafiori prima, e dalla crisi, personale e politica, poi, che stringe il premier e il governo di centro-desta.
Come socialisti innanzitutto, ma poi come rappresentanti della sinistra del PSI e attivisti delle Leghe socialiste che stanno sorgendo in tutta Italia, sentiamo come ineludibili alcuni punti, per altro già ribaditi nella mozione che avevamo presentato al congresso di Perugia.
■i socialisti si devono impegnare nel cantiere della nuova sinistra italiana con DETERMINAZIONE, non può esservi spazio per alcuna idea di autosufficienza suicida. I risultati elettorali del Partito Socialista degli ultimi due anni, chiaramente negativi, rappresentano il fallimento di una presunzione di autosufficienza che conduce a perseguire , a dispetto di vuote proclamazioni identitarie, solo tattiche di sopravvivenza prive di qualsiasi valenza strategica per il socialismo Italiano, destinate inevitabilmente a concludere irreversibilmente la loro parabola nelle liste del PD. Il ricorso al tatticismo rischia di azzerare le nostre residue potenzialità politiche, allontanando il Partito dal perseguire con determinazione qualsiasi progetto finalizzato alla costruzione di una nuova forza in grado di riproporre con ben maggiore consistenza politica le ragioni del socialismo italiano ed europeo, a cui affidare la continuità del nostro patrimonio culturale e politico e su cui costruire la nostra rinascita. Il PD, in particolare, ha ribadito l’incapacità di offrire una credibile proposta politica su cui misurare le difficoltà del governo e l’incapacità di tornare a parlare al proprio blocco sociale di riferimento rappresentato dal mondo del lavoro, fino ad accettare dinamiche socio-economiche le cui conseguenze dirette sono state la flessibilizzazione e la precarizzazione dei rapporti di lavoro. Il logoramento del tentativo del PD di concepire il nuovo ulivo essenzialmente come una preliminare riaggregazione attorno a se del centro sinistra, finalizzata ad un successivo rapporto politico di stretta alleanza con il nuovo centro nascente, sta progressivamente mostrando come la propria debolezza politica non può essere risolta eludendo il nodo centrale della necessità di un recupero complessivo della autonoma identità riformista del centro sinistra, come premessa principale della sua capacità di aggregazione, prima nell’elettorato e, successivamente, nel sistema politico.
■occorre riportare al centro della proposta politica socialista lavoro e libertà, perché il voto di Mirafiori ha rappresentato un risultato importante per la sinistra, e su quello si giocherà la possibilità, e le scelte fatte ne saranno discrimine, per costruire la sinistra del futuro. Rappresenta un NO chiaro al tentativo di governare le conseguenze sociali della crisi, e organizzare una possibile riattivazione dei processi di crescita, riducendo le rappresentanze sociali ad esclusivo momento interno ad una gestione meramente attuativa degli equilibri esistenti, economici , finanziari, e sociali, predeterminati da processi decisionali riservati in gran parte a tecnostrutture esterne alle sedi istituzionali deputate alla espressione della sovranità popolare. Sotto questo profilo l'esito del voto rappresenta per la sinistra italiana una occasione eccezionale per avviare finalmente una riflessione critica sulla propria incapacità di proposta e sulla bassissima qualità dei propri livelli di rappresentatività sociale, premessa inevitabile per una sua necessaria rifondazione attraverso la individuazione di un progetto di governo, autenticamente alternativo alle ragioni sociali responsabili della crisi verticale di un sistema di rapporti economici e finanziari che minaccia seriamente lo sviluppo futuro della nostra società, e la tenuta sostanziale della nostra democrazia. Questo nell’interesse dei lavoratori che hanno votato sì, sotto ricatto, pur di difendere il proprio lavoro, così come di coloro che hanno votato no, mettendolo anche a rischio, pur di difendere i propri diritti e un’idea di modello di sviluppo e di relazioni industriali che non si può basare su atti d’imperio, ma deve vedere la compartecipazione e cogestione di capitale e lavoro.
■il quadro politico pone con sempre maggiore urgenza la necessità del superamento dell’attuale schieramento di centro-sinistra, guidato da una forza politica in piena crisi di rappresentanza, come il PD, priva di una definita identità riformatrice, incapace a dispetto delle sue affermazioni di svolgere una autentica funzione nazionale, e soprattutto incapace, per i suoi limiti strutturali e culturali, di progettare un sistema di alleanze politiche e sociali potenzialmente maggioritario in grado di riattivare una autentica democrazia dell’alternanza all’interno della quale misurare democraticamente la volontà di cambiamento e di riforma di tutto lo schieramento progressista. La situazione di crisi politica, istituzionale, economica e sociale che attraversa il paese chiama i socialisti alla assunzione di grandi responsabilità politiche nell’interesse della democrazia italiana, per la tutela del mondo del lavoro e delle classi più deboli della società e per la difesa dei valori costituzionali di libertà e giustizia sociale. Occorre una rinnovata capacità di analisi ed interpretazione della realtà, necessaria ad impostare , fuori da ogni illusione di autosufficienza, una azione politica diretta a collocare i socialisti alla guida di un processo di ricostruzione della sinistra, che porti l’insieme delle forze di progresso a recuperare una visione strutturale dei processi di riforma sociale ed economica necessari a risollevare il paese dal disastro in cui la crisi del modello neo-liberista ha gettato l’intero occidente sviluppato. In tal senso occorre un deciso impegno al sostegno, nelle prossime elezioni amministrative, di quelle coalizioni, quelle liste, quei candidati che, come Pisapia a Milano, meglio rappresentano l’indicazione di un percorso verso una nuova prospettiva per la sinistra.
Il compito dei socialisti diviene quindi la costruzione di una nuova sinistra impegnata a lavorare ad un nuovo modello di sviluppo fondato sulla riappropriazione sociale del giudizio di valore sulla qualità dei processi di crescita economica, attraverso la realizzazione di nuovi strumenti istituzionali di programmazione e di controllo delle variabili economiche orientate a garantire gli interessi generali della comunità civile dei produttori e dei consumatori, in grado di svincolare la vita delle società dal totale assorbimento nelle logiche di mercato raggiunto nell’attuale fase di finanziarizazzione integrale della economia, ed in grado di rappresentare un potenziale alternativo sistema di riferimento per gli stessi paesi emergenti e per il resto del mondo in via di sviluppo.
Diviene quindi ineludibile la costruzione di un rapporto unitario con tutte le forze politiche che si rendessero disponibili a lavorare a questo progetto di rinascita socialista della sinistra italiana.
In questo quadro di prospettiva appare quindi evidente che i socialisti debbano giocare tutte le proprie carte politiche all’interno del nuovo rapporto politico nascente a sinistra, scatenato dalle contraddizioni aperte all’interno del PD dalla capacità di impatto della candidatura di Vendola a candidato premier del centro-sinistra, assumendo il ruolo di garanti della evoluzione di questo processo verso la realizzazione del nostro obiettivo di fondo della costruzione di una grande forza politica inclusa nello schieramento del socialismo europeo.
Per questi motivi riteniamo necessario che i socialisti lavorino per trasformare il rapporto tra il PSI, SEL ed il PD, innanzitutto, oggi limitato alla sola comune partecipazione all’alleanza del nuovo ulivo, in una nuova grande forza politica unitaria, socialista e democratica, in grado di ricostruire l'identità riformista della sinistra italiana, e di guidare politicamente l’alleanza di centro-sinistra.
Biscardini: Lissone, ancora le monetine. Una vergognosa provocazione contro i socialisti
“Un vergognosa provocazione di altri tempi. Dopo un ventennio si è ripresentato il popolo delle monetine. Quello che avevamo conosciuto davanti al Raphael e a Milano davanti alla sede di Corso Magenta. Una vergognosa manifestazione organizzata dal Italia dei Valori e sostenuta da qualche dirigente locale del PD. Mancava solo Ignazio La Russa e poi c’erano tutti.” Lo ha dichiarato Roberto Biscardini delle Segreteria nazionale del PSI presente a Lissone alla manifestazione per l’inaugurazione della Piazza intitolata a Bettino Craxi insieme a Stefania Craxi.
sabato 22 gennaio 2011
Alberto Peretti: i limiti del progetto Marchionne
I limiti del progetto Marchionne
21 Gennaio 2011 di Carlo Cefaloni
Fonte: Città Nuova
Continuando a dar voce alle diverse sensibilità sulla vicenda Mirafiori, intervistiamo il filosofo del lavoro Alberto Peretti su lavoro, impresa e globalizzazione a partire dal’attualità di Adriano Olivetti
2.735 a favore, 2.325 contro. Il risultato del referendum avvenuto alla Fiat di Mirafiori a Torino ha fatto riemergere anche un’altra “storia possibile” nella politica industriale in Italia, quella che ha come modello Adriano Olivetti, l’imprenditore scomparso nel 1960. Troppo utopista o fortemente in anticipo sui tempi? Riportiamo la sintesi di una più ampia intervista rilasciata dal professor Alberto Peretti, filosofo del lavoro e tra i promotori, assieme a Luigino Bruni, Salvatore Natoli e Stefano Zamagni, del progetto “Adriano Olivetti anno uno” che, già dal titolo, indica una storia che non è finita affatto, anzi che comincia adesso.
Tradizionalmente si contrappone il modello di Olivetti a quello gerarchico “sabaudo” della Fiat. Ma l’approccio sociale e comunitario sembra finito con il suo fondatore, mentre incalza la globalizzazione che impone altri standard competitivi. Rimane solo un interesse storico e nostalgico?
«Occorre sottrarre Olivetti da una riduzione di tipo nostalgico archeologico. La sua impresa ha avuto un inizio e una fine, ma il pensiero sottostante a quell’esperienza è di una vitalità tale che possiamo riconoscerlo più attuale ora di quanto si potesse intuire negli anni Sessanta. Anzi sta ancora anticipando i tempi. La rilettura di Olivetti è oggi indispensabile per immaginare una rinnovata economia e ci libera da una visione riduttiva e immiserente della responsabilità sociale di impresa vista come strumentale e accessoria a logiche di puro profitto. L’Olivetti di Adriano, che nulla ebbe dell’irrealistica e velleitaria utopia, testimonia al contrario la concreta possibilità di un’economia capace di far convivere esigenze produttive, benessere materiale e fioritura dell’essere umano. La grande intuizione di Olivetti rimane quella di spiritualizzare l’economia e gli apparati produttivi. Le forze materiali non sono intese da Olivetti come fini a se stesse, ma sempre come strumento al servizio di “mete spirituali”».
Sembra una cosa fuori tema. Che significa?
«La domanda sottesa a tutta l’opera di Olivetti è questa: che cosa produce il nostro lavoro? Certamente ricchezza materiale, ma produce fondamentalmente esistenze, plasma le nostre vite. La domanda che nell’attuale dibattito economico rimane rimossa è: quale qualità di vita produce il lavoro? Viene bandita dal discorso corrente la domanda su quale genere di umanità scaturisca dal processo produttivo. È il dramma di un capitalismo che chiamerei “idiota”, perché concepisce l’atto economico ad una sola dimensione, quella materiale. Senza l’accento posto sull’essere umano diventa incomprensibile, ad esempio, la creatività ancora viva delle imprese italiane. Nell’impresa olivettiana il fine del lavoro non era più costretto dal tornaconto, ma si ampliava diventando occasione di avvaloramento del mondo. È il tema di un grande “patto sociale” che oggi viene dichiarato, ma che rimane lontano da quella prospettiva».
Il patto sociale viene proposto ora per difendersi in un quadro di competizione internazionale...
«La storia non va dove l’omologazione mediatica ci vuole far credere. Il futuro non è già scritto e non è da inseguire, piuttosto da immaginare. Certi comportamenti economici non sono dettati da fantomatiche leggi di natura. Un certo modo di vedere la globalizzazione deriva dall’acritica e stolida accettazione di un paradigma sociale. Diventa un indirizzo economico prevalente solo perché forze e interessi del capitale finanziario hanno interesse a imporla. La logica di una competizione retta dal mors tua vita mea, porterà l’Occidente a scomparire. L’Occidente, e l’Italia in particolare, deve proporre un modello di economia e di esistenza che scaturisce dalle sue grandi sorgenti: il pensiero greco, il messaggio cristiano, la tradizione umanistica e illuminista. Accodarsi a modelli di vita e di produzione che ci sono estranei è perdente anche in un’ottica di equilibri geopolitici. Significativo che la Cina stia aprendo istituti di cultura confuciana in Europa e nel mondo. Hanno compreso che l’atto economico è anche un atto culturale. Che la vera economia contiene un pensiero filosofico e antropologico».
Quindi di cosa c’è bisogno?
«Le tesi della competizione assoluta per prevalere non sono moderne, ma vecchie di secoli. Occorre un’economia rianimata da un rinnovato progetto del vivere. In questo senso Olivetti rimane esemplare e lungimirante: quando muore lascia un’azienda in attivo con oltre 30 mila dipendenti e filiali in tutto il mondo. Un prodotto che aveva il 30 per cento delle quote di mercato mondiali e il 70 per cento in Italia. E lascia soprattutto un mondo, interno ed esterno all’azienda, unanimemente ritenuto più giusto, più vero, più bello e più umano. Occorre avere il coraggio di dire che il “modello Marchionne” non offende soltanto gli operai, ma ancor più gli imprenditori, quelli veri. Sperpera capitale sociale, e cioè mina fiducia reciproca, toglie energie, idealità, fantasia e voglia di partecipazione. Queste sono vere e proprie “ricchezze economiche” che, in particolare per l’Italia, non si possono disperdere».
Eppure solo nel 2006 lo stesso amministratore delegato della Fiat se la prendeva contro gli interessi della finanza internazionale, facendo notare che non aveva senso scaricare la competizione su chi si trova alla catena di montaggio, mentre ora ci troviamo con interi reparti produttivi che hanno espresso una maggioranza contraria al tipo di produzione proposto dall’azienda. Cosa è cambiato nel frattempo?
«Ciò che è avvenuto col referendum è assai interessante e può essere letto in maniera del tutto deideologizzata. Non si tratta di portare acqua a un certo radicalismo di sinistra, ma di riconoscere in quella risposta una forte manifestazione di dignità, di resistenza ad un ricatto espresso in modo esplicito e chiaro. È il segno della capacità di ritrovare un senso del fare che vada oltre la componente salariale. Dietro al “no” ci sono persone che hanno osato dire: il lavoro è più dello stipendio, più del profitto che ne possiamo ricavare. Persone che hanno riconosciuto il lavoro come un modo di stare assieme contrassegnato da un progetto di civile convivenza».
Un risultato da cui partire, sembra di capire.
«È una buona notizia a fronte di un mondo appiattito sulle solite logiche di misera e miope produttività materiale. E fa ben sperare. Dovrebbe far piacere a tutti. Soprattutto a quegli imprenditori che vogliono lavorare con operai che nel loro lavoro mettano testa, cuore, spirito. Le aziende si governano non offendendo, ma esaltando le donne egli uomini che vi lavorano, recuperando una logica di cooperazione e di rispetto. Non è retorica, ma una strada obbligata se non vogliamo metterci ai margini dei grandi processi sociali e culturali che stanno fermentando in tutto il mondo. Si tratta quindi recuperare all’agire d’impresa una prospettiva di lunga durata, propria di chi investe sul futuro e sa guardare al mondo progettandolo per gli anni a venire. Di chi sa imporsi alle logiche della globalizzazione e non accodarsi ad esse. Questo è il tema decisivo».
21 Gennaio 2011 di Carlo Cefaloni
Fonte: Città Nuova
Continuando a dar voce alle diverse sensibilità sulla vicenda Mirafiori, intervistiamo il filosofo del lavoro Alberto Peretti su lavoro, impresa e globalizzazione a partire dal’attualità di Adriano Olivetti
2.735 a favore, 2.325 contro. Il risultato del referendum avvenuto alla Fiat di Mirafiori a Torino ha fatto riemergere anche un’altra “storia possibile” nella politica industriale in Italia, quella che ha come modello Adriano Olivetti, l’imprenditore scomparso nel 1960. Troppo utopista o fortemente in anticipo sui tempi? Riportiamo la sintesi di una più ampia intervista rilasciata dal professor Alberto Peretti, filosofo del lavoro e tra i promotori, assieme a Luigino Bruni, Salvatore Natoli e Stefano Zamagni, del progetto “Adriano Olivetti anno uno” che, già dal titolo, indica una storia che non è finita affatto, anzi che comincia adesso.
Tradizionalmente si contrappone il modello di Olivetti a quello gerarchico “sabaudo” della Fiat. Ma l’approccio sociale e comunitario sembra finito con il suo fondatore, mentre incalza la globalizzazione che impone altri standard competitivi. Rimane solo un interesse storico e nostalgico?
«Occorre sottrarre Olivetti da una riduzione di tipo nostalgico archeologico. La sua impresa ha avuto un inizio e una fine, ma il pensiero sottostante a quell’esperienza è di una vitalità tale che possiamo riconoscerlo più attuale ora di quanto si potesse intuire negli anni Sessanta. Anzi sta ancora anticipando i tempi. La rilettura di Olivetti è oggi indispensabile per immaginare una rinnovata economia e ci libera da una visione riduttiva e immiserente della responsabilità sociale di impresa vista come strumentale e accessoria a logiche di puro profitto. L’Olivetti di Adriano, che nulla ebbe dell’irrealistica e velleitaria utopia, testimonia al contrario la concreta possibilità di un’economia capace di far convivere esigenze produttive, benessere materiale e fioritura dell’essere umano. La grande intuizione di Olivetti rimane quella di spiritualizzare l’economia e gli apparati produttivi. Le forze materiali non sono intese da Olivetti come fini a se stesse, ma sempre come strumento al servizio di “mete spirituali”».
Sembra una cosa fuori tema. Che significa?
«La domanda sottesa a tutta l’opera di Olivetti è questa: che cosa produce il nostro lavoro? Certamente ricchezza materiale, ma produce fondamentalmente esistenze, plasma le nostre vite. La domanda che nell’attuale dibattito economico rimane rimossa è: quale qualità di vita produce il lavoro? Viene bandita dal discorso corrente la domanda su quale genere di umanità scaturisca dal processo produttivo. È il dramma di un capitalismo che chiamerei “idiota”, perché concepisce l’atto economico ad una sola dimensione, quella materiale. Senza l’accento posto sull’essere umano diventa incomprensibile, ad esempio, la creatività ancora viva delle imprese italiane. Nell’impresa olivettiana il fine del lavoro non era più costretto dal tornaconto, ma si ampliava diventando occasione di avvaloramento del mondo. È il tema di un grande “patto sociale” che oggi viene dichiarato, ma che rimane lontano da quella prospettiva».
Il patto sociale viene proposto ora per difendersi in un quadro di competizione internazionale...
«La storia non va dove l’omologazione mediatica ci vuole far credere. Il futuro non è già scritto e non è da inseguire, piuttosto da immaginare. Certi comportamenti economici non sono dettati da fantomatiche leggi di natura. Un certo modo di vedere la globalizzazione deriva dall’acritica e stolida accettazione di un paradigma sociale. Diventa un indirizzo economico prevalente solo perché forze e interessi del capitale finanziario hanno interesse a imporla. La logica di una competizione retta dal mors tua vita mea, porterà l’Occidente a scomparire. L’Occidente, e l’Italia in particolare, deve proporre un modello di economia e di esistenza che scaturisce dalle sue grandi sorgenti: il pensiero greco, il messaggio cristiano, la tradizione umanistica e illuminista. Accodarsi a modelli di vita e di produzione che ci sono estranei è perdente anche in un’ottica di equilibri geopolitici. Significativo che la Cina stia aprendo istituti di cultura confuciana in Europa e nel mondo. Hanno compreso che l’atto economico è anche un atto culturale. Che la vera economia contiene un pensiero filosofico e antropologico».
Quindi di cosa c’è bisogno?
«Le tesi della competizione assoluta per prevalere non sono moderne, ma vecchie di secoli. Occorre un’economia rianimata da un rinnovato progetto del vivere. In questo senso Olivetti rimane esemplare e lungimirante: quando muore lascia un’azienda in attivo con oltre 30 mila dipendenti e filiali in tutto il mondo. Un prodotto che aveva il 30 per cento delle quote di mercato mondiali e il 70 per cento in Italia. E lascia soprattutto un mondo, interno ed esterno all’azienda, unanimemente ritenuto più giusto, più vero, più bello e più umano. Occorre avere il coraggio di dire che il “modello Marchionne” non offende soltanto gli operai, ma ancor più gli imprenditori, quelli veri. Sperpera capitale sociale, e cioè mina fiducia reciproca, toglie energie, idealità, fantasia e voglia di partecipazione. Queste sono vere e proprie “ricchezze economiche” che, in particolare per l’Italia, non si possono disperdere».
Eppure solo nel 2006 lo stesso amministratore delegato della Fiat se la prendeva contro gli interessi della finanza internazionale, facendo notare che non aveva senso scaricare la competizione su chi si trova alla catena di montaggio, mentre ora ci troviamo con interi reparti produttivi che hanno espresso una maggioranza contraria al tipo di produzione proposto dall’azienda. Cosa è cambiato nel frattempo?
«Ciò che è avvenuto col referendum è assai interessante e può essere letto in maniera del tutto deideologizzata. Non si tratta di portare acqua a un certo radicalismo di sinistra, ma di riconoscere in quella risposta una forte manifestazione di dignità, di resistenza ad un ricatto espresso in modo esplicito e chiaro. È il segno della capacità di ritrovare un senso del fare che vada oltre la componente salariale. Dietro al “no” ci sono persone che hanno osato dire: il lavoro è più dello stipendio, più del profitto che ne possiamo ricavare. Persone che hanno riconosciuto il lavoro come un modo di stare assieme contrassegnato da un progetto di civile convivenza».
Un risultato da cui partire, sembra di capire.
«È una buona notizia a fronte di un mondo appiattito sulle solite logiche di misera e miope produttività materiale. E fa ben sperare. Dovrebbe far piacere a tutti. Soprattutto a quegli imprenditori che vogliono lavorare con operai che nel loro lavoro mettano testa, cuore, spirito. Le aziende si governano non offendendo, ma esaltando le donne egli uomini che vi lavorano, recuperando una logica di cooperazione e di rispetto. Non è retorica, ma una strada obbligata se non vogliamo metterci ai margini dei grandi processi sociali e culturali che stanno fermentando in tutto il mondo. Si tratta quindi recuperare all’agire d’impresa una prospettiva di lunga durata, propria di chi investe sul futuro e sa guardare al mondo progettandolo per gli anni a venire. Di chi sa imporsi alle logiche della globalizzazione e non accodarsi ad esse. Questo è il tema decisivo».
Renato Fioretti: Il caso Fiat-Mirafiori
Il caso Fiat - Mirafiori: paradigma del nostro tempo!
(di Renato Fioretti)
Le modalità e i contenuti delle reazioni che hanno accompagnato l’evolversi della vicenda Fiat-Mirafiori hanno finito per rappresentare il paradigma più esaustivo della situazione politico-sindacale che caratterizza il nostro tempo.
In effetti, le posizioni assunte dai diversi attori in scena - dai protagonisti alle semplici comparse - hanno definitivamente certificato quello che, a mio parere, è un (ormai) chiaro e incontrovertibile dato politico.
Nel nostro Paese, non esiste più alcuna forza politica - almeno tra quelle che allo stato dispongono di rappresentanza parlamentare - che, oggettivamente e coerentemente, si presti a rappresentare un credibile punto di riferimento per gli interessi dei lavoratori; anche se in misura non esclusiva.
Certo, si potrebbe facilmente obiettare che pretendere (ancora oggi) una rappresentanza che guardasse - in particolare - alla tutela di così specifici interessi, rappresenterebbe il (nostalgico) rigurgito di quel “conflitto di classe” di così lontana memoria. In totale contrasto alle posizioni espresse dall’attuale ministro del lavoro, secondo il quale è ormai maturo il tempo per (definitivamente) superare l’antica contrapposizione tra capitale e lavoro, tra “padroni” e lavoratori e prendere atto della sostanziale unità d’intenti cui adeguare le ragioni e i comportamenti di soggetti diversi tra loro ma non più pregiudizialmente avversi!
Personalmente, non ho mai condiviso né sostenuto l’idea di una classe operaia in naturale e fatale opposizione sociale, nel senso “dell’una contro le altre armata”; è, però, del tutto evidente che quando ci si riferisce alla sostanza d’interessi difficilmente convergenti - anche se non assolutamente e aprioristicamente antitetici - quali quelli tra capitale e lavoro, si tratta di tutt’altra questione.
Tra l’altro, è opportuno sottolineare che, anche a voler prendere in considerazione l’ipotesi di approfondire il confronto in conformità a quanto auspicato da Sacconi, la realtà dimostra che la concreta realizzazione della politica “del fare” dei governi Berlusconi, della quale il titolare di Via Flavia è un tenace e convinto esecutore, tradisce la vacuità di certe dichiarazioni di principio.
Difatti, che il ministro (in realtà) auspichi una forma di collaborazione “asimmetrica”, attraverso la quale - in virtù della nuova era delle (seducenti) relazioni industriali - i lavoratori rinuncino alle rivendicazioni, a favore di una stabilità lavorativa fortemente “condizionata”, è un fatto accertato.
In questo senso, mentre le ragioni del mercato - e per esso quelle delle imprese - sono presentate, sostenute e reclamate alla stregua di un’esigenza collettiva, della quale tutti devono farsi carico e di fronte alla quale qualsiasi altra cosa rappresenta un elemento di disturbo, il tema lavoro perde il carattere collettivo e finisce con l’essere ridotto a mera esigenza individuale.
Nient’altro che un bisogno di tipo personale, da negoziare individualmente - in perfetto equilibrio di forza contrattuale - e soddisfare attraverso la più elementare forma di scambio commerciale.
Un semplice baratto tra la prestazione lavorativa - a prescindere da qualsiasi tipo di vincolo, tutela e garanzia - e l’auspicata (non certo garantita) continuità del rapporto.
Non a caso, la stessa posizione - di sostanziale “surplasse” - assunta dal governo, rispetto alle recenti vicende che hanno coinvolto gli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori, ha rappresentato, a mio parere, l’estrema sintesi di una ben definita “scelta di campo”.
Un’opzione che, palesemente, contraddice le dichiarazioni tese a sostenere la presunta unità d’intenti per l’affermazione d’interessi collettivi (e comuni) tra le parti sociali e, contemporaneamente - come efficacemente rilevato da Carlo Galli (“La Repubblica” dell’8 gennaio 2011) - propone “ Un governo che rinuncia a dare forma ed equilibrio a una complessità, a gestire le contingenze e le crisi con riguardo alla molteplicità degli attori in gioco e si limita a certificare ex post l’esito della legge del più forte”!
D’altra parte, come già rilevato in altra occasione, soltanto i distratti “per vocazione” avrebbero potuto fare a meno di rilevare l’incipit del decreto legislativo 276/03 che - all’art. 1, comma 1 - indica come finalità l’obiettivo di aumentare i tassi di occupazione e promuovere la qualità e stabilità del lavoro, anche attraverso contratti compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori!
Già dal 2003 era quindi evidente che, a valle del Libro bianco e prima ancora delle recenti e future novità - quali il Collegato lavoro e il già famigerato “Statuto dei lavori” - i governi Berlusconi avrebbero privilegiato le ragioni (esigenze) delle aziende, rispetto a quelle dei lavoratori (titolari di semplici aspirazioni)!
Se, però, le posizioni presenti nel centrodestra non presentano, in sostanza, alcuna novità, è deprimente la presa d’atto del comportamento sostanzialmente “pilatesco” assunto dal maggior partito di opposizione.
Quello stesso Pd che, contrariamente alle posizioni ufficialmente assunte da tutti i suoi esponenti di maggior rilievo - da D’Alema e Bersani per arrivare a Weltroni e Letta, passando attraverso Ichino e Chiamparino - pur continuava a dichiarare di essere (ancora) sostenitore della “centralità” del lavoro.
Una centralità tanto “proclamata” quanto evanescente nella pratica quotidiana.
In questo senso, a mio avviso - nella vicenda Mirafiori - è stato affatto insufficiente, da parte del Pd, limitare la denuncia alla lesione del diritto di rappresentanza sindacale della Fiom e, contemporaneamente, fare professione d’ignavia rispetto all’oggettivo peggioramento delle condizioni di lavoro per migliaia di lavoratori torinesi, dopo quelli di Pomigliano.
Infatti, una volta accertato che i lavoratori di Mirafiori - in contraddizione con lo stesso principio democratico di una consultazione referendaria - sarebbero stati, in realtà, chiamati a una scelta pesantemente vincolata dall’ultimatum lanciato da Marchionne: “O vince il Sì, o delocalizziamo in Canada”, sarebbe stato legittimo aspettarsi qualcosa di più da un partito di opposizione che dichiara di avere “il lavoro” quale riferimento della sua azione politica.
Almeno da parte di quegli stessi esponenti che ancora nell’ottobre 1980 manifestavano il loro giovanile entusiasmo ai cancelli della Fiat!
Comunque, tale atteggiamento ha, se non altro, contribuito ad apportare un elemento di chiarezza nel panorama politico nazionale: anche coloro i quali nutrivano ancora qualche illusione e avevano gioito alla nascita del Pd, auspicando la costituzione di un soggetto politico che, tra l’altro, sostenesse un carattere autenticamente “riformista” delle politiche del lavoro - sottraendole, da un lato a una visione “classista” e, dall’altro, a una concezione “liberal” - hanno dovuto ricredersi.
“Chi è amico di tutti non è amico di nessuno”. Il noto aforisma di Arthur Schopenhauer ben si adatta alla posizione assunta dal maggior partito d’opposizione.
Questo spiega, in effetti, la “mancata scelta” di un gruppo dirigente che, di là da qualche netto “distinguo” (nel senso del palese e incondizionato sostegno all’Ad di Fiat), ha fatto ricorso a vere e proprie acrobazie semantiche per evitare di abbinare la propria immagine alla (perdente) protesta dei lavoratori torinesi.
In definitiva, si è avuta la sensazione che, a un governo che aveva scelto di praticare una sorta di “non ingerenza” nella questione Fiat - salvo plaudire (prima) all’ennesimo “accordo separato” e (poi) condividere gli ultimatum di Marchionne - corrispondesse un centrosinistra tenacemente teso a riaffermare e dimostrare “urbi et orbi” di aver definitivamente superato “l’esame di ammissione” alla modernità e alla globalizzazione.
Anche a costo di sacrificare ogni residuale vincolo con quella stessa rappresentanza sociale che aveva costituito uno storico punto di riferimento per tanti (ex) Ds, (ex) Pds e (ex) Pci.
Certo, dopo il referendum del 13 e 14 gennaio, se Sacconi potrà rallegrarsi della sconfitta dei “No”, se il Pd potrà ritenere di aver fatto il massimo possibile - sostenendo, nei fatti, i “Sì” e limitandosi a denunciare il vulnus al diritto di rappresentanza dei lavoratori - e la Fiom, forte delle numerose adesioni, potrà reclamare lo spazio di trattativa che, comunque, le compete, sarà quel 46 per cento di lavoratori di Mirafiori a dover prendere formalmente (e definitivamente) atto di non poter considerare il Pd un referente politico attendibile.
(di Renato Fioretti)
Le modalità e i contenuti delle reazioni che hanno accompagnato l’evolversi della vicenda Fiat-Mirafiori hanno finito per rappresentare il paradigma più esaustivo della situazione politico-sindacale che caratterizza il nostro tempo.
In effetti, le posizioni assunte dai diversi attori in scena - dai protagonisti alle semplici comparse - hanno definitivamente certificato quello che, a mio parere, è un (ormai) chiaro e incontrovertibile dato politico.
Nel nostro Paese, non esiste più alcuna forza politica - almeno tra quelle che allo stato dispongono di rappresentanza parlamentare - che, oggettivamente e coerentemente, si presti a rappresentare un credibile punto di riferimento per gli interessi dei lavoratori; anche se in misura non esclusiva.
Certo, si potrebbe facilmente obiettare che pretendere (ancora oggi) una rappresentanza che guardasse - in particolare - alla tutela di così specifici interessi, rappresenterebbe il (nostalgico) rigurgito di quel “conflitto di classe” di così lontana memoria. In totale contrasto alle posizioni espresse dall’attuale ministro del lavoro, secondo il quale è ormai maturo il tempo per (definitivamente) superare l’antica contrapposizione tra capitale e lavoro, tra “padroni” e lavoratori e prendere atto della sostanziale unità d’intenti cui adeguare le ragioni e i comportamenti di soggetti diversi tra loro ma non più pregiudizialmente avversi!
Personalmente, non ho mai condiviso né sostenuto l’idea di una classe operaia in naturale e fatale opposizione sociale, nel senso “dell’una contro le altre armata”; è, però, del tutto evidente che quando ci si riferisce alla sostanza d’interessi difficilmente convergenti - anche se non assolutamente e aprioristicamente antitetici - quali quelli tra capitale e lavoro, si tratta di tutt’altra questione.
Tra l’altro, è opportuno sottolineare che, anche a voler prendere in considerazione l’ipotesi di approfondire il confronto in conformità a quanto auspicato da Sacconi, la realtà dimostra che la concreta realizzazione della politica “del fare” dei governi Berlusconi, della quale il titolare di Via Flavia è un tenace e convinto esecutore, tradisce la vacuità di certe dichiarazioni di principio.
Difatti, che il ministro (in realtà) auspichi una forma di collaborazione “asimmetrica”, attraverso la quale - in virtù della nuova era delle (seducenti) relazioni industriali - i lavoratori rinuncino alle rivendicazioni, a favore di una stabilità lavorativa fortemente “condizionata”, è un fatto accertato.
In questo senso, mentre le ragioni del mercato - e per esso quelle delle imprese - sono presentate, sostenute e reclamate alla stregua di un’esigenza collettiva, della quale tutti devono farsi carico e di fronte alla quale qualsiasi altra cosa rappresenta un elemento di disturbo, il tema lavoro perde il carattere collettivo e finisce con l’essere ridotto a mera esigenza individuale.
Nient’altro che un bisogno di tipo personale, da negoziare individualmente - in perfetto equilibrio di forza contrattuale - e soddisfare attraverso la più elementare forma di scambio commerciale.
Un semplice baratto tra la prestazione lavorativa - a prescindere da qualsiasi tipo di vincolo, tutela e garanzia - e l’auspicata (non certo garantita) continuità del rapporto.
Non a caso, la stessa posizione - di sostanziale “surplasse” - assunta dal governo, rispetto alle recenti vicende che hanno coinvolto gli stabilimenti Fiat di Pomigliano e Mirafiori, ha rappresentato, a mio parere, l’estrema sintesi di una ben definita “scelta di campo”.
Un’opzione che, palesemente, contraddice le dichiarazioni tese a sostenere la presunta unità d’intenti per l’affermazione d’interessi collettivi (e comuni) tra le parti sociali e, contemporaneamente - come efficacemente rilevato da Carlo Galli (“La Repubblica” dell’8 gennaio 2011) - propone “ Un governo che rinuncia a dare forma ed equilibrio a una complessità, a gestire le contingenze e le crisi con riguardo alla molteplicità degli attori in gioco e si limita a certificare ex post l’esito della legge del più forte”!
D’altra parte, come già rilevato in altra occasione, soltanto i distratti “per vocazione” avrebbero potuto fare a meno di rilevare l’incipit del decreto legislativo 276/03 che - all’art. 1, comma 1 - indica come finalità l’obiettivo di aumentare i tassi di occupazione e promuovere la qualità e stabilità del lavoro, anche attraverso contratti compatibili con le esigenze delle aziende e le aspirazioni dei lavoratori!
Già dal 2003 era quindi evidente che, a valle del Libro bianco e prima ancora delle recenti e future novità - quali il Collegato lavoro e il già famigerato “Statuto dei lavori” - i governi Berlusconi avrebbero privilegiato le ragioni (esigenze) delle aziende, rispetto a quelle dei lavoratori (titolari di semplici aspirazioni)!
Se, però, le posizioni presenti nel centrodestra non presentano, in sostanza, alcuna novità, è deprimente la presa d’atto del comportamento sostanzialmente “pilatesco” assunto dal maggior partito di opposizione.
Quello stesso Pd che, contrariamente alle posizioni ufficialmente assunte da tutti i suoi esponenti di maggior rilievo - da D’Alema e Bersani per arrivare a Weltroni e Letta, passando attraverso Ichino e Chiamparino - pur continuava a dichiarare di essere (ancora) sostenitore della “centralità” del lavoro.
Una centralità tanto “proclamata” quanto evanescente nella pratica quotidiana.
In questo senso, a mio avviso - nella vicenda Mirafiori - è stato affatto insufficiente, da parte del Pd, limitare la denuncia alla lesione del diritto di rappresentanza sindacale della Fiom e, contemporaneamente, fare professione d’ignavia rispetto all’oggettivo peggioramento delle condizioni di lavoro per migliaia di lavoratori torinesi, dopo quelli di Pomigliano.
Infatti, una volta accertato che i lavoratori di Mirafiori - in contraddizione con lo stesso principio democratico di una consultazione referendaria - sarebbero stati, in realtà, chiamati a una scelta pesantemente vincolata dall’ultimatum lanciato da Marchionne: “O vince il Sì, o delocalizziamo in Canada”, sarebbe stato legittimo aspettarsi qualcosa di più da un partito di opposizione che dichiara di avere “il lavoro” quale riferimento della sua azione politica.
Almeno da parte di quegli stessi esponenti che ancora nell’ottobre 1980 manifestavano il loro giovanile entusiasmo ai cancelli della Fiat!
Comunque, tale atteggiamento ha, se non altro, contribuito ad apportare un elemento di chiarezza nel panorama politico nazionale: anche coloro i quali nutrivano ancora qualche illusione e avevano gioito alla nascita del Pd, auspicando la costituzione di un soggetto politico che, tra l’altro, sostenesse un carattere autenticamente “riformista” delle politiche del lavoro - sottraendole, da un lato a una visione “classista” e, dall’altro, a una concezione “liberal” - hanno dovuto ricredersi.
“Chi è amico di tutti non è amico di nessuno”. Il noto aforisma di Arthur Schopenhauer ben si adatta alla posizione assunta dal maggior partito d’opposizione.
Questo spiega, in effetti, la “mancata scelta” di un gruppo dirigente che, di là da qualche netto “distinguo” (nel senso del palese e incondizionato sostegno all’Ad di Fiat), ha fatto ricorso a vere e proprie acrobazie semantiche per evitare di abbinare la propria immagine alla (perdente) protesta dei lavoratori torinesi.
In definitiva, si è avuta la sensazione che, a un governo che aveva scelto di praticare una sorta di “non ingerenza” nella questione Fiat - salvo plaudire (prima) all’ennesimo “accordo separato” e (poi) condividere gli ultimatum di Marchionne - corrispondesse un centrosinistra tenacemente teso a riaffermare e dimostrare “urbi et orbi” di aver definitivamente superato “l’esame di ammissione” alla modernità e alla globalizzazione.
Anche a costo di sacrificare ogni residuale vincolo con quella stessa rappresentanza sociale che aveva costituito uno storico punto di riferimento per tanti (ex) Ds, (ex) Pds e (ex) Pci.
Certo, dopo il referendum del 13 e 14 gennaio, se Sacconi potrà rallegrarsi della sconfitta dei “No”, se il Pd potrà ritenere di aver fatto il massimo possibile - sostenendo, nei fatti, i “Sì” e limitandosi a denunciare il vulnus al diritto di rappresentanza dei lavoratori - e la Fiom, forte delle numerose adesioni, potrà reclamare lo spazio di trattativa che, comunque, le compete, sarà quel 46 per cento di lavoratori di Mirafiori a dover prendere formalmente (e definitivamente) atto di non poter considerare il Pd un referente politico attendibile.
venerdì 21 gennaio 2011
Claudio Bellavita: TAV da Milano a Parigi
ovviamente, evitando Torino, per la gioia di una minoranza di ostinati e rumorosi valsusini.
E' una notizia che mi riempie di rabbia e di sconforto, di cui voglio parlare con voi, che so prevalentemente NOTAV, perché le discussioni si fanno con quelli con cui si è in disaccordo. Gli altri si chiamano cori, sono più riposanti e confortanti, ma non sono politica.
Milano non ha mosso un dito: ha fatto tutto la Svizzera, realizzando un nuovo traforo del Gottardo, più complesso di quello progettato per il Fréjus, e collegando così Milano all'alta velocità , e capacità, per Zurigo, Ginevra e Parigi. Tutto a loro spese.
Ma non basta: consapevoli che gli italiani stanno ancora discutendo e il loro governo è senza soldi, gli svizzeri stanno scavando come tanti castori per realizzare una linea nel senso dei paralleli da Ginevra all'Austria, che poi proseguirà per Kiev e di là si collegherà alla Transiberiana che porta a Vladivostok, alla Transmongolica che porta a Shanghai, mentre Iran e India stanno progettando una deviazione che li attraversi e porti a Bombai e Calcutta. La più grande rivoluzione del commercio e dei trasporti mondiali da quando c'è stata la scoperta dell'America, che ha privilegiato le rotte atlantiche e il sistema del Reno. solo che questa volta l'Italia rischia di restare fuori.
Attenzione: gli svizzeri non sono spendaccioni, fanno bene i loro conti e sono anche molto attenti all'ambiente. Infatti sono stati i primi in Europa a limitare sempre di più il transito dei TIR, che caricati su un treno non inquinano e consumano molto meno energia.
Poi hanno anche un Stato che programma coscienziosamente dopo avere discusso, e adesso è lanciato sul progetto Svizzera 2000, che prevede di ridurre di DUE TERZI il consumo energetico procapite. E' stato elaborato tempo fa dai politecnici di Zurigo e Berna, adottato prima da alcune città e alcuni cantoni e poi dal governo federale.
Il grande collegamento orizzontale doveva passare per la Val Padana, una delle più ricche e popolose regioni europee. E guardando una carta si capisce a occhio che la linea più veloce passava da Marsiglia a Genova e poi via Brescia e Verona a Udine e in Austria. Ma la Liguria di ponente è troppo stretta e le montagne troppo instabili per reggere una "TAV dei fiori". E poi i francesi, che anche loro hanno uno Stato che programma e decide, han voluto fare una deviazione per Lione, per fare di Lione la seconda città di Francia, snodo tra la linea orizzontale e quella del Reno. Di qui una inattesa benedizione per Torino, naturalmente male accolta dai nostri mugugnatori della decrescita infelice e incazzata, che sognano di piantare cavoli e cardi gobbi nelle fabbriche abbandonate.
Ma d'altra parte, noi abbiamo una cultura politica che ha sempre aborrito la programmazione, che non ha ancora capito che facciamo organicamente parte dell'Europa, che gode della propria miopia provinciale e fa passare per grandi personaggi delle scartine mondiali. Vendola non sa quanto si è squalificato dicendosi contrario alla TAV in Piemonte ma favorevole a quella Napoli Bari ( a mio sommesso parere, sarebbe più importante la linea Bari Bologna). Se mai dovesse realizzarsi il suo progetto politico, sarà un altro leader pittoresco dell'Italia in declino.
Scusate, ma comincio a diventare insofferente dei miei coetanei che si fanno indottrinare dal Manifesto, e preferisco i giovani che leggono Internazionale. Che talvolta, come giusto, riprende anche autori e articoli del primo, ma ti fa vedere il mondo come va non come deve essere interpretato. e ti fa capire che il terzo mondo non è più una faccenda di missionari e di guerre civili, ma sta galoppando.
E' una notizia che mi riempie di rabbia e di sconforto, di cui voglio parlare con voi, che so prevalentemente NOTAV, perché le discussioni si fanno con quelli con cui si è in disaccordo. Gli altri si chiamano cori, sono più riposanti e confortanti, ma non sono politica.
Milano non ha mosso un dito: ha fatto tutto la Svizzera, realizzando un nuovo traforo del Gottardo, più complesso di quello progettato per il Fréjus, e collegando così Milano all'alta velocità , e capacità, per Zurigo, Ginevra e Parigi. Tutto a loro spese.
Ma non basta: consapevoli che gli italiani stanno ancora discutendo e il loro governo è senza soldi, gli svizzeri stanno scavando come tanti castori per realizzare una linea nel senso dei paralleli da Ginevra all'Austria, che poi proseguirà per Kiev e di là si collegherà alla Transiberiana che porta a Vladivostok, alla Transmongolica che porta a Shanghai, mentre Iran e India stanno progettando una deviazione che li attraversi e porti a Bombai e Calcutta. La più grande rivoluzione del commercio e dei trasporti mondiali da quando c'è stata la scoperta dell'America, che ha privilegiato le rotte atlantiche e il sistema del Reno. solo che questa volta l'Italia rischia di restare fuori.
Attenzione: gli svizzeri non sono spendaccioni, fanno bene i loro conti e sono anche molto attenti all'ambiente. Infatti sono stati i primi in Europa a limitare sempre di più il transito dei TIR, che caricati su un treno non inquinano e consumano molto meno energia.
Poi hanno anche un Stato che programma coscienziosamente dopo avere discusso, e adesso è lanciato sul progetto Svizzera 2000, che prevede di ridurre di DUE TERZI il consumo energetico procapite. E' stato elaborato tempo fa dai politecnici di Zurigo e Berna, adottato prima da alcune città e alcuni cantoni e poi dal governo federale.
Il grande collegamento orizzontale doveva passare per la Val Padana, una delle più ricche e popolose regioni europee. E guardando una carta si capisce a occhio che la linea più veloce passava da Marsiglia a Genova e poi via Brescia e Verona a Udine e in Austria. Ma la Liguria di ponente è troppo stretta e le montagne troppo instabili per reggere una "TAV dei fiori". E poi i francesi, che anche loro hanno uno Stato che programma e decide, han voluto fare una deviazione per Lione, per fare di Lione la seconda città di Francia, snodo tra la linea orizzontale e quella del Reno. Di qui una inattesa benedizione per Torino, naturalmente male accolta dai nostri mugugnatori della decrescita infelice e incazzata, che sognano di piantare cavoli e cardi gobbi nelle fabbriche abbandonate.
Ma d'altra parte, noi abbiamo una cultura politica che ha sempre aborrito la programmazione, che non ha ancora capito che facciamo organicamente parte dell'Europa, che gode della propria miopia provinciale e fa passare per grandi personaggi delle scartine mondiali. Vendola non sa quanto si è squalificato dicendosi contrario alla TAV in Piemonte ma favorevole a quella Napoli Bari ( a mio sommesso parere, sarebbe più importante la linea Bari Bologna). Se mai dovesse realizzarsi il suo progetto politico, sarà un altro leader pittoresco dell'Italia in declino.
Scusate, ma comincio a diventare insofferente dei miei coetanei che si fanno indottrinare dal Manifesto, e preferisco i giovani che leggono Internazionale. Che talvolta, come giusto, riprende anche autori e articoli del primo, ma ti fa vedere il mondo come va non come deve essere interpretato. e ti fa capire che il terzo mondo non è più una faccenda di missionari e di guerre civili, ma sta galoppando.
Francesco Maria Mariotti: Italia distratta, Europa timida
A chi non volesse ridurre la nostra politica a una guerra civile in salsa giudiziaria (con possibili esiti imprevedibili, come fu per Tangentopoli), conviene levare gli sguardi e capire che si stanno giocando - senza di noi - partite ben più importanti.
Dall'altra parte del Mediterraneo c'è chi si illude sui moti di ribellione in atto; si parla anche di "rivoluzioni liberatorie", forse non rendendosi conto di quali possano essere gli improvvisi rovesci di queste partite incontrollate. Ben venga, se riesce a dispiegarsi, la democrazia nell'Africa mediterranea; ma quali saranno i suoi colori e le sue parole d'ordine?
Noi italiani, capaci di gestire in passato il "golpe" a favore di Ben Alì, oggi sembriamo silenti, distratti dalle nostre vicende, con il rischio che nel frattempo altri stati, o - peggio - altre forze non statuali prendano piede sulle nostre "rotte". Perché di questo alfine si tratta: del controllo dei nostri mari, e del confronto economico quotidiano e continuo fra stati e potenze, anche attraverso l'"arma" delle migrazioni. Questa la partita che (non) stiamo giocando.
Allargando lo sguardo all'Europa, verrebbe da dire così: se gli italiani oggi sono distratti, gli europei in genere sono timidi.
C'è infatti ancora troppa paura dei mercati e poca politica, perché il nostro continente-federazione possa partecipare dignitosamente alla spartizione del potere nel mondo; il confronto diretto USA - CINA sembra metterci fuori gioco, ma a ben vedere le due superpotenze potrebbero trovare in questo attore "terzo" la sponda con cui evitare un perenne braccio di ferro, oggi ancora "silenzioso", domani chissà.
Se lo volessero, quindi, Italia ed Europa potrebbero fare la differenza, una grande differenza; ma forse pensiamo ancora di dover aspettare il permesso del mondo per esistere: in una sorta di "strascico psicologico" del secondo dopoguerra, ci illudiamo che gli USA ci proteggano ancora come un tempo e aspettiamo che siano loro a indicarci la strada.
Non è così; speriamo di accorgercene prima di dover pagare prezzi troppo elevati.
Francesco Maria Mariotti
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/
Su Tunisia e sul summit Cina - Usa vi invito a leggere due brevi rassegne stampa:
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/2011/01/20/tunisia_rischio_o_speranza.html
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/2011/01/20/cina_usa.html
Dall'altra parte del Mediterraneo c'è chi si illude sui moti di ribellione in atto; si parla anche di "rivoluzioni liberatorie", forse non rendendosi conto di quali possano essere gli improvvisi rovesci di queste partite incontrollate. Ben venga, se riesce a dispiegarsi, la democrazia nell'Africa mediterranea; ma quali saranno i suoi colori e le sue parole d'ordine?
Noi italiani, capaci di gestire in passato il "golpe" a favore di Ben Alì, oggi sembriamo silenti, distratti dalle nostre vicende, con il rischio che nel frattempo altri stati, o - peggio - altre forze non statuali prendano piede sulle nostre "rotte". Perché di questo alfine si tratta: del controllo dei nostri mari, e del confronto economico quotidiano e continuo fra stati e potenze, anche attraverso l'"arma" delle migrazioni. Questa la partita che (non) stiamo giocando.
Allargando lo sguardo all'Europa, verrebbe da dire così: se gli italiani oggi sono distratti, gli europei in genere sono timidi.
C'è infatti ancora troppa paura dei mercati e poca politica, perché il nostro continente-federazione possa partecipare dignitosamente alla spartizione del potere nel mondo; il confronto diretto USA - CINA sembra metterci fuori gioco, ma a ben vedere le due superpotenze potrebbero trovare in questo attore "terzo" la sponda con cui evitare un perenne braccio di ferro, oggi ancora "silenzioso", domani chissà.
Se lo volessero, quindi, Italia ed Europa potrebbero fare la differenza, una grande differenza; ma forse pensiamo ancora di dover aspettare il permesso del mondo per esistere: in una sorta di "strascico psicologico" del secondo dopoguerra, ci illudiamo che gli USA ci proteggano ancora come un tempo e aspettiamo che siano loro a indicarci la strada.
Non è così; speriamo di accorgercene prima di dover pagare prezzi troppo elevati.
Francesco Maria Mariotti
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/
Su Tunisia e sul summit Cina - Usa vi invito a leggere due brevi rassegne stampa:
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/2011/01/20/tunisia_rischio_o_speranza.html
http://mondiepolitiche.ilcannocchiale.it/2011/01/20/cina_usa.html
giovedì 20 gennaio 2011
Milano, 26 gennaio, ore 17.30: Omaggio ai Rosselli
MOMENTI DI APPROFONDIMENTO
Mercoledì 26 gennaio 2011, ore 17.30
Società Umanitaria - Sala Facchinetti-Della Torre
ingresso da via San Barnaba 48 - Milano
Incontro-dibattito su
Carlo Rosselli,
il liberalsocialismo
e la diaspora azionista
INTERVENGONO
Silvio Beretta, Alberto Castelli,
Zeffiro Ciuffoletti, Nicola Del Corno,
Michela Nacci, Elena Savino
Presiede
Piero Amos Nannini
Coordina
Arturo Colombo
Nell’occasione saranno presentati i volumi
Carlo Rosselli, Pagine scelte di economia, a cura di A. De Ruggiero e S. Visciola (Le Monnier)
Carlo Rosselli: gli anni della formazione e Milano, a cura di N. Del Corno (Biblion Edizioni)
Figure del liberalsocialismo, a cura di M. Nacci (Ed. Centro Editoriale Toscano)
E. Savino, La diaspora azionista (FrancoAngeli)
Rosselli-Caffi-Gobetti-Salvemini, L’unità d’Italia. Pro e contro il Risorgimento, a cura di A. Castelli (E/O edizioni)
Mercoledì 26 gennaio 2011, ore 17.30
Società Umanitaria - Sala Facchinetti-Della Torre
ingresso da via San Barnaba 48 - Milano
Incontro-dibattito su
Carlo Rosselli,
il liberalsocialismo
e la diaspora azionista
INTERVENGONO
Silvio Beretta, Alberto Castelli,
Zeffiro Ciuffoletti, Nicola Del Corno,
Michela Nacci, Elena Savino
Presiede
Piero Amos Nannini
Coordina
Arturo Colombo
Nell’occasione saranno presentati i volumi
Carlo Rosselli, Pagine scelte di economia, a cura di A. De Ruggiero e S. Visciola (Le Monnier)
Carlo Rosselli: gli anni della formazione e Milano, a cura di N. Del Corno (Biblion Edizioni)
Figure del liberalsocialismo, a cura di M. Nacci (Ed. Centro Editoriale Toscano)
E. Savino, La diaspora azionista (FrancoAngeli)
Rosselli-Caffi-Gobetti-Salvemini, L’unità d’Italia. Pro e contro il Risorgimento, a cura di A. Castelli (E/O edizioni)
mercoledì 19 gennaio 2011
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