martedì 7 novembre 2017

Franco Astengo: Sicilia

ELEZIONI SICILIANE: DAI PRIMI NUMERI, UN APPUNTO PER LA SINISTRA di Franco Astengo La crescita dell’astensionismo, rilevatasi ancora una volta fattore costante anche nell’occasione delle elezioni siciliane, ci permette ancora di affermare come primo punto di questo avvio di analisi che nessuna forza politica può accreditarsi come punto di ostacolo verso la diffidenza di buona parte dell’elettorato al riguardo dei soggetti politici esistenti. Non esiste alcun soggetto che possa vantarsi di interpretare il disagio di fondo che percorre la società italiana nei confronti dell’arrogante espressione di “autonomia del politico” che sembra proprio andare per la maggiore trasversalmente agli schieramenti. Diffidenza (e ostilità) che non si traduce soltanto nell’assenza al voto, ma rende assolutamente fragile la capacità del sistema di interpretare ed esprimere le grandi contraddizioni sociali. Guardiamo alla Sicilia (da tutti unanimemente considerata, per varie ragioni, un vero e proprio “laboratorio”. Nel 2012, infatti, i voti validi per le liste furono complessivamente 1.915.530; alle politiche del 2013 2.511.785, europee 2014 1.704.959: quindi un percorso in saliscendi, anche perché al referendum 2016 si risale a 2.262.808 quindi circa 500.000 voti in più rispetto alle europee 2014. Un recupero oggi vanificato essendosi il numero dei voti validi si è fermato a 1.924.632 per le liste. Di conseguenza rispetto al referendum 2016 registriamo un calo nei voti validi pari a 338.176 unità (la quota più bassa nei voti validi rimane comunque quella riscontrata alle europee 2014, quelle dell’illusorio 40% di Renzi, con – appunto – 1.704.959 voti espressi). Rimane al di sotto del totale dei voti validi fatto registrare al Referendum anche il totale dei voti validi espressi, in questa occasione, per i candidati – Presidente che assomma a 2.085.075. Si ricorda che il numero delle elettrici/elettori iscritte nelle liste era, per questa volta, di 4.611.111 unità. All’interno di questo quadro di debolezza sistemica derivante dall’astensionismo, si presenta una questione specifica riguardante la sinistra, presentatasi in questa occasione in forma unitaria attorno alla candidatura di Claudio Fava e alla lista “Cento passi”. Candidatura unitaria (federazione della Sinistra, SeL e Verdi) che si era già realizzata nel 2012 attorno alla figura della sindacalista Giovanna Marano (che aveva sostituito in corsa Fava, incappato in un disguido burocratico). La candidatura della Marano aveva ottenuto 122.633 voti pari al 6,10 con l’Italia dei Valori a quota 67.738 ( 3,50%) e una lista della Federazione della Sinistra (PRC e PdCI) con Sel e Verdi a 58.873 (3,10%). In questa occasione, aggiuntosi anche l’MdP e scomparsi IDV e Verdi la candidatura di Fava ha ottenuto 128.157 voti, meno di 6.000 in più rispetto al 2012. La sola lista (“I cento passi”) che appoggiava la sua candidatura ha ottenuto 100.383 voti (nessun problema, quindi, rispetto al richiamo del”voto utile” in presenza della possibilità del suffragio disgiunto). Nel 2012 le liste d’appoggio alla candidatura Marano avevano riportato 126.491 suffragi. Dal punto di vista del voto alle liste ci troviamo quindi in una situazione di flessione tra il 2012 e il 2017 per circa 26.000 unità. Nel frattempo si è rovesciato anche il rapporto tra voti alle liste e voti al candidato/a Presidente in quanto il voto personale di Fava ha superato quello delle liste, mentre per la candidatura Marano nel 2012 era avvenuto esattamente il contrario, anche se soltanto per 4.000 voti circa di differenza. A questo punto vale la pena, per quel che riguarda la sinistra, sviluppare un ulteriore punto di riflessione. Considerato che, nel 2016, in Sicilia il “NO” nel referendum staccò il “SI” di circa 1.000.000 voti è facilmente intuibile come all’interno di quel voto a favore del “NO complessivamente pari a 1.620.095 suffragi si trovassero un numero non indifferente di voti espressi da elettrici ed elettori orientati a sinistra che, nel frattempo, delusi fossero rifluiti nell’astensionismo tornando al voto su di una questione chiara, precisa come quella riguardante il giudizio sulle modifiche costituzionali volute da Renzi. E’ valutabile, a questo punto, che la candidatura Fava e la presenza della lista “Cento Passi” non abbiano funzionato per richiamare nuovamente al voto questa fetta di elettorato che dopo essersi espressa al referendum è, con ogni probabilità, nuovamente rifluita nel non – voto. Il PD dal canto suo è tornato ai livelli del 2012 dove ottenne 257.274 suffragi (quindi oggi si registra una flessione di circa 7.000 voti) ma soprattutto dimostra di aver completamente smarrito il patrimonio accumulato con il risultato del 2014, allorquando raccolse 573.134 voti. Accanto al PD si registra il disastro della lista di Scelta Popolare ferma a 80.366 voti: la sola UDC nel 2012 aveva ottenuto 207.827 voti ( la parte “alfaniana” dell’attuale Scelta Popolare nel 2012 faceva parte del PdL). Soprattutto il PD registra la debolezza della candidatura Micari, questa sì sottoposta al bombardamento del voto disgiunto a favore sia del candidato del M5S sia di quello del centro – destra, poi eletto presidente. Infatti, il divario tra il voto al candidato – presidente del PD e i voti delle liste che lo sostenevano appare fortissimo: Micari raccoglie 388.886 voti, mentre le liste assommano 488.939 suffragi. Mancano all’appello all’incirca 100.000 voti. Non è esaltante neppure il voto di lista per il M5S, che sicuramente ha usufruito in misura maggiore del voto disgiunto: il candidato – presidente ha ottenuto 722.555 voti mentre la lista si è fermata a 513.359, con un incremento limitato rispetto al 2014 ( 448.539) e una seria flessione rispetto alle politiche 2013 (843.557). Un viatico non positivo in vista delle prossime elezioni politiche che indica la possibilità che il risultato complessivo del M5S sul piano nazionale si collochi in una frangia di suffragi intermedia tra il risultato del 2013 e quello del 2014. Per concludere due punti di riflessione riservati alla sinistra, premesso appunto che non ha sofferto del richiamo al “voto utile”, piuttosto ha patito il mancato ritorno al voto degli astensionisti (classificati “ideologici” da una recente analisi comparsa anche su settimanali e quotidiani) dopo che una parte di questi si era espressa nel referendum del 4 dicembre 2016. Tutto questo dimostra tre punti: 1) A sinistra la sensibilità dell’elettorato “deluso” si rivolge certamente alla tensione unitaria, ma diventa concreta quando questa tensione unitaria, come nel caso del Referendum 2016, si esprime attorno ad obiettivi di grande respiro come è sicuramente rappresentato dal tema della Costituzione, della sua difesa e della sua affermazione. Quindi: alto livello e chiarezza negli obiettivi programmatici. L’interesse per trasformismi, traccheggiamenti, conservazioni di posizione, assegnazione a tavolini di improbabili leadership, appare invece molto limitato; 2) Questa chiarezza, che nell’occasione del referendum si era tradotta in un voto di grande rilievo è stata rivolta ad avversare i fondamenti della politica portata avanti dal PD (R) nel corso di questi anni. Ed è questo un dato da tenere ben presente rispetto alle stesse prospettive di alleanza in vista delle elezioni politiche. 3) Il tema di fondo sul quale realizzare una possibile unità a sinistra è quello della Costituzione e la faglia creatasi con il referendum presenta ancora il punto di riferimento sul quale costruire programmi, schieramenti e posizioni anche nell’arena elettorale. La gravità dell’attacco portato soprattutto dal PD alla Costituzione costituisce un vero e proprio punto di rottura che non potrà essere sanato neppure nel medio periodo e che richiede ancora un vero confronto politico. Naturalmente resta in piedi la questione del soggetto politico ma, con ogni probabilità, i tempi risulteranno troppo stretti da qui alle elezioni per poterlo affrontare produttivamente.

3 commenti:

mimmo ha detto...

numeri sono senz’altro certi, le interpretazioni lasciano il campo all’opinabile.
Primo errore di valutazione è omologare l’interpretazione del voto siciliano a quello nazionale, ci sono filosofie politiche antropologicamente diverse che pesano e condizionano un elettorato
attratto dal potere che è lo stesso da decenni e che ruota attorno ai nuovi viceré, l’alta burocrazia regionale punto di transito di ogni processo.
Il trasformismo, il cambio di casacca, purché tutto rimanga immobile, è la costante (Tomasi di Lampedusa), il ceppo di origine democristiana, resiste nel tempo ed ha proliferato eredi, e il caso di Genovese a Messina (nel 2012 col PD) è l’emblema di un trasformismo, che il sistema elettorale siciliano garantisce, presidente maggioritario con assemblea proporzionale, l’autostrada per i compromessi.
L’astensione è l’emblema dell’impolitica, e la modificazione dei flussi di partecipazione elettorale è la conseguenza di limitazioni del voto di scambio e come dice qualcuno, della ‘finanziarizzazione della mafia’.
La sinistra è sempre stata perdente , se si meticcia e cerca di declinare il possibile in uno schema perverso di autonomia, riesce a condizionare elezioni locali, anche perché in sede locale ha generato a sua volta i viceré minori.
L’ultima illusione per di più pericolosa, è quella di illudersi di riportare al voto i delusi, quelli che sono convinti che la politica e con essa la democrazia possa affrontare o lenire i loro problemi, qualcuno si illude che la destra possa dare qualche mancia (vedi Ostia) altri non possono che essere disillusi dopo un secolo di fallimenti e illusioni. Ormai ciascuno fa da sé a raccogliere informazione, ha molte fonti, le sezioni o i giornali appesi sui muri, sono un retaggio del passato e le spiegazioni sono inadeguate. Nel ritorno al passato la destra batte di gran lunga la sinistra sinistra, perché è difensiva, mentre l’attacco della sinistra è senza punte e tifo.
Infine, credo che sia un imperdonabile errore continuare ad auto illudersi che siano stati gli elettori di sinistra, a impedire la modificazione della Costituzione, soprattutto in Sicilia, lo evidenzia il risultato elettorale di oggi, il referendum lo hanno vinto gli anti renziani, e in Sicilia la difesa della Costituzione è la difesa del loro statu quo, l’autonomia che consente a spese del nord di declinare il più consolidato trasformismo e la delegittimazione di ogni idealità della politica, che si esprime con l’antipolitica.
Il voto di domenica è un voto annunciato e antropologicamente coerente

felice ha detto...



Condivido in pieno mla puntuale analisi fattuale e non ideologica di Franco Astengo. La Costituzione da difendere ed attuare deve essere il tema principale unificate non solo della sinistra residuale, ma per la sua estensione all'area crescente dell'astensione elettorale ibn particolare di queo soggetti che hanno rotto l'astensione partecipando al referendum del 4 dicembre. Gli elettori referendari sono stati 33.243.845 rispetto ai 28.991.258 delle europe, cioè ben 4.252.587 in più ma sempre meno dei 35.271.541 delle politiche 2013. il voto siciliano presenta luci ed ombre e da esso non si possono trarre, a mio avviso, indicazioni serie se è stato favorevole o contrario la progetto di lista unica. Prevedo, invece, che la maggioranza dei commenti sia in questa direzione. Le elezioni siciluane nvece qualcosa dicono suula dispersione perchè accanto alle due liste con la sostituta di Fava c'era anche una lista comunista di PRC e PdCI con il suo 3,1%. Pyurtroppo bisogna tener conto dui vioto utile e leardersh, ci piacciao non ci piaccia, perché seri studui di comportamento elettorale dimostrano che foirti dubbi dulla possibilià dui superare la soglia distolgono dal votio e questa distorsione della liberà di voto è tanto più alta quanto più alta è la soglia, come è il 5% della Sicilia

maurizio ha detto...

Nessuno può dire se il voto nazionale del 2018 replicherà sostanzialmente quello delle regionali siciliane o se, e di quanto, se ne discosterà. Infatti sono vere entrambe le tesi sostenute in questi giorni: secondo l'una la Sicilia ha spesso anticipato tendenze politiche poi affermatesi in tutto il Paese, secondo l'altra l'isola ha invece peculiarità non esportabili. Comunque sia qualcosa possiamo pur dire nel merito. Renzi è riuscito nel miracolo di resuscitare Berlusconi: voleva portargli via buona parte dei voti e marginalizzarlo, insediandosi stabilmente al centro, e invece non solo non c'è riuscito, ma ha perso a sinistra quel che sappiamo. A dire il vero non mancano i precedenti perché troppe volte il Cavaliere è stato dato per finito e invece, come la mitica Araba Fenice, è risorto dalle sue ceneri. Questa (mi riferisco agli ultimi anni) sembrava però la volta buona, ma così non è stato. E' evidente che la candidatura di Musumeci aveva una forza oggettiva e specifica e che dopo 5 anni di giunta Crocetta il gioco non era difficile, ma in ogni caso la vittoria della destra è netta e pesante. Che poi i partiti della coalizione siano lontani e divisi fra loro è cosa nota e non nuova (ricordate il '94?). Quello che conta è che Berlusconi, dopo le politiche, potrà praticare la politica dei due forni: a seconda del risultato governo di destra e solo di destra o alleanza al centro con il PD e rimasugli vari, tagliando fuori la Lega e i Fratelli d'Italia. In ogni caso il mazzo è nelle sue mani, grazie anche al Rosatellum. I 5Stelle hanno ottenuto un buon risultato ma non hanno vinto. Al di là di proclami e lamenti giustizialisti questo probabilmente sta loro bene, così potranno continuare ad inveire senza correre il rischio di dover dimostrare la loro nullità, ormai evidente anche a Torino oltre che a Roma.
Renzi ha detto solennemente che tirerà diritto perché il suo obiettivo resta il 40%. Credo che a questo punto il problema, più che politico, sia di natura psichiatrica.
Il costituendo quarto polo sembra invece ormai ammaliato dall'idea di Grasso leader visto che, dopo la penosa affermazione di Vendola di cui abbiamo già parlato, oggi il buon Bersani ha tirato fuori l'ultima delle sue scempiaggini ("con il nostro profilo civico e di sinistra Grasso ci sta da dio"). Che dire di più?
Maurizio Giancola